Emanuela Rei torna al cinema nei panni di Luna Cornicioni nel film Un matrimonio mostruoso che, diretto da Volfango De Biasi e prodotto da IIF con Rai Cinema, arriva in sala il prossimo giovedì 22 giugno grazie a 01 Distribution. Per chi avesse perso il primo film, Una famiglia mostruosa (in onda in prima serata su Rai 2 la sera del 20 giugno), la Luna di Emanuela Rei è una ragazza di una famiglia romana che si è innamorata di Adalberto, lupo mannaro e rampollo di una famiglia di secolari mostri.
Al di là delle risate garantite dallo scontro socio-culturale di due nuclei familiari molto diversi tra loro, sia Una famiglia mostruosa sia Un matrimonio mostruoso sono due commedie che sottolineano come la diversità non debba mai essere motivo di separazione e divisione: solo apprezzando l’unicità dell’altro, si possono vincere stereotipi e pregiudizi.
La Luna di Emanuela Rei, rispetto al primo film, è naturalmente cresciuta. L’amore per Adalberto (Cristiano Caccamo) è stato coronato dall’arrivo di due gemelli, anche loro mostruosi. E conciliare vita matrimoniale, libertà individuale e oneri genitoriali non è semplice, nemmeno per una Cornicioni. Ed è da qui che comincia la nostra chiacchierata, un’intervista esclusiva in cui Emanuela Rei, classe 1991, esprime le sue idee di giovane donna d’oggi sull’amore, sulla genitorialità, sui preconcetti e sul bullismo.
L’intervista è anche un modo per parlare delle sue esperienze da attrice, dall’essere stata la protagonista di una serie teen molto seguita, il fenomeno Maggie e Bianca, al divenire la star femminile di uno dei musical più visti a teatro in Italia negli ultimi anni, Aladin. Esperienze che hanno contribuito a formare Emanuela Rei non solo professionalmente ma anche personalmente, lasciandole un profondo legame con i suoi follower, fan con cui è cresciuta insieme come in una grande famiglia.
Intervista esclusiva a Emanuela Rei
“Pesci ascendente gemelli”, mi risponde Emanuela Rei quando le chiedo qual è il suo segno zodiacale. È tanta l’alchimia che si è creata sin dai saluti che era inevitabile, per chi ci crede, non soffermarci sull’aspetto astrologico. Da gemelli ascendente gemelli, non posso farle notare in quanti siamo a conversare e a confrontarci.
Com’è stato ritornare nei panni di Luna nel film Un matrimonio mostruoso, sequel di Una famiglia mostruosa?
Divertentissimo. Non vedevo l’ora di tornare nei panni di Luna Cornicioni, anche perché questa volta andrà incontro a una trasformazione che la vedrà diventare una lupacchiotta. Ma è stato veramente bello tornare a essere Luna perché avrà anche una famiglia al completo da gestire: dal suo matrimonio con Adalberto sono nati i piccoli gemellini, due diavoletti da gestire!
Due gemelli che, complice il dna del padre, sono uno un vampiro e l’altro un lupo mannaro. Se già è complicato avere a che fare con due gemelli, figuriamoci quando questi sono dei piccoli mostri.
Esattamente. So per esperienza quanto sia complicato gestire due gemelli, ho due nipoti gemelline. La prima volta che ho letto il copione sono rimasta abbastanza sorpresa. Mia sorella aveva da poco partorito le bimbe e ho trovato straordinaria la coincidenza: nel primo film in cui sarei stata incinta, lo sarei stata di due gemelli proprio come mia sorella!
Rispetto a Una famiglia mostruosa, Luna è andata incontro a un’evoluzione naturale: è più donna.
Luna è chiamata a prendere in mano la relazione: con Adalberto vivrà infatti la loro prima crisi. Dopo un periodo di amore bellissimo coronato dalla nascita dei due bimbi, si ritroveranno a dover imparare come gestire il loro rapporto. Da licantropo, Adalberto va ovviamente fuori nelle notti di luna piena lasciando che a gestire le redini della famiglia e delle responsabilità che comporta sia Luna… e arriva il momento in cui Luna è un po’ piena! Da ciò scaturiranno le prime discussioni e le prime litigate.
Io e mia sorella viviamo praticamente in simbiosi e, stando sempre insieme, ho avuto modo di rubare con gli occhi le dinamiche familiari che si possono creare nel dover gestire all’improvviso l’arrivo di due nuove persone in una coppia. Dall’esterno, si tende a pensare che due bambini si gestiscano come uno solo: è solo osservando dall’interno che ci si rende conto quanta organizzazione serva nel rapportarsi comunque a dinamiche nuove. Occorre, in un certo senso, ribilanciare anche la coppia per affrontare un bel banco di prova.
E nel resettare la coppia si richiama anche l’uomo, il maschio, alle proprie responsabilità: mettiamo da parte il cliché secondo cui a occuparsi dei figli debbano essere soltanto le madri.
E infatti Luna metterà alla prova Adalberto facendogli capire cosa significhi essere genitore. Se si comportasse anche lei come il padre, chi si occuperebbe dei bambini? Tocca anche ai padri rimboccarsi le maniche, diciamo pure così.
Personalmente, sposi il punto di vista di Luna?
Credo che una donna non debba arrivare mai all’eccesso a cui è portata Luna, che inizia a comportarsi proprio come Adalberto. Punterei più che altro alla comunicazione, alla vecchia e cara comunicazione, all’interno della coppia: nel momento in cui una donna si sente veramente stanca, non dovrebbe stare in silenzio ma dovrebbe condividere il suo stato d’animo con chi le sta accanto. L’uomo dovrebbe capire che l’ssere “mammo” non è qualcosa che sminuirebbe il suo valore o la sua personalità agli occhi degli altri. Tutt’altro: sarebbe un plus.
Le responsabilità, quando si diventa genitori, vanno condivise, fermo restando che ci sono compiti che restano appannaggio della madre, come l’allattamento (ride, ndr): per il resto, credo debba esserci collaborazione. Il bello di aver un figlio consiste nel crescerlo insieme. Quindi, collaborazione, condivisione e comunicazione restano per me le tre “c” vincenti per far funzionare una coppia.
Sappiamo tutti quanti come l’arrivo anche di un solo figlio nella vita di una donna possa comportare anche dinamiche che assumono pieghe drammatiche e di cui non si parla quasi mai, come la depressione post partum. Certe situazioni sono anche figlie del fatto che le donne vengono lasciate da sole dai loro compagni a gestire un universo totalmente diverso da quelle a cui erano abituate.
Ovviamente, non posso saperlo perché non ci sono mai passata. Credo tuttavia che spesso le donne si sentano a disagio anche solo a parlarne. Ragione per cui sostengo da sempre che debbano esserci degli sportelli d’aiuto predisposti ad ascoltare non solo le donne ma anche tutti coloro che hanno problematiche di qualsiasi tipo. Ancora una volta tornano fondamentali la condivisione e la comunicazione. Occorrerebbe parlare un po’ di più ed evitare di pensare che certe cose, che spesso non riusciamo a capire, non possano accadere: fanno parte invece della natura, succedono e bisognerebbe avere gli strumenti utili per superarle. Ritenerle da folli o considerarle una montagna enorme da scalare, non fa che peggiorare la situazione.
Nei casi in cui hai incontrato tu montagne enormi da scalare, hai avuto il coraggio di parlarne o di cercare aiuto in qualcuno?
Assolutamente sì. Come dico spesso anche ai ragazzi e alle ragazze con cui mi confronto anche sui social, si può partire con il parlarne con un’amica ma è fondamentale trovare il sostegno di un/a psicologo/a. Purtroppo, ancora oggi – e mi dispiace sottolinearlo – esiste ancora un tabù enorme sul ricordo all’aiuto della psicologia, che viene vista come qualcosa di anomalo e non di normale. Dal mio canto, credo che la figura dello psicologo debba essere introdotta a partire dalle scuole: i ragazzi devono capire che da uno psicologo si può avere uno sguardo o un aiuto diverso da quello che si può ottenere ad esempio da un genitore o da un amico.
Bisogna abituare tutti sin dalla più tenera età a parlare con un esperto nella maniera più semplice e possibile, senza troppi retropensieri. Manca ancora a livello culturale quella spinta necessaria che faccia capire come rivolgersi a uno psicologo perché ci fanno male i pensieri o, metaforicamente, il cuore sia come rivolgersi a un dentista quando ci fa male un dente. Pensiamo a quanto utile sarebbe stato uno psicologo a scuola in epoca post Covid, dopo che i ragazzi sono stati stressati al mille per mille. Da inesperta, mi viene naturale pensare che il ritorno tra i banchi non sia stato semplice.
A proposito di social, c’è un aspetto del tuo profilo Instagram che mi ha particolarmente colpito. Rispondi a tutti coloro che ti lasciano un commento: a differenza di altri, ti prendi del tempo per lasciare una frase, un cuoricino o un sorriso a tutti quanti. È un piccolo gesto ma sottolinea l’attenzione che riservi nei confronti di chi ti segue.
Interpretando Maggie e Bianca, ho visto crescere improvvisamente il numero dei miei follower. E sin dall’inizio ho intrattenuto con loro un bel rapporto di scambio: molti di loro li ho anche incontrati quando venivano ai concerti o agli eventi legati alla serie tv, dove ci si parlava sin da subito come se ci si conoscesse da sempre. Sono quindi cresciuti con me e li osservo con le emozioni di una sorella maggiore: capita spesso che mi scrivano come sono cambiate le loro vite o come da bambini che frequentavano le scuole siano diventati oggi adulti al loro primo lavoro.
Tendo a parlare molto con ognuno di loro, con chi più e con chi meno. Ma parliamo di ogni cosa: mi chiedono consigli sulla scuola, su come affrontare le relazioni non solo sentimentali ma anche con i genitori, su come spiegare o reagire a un brutto voto, su come gestire i rapporti con le amiche o su come portare avanti le loro passioni. Mi è capitato chi mi ha scritto che grazie a Maggie e Bianca aveva scoperto la passione per il cucito, maturando il desiderio di diventare stilista ma non sapendo come dirlo ai genitori. Oggi lavora per una casa di moda ed è felicissima: è incredibile pensare come una serie tv sia servita a farle capire chi fosse.
E ritorniamo all’importanza della comunicazione e del bisogno anche dei ragazzi del cercare sostegno e aiuto: fanno loro bene, li sbloccano e li spronano. Ecco, io cerco rispondendo loro di spronarli, restituendo anche in minima parte ciò che loro hanno dato a me. Mi fa estremamente bene: è grazie anche a loro se oggi sono qui e ho un certo seguito. Sono un po’ lenta nel rispondere (sono tanti e spesso il tempo è tiranno) ma per me è un piacere farlo: non si può capire quanto possa riempire il cuore ricevere ad esempio una nota audio di una bambina in lacrime per l’emozione per averle semplicemente detto “ciao e grazie”.
Maggie e Bianca ha avuto un successo clamoroso in tutto il mondo. Partita da Rai Gulp, è sbarcata ovunque grazie a Netflix. Quando l’hai girata, eri poco più di una bambina. Ti ha tolto qualcosa?
Sinceramente? No. So che sembra la solita favoletta della bella famiglia ma su quel set si stava bene. Tra noi ragazzi si era creato un bellissimo gruppo che condivideva non solo la fatica e l’impegno (spesso si stava sul set anche più del previsto tra riprese e prove per il giorno dopo) ma anche il tempo libero. Stare insieme quasi tutto il giorno era un piacere e aiutava a rendere l’esperienza, già bella di suo, stupenda anche psicologicamente. Non l’ho mai vissuta sentendone il carico o l’ansia, nonostante non ci si sia fermati per quattro anni, tra riprese, tour e concerti in tutta Italia.
Se non fosse stato per Maggie e Bianca, non sarei mai entrata in contatto con tutti i ragazzi che ho conosciuto e non mi sarei cimentata nei concerti, qualcosa che non avevo mai fatto in vita mia. Mi emozionava stare sul palco di un palazzetto tutto pieno e vedere come tutti quanti cantassero le nostre canzoni. Una volta, mentre mi cantavano Tanti auguri, sono proprio crollata in lacrime sul palco nel constatare quanto amore ci fosse da parte dei ragazzi. Spesso, soprattutto dopo il Covid, che ci ha allontanato tutti quanti, mi capita di ripensare a quel periodo… è qualcosa che non dimentico facilmente: è stata un’esperienza creativa veramente bella grazie ai miei compagni di avventura ma anche a chi lavorava dietro le quinte.
Un’esperienza che ti ha lasciato la passione per il canto e che ti ha portato a essere la protagonista del musical Aladin, ispirato più a Le mille e una notte che al film Disney.
Prima di Maggie e Bianca, cantavo così come facciamo tutti quanti noi. È stato grazie alla serie tv che ho iniziato a prendere lezioni di canto, a incidere album e a vedere la mia passione aumentare: mi piace sempre più cantare. Mai nella mia vita mi sarei aspettata di essere la protagonista di un musical così importante: quando è arrivata la possibilità del provino, non avrei mai pensato di essere scelta. Ci speravo, però, tanto che quando mi hanno chiamata per il ruolo mi è esploso il cuore.
Interpretare un musical era un sogno da sempre e farlo mi ha fatto realizzare quanto sia una macchina complessa da portare avanti. Faccio sempre i complimenti a tutti coloro che fanno i performer perché non è semplice, bisogna essere dei mostri di bravura: sempre pronti a dare il massimo ogni sera ma talvolta anche più volte al giorno se sono previste delle doppie, e a non abbassare mai la qualità replica dopo replica coniugando canto, recitazione e ballo. Un musical è veramente impegnativo ma anche affascinante.
È vero, il nostro musical si ispirava più a Le mille e una notte, raccontava un po’ la nascita del genio della lampada e del genio dell’anello, ma c’era anche la scena del tappeto che ha reso immortale il film Disney!
Cosa chiederesti a un genio della lampada se avessi la possibilità di esprimere tre desideri?
Che domanda difficile. Ma sai quante volte me lo sono chiesta tra me e me e non ho mai trovato una risposta? Tre desideri sono veramente pochi, il numero è talmente esiguo che ti spinge anche a confrontarti con te stessa e le tue priorità e per me che sono un’indecisa di prima categoria non è facile, cambierei le risposte subito dopo. Sicuramente, spero di fare questo lavoro per tutta la vita perché mi rende felice e serena. Un altro desiderio lo spenderei per la famiglia e uno per la salute. Sembrerà banale ma sono da sempre le mie priorità.
E l’amore?
È già incluso nella parola famiglia: è un concetto molto allargato in cui è inclusa sia la mia famiglia d’origine sia quella che mi auguro di creare per conto mio.
Per rimanere in tema musical, c’è una scena nel film Un matrimonio mostruoso che è quasi da musical: ballate e cantate tutti quanti sulle note di I Watussi.
Abbiamo riso molto nel realizzare quella scena. È un po’ il marchio di riconoscimento dei Cornicioni: quando parte la musica, non riescono a stare fermi, si devono alzare e ballare. Ci siamo divertiti tanto con Ricky Memphis al piano e tutti gli altri a beccarsi tra di loro!
Al di là del divertimento, Un matrimonio mostruoso ha un bellissimo messaggio di fondo: accettiamo le diversità per quello che sono, esaltiamole e non rendiamole motivo di discriminazione.
Torno a ripetere un concetto che considero essenziale: occorre parlare e non rendere tabù determinate questioni. Una commedia può aiutare a sdrammatizzare anche i temi più fondamentali rendendoli accessibili a tutti.
E tra i tanti tempi fondamentali il film di Volfango De Biasi affronta anche quello del bullismo con la parentesi riservata ai tre componenti più giovani delle famiglie.
La cosa buffa di quelle sequenze è che il bullo in questione, Mattia Lucentini, non riusciva quasi a girare i soprusi nei confronti di Vincenzo Sebastiani: si preoccupava di fargli veramente del male. Quella del bullismo è una piaga che oggi va presa molto seriamente: si viene sempre più bullizzati non solo fisicamente ma anche sui social.
Hai mai vissuto situazioni di bullismo da vicino o hai avuto sentore che interessassero qualcuno a te caro?
Non ho ricordi di episodi che riguardassero me personalmente. Ma ricordo come nella mia classe, quando andavo a scuola, ci fosse un ragazzo che aveva dei problemi di varia natura e che veniva bullizzato costantemente da alcuni elementi. Era doloroso assistere a quegli episodi e capitava che noi ragazze andassimo in sua difesa ma era difficile far capire agli altri quanto sbagliato fosse. A volte, neanche gli adulti riescono a far capire loro la gravità dei gesti, figuriamoci dei bambini…
Provavo a far un po’ la Giovanna d’Arco della situazione ma non notavo nessun cambiamento se non in peggio: il fatto che noi ragazze prendessimo le sue difese non faceva che acuire gli sberleffi, cosa che accadeva anche quando gli insegnanti richiamavano i genitori del ragazzo bullizzato a far la ramanzina ai bulli. Questa è una cosa che non ho mai capito: perché richiamare i genitori della vittima e non quelli dei carnefici? Non è come aggiungere paglia al fuoco? Non so come si gestiscano oggi determinati episodi ma ai tempi la cosa non venne gestita proprio benissimo.
Un matrimonio mostruoso: Le foto del film
1 / 41Di “ragazze” ce ne sono tante anche in Una famiglia mostruosa: tu, Paola Minaccioni, Ilaria Spada, Elisa D’Eusanio, Sara Ciocca…
E la cosa bella è che abbiamo anche tantissime scene corali che ci hanno permesso di stare tanto tempo tutte insieme, a differenza del primo film in cui ero quasi sempre con Cristiano Caccamo. Sfatiamo il luogo comune per cui tante donne non possono condividere lo stesso set: è una leggenda metropolitana. È stato piacevolissimo lavorare con tutte quante, tutte donne più che simpatiche e con la battuta sempre pronta.
Com’è stato essere diretti da Volfango De Biasi?
È piacevole lavorare con Volfango. È un regista che ti dà la carica e che soprattutto ascolta. Mi chiedo spesso come abbia fatto a gestire tutti quanti sul set: siamo veramente tanti gli attori in scena ma è stato capace di gestire il caos che potevamo creare dando ordine a tutto. Ogni tanto lo sfiancavamo: si toglieva le cuffie, chiedendoci di non parlare più tutti insieme… eravamo tutti logorroici! (ride, ndr). È riuscito a creare una bella atmosfera sul set in grado di trasmettere serenità: mi piace il suo modo di dirigere, sempre aperto al confronto, ragione per cui è stato un piacere tornare a lavorare con lui.
Una famiglia mostruosa è il tuo secondo film ma è anche la tua seconda commedia. Non hai voglia di cimentarti con qualche altro genere cinematografico?
Sono sempre stata pro commedia, a casa ero un giullare e sono cresciuta a pane e Verdone e De Sica: conoscevo a memoria le battute di tutti i loro film. La commedia è nelle mie vene ma proverei anche a cimentarmi con qualcos’altro: sarebbe un bel mettermi alla prova. Ricordiamoci che, come sostengono anche i più grandi, a volte è più difficile far ridere che far piangere.
Un’ultima domanda non posso che riservarla a un amico che nella tua vita non c’è più: il tuo cane…
Stavamo insieme da una vita. Avevo un gatto e lui, un cavalier king che è venuto a mancare da poco (a distanza di un anno sono morti entrambi). È stato con me per tredici anni e, quando è andato via, è come se avessi perso per sempre una piccola parte di me. L’amore che ti riservano gli animali è qualcosa di straordinario che chi non ne ha mai avuto uno non può capire: a volte sono più umani loro degli esseri umani.
Sono compagni di vita e come tali vanno trattati, cercando di garantire al massimo il loro benessere… ti ricompenseranno con tutto l’amore che sanno darti e con tutta la comprensione che dimostrano: non parlano ma capiscono anche gli stati d’animo, le giornate no o i momenti storti. Ti vengono vicino, si accovacciano accanto e ti guardano con i loro occhi: il loro sguardo vale più di ogni altra parola.