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Enrico Borello: “Recitando, abbraccio la vita in maniera diversa” – Intervista esclusiva

enrico borello supersex
Nella serie SuperSex, Enrico Borello interpreta Gabriele, il cugino di Rocco Siffredi. Siamo partiti dal personaggio per esplorare il suo percorso, i suoi limiti e le sue contraddizioni, in un dialogo in cui eros e thanatos si fondono e prendono vita in perfetto equilibrio.
Nell'articolo:

Enrico Borello ci porta in un viaggio attraverso le sfumature di un personaggio complesso e affascinante nella serie tv Netflix Supersex, dove interpreta Gabriele Galetta, il cugino di Rocco Siffredi. Tra loro, un legame profondo, contraddistinto da amore e odio, un rapporto che da sempre sfida le convenzioni e naviga tra le acque tumultuose della vita. Gabriele, figura a volte marginale ma sempre di spiccata presenza, diventa il catalizzatore di momenti di tensione e di introspezione profonda, riflettendo l'umanità nelle sue più ampie contraddizioni.

Questo rapporto particolare, che Enrico Borello riesce a catturare e trasmettere con una sincerità disarmante, nasce e si sviluppa su un terreno fertile di contrasti, dove l'amore fraterno si intreccia con una competitività sottile, dove l'ammirazione si mescola alla rivalità, delineando un affresco umano di rara intensità. In Supersex, Gabriele non è solo il cugino di Rocco; diventa il simbolo di tutte quelle figure che, pur rimanendo ai margini della luce riflessa dalle stelle, possiedono una loro irriducibile brillantezza, una complessità di sfumature che chiede di essere esplorata e compresa.

La scena del bar, in cui Gabriele si mette a nudo in modo letterale e metaforico, sotto gli occhi attoniti della moglie che lo attende in macchina, diventa emblematica non solo della sua ricerca di identità, ma anche del coraggio di mostrarsi in tutta la sua vulnerabilità. È un momento di svolta, un atto di sfida verso le convenzioni sociali, un grido di libertà che interpella lo spettatore, invitandolo a riflettere sul prezzo dell'autenticità in un mondo che troppo spesso premia le maschere piuttosto che i volti.

L'approccio di Enrico Borello al suo personaggio è stato di un'immersione totale, una dedizione che va oltre la semplice rappresentazione. Attraverso un processo di ricerca e di identificazione, l'attore ha scavato nei meandri dell'anima di Gabriele, portando in superficie non solo le contraddizioni di un uomo diviso tra il desiderio di essere riconosciuto per ciò che è e la paura di rivelare la propria vera essenza, ma anche la profonda umanità che lo caratterizza. L'interpretazione di Enrico Borello diventa così una lente attraverso la quale osservare le infinite sfaccettature dell'essere umano, una finestra aperta sulle profondità dell'anima.

Questa intervista a Enrico Borello, trentenne attore romano con alle spalle titoli come Lovely Boy, Settembre e Il filo invisibile, ci offre uno sguardo intimo sull'arte della recitazione, sulle sfide e le scoperte che caratterizzano il viaggio di un attore verso la verità del proprio personaggio. È un invito a immergerci nelle profondità dell'esperienza umana, a riconoscere la bellezza insita nelle nostre fragilità e a celebrare la potenza trasformativa dell'arte, capace di illuminare gli angoli più bui dell'animo umano e di rivelare la grandezza che si nasconde nella semplicità del vivere.

Enrico Borello (Foto: Paolo Palmieri; Press: Sara Castelli Gattinara di Zubiena  @OtherSrl).
Enrico Borello (Foto: Paolo Palmieri; Press: Sara Castelli Gattinara di Zubiena  @OtherSrl).

Intervista esclusiva a Enrico Borello

In Supersex, interpreti Gabriele Galetta, il cugino di Rocco Siffredi. Tra i due, sin dall’infanzia intercorreva un rapporto molto particolare, fatto se vogliamo di amore e odio. Al tuo personaggio, spetta molto spesso il compito di allentare la tensione del racconto. Sin dai primi momenti, lo vediamo “raffreddare” i bollori di Rocco ma una scena su tutte supera le altre, quella in cui nel manifestare il suo interesse per il lavoro del cugino si denuda in un bar sotto gli occhi impietriti della moglie che lo aspetta in macchina. Come ti sei relazionato a Gabriele?

Proprio la scena in cui denuda davanti alla moglie è stata quella che ho portato al provino. Non avevo nient’altro che quello stralcio, mi sono attenuto a quello che c’era scritto, l’ho preso e l’ho fatto mio, senza sapere di che progetto si trattasse. Quando mi è stato finalmente chiaro, ho cominciato a fare un po’ di ricerche e mi sono messo a guardare quello che potevo trovare, a cominciare dal documentario Rocco di Thierry Demaizière e Alban Teurlai. Oltre allo studio, però, mi è tornato utile ciò che lo stesso Siffredi mi ha successivamente raccontato: nel documentario, Gabriele interpretava la versione di se stesso che avrebbe voluto che emergesse.

Ho appreso un altro paio di aspetti guardando dei video che ho trovato in giro per il web. Mi sono così reso conto che anche fisicamente io e Gabriele eravamo molto diversi: non avrei dovuto fare un tipo di lavoro imitativo e ciò mi ha spinto a provare a tenere quella linea che avevo già individuato in fase di lettura per il provino puntando sulle qualità del personaggio che riuscivo a intercettare. Perché, comunque, la sua figura mi ha catturato e rapito sin dal primo momento.

Era anche per me interessante interpretare qualcuno che non era più in vita: è un aspetto che mi ha molto scaldato perché ho sempre avuto un grandissimo rispetto nei confronti del lutto e ho una sorta di riverenza nei confronti della morte delle persone care. Ci ho tenuto dunque a calarmi nel personaggio con tanto cuore, tanta sincerità e tanta spontaneità, le tre caratteristiche che mi sembravano più immediate di Gabriele. Nonostante nella narrazione, sia una figura sempre molto di passaggio e di accompagno, ben si evince quanto variegata e diretta fosse la relazione tra lui e Rocco.

Enrico Borello e Alessandro Borghi nella serie tv SuperSex.
Enrico Borello e Alessandro Borghi nella serie tv SuperSex.

Per interpretare un personaggio al meglio, occorre che un attore sospenda il suo giudizio personale o il pregiudizio. È stato facile per te non giudicare Gabriele?

Assolutamente, sì. Ma è un atteggiamento che mi porto dietro anche nella vita di tutti i giorni: credo che occorra fare tanti passi indietro laddove si intraveda onestà. Anche in presenza di contraddizioni palesi, non mi permetto mai di giudicare soprattutto quando dall’altro lato è manifesta la capacità di vivere in maniera sincera, portandosi dietro anche i propri limiti. “Vivi la vita dell’altro prima di poter esprimere un giudizio” è ciò che mi dico e vale sia per le figure celebri sia per quelle meno: ci devi stare nei panni di qualcuno prima di mettersi su un piedistallo e stabilire cosa è giusto o sbagliato, bello o brutto, normale o non normale.

Chi si erge a giudice non fa altro che ricadere nella dottrina dello spettatore, ovvero di colui che sta negli spalti, guarda e aspetta i passi falsi altrui: purtroppo, è una tendenza che la società borghese ha quasi fatto sentire come necessità quando invece dovremmo tenerci lontani dai dogmi dell’etichetta, della morale e dell’etica, che non si capisce bene chi li abbia scritti, decisi o decodificati.

Esatto: chi ha deciso cosa è normale e cosa non lo è?

Ho lavorato per tre anni nel mondo delle comunità psichiatriche, ragione per cui ogni volta che si parla di “normalità” mi viene da ridere. Chiaramente esistono delle strade che passano sempre attraverso l’umano (la capacità di sentire, di percepire, di relazionarsi) a cui siamo chiamati per autoconsapevolezza a rispondere per pura sopravvivenza. Di fronte a un’emozione che non sappiamo cos’è o non capiamo, ci poniamo delle domande ed è nel restare aperti che intravedo la strada più sana da adottare, la stessa che ti permette di avere lo spazio dentro te per elaborare tutto e non cedere alla frustrazione.

Eros e Thanatos sono le linee guida di SuperSex, due parole che per chi come te ha anche una laurea in Medicina e Psicologia sono state pane quotidiano. Che rapporto hai con loro?

Per me, Eros e Thanatos non sono “amore” e “morte”: sono la pulsione creativa e la pulsione distruttrice, che ai loro estremi possono arrivare a generare vita o morte. Ho un rapporto abbastanza particolare sia con il desiderio creativo sia con quello distruttivo: come tutti, penso di essere molto passionale e, come tale, ho degli istinti molto forti in entrambe le direzioni con cui nel tempo mi sono confrontato.

Ogni individuo si deve misurare mentalmente con i suoi istinti primordiali di creazione e distruzione: potenzialmente siamo tutti dei magnifici artisti o dei dispensatori di amore ma allo stesso tempo siamo anche tutti quanti dei serial killer, anche di noi stessi. Considero creazione e distruzione come i due processi più sacri dell’essere umano: i cattolici li chiamano Bene e Male, vivono dentro di noi quotidianamente. Lavorando come attore, ho imparato che occorre necessariamente tenerle in equilibrio: sono complementari e non va mai lasciato che l’una prenda il sopravvento sull’altra. Anche l’aspetto creativo può logorare e viceversa: c’è del thanatos anche nell’eros, come c’è dell’eros nel thanatos.

Enrico Borello e Alessandro Borghi nella serie tv SuperSex.
Enrico Borello e Alessandro Borghi nella serie tv SuperSex.

A proposito di bilanciamenti, per un attore occorre bilanciare anche testa e corpo. In SuperSex, hai recitato non solo con la testa ma anche con il corpo. In che relazione sei con testa e corpo?

Ho un rapporto molto delicato con la mia testa: in un modo o nell’altro, viaggio tanto e a volte è difficile non farlo. Sono adesso un uomo di trent’anni e ho imparato a gestirne alcuni aspetti: da persona estremamente impulsiva, col tempo mi sono dato delle regole e, così facendo, ho scoperto che la mente è il mio più grande alleato. Ho imparato a non esserne né schiavo né vittima ma a metterla al servizio del mio corpo: mentre il cervello è raziocinio, è staticità ed è fermo, il corpo è ciò che ci guida, è il battito del cuore, ti dà il movimento e ti dà il ritmo. A queste due parti, aggiungo anche la parte più bassa del corpo, quella istintiva… Negli anni (non basta una vita per farlo), sono riuscito anche con grandissima difficoltà a mettere le tre parti il più possibile in contatto.

La relazione col corpo per me è importante tanto quanto quella con la mente. Sono una persona molto fisica e solo negli ultimi anni sto provando a entrare in una sfera meno di contatto o, meglio, in una sfera in cui il contatto non passa necessariamente per la fisicità… quella, quando arriva, deve essere efficace ed essenziale: l’intimità genera sensazioni potentissime e fortissime. Poi, è chiaro che puoi anche girare, come è accaduto per SuperSex, anche delle scene in cui ci si spoglia ma quelle sono anche figlie dell’esibizionismo che è insito in quasi tutti noi attori.

Io, ad esempio, mi diverto a farlo, così come da ragazzino mi spogliavo per fare lo scemo davanti alle persone. C’è per me un grande grado di divertimento nella nudità, nello scandalo e nella provocazione: rido perché so che in quel momento sto rompendo un tabù. Di che dovrei vergognarmi nel mostrarmi come mamma m’ha fatto?

Le vergogna è negli occhi di chi guarda e non di chi esibisce la nudità…

Denudarsi di fronte a 150 persone ti espone ovviamente tanto ma non è tanto il mostrarsi che conta ma l’effetto che fa a te l’esporti, non soltanto con il corpo, senza protezioni. Un conto è farlo per un workshop, dove si creano livelli di intimità molto profondi con chi hai intorno, e un conto è farlo su un set: occorre una bella struttura mentale per sottoporsi agli sguardi e all’energia degli altri.

Enrico Borello.
Enrico Borello.

Nudi, senza protezioni, vulnerabili… a te è capitato di sentirti vulnerabile?

Tutti i giorni, come penso l’80% delle persone in questo mondo. Sicuramente, ho trovato i miei meccanismi per proteggermi e schermarmi ma mi sento una persona estremamente fragile e insicura, soprattutto in una società come la nostra in cui ha preso molto piede l’individuo e si è perso il senso della collettività. Con tutte le domande che mi sono posto e tutte le esperienze che ho vissuto, ho capito di essere anch’io vulnerabile per quanto possa invece averlo negato in una certa fase della mia vita in cui ero chiamato a dover essere forte, gagliardo e tosto.

“Un uomo di trent’anni”: qual è stato il momento di passaggio della tua esperienza personale che ti ha trasformato dall’adolescente che eri all’uomo che sei oggi?

Mi rendo conto di essere diventato un adulto non solo perché l’età anagrafica me lo conferma. È un traguardo che ho sempre cercato: ho un fratello più grande di me, ho sempre avuto la sindrome del secondo figlio e ho sempre sentito la smania di voler crescere. Mentre mio fratello intorno ai 13 anni aveva già la barba, io ci ho messo più tempo anche fisicamente per svilupparmi e quindi la mia visione rispetto alla crescita è sempre stata in ritardo. Intorno ai vent’anni, invece, è accaduto l’esatto contrario: mi sentivo come un uomo di quaranta e frequentavo tutto un giro di quarantenni con figli.

Cinque anni fa, quando sono entrato alla scuola Volontè, mi sono all’improvviso reso conto di non aver vissuto tutta una fetta di vita nel relazionarmi con compagni di classe che avevano 22, 23 o 24 anni: loro vivevano la loro età come io non l’avevo mai vissuta. Ed è come se in me ci fosse stata una regressione: sono tornato un po’ indietro, a vivere come quello young adult che non ero mai stato. Una profondissima crisi vissuta tra i 27 e i 28 anni ha poi complicato di molto tutto quanto ponendo però le basi di chi sono oggi: sto da paura e ho finalmente entrambi gli occhi aperti sul mondo.

Devo ancora fare tanta esperienza, devo crescere tantissimo, sono acerbo come individuo e la strada è lunghissima… tuttavia, a trent’anni posso dire di essere un uomo.

Enrico Borello e Alessandro Borghi nella serie tv SuperSex.
Enrico Borello e Alessandro Borghi nella serie tv SuperSex.

Un rito di passaggio per ogni essere umano è la scoperta del sesso. Rocco Siffredi lo scopre nella serie Netflix grazie al fumetto SuperSex. Ed Enrico come lo ha scoperto?

Attraverso mio fratello, che ha tre anni più di me. Condividevamo la stessa stanza, nella nostra casa nel quartiere romano di Santa Croce in Gerusalemme, e mi ricordo come mio fratello da un momento all’altro abbia vissuto la sua esplosione ritrovandosi a dodici anni a essere già un piccolo uomo. Frequentava ancora le medie, io avevo all’incirca otto o nove anni e ricordo così la scoperta della sessualità esplicita attraverso le immagini del porno.

Hai avuto paura della scoperta?

No. Semmai mi creava inibizione nei confronti dei coetanei: mi rendevo conto che i ragazzi della mia età, quando frequentavo le elementari, non sapevano nemmeno cosa fosse. Discorso diverso poi alle scuole medie, dove tutti erano già esperti e c’era anche chi sosteneva di avere avuto le sue prime esperienze sessuali. Alle elementari invece ero stato il primo ad avere avuto accesso a quel mondo e a essermi follemente innamorato di Jenna Jameson o di Selen: rappresentavano il prototipo del desiderio che si era costruito nel frattempo nel mio immaginario…

Crescendo, non è subito maturato in te il desiderio di fare l’attore. Finite le superiori, ti sei iscritto in Medicina e Psicologia, laureandoti in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica. Cosa ti ha portato poi sulla via della recitazione?

Avendo abituato la mia famiglia a certe mie intemperanze, ho voluto iniziare la recitazione alla chetichella. Quando sono stato preso a un primo laboratorio di formazione attoriale, ho persino detto a mia madre che mi serviva per l’arte terapia che nel frattempo avevo cominciato a praticare. Quello che era un desiderio partito in sordina ha piano piano preso piede: mi piaceva così tanto recitare che mi sarebbe piaciuto farlo ad alti livelli… e i miei genitori mi hanno dato fiducia: avevano avuto prova di come riuscissi anche a uscire a testa alta da situazioni abbastanza coraggiose e mi hanno lasciato libero di proseguire. Soprattutto mio padre. Non ricordo di una rottura o di qualcosa di tragico: per loro, la recitazione rappresentava un modo forse per canalizzare meglio le mie energie, ne ho molte, e di imparare a gestirle.

Per me, la recitazione è vita. Mi rendo conto che fare questo mestiere mi dà quello stimolo e quella possibilità di affrontare la vita in un modo che è impagabile. Passata la fase della sopravvivenza e del trovare il proprio posto nel mondo, avevo bisogno di qualcosa che mi permettesse di abbracciare la vita in maniera diversa. Ecco perché considero il mio lavoro di attore un grande privilegio di cui non voglio assolutamente abusare: mi impegno semmai per restituire agli altri la stessa generosità che mi viene data… voglio goderne e possibilmente farne godere anche gli altri.

Enrico Borello.
Enrico Borello.

Quand’è stata la prima volta che, guardandoti allo specchio, ti sei detto “sì, sono un attore”?

Ancora non mi è successo. Quando mi guardo allo specchio, non riesco ancora a capire chi sono: da fatalista, dall’oggi al domani potrebbe cambiare tutto. Se vedo come stanno andando le cose nel mondo, mi chiedo se avrò la possibilità di fare questo mestiere per il resto della vita: non riesco a fare a meno di pensare a tutti quegli artisti che prima dello scoppio di una guerra facevano il loro lavoro liberamente ma che dopo si sono ritrovati al fronte, partigiani o perseguitati per il solo fatto di essere artisti e offrire la loro visione delle cose. Sarò mai in grado di fare altro?

Sicuramente, oggi, per me è necessario fare l’attore, mi piacerebbe continuare per il resto della mia vita e crescere in quest’arte che considero anche molto raffinata. Dietro le arti c’è sempre uno scopo: il mio è quello di trovare una formula che rivoluzioni tutto il sistema, di individuare quell’elemento che fa la differenza, decodificarlo, dargli un nome e permettere a una nuova fase di cominciare. Sento dentro la voglia di trovare cose ancora non schiuse alla conoscenza, inesplorate.

Limiti e contraddizioni: quali sono i tuoi?

Non so esattamente quali siano. C’è qualcosa di me che mi piace molto: l’intuizione e il desiderio di non fissare etichette. Sono dell’idea che sia importante cercare di non autodefinirsi, tanto ci pensavo sempre gli altri a farlo.

Di contraddizioni, ne ho scoperte: sono sicuramente molto passionale… la passione a volte mi domina anziché essere io a dominarla, facendomi perdere un po’ di vista ciò che ho intorno. E tendo a difendermi tanto: quando mi sento attaccato, sento la necessità di farlo anche in maniera feroce ma dipende dalla durezza di certe esperienze vissute.

Di limiti, invece, so di averne ma cerco di lavorarci per superarli o per affrontare quelli che sono i nodi irrisolti. Riuscirci, seppur doloroso e fatico, è molto bello: è il dolore che porta alla rinascita.

Qual è l’etichetta che ti darebbe maggior fastidio ti venisse applicata?

Non sopporto di essere sminuito o svalutato… non so a quale etichetta corrisponda ma se qualcuno sminuisce o svaluta la persona che sono me ne libero con un sincero vaffanculo.

Supersex: Le foto della serie tv

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