È da poco uscito CBD (Visory Indie/Believe Digital), il nuovo singolo dei giovani Esteban Dell’Orto e Matilde La Cava. CBD è una storia d’amore che viene raccontata in una chiave esperienziale e che fa vivere attraverso la voce sul corpo e sulla pelle di chi l’ascolta le sensazioni che questa storia d’amore racconta. Nonostante il testo sia tendenzialmente cupo, il ritmo e la musicalità del brano sono vivaci.
Per l’occasione abbiamo voluto conoscere meglio il mondo di Esteban Dell’Orto, nato a Palermo nel 2000 ma cresciuto a Milano. La sua è una storia personale molto particolare, come ha modo di raccontarci in questa intervista, fatta di un meltin’ pot di origini. Nelle sue vene scorre sangue cileno e normanno ma la sua cultura è stata influenzata anche dalla passione della madre per l’India. Tanto che il secondo nome di Esteban Dell’Orto è Ganesh.
Per capire meglio il percorso di Esteban Dell’Orto, la sua personalità ma anche la sua profondità, vi diciamo solo che non si definisce né un cantante né un musicista: sono termini troppo importanti, secondo lui, per essere usati a sproposito e senza molta esperienza alle spalle. E allora Esteban Dell’Orto preferisce appellarsi come comunicatore. E di cose ce ne comunica parecchio: dalle insicurezze che si porta sin dall’infanzia a una crescita dolorosa segnata dalla perdita della madre quando aveva solo 12 anni.
CBD arriva nello stesso anno in cui Esteban Dall’Orto ha pubblicato il suo EP di esordio, Nuvola. Questo però non significa che non abbia altre esperienze alle spalle. Ha infatti occupato anche un posto nella scena rap milanese, usando la musica come valvola per sfogarsi, e ha preso parte alle selezioni di un noto talent musicale, senza che però ci credesse troppo. Tuttavia, sono molti altri gli universi in cui Esteban Dell’Orto crede: studia Comunicazione dell’Arte all’Università, è istruttore di calcio ed insegnante di yoga, e sogna la radio in futuro. Portandosi sempre dietro i due mondi lontanissimi a cui appartiene.
Intervista esclusiva a Esteban Dell’Orto
Come nasce CBD e la tua collaborazione con Matilde La Cava?
Mi piace molto il linguaggio delle metafore e il ricorso a esse per raccontare delle cose. CBD è il racconto di un amore visto con la duplice visione di lei e di lui in chiave esperienziale. Il CBD del titolo è uno dei principi chimici del cannabidiolo, la parte buona rispetto al THC, quella che viene usata in farmacia per curare stati depressivi, di ansia o di sconforto (oltre a tante altre cose). Lo sconforto può essere vinto grazie alla presenza di un’altra persona a te vicino, che funge appunto da CBD “naturale”.
Per la prima volta, non ho scritto il testo da solo ma con un mio caro amico, Francesco Belluzzi, così come per le musiche. Con Giovanni Triulzi, il mio produttore, ci piaceva l’idea che a cantarlo insieme a me ci fosse un’altra persona, la narrativa lo permetteva. Giovanni conosceva Matilde, che se vogliamo è ancora più esordiente di me. Con Matilde non ci siamo mai visti ma ci siamo sentiti per telefono, trovandoci subito in sintonia. Entrambi scriviamo canzoni per raccontare la nostra idea di musica: non siamo ossessionati dal successo o dai social network, li riteniamo aspetto secondari. Vogliamo semmai, nel nostro piccolo, realizzare qualcosa di utile che possa essere piacevole non solo per noi.
Eppure, i social network aiutano parecchio chi fa il vostro lavoro.
Sono nel mondo della musica già da un paio di anni e so quanto contino i social. Non ne ho fatto però un’ossessione. I social possono garantirti popolarità ma poi dovresti saperla sfruttare bene.
Non ti definisci né cantante né musicista ma comunicatore. Come mai?
Studio Comunicazione dell’Arte a Milano. Svolgo più lavori nell’ambito della comunicazione e dell’educazione: sono un istruttore di calcio giovanile e insegnante di yoga. Sto facendo anche un apprendistato come giornalista sportivo per una testata di Roma. La musica è più come una passione, non la vivo in maniera competitiva. So, ad esempio, di avere un livello professionale basic. Ho studiato soltanto quattro anni di chitarra e mi reputo ancora un dilettante, non ho nessun diritto dal mio punto di vista di definirmi cantante, musicista o cantautore, tutti termini importanti per cui nutro un certo rispetto. Forse, un giorno, in base al percorso che farò, mi definirò tale: dovrò essere pronto a farlo, di sicuro non lo sono oggi. Ecco perché preferisco il termine comunicatore. L’arroganza non porta da nessuna parte: preferisco rimanere il più umile possibile. Ma questo non significa che non sia fiero di quello che faccio.
Avevi cominciato il tuo percorso musicale come rapper, ti chiamavi NeshOfficial. Quando hai sentito l’esigenza di cambiare totalmente genere?
Il rap e il pop sono due modi differenti di affrontare lo stesso tema, ho solo cambiato genere. Il rap che proponevo era figlio dell’esperienza americana degli anni Novanta: era, con semplice ingenuità, il mio modo di sfogarmi. Ero molto arrabbiato con la vita in quel periodo: avevo perso qualche anno prima mia madre, in maniera veloce e molto traumatica. In più, avevo avuto una bocciatura ingiusta a scuola (un debito a settembre con il cinque). Ricordo che ero incazzato nero: la sera si andava in giro per locali a Milano e capitava di fare delle battaglie a suon di rap. Mi divertiva anche creare rime a tempo ma tutto nasceva dalla mia volontà di sfogarmi.
Il tutto si è poi evoluto. Sono molto legato al cantautorato italiano e so quanto importante sia la parola nella musica, ti dà credibilità. Non mi sentivo credibile nel fare rap: non perché fossi scarsi, ma per una questione di spirito. Sin da bambino ero stato influenzato dai grandi cantautori italiani: Battiato è la seconda voce nella mia testa, De André la terza e Dalla la quarta. Ho deciso così di provare a scrivere anch’io con la chitarra e di mettermi alla prova. Nonostante sembri la persona più estroversa del mondo, metto nelle mie canzoni tutto ciò che riguarda la mia sensibilità, le mie insicurezze e le mie paranoie, tutti aspetti molto personali.
Quali sono le tue insicurezze?
Non mi vergogno a parlarne: sono una persona molto, molto ipocondriaca. È un aspetto su cui lavoro sin da quando sono bambino. È strano perché in anni di psicoterapia non ho mai capito come fosse possibile che ne soffra sin dall’infanzia, solitamente l’ipocondria arriva dopo. Dopo una riflessione psicoanalitica, siamo arrivati alla conclusione che forse è stato un modo per essere prevenuto alla fragilità di una mamma che poi mi ha lasciato. È come se fosse stata una premonizione nella mia anima di bambino che già in qualche modo sapeva cosa sarebbe accaduto.
Avrai dunque vissuto il primo periodo della pandemia come una sorta di inferno.
Mi sentivo davvero come in trappola. Ricordo che ho passato i primi mesi a disinfettare tutto, con mascherina e guanti. Lo facevamo un po’ tutti, i primi tempo la psicosi era generale dal momento che non sapevamo a cosa saremmo andati incontro. L’ipocondria è la mia più grande insicurezza ma è legata alla perdita di mia madre. Quando perde la mamma, un bambino perde la sua origine, la sua radice, il motivo per cui è nato ed è cresciuto. Perde tutto quanto.
E la mia infanzia non è stata facile: lei era l’unica persona della famiglia che in qualche modo capiva gli aspetti psichici della mia ipocondria. Lo stesso non posso dire di altri componenti, che spesso reagivano anche male. I rapporti sono poi migliorati negli anni, crescendo, ma ho sentito addosso come il peso di essere stato abbandonato a persone che non erano in grado di gestire quel lato della mia vita.
La mamma è la mamma. Soprattutto quando come me sei un mammone. Non mi staccavo un minuto da lei, eravamo sempre insieme. Ed è il motivo per cui ancora oggi tendo a tornare nei posti in cui ho vissuto con lei, come a Filicudi, nelle Eolie, o a insegnare yoga, una cultura che da lei ho ereditato. È un modo atavico per rimanere in contatto con il suo percorso interiore e continuare a conoscerla. Ogni tanto mi arrivano dei segnali che mi indicano come stiano facendo bene. Come accaduto di recente: non appena tornato a Filicudi, ho incontrato una persona che non mi vedeva da una decina di anni e subito mi ha riconosciuto come “il figlio di Sabrina”. Ci sono persone che non mi conoscono ma che riconoscono mamma in qualche modo, ricordandosi ancora di lei seppur l’abbiano vista pochissime volte quando era in vita.
Hai ereditato la cultura indiana da tua madre mentre quella cilena da tuo padre. Tu sei nato a Palermo ma sei cresciuto a Milano. Crescendo, come hai vissuto le tue origini e i diversi mondi che convivono in te? Come hanno influito su chi sei oggi? Ti è pesato ad esempio negli anni non essere eventualmente visto come italiano al 100%?
Vado molto fiero del mio bagaglio identitario e mi sono sempre sentito come tutti gli altri. Non mi sono mai posto tante domande anche per via di ragioni che ritengo ovvie. Sono biondo, ho gli occhi azzurri e il colore della mia pelle è molto chiaro: se fossi stato più simile a mio padre e non a mia madre, sicuramente la questione sarebbe stata diversa. Mio padre, ad esempio, si nota che è europeo di origine ma ha la carnagione molto più scura della mia e non ha la tipica faccia da italiano. Io invece sono molto più chiaro e ho i tratti normanni, gli stessi che aveva mia madre.
L’origine cilena è diventata negli anni una cosa interessante da raccontare, una storia in più tra le mie storie. Parlo cileno e spagnolo, ho ancora parenti in Sud America così come in Sicilia. Sono figlio di un incrocio di provenienze. Tra l’altro, le origini cilene sono per un quarto partire dal lago di Como. Il mio bisnonno è partito da lì a 16 anni a fine Ottocento per arrivare in Cile, con il solo biglietto di andata, dopo più di un mese di navigazione. Arrivato in Brasile, si è incamminato fino alle Ande, dove aveva davanti a sé due opzioni: Argentina o Cile. Scelse la seconda nazione e fondò lì una vetreria che per molto tempo è stata una delle aziende più famose del Paese. Esisteva persino un modo di dire dedicato al suo lavoro e il nostro cognome, Dell’Orto, è ancora abbastanza noto.
CBD arriva a pochi mesi da Nuvola, il tuo primo EP. Quanto è cambiato il tuo percorso musicale nel frattempo?
È molto diverso come racconto e come linguaggio. Era anche più cantautoriale e meno pop. A me piace tantissimo sperimentare, provare nuovi suoni e nuovi generi. C’è un fil rouge che collega ovviamente il tutto ma credo che CBD potrebbe far parte di una nuvola più grande. E non dico che non accadrà. Chiaramente rappresenta un’evoluzione, non sta me a dire se in meglio o in peggio. CBD è anche la prima canzone che sento meno mia rispetto ad altre, ma non in un’accezione negativa: è stata scritta al 50% da me. Ed è anche la prima che non produco partendo dagli accordi.
Tra le canzoni di Nuvola, spicca notevolmente Christiane.
Che fa riferimento a Christiane, la ragazza dello zoo di Berlino. Christiane è diventata Christine solo per motivi di assonanza musicale. È una canzone a cui tengo molto perché racconta della prima volta che mi sono innamorato di una persona a cui ancora oggi voglio un bene dell’anima. E lo sa anche la mia attuale fidanzata, con cui sto insieme da quasi quattro anni.
Parla chiaramente di un capitolo chiuso ma che non passerà mai del tutto, dal momento che lei mi è rimasta nell’anima. Abbiamo vissuto un amore profondo ma lei ha vissuto un percorso molto simile a Christiane. Devo a lei e alla nostra storia parte del percorso che ho fatto. Ed è giusto che ne conservi il ricordo.
Quanto ha influito la perdita di tua madre nei tuoi rapporti personali?
Tantissimo. Ho provato a colmare il vuoto lasciato cercando il conforto delle persone che trovo in questa vita. Io ho molto bisogno di ascolto. E delle coccole che mio padre, nato nel Cile degli anni Cinquanta e cresciuto con una madre che non lo ha preso in braccio nemmeno quando è nato, non ha saputo darmi per questioni di empatia. Il massimo sono state le pacche sulle spalle ma non perché non fosse un buon padre.
Mai tentato dalla strada dei talent?
L’anno scorso ho fatto le selezioni a X-Factor. Ho passato tre differenti turni ma poi non è andata. Forse perché non avevo tanta voglia di provarci dal momento che ero stato contattato e non avevo cercato io la partecipazione. Non so quanto avrebbe potuto essere il mio mondo ma so che è stata comunque un’esperienza carina. Non vorrei passare per snob ma se dovessi prender parte a un talent preferirei quello di Sky ad altri, che reputo invece più commerciali e attenti ad altre dinamiche.
E, quindi, cosa farai da grande?
Sogno di poter coniugare gli aspetti artistici della musica con quelli comunicativi ed educativi. Mi piacerebbe fare il professore di storia dell’arte ma sogno anche il mondo della radio. Mi affascina l’idea di mettere insieme le parole con la musica, un po’ come fa Gianluca Nicoletti a Radio 24.