Gli Eva Mora sono una giovane band emergente ma segnatevi il loro nome perché sono destinati a far parlare molto di loro nei prossimi mesi. Hanno da poco rilasciato il loro primo singolo, Cosa sei, una canzone che gli Eva Mora considerano il loro biglietto da visita nel mondo della musica italiana, con atmosfere pop che strizzano l’occhio al funky.
Giovanissimi, gli Eva Mora sono Raffaella Poma, Santi Orlando e Gregorio Piscitello. Sono tre ragazzi della provincia italiana che dai loro piccoli comuni siciliani (Raffella e Santi sono di Baucina, Gregorio di Ciminna) stanno provando a farsi strada con forza e determinazione ma rimanendo con i piedi per terra. Sognano di vivere di musica ma, al contempo, studiano all’università, tenendo in tasca un eventuale piano B da attuare in caso di emergenza.
In Come sei, il loro primo singolo, gli Eva Mora descrivono un rapporto di dipendenza tra due persone. Un rapporto in cui uno chiede all’altro di aspettare qualcosa che mai si verificherà. “In maniera quasi ironica, la voce narrante si sente in una crisi mondiale o in un girone infernale, in un loop da cui non riesce a tirarsi fuori nel quale il tempo è l'unica variabile che la spinge a cercarne un'uscita, ciò che le rimane è chiedere all'altro chi è”, ha raccontato la band.
Il singolo, il primo di altri che anticiperanno un disco di prossima pubblicazione, è nato da un’esperienza vissuta in prima persona da Raffaella, la venticinquenne voce degli Eva Mora. Ma a parlarci meglio di Cosa sei e del progetto Eva Mora sono in quest’intervista esclusiva i tre musicisti, pronti dopo diversi anni di gavetta e live a entrare nelle playlist che contano.
Intervista esclusiva agli Eva Mora
Cominciamo con la cosa più scontata di tutti: Eva Mora. A cosa si deve questo nome?
Raffaella: Il nome è nato un po’ per caso. Volevamo trovare qualcosa che fosse d’effetto e che avesse un bel suono. Siamo partiti dalla figura biblica di Eva, dal momento che nel gruppo c’è una donna ed è la cantante. E poi successivamente è venuto Mora. Solo dopo ci siamo resi conti che Eva Mora era l’anagramma di “eravamo”. Poiché noi siamo stati tante cose diverse insieme e abbiamo fatto parte di formazioni differenti, l’eravamo ci ha colpiti.
Una donna e due uomini. Come si fa a gestire gli equilibri all’interno della band?
Raffaella: Più che altro è difficile per Santi e Gregorio gestire me. Ci sono dei momenti in cui sono molto tranquilla e altri in cui sono meno gestibile. I ragazzi, nonostante a volte possano esserci piccoli litigi o incomprensioni, mi riportano sempre con i piedi per terra. Sono insicura e convivo con l’ansia: sono loro due la parte razione del gruppo, quella che riesce a riequilibrare il tutto. Sono contenta di averli accanto.
Gregorio: Gestiamo Raffaella ma anche no, in senso buono ovviamente. I litigi e le incomprensioni nascono spesso in sala prove ma sono anche motivo di crescita per noi. È da questi che spesso nascono progetti che sono totalmente innovativi o diversi dalle nostre contrastanti idee di partenza. La diversità è un punto a nostro vantaggio.
Come sai segna il vostro debutto sulla scena musicale italiana. Come siete arrivati a questo punto e cosa siete stati prima?
Santi: Noi tre ci conosciamo da parecchio tempo. È da circa sette anni che svolgiamo attività insieme in diversi contesti. Facevamo prima parte di un altro gruppo in cui si era più di tre. Abbiamo sperimentato più generi musicali e abbiamo tenuto molti e molti live. Fino a quando non abbiamo realizzato che dalla musica volevamo qualcosa di più. Volevamo intraprendere un percorso diverso dalle solite cover band che si muovono in provincia, raggiungere qualcosa che ci stimolasse maggiormente e che andasse al di là delle solite serate. Quindi, da lì è nata la volontà di investire in un progetto musicale con un altro nome.
Ci siamo detti che tre sarebbe stato il numero perfetto ma non in senso cristiano. Lo sarebbe stato perché noi tre avevamo lo stesso comune denominatore, la stessa pazzia nel voler investire così tanto tempo, spazio e lavoro nel progetto Eva Mora.
Com’è nata Cosa sei?
Santi: Ci siamo confrontati su quale poteva essere il brano che, durante le nostre tante tappe estive, potesse far battere il piede alla gente. Avevamo tanti inediti ma abbiamo scelto quello che reputavamo il più adatto per la dimensione live con il suo ritmo molto funky. Lo abbiamo sviluppato e poi inciso presso lo studio di registrazione Cantieri 51 di Palermo con Ciccio Leo come produttore.
E di cosa parla Cosa sei?
Raffaella: Cosa sei descrive un po’ un periodo della mia vita. Mi sono trovata in una situazione in cui ero in continua aspettativa di una decisione di un’altra persona. Ero ferma su tanti piani per via di qualcuno sempre in bilico. La canzone però ha una chiave di lettura ironica: con Santi e Gregorio abbiamo giocato in questa chiave.
Gregorio: Rispetto a Raffaella, io ho provato a vedere la situazione dal punto di vista dell’altro, del ragazzo. Probabilmente, neanche lui sa cosa fare o come gestire il tutto, motivo per cui non è mai in grado di prendere una decisione.
Santi: Considero la tematica trattata facilmente “pop”, non solo a livello musicale. La vicenda che racconta il testo è facilmente riscontrabile nel quotidiano di chiunque. Quasi tutti ci siamo ritrovati o ci ritroviamo nella situazione di dover attendere una decisione altrui per poter fare un qualcosa. Si dice che quella di oggi sia l’era dell’indipendenza e dell’autonomia ma, senza rendercene conto, siamo sempre più ancorati all’altro.
Avete di recente portato avanti uno street tour per le principali città siciliane, isole comprese. Da dove è nata l’esigenza?
Santi: Lo scorso anno, a causa delle restrizioni legate al Covid, i locali non erano molto propensi a far serata o ad aprire le porte ai gruppi. Avendo comunque il desiderio di suonare in estate, abbiamo pensato a un tour per le città siciliane. Ma non avevamo alcuna aspettativa: lo facevamo semplicemente per il desiderio di suonare.
Man mano che andavamo avanti, di data in data, ci siamo resi conto che era un’esperienza particolarmente soddisfacente. Per strada devi attirare l’attenzione della gente che passa. Se si ferma, è solo perché vuole realmente ascoltarti. A differenza dei locali, dove invece è costretta a sentirti tra un drink e l’altro. In più, siamo riusciti a raccogliere dei soldi per incidere il nostro singolo, registrarlo, produrlo e promuoverlo.
Cosa vi ha lasciato il suonare per strada a livello umano?
Raffaella: Il contatto con il pubblico mi ha lasciato tantissimo. Da sempre sono una persona super timida e, come dicevo prima, ansiosa. Parlare con le persone e comunicare con la gente non era il mio forte, preferivo cantare e lasciare alla scrittura dei testi quello che volevo dire. La strada, invece, mi ha permesso di entrare maggiormente in contatto con le persone. Il pubblico mi ascoltava anche quando parlavo: riuscivo a coinvolgerlo. Mi rendo conto che ciò mi ha aiutato tantissimo. E poi ci sono tutti i bei ricordi con i miei compagni di viaggio, a cominciare dal vivere tutti insieme nella stessa casa.
Santi: Lo street tour ha segnato anche la prima volta che ci allontanavamo dai nostri affetti. Ma anche la prima volta in cui ci mettevamo seriamente in gioco: abbiamo avuto la possibilità di far conoscere il nostro singolo e di suonarlo dal vivo.
Lasciare gli affetti… voi provenite da una piccola realtà di paese, dove fare il musicista viene visto più come un passatempo che un lavoro. Come hanno preso in famiglia le vostre scelte?
Gregorio: Tutti e tre frequentiamo l’università, a parte la musica abbiamo sempre un nostro piano B. Ovviamente, coltiviamo il desiderio di riuscire a far carriera nella musica e di poter vivere di quello, ma sappiamo che è un piano molto ambizioso.
Raffaella: I nostri genitori ci hanno sempre supportati. Vengono ai nostri concerti e fanno il tifo per noi. Ma anche per me vale il “ok, fai musica però poi studia anche”. Se durante una sessione non riesco a sostenere un esame, si genera un po’ di sospetto in casa e vengono spinta a mettermi a studiare.
Santi: Raffaella è un po’ la pecora nera del gruppo, dal momento che ho già una laurea triennale. Parla con cognizione di causa! Non è facile conciliare studio e musica ma si può fare, non è impossibile. Serve, però, parecchia organizzazione, soprattutto quando gli impegni per i live non ti lasciano molto tempo o ti portano lontano da casa.
Cosa studiate?
Raffaella: Santi studia Giurisprudenza, Gregorio Architettura e io continuo a studiare Lingue per la laurea magistrale.
Avete scelto tutti e tre percorsi abbastanza impegnativi.
Santi: Nel mio caso, Giurisprudenza mi ha portato anche a occuparmi un po’ del management del gruppo. Sono autolesionista, lo so! Anche se possono sembrare due mondi a parte, Giurisprudenza e la musica hanno molti punti di contatto, a cominciare da tutto ciò che è legato al mondo del diritto.
Quindi, Raffaella è pronta per cantare in inglese, Santi per occuparsi delle beghe legali e Gregorio per pensare alle scenografie e alle ambientazioni dei video. Direi perfetto per un trio musicale.
Gregorio: Non avevamo mai pensato a questa suddivisione dei compiti, però, ha effettivamente un senso. A me capita spesso di occuparmi anche della grafica, anche se non strettamente connessa con il mio percorso accademico.
L’idea di giocare con i colori nel video di Cosa sei è di Gregorio?
Gregorio: Ecco, parlavamo prima delle piccole incomprensioni e dei litigi. Io e Raffaella abbiamo discusso molto sula scelta dei colori e delle immagini. Però, mi pare che alla fine si sia trovata una via di mezzo su come usare i colori primari e come associarli.
Raffaella: Io ho voluto che ci fosse un’associazione tra i colori primari e i colori secondari. La scena dei parallelepipedi tutti colorati la si deve invece a un’intuizione di Gregorio.
Avete girato il video in un ex cinema.
Gregorio: Lo abbiamo scelto per una questione di spazio. Avevamo in mente i parallelepipedi, appunto, e serviva un ambiente largo e profondo per le diverse inquadrature. Tra l’altro, quell’ex cinema di Ciminna è anche quello in cui ho fatto il mio primo concerto con il violino.
Immagino che ognuno di voi avrà avuto da piccolo un approccio diverso alla musica.
Raffaella: Io ho iniziato a cantare da piccola nel coro della chiesa. Avrò avuto sette o otto anni, esiste ancora un video che lo testimonia. È nato lì l’amore per il canto e la musica in generale. In casa i miei genitori ascoltavano De André o Battisti e non è stato difficile approcciarmi subito alla musica. Qualche tempo dopo, ho iniziato a fare solfeggio e a suonare in una banda di paese, una realtà che ho poi abbandonato perché non mi piaceva l’ambiente.
È venuto dopo ancora lo studio del canto, della teoria musicale e del solfeggio in una scuola privata. Ma ho sempre avuto alti e bassi: ci sono stati anni in cui ho studiato e altri in cui ho fatto tutto da autodidatta. Ho cominciato, ad esempio, a suonare il basso da autodidatta solo dopo che me ne hanno regalato uno Santi e Gregorio.
Gregorio: Io ho studiato sette mesi di violino e solfeggio ma ero bravo nella teoria ma scarsissimo nel solfeggio. Avevo quasi mollato la musica quando magicamente ho ascoltato un brano, Sultans of Swing dei Dire Straits, che mi ha fatto innamorare della chitarra rossa e bianca di Mark Knopfler. È stato mio padre a regalarmi allora una chitarra, che ho imparato a suonare grazie a mio zio e a qualche video su YouTube. Ho fatto tutto da autodidatta.
Santi: Io invece sono cresciuto in mezzo agli strumenti della banda di paese in cui suonava mio padre. Sin da piccolo, ho vissuto molto da vicino l’esperienza musicale nella sua forma più classica cominciando a suonare il tamburo. Ho continuato con lo studio del tamburo con alcuni insegnanti privati e frequentando per un anno e mezzo il conservatorio. Solo dopo ho capito che l’ambiente classico non era tagliato per me e ho preferito proseguire su un percorso più pop dedicandomi alla batteria. Ho allora conseguito un diploma accademico frequentando una scuola musicale. Ho anche un diploma di solfeggio e oggi mi capita anche di preparare degli studenti che si approcciano per la prima volta allo strumento o che devono sostenere degli esami.
Due su tre di voi hanno cominciato in una realtà tradizionale come la banda di paese.
Santi: E non è un male. Spesso noi giovani non ce ne rendiamo conto ma l’esperienza della banda ti forma e ti plasma. Ti dà una marcia in più, mi permetto di dire. Suonare uno strumento in una banda ti porta a capire quali sono le dinamiche e di entrare nelle gradazioni di intensità del suono. È tra le fila della banda di paese che ho imparato a rapportarmi con gli altri strumenti meglio che in accademia. Parliamo di un approccio didattico molto rigoroso da questo punto di vista.
Cosa vi aspettate ora da Cosa sei?
Santi: Speriamo che ci sorprenda. Portandola in giro per tutta l’estate, Come sai è piaciuta a tantissime persone. Spesso ci facevano i complimenti per il risultato raggiunto e per noi che ci chiedevamo come sarebbe venuta dal vivo è stato un gran bel incoraggiamento. Come sai è un brano dietro a cui c’è un bel lavoro anche strumentale e produttivo. Finora ci ha regalato molti applausi e molti feedback ma accogliamo anche le considerazioni meno positive: ci aiuteranno a fare meglio per i prossimi lavori discografici. Siamo in continua crescita e in continua ricerca: vogliamo testare e superare i nostri limiti.
Avete mai pensato di partecipare a un talent?
Raffaella: Sono una super fan dei talent da tempo immemore, a me sarebbe sempre piaciuto parteciparvi. Non penso però ad Amici: siamo un po’ “vecchi”. X-Factor, invece, ci piacerebbe tentarlo. Anche se mi affascina di più l’idea di avere un bel brano da presentare ad Area Sanremo.
In conclusione, chi siete nella vita di tutti i giorni?
Raffaella: Sono un’ex timida che non sa mai dire di no agli altri. Lavoro giorno per giorno per cercare di imporre la mia personalità, anche se a volte mi lascio trascinare troppo dagli altri. E, poi, sono una cantante che cerca a poco a poco di diventare anche musicista. Difetti ne ho una miriade, a cominciare dal fatto che sono testarda, mentre il mio maggior pregio è la costanza: se mi piace qualcosa, la porto avanti, non mi arrendo facilmente.
Gregorio: Io posso definirmi un ragazzo fuori luogo, nel senso che sono sempre stato un po’ particolare, a cominciare dalle mie scelte musicali. Là dove i miei coetanei ascoltano musica commerciale, io scelgo De André. Ma anche alcuni miei atteggiamenti o scelte, a cominciare da quelle alimentari, mi fanno sentire fuori luogo. Con Raffaella condivido la testardaggine. A volte ho torto nell’impuntarmi su qualcosa ma altre volte ci vedo lungo.
Santi: Io mi reputo forzatamente testardo. Spesso mi impegno a fare da mental coach al gruppo ma in realtà sono il più immaturo ma la testardaggine per me è anche sinonimo di dedizione e determinazione. Sono convinto che anche sbattere la testa possa portarci da qualche parte. Non so quindi se sia un difetto o un pregio! Tra i miei difetti c’è spesso quello di essere negligente o superficiale, nel senso che non valuto scientificamente i rischi e i pericoli di ogni possibile decisione. Ho il vizio di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno quando dovrei invece fermarmi a riflettere, ragionare e capire qual è la scelta giusta da fare.