Questa pelle (Pulse Srls/The Orchard) è il titolo del nuovo singolo di Eva Pevarello. Dopo un lungo periodo di assenza dalle scene, Eva Pevarello torna in radio e sulle piattaforme digitali con un brano che anticipa il suo nuovo disco di prossima uscita, un lavoro con cui omaggia le sue origini sinti.
Questa pelle permette a Eva Pevarello di regalarci un inno al self-love e all’empowerment femminile, portandola a guardarsi dentro e a invitarci a non avere paura dei nuovi inizi. E un nuovo inizio è quello che Eva Pevarello, dopo i fasti di X-Factor, ha voluto e cercato con tutta se stessa per liberarsi dalle etichette che altri volevano cucirle addosso.
Libera e indipendente, Eva Pevarello ha salutato la major con cui si era affacciata sul mercato per autoprodurre, in collaborazione con il producer Simone De Filippis, il suo nuovo album, molto ambizioso e particolare. Ma di tutto questo è lei stessa a parlarci nel corso di quest’intervista esclusiva togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe e aprendosi come non mai.
È difficile rimanere seri di fronte all’energia di Eva Pevarello. Un’energia che discende direttamente dalla sua infanzia nomade, vissuta al seguito dei luna park in cui lavorava la sua famiglia. A prima vista, il suo era un mondo strano e qualche “poraccio”, come dice lei, ha provato a farle pesare quella diversità che stava solo negli occhi di chi guardava. Eva Pevarello ha sempre difeso chi era, chi è e chi sarà, ricorrendo a quella stessa tenacia e determinazione con cui anni fa, poco più che adolescente, ha combattuto un linfoma di Hodgkin.
Intervista esclusiva a Eva Pevarello
“Ho appena finito di una lezione di canto” è la prima cosa che Eva Pevarello ci dice non appena la raggiungiamo al telefono. È nel traffico di Roma e l’affermazione ci coglie di sorpresa. “Ma fai lezioni di canto o le prendi?”, le chiediamo. “Le prendo. Sai, vorrei fare la cantante nella vita. Tutti tendono a immaginare che chi ha già un certo percorso alle spalle non studi più… io ci ho provato per un periodo a non prender lezioni ma la differenza si sentiva, e tanto. Un professionista che ti segue ti aiuta, ti dà dei suggerimenti o dei trick per usare al meglio la voce. Ho ripreso le lezioni da poco ma sono molto contenta”.
Non prendevi lezioni di canto da un po’ e non ci facevi sentire la tua voce da tempo. Sei ora tornata con un nuovo singolo, Questa pelle. A cosa si deve il lungo silenzio?
Dopo aver partecipato a Sanremo nel 2018, sono usciti vari singoli uno dopo l’altro. Ho poi fatto un featuring con Ghemon e sono poi arrivati un singolo con un producer e un altro nella mia lingua d’origine, il sinti, che è andato soltanto sui social. Sono però stati degli spot, delle lucette che ogni tanto si accendevano. Il motivo del silenzio è da ricercare in tanti fattori.
Da tre anni e qualcosa vivo a Roma, dove mi sono trasferita poco prima della pandemia. Ho preso questa decisione perché volevo scrivere il mio nuovo disco, concentrarmi sulla mia carriera e avvicinarmi ai miei collaboratori, tutti romani. Ma poi è scoppiata la pandemia da CoVid e mi ha parecchio bloccata. Nonostante il blocco, è stata però figa perché mi ha permesso comunque di fermarmi a pensare davvero sul mio progetto e a capire in che direzione volevo andare. Se oggi il disco è realtà è anche grazie agli ultimi tre anni vissuti in maniera introspettiva: mi sono serviti dal punto di vista personale ma anche artistico.
Questa pelle è un brano molto introspettivo, un inno al self love e all’empowerment femminile. Cos’è cambiato nella tua vita in questi tre anni?
Sono cambiate tante cose. Intanto, ho fatto una grande pulizia nella mia vita. È brutto da dire ma ho pulito via tante cose tra cui anche diverse persone che possiamo definire tossiche: è stato uno dei motivi che alla fine mi hanno spinto anche a cambiare città. Avevo voglia di cambiare aria e di andare in un posto per me sconosciuto, in cui non mi conosceva nessuno e potevo in qualche modo ricominciare.
E così è stato: mi sento rinata come persone e come artista. Ho fatto pulizia ma mi sono anche guardata tanto dentro, come mai prima, e finalmente ho capito che strada prendere, cosa voglio intorno, cosa mi fa bene e cosa mi fa male. Tutti aspetti a cui non pensi e di cui non ti rendi conto quando vivi dentro a situazioni tossiche che comunque tendevo a portare avanti.
Per indole, faccio fatica a mollare e a lasciare andare non solo in campo amoroso ma anche in quello sentimentale in generale. Ma ho chiuso ora sia relazioni amorose sia rapporti d’amicizia o di lavoro ed è stato un bene: ho visto con maggior chiarezza cosa o chi non volevo intorno. È stata una grande presa di consapevolezza.
Tra le chiusure, c’è anche quella con la major che distribuiva le tue canzoni. Ti presenti ora da indipendente, producendo tu Questa pelle e il tuo disco oramai pronto. La rottura con major non è un aspetto di poco conto: presentarsi da soli significa aver raggiunto, appunto, una certa consapevolezza.
Assolutamente sì. Ho preso la decisione cosciente delle conseguenze a cui sarei potuta andare incontro: un conto è avere una major che ti spinge e un altro è contare solo su se stessi e basta, sono due realtà completamente diverse ma ho realizzato che ciò che volevo prima di tutto nella vita era essere felice. E per essere felice dovevo fare ciò che mi piaceva veramente e vivere la vita come volevo io in tutto e per tutto. Mi sono allora staccata dalle dinamiche che non mi rispecchiavano e di fare un grandissimo reset.
Stando da sola, ho potuto finalmente scrivere un disco come volevo io: prima avevo intorno tantissime persone che mi dicevano cosa fare e come farla. In qualche modo, mi bloccavano, mi confondevano ed io non riuscivo a trovarmi. Ero succube di decisioni non mie e mi sentivo sempre inadeguata: tutto ciò che facevo non era mai abbastanza e mi faceva soffrire tantissimo. Dimenticavano che comunque stavano toccando la parte più intima e sensibile di una persona e mi tenevano congelata, non facendomi far nulla per ragioni di mercato. Tant’è che quando mi sono sbloccata, ho ricominciato anche a scrivere tanto fino al punto di avere un disco in mano.
E, soprattutto, in sinti, la lingua delle tue origini. È sintomatico di quanto tu ti sia guardata dentro e sia andata oltre anche alle logiche di mercato.
Pur consapevole delle difficoltà legate alla scelta, sono felicissima. È stato un modo per tirar fuori me stessa e portare nella mia musica la mia identità al 100%: le mie origini hanno avuto e hanno un impatto fortissimo sul mio carattere, sul mio essere, sul mio modo di pensare e su tutto quanto. Mi son detta che avrei dovuto farlo, anche perché non l’ha mai fatto nessun altro. I sinti che cantano nella loro lingua non sono tantissimi: è un modo per far conoscere la mia cultura e per informare anche di più la gente su chi siamo.
Ritornando alle tue origini, quale Eva hai ritrovato?
Ho ritrovato anche un po’ me bambina. L’allontanarmi da casa è stata una scelta difficilissima perché sono super legata alla mia famiglia. Sono figlia unica e ho un rapporto quasi morboso con i miei, siamo super affezionati: siamo una famiglia prima di essere una famiglia. Discostarmi così tanto a trent’anni non è stato semplice ma paradossalmente mi ha fatta in qualche modo avvicinare molto di più a casa. Non so come spiegare ma stando via ho sentito ancor di più casa, i miei genitori e mia nonna, la musa ispiratrice della mia vita.
Al di là degli affetti, cosa significa casa per te?
Casa è dove sei vero e dove ti senti bene con te stesso. Io ho sempre sentito molto forte la mia parte gitana, più di quella italiana. Sarei una “mezzosangue”, con papà sinti e mamma italiana, ma si da piccolissima mi sono sentita più sinti che altro. E, per assurdo, è una sensazione che ho cominciato a provare maggiormente dopo che a sei anni ho smesso di girare per i luna park con gli altri gitani e con la mia famiglia ci siamo stabilizzati.
Quando mi dicono casa, inevitabilmente penso alle mie origini, a dove sono cresciuta, alle roulotte e ai luna park: è la prima immagine che mi viene subito in mente.
Un’immagine che ad altri può sembrare strana ma che per me rappresentava la normalità. Il fatto di avere un’origine così unica rispetto agli altri ha in qualche modo pesato sul tuo percorso?
Mi è capitato qualche episodio di discriminazione, chiamiamola così, quando ero piccolina. Ma io sono sempre andata fiera delle miei origini: non le ho mai considerate un punto debole e non mi sono mai pesate. E, comunque sì, di persone stronze ne ho trovate tante ma non mi sono lasciata mai influenzare: le ho viste sempre come dei poracci…
Anche questo è self love, amore per se stessa. E di amore per te stessa ne hai dimostrato parecchio in un momento particolare della tua vita, quando da giovane donna hai dovuto affrontare una diagnosi da linfoma di Hodgkin. Come si reagisce quando ti arriva una spada di Damocle come quella sulla testa?
Non so come si reagisce ma so come ho reagito io. Son sincera: me lo ricordo come uno dei periodi più belli della mia vita. No, non sono pazza: ho preso in mano la mia vita, mi sono divertita e ho fatto di tutto. In quel periodo, ero veramente a mille e non mi sono mai sentita malata. Ho continuato a lavorare come sempre, mi sottoponevo alla chemioterapia e andavo.
L’unico momento di down che ho avuto è stato subito dopo la prima chemio quando ho cominciato a perdere i capelli. E per me che li avevo stralunghi è stato uno sconforto ma è durato un paio di giorni. Dentro di me, sapevo che ce l’avrei fatta e che sarebbe andato tutto bene, che avrei mangiato io il male e non viceversa.
In una vecchia intervista, avevi dichiarato che quel periodo ti aveva aiutata a ritrovare la fede in Dio…
Hanno totalmente travisato le mie parole, tanto che c’ero rimasta anche male: mi erano state messe in bocca frasi che non avevo mai pronunciato e hanno scritto quello che volevano. Mi ero arrabbiata ma alla fine ho lasciato correre ma quello che avevo detto all’epoca era ben altro. Sono credente ma non sono una cristiana modello, nel senso che non vado in chiesa e non mi applico. Ho un mio credo personale e il mio modo di pregare, una spiritualità tutta mia, che è ben diverso dal dire che la Madonna mi dato la forza per affrontare il tutto. Una frase del genere è distante dalle mie convinzioni, dal mio pensiero e da come sono.
Anche perché il messaggio sarebbe stato fuorviante: la forza te l’ha data la gioia di vivere e non un miracolo caduto dal cielo. Hai però, come si scriveva in quell’intervista, quattro particolare tatuaggi sulle dita: un’ancora, un cuore, una croce e una lacrima. Cosa rappresentano?
Resta ancorato. Tieniti stretto l’amore, la passione e le cose in cui credi. Abbi fede, nel senso di crederci sempre, anche quando il percorso sarà duro e piangerai. È questo il senso: non è un messaggio per dire che soffriamo tutti sulla croce ma una forma di auto incoraggiamento.
Hai cominciato con una band tutta al femminile: le Quote Rosa, un nome che dice già tutto. In quanto donna, è stato per te difficile seguire il tuo percorso nella musica?
Prima di partecipare a X-Factor, non è stato complicato. Ho vissuto un periodo bellissimo in cui con i miei gruppi sempre al femminile si andava in giro ovunque a suonare: era molto figo stare sul palco con le altre donne e condividere l’esperienza senza avvertire mai difficoltà legate al genere di appartenenza.
Dopo aver fatto X-Factor, invece, ho cominciato ad avvertire la diversità di trattamento. Una donna per essere credibile deve farsi il culo quattro volte rispetto a un uomo. Viene presa un po’ meno sul serio e tutti si sentono in dovere di doverti cambiare immagine, stile e abito musicale. Perché non fanno lo stesso con gli uomini?
Nonostante ciò, l’impegno e la determinazione ti hanno portata ad aprire concerti come quelli di Carmen Consoli, Max Gazzé, Franco Battiato e, persino, Eddie Vedder. Che esperienza è stata far da apertura a un mostro sacro della musica internazionale?
È stata una delle soddisfazioni più grandi della mia vita. Quando ti comunicano che devi aprire un concerto di quella levatura, sei in un primo momento al settimo cielo ma devi poi fare i conti su come ti accoglierà il pubblico, soprattutto se sei una pischella appena uscita da un talent. Diciamo che mi ero preparata al peggio. Il contesto era quello del Firenze Rock e mi aspettavo fischi e bottigliette o quant’altro lanciato sul palco. E in effetti inizialmente mi hanno accolta con un grande “no”.
La mia performance durava un quarto d’ora ma dai fischi si è passati pian piano alla calma prima e alla richiesta di bis dopo: una soddisfazione gigante trovare il plauso di 35 mila persone che sono state conquistate da me, che sono andata dritta come una spada. Bisogna sempre credere in quello che si fa: è una frase fatta del cavolo ma è la verità. Se non credi in te stesso non ci crederà nessuno al posto tuo. Credere in se stessi è fondamentale per riuscire a far bene tutto, è una grande base da cui partire e in questo Paese non è così scontato.
“Ballo con gli assenti” è un verso di Questa pelle. Quali sono state le grosse assenze della tua vita?
A livello di amicizie ho avuto dei problemi belli grossi. È chiaro che da piccola, girando in continuazione, facevo fatica a farmi degli amici e, di conseguenza, i miei amici erano i miei familiari, dai miei cugini in poi. Una volta fermi, andando a scuola, mi sono fatta qualche amichetto ma le due volte in cui mi sono affezionata davvero tanto si sono trasformate in grandi delusioni. Questa pelle è dedicata infatti a un ex amico nella cui assenza ora sto bene, meglio di prima: era un modo per dirgli di star tranquillo e che senza lui non sono morta… oggi non mi manca nulla ma sono consapevole di essermi affezionata troppo a persone che poi hanno tradito le mie aspettative.
Sei anche una tatuatrice. Quando nasce la passione per il tatuaggio?
Da adolescente, avevo 14 o 15 anni. Ho sempre disegnato, mio papà è un pittore ed è stato lui a trasmettermi la passione per l’arte. Al liceo, ho cominciato a disegnare tatuaggi per gli amici e quelli che mi son fatta tatuare poi io. Finché un giorno mi son detta che, visto che disegnavo già tutti, avrei potuto farlo anche per me, guadagnandoci qualcosa. Mi son comprata l’attrezzatura su internet e ho iniziato, come tutti, rovinando un po’ di amici (ride, ndr). Una volta diventata brava, mi hanno chiamata a lavorare in uno studio e da dieci anni quello della tatuatrice è il mio lavoro.
Il mio forte sono i traditional rivisitati: parto dai classici tattoo ma li reinvento con delle linee spesse, dei colori accesi e con la mia visione delle cose. Uso una gamma anche ristretta di colori. E il mio colore preferito è il rosso, ho ormai una mia personalissima firma che è un piccolo sole rosso dietro al disegno.
Perché proprio il rosso?
Il rosso rappresenta la passione, il fuoco. È un colore che mi ha rappresentata sin da piccola: sono sempre stata attratta dal rosso, ho persino i capelli rossi!
Cosa potrebbe farti spegnere il fuoco che hai dentro?
Niente, solo la morte. MI spegnerò quando morirò ma prima di allora niente potrà farlo.
Sogni dunque ancora?
Non smetterò mai di farlo: è ancora gratis, no? Ridere e sognare sono il motore della vita: ti stimolano e ti fanno andare avanti. Quindi, sognerò sempre. Cosa? Di riuscire a vivere di musica facendo le cose che mi piacciono. A oggi reinvesto nella musica tutti i soldi che guadagno con il tatuaggio: se non ci fossero stati i tattoo non saremmo qui a parlare del mio disco. Per farne uno da soli servono tanti, tanti soldi perché occorre pagare tutto: dalle sessioni in studio ai musicisti, dal master alla promozione. Non si diventa milionari partecipando a un talent e di fatto non ho mai smesso di tatuare: dopotutto, ci sono anche le bollette da pagare… e sicuramente non me le paga Gesù!