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“Fatty Furba, un omaggio alle donne che si arrangiano” – Intervista esclusiva a Margherita Devalle

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Margherita Devalle è alla guida della quarta stagione del podcast Fatty Furba, le cui interviste a personalità varie diventano modello di crescita per le nuove generazioni. Abbiamo colto la palla al balzo per farci raccontare da lei com’è nato e quale la storia ispirazionale che lei stessa si porta dietro.
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Uno dei punti fondamentali del podcast Fatty Furba è dato dalla guida di Margherita Devalle, speaker radiofonica, presentatrice tv e podcaster che, con la sua inconfondibile treccia, mette a suo agio le personalità che incontra per far raccontare loro la storia che si portano alle spalle. Al microfono di Fatty Furba e alle domande di Margherita Devalle si sono sottoposte negli anni Carlotta Vagnoli, Andrea Delogu, Paola Zukar, Dueditanelcuore, Diletta Bellotti e tantissime altre donne che hanno aperto lo scrigno delle loro storie ispirazioni per infondere coraggio, determinazione e fiducia, tre caratteristiche che da sempre accompagnano l’empowerment femminile.

Le personalità intervistate da Fatty Furba e Margherita Devalle sono diventate punto di riferimento non solo per se stesse ma anche per gli altri, senza distinzione di genere, età o classe sociale. Gli ascoltatori si sentono presi per mano nell’ascoltare percorsi di crescita e realizzazione personale che potrebbero essere i propri, nel rivedere i propri sogni e le proprie aspirazioni nelle parole di chi da sempre lotta per un futuro più inclusivo, empatico e sostenibile per tutti.

Per la prima volta nella sua storia, Fatty Furba non è solo un podcast audio ma anche video in cui è possibile vedere Margherita Devalle al lavoro e associare un volto a quella voce che da tanti anni parla attraverso la radio. Del resto, anche la storia di Margherita Devalle è ispirazionale ed è quella di una ragazza che, incassato il no più grande della sua vita, si reinventa fino al punto di trasformare una passione nel suo lavoro. Fino a essere nel 2023 selezionata e supportata a livello globale come Innovator da Keychange, movimento internazionale che lavora per una totale ristrutturazione dell'industria musicale nel raggiungimento della piena parità di genere.

Realizzato da Fantastudio, hub creativo al femminile nel quartiere di Stadera a Milano, Fatty Furba non a caso è un prodotto realizzato quasi esclusivamente di donne: oltre a Margherita Devalle (scrittura, conduzione, audio editor), al programma collaborano Margherita Mazzera (Project Manager), Giulia Trimarchi (Video Editor), Irene Guastella (Photo), Carolina Amoretti (Fantastudio/Fantabody Owner) e Carola Nava (Logo). Unico uomo, Francesco Sacco (Audio Sigla).

Margherita Devalle (Foto: Irene Guastella; Publicist: Silvia Eccher/Parole & Dintorni).
Margherita Devalle (Foto: Irene Guastella; Publicist: Silvia Eccher/Parole & Dintorni).

Intervista esclusiva a Margherita Devalle

Cosa si cela dietro l’esperienza di Fatty Furba?

“Fatty Furba” significa “arrangiarsi”, “fare da sé”. Con questo nome, ho voluto riprendere qualcosa che mi diceva sempre mia nonna quando ero piccolina e che è un modo di dire tipicamente piemontese, anche se ho scoperto con il tempo (quando mi sono trasferita a Milano per frequentare l’università) essere utilizzato un po’ ovunque. Quando ho creato il mio podcast nel 2021, l’ho ritenuto adatto perché rifletteva in pieno ciò che stavo diventando e la mia evoluzione… ma la verità è che un po’ un omaggio alle donne della mia famiglia, la cui storia è sempre stata molto impegnativa.

Mia nonna, ad esempio, aveva tre figli quando suo marito, quel nonno che non ho mai conosciuto, è morto e ha dovuto darsi da fare. Svolgeva un lavoro umilissimo, quello della signora delle pulizie, ma non bastava: ragione per cui è stata costretta a svolgere contemporaneamente altri mille lavori con altrettanta umiltà per sostenere i figli. Mia madre era la più grande dei figli, aveva 14 anni all’epoca mentre gli altri due fratelli ne avevano 8 e 7: seppur ancora minorenne, ha iniziato anche lei a lavorare per essere di supporto. E, quindi, “Fatty Furba” è dedicato alla loro intraprendenza, alla loro lungimiranza e a tutto ciò che hanno realizzato nel tempo a prescindere da come la società considerava il lavoro che svolgevano. Attraverso il loro sacrificio e la loro dedizione, hanno fatto sì che la loro rimanesse una famiglia sana.

Il podcast, diventato nelle ultime tre stagioni ispirazionale, nasce però con un intento diverso.

È nato durante il periodo del CoVid per parlare del Festival di Sanremo. Lavoro nel mondo della musica e ai tempi non si poteva andare direttamente a Sanremo, come si è soliti fare. In me, c’era il desiderio di raccontare però ugualmente cosa stava accadendo nella storia del festival, segnato da uno spartiacque nel 2019: la vittoria di Mahmood con Soldi aveva dato il via a una rivoluzione festivaliera che la mia generazione non aveva mai vissuto (era accaduto qualcosa di simile in passato ma non c’eravamo, ovviamente).

E, quindi, il podcast nasceva come audioromanzo in cui potevo raccontare tutto ciò che avevo scoperto sulla storia del festival: fingevo di stare su un peschereccio al largo della cittadina ligure, da dove chiamavo un mio amico a Milano per parlare dell’edizione in corso mixandola con gli aneddoti legati alla storicità dell’evento per farli conoscere scherzosamente ai giovani di oggi: dalla vittoria un tempo del miglior interprete sulla canzone all’uso del playback e all’importanza stessa che il Festival avesse per ricordare che non era solo qualcosa che si guardava in casa dei nonni.

In più, a fine puntata, c’era un artista in gara quell’anno che raccontava in pochi minuti cosa fosse per lui o per lei il Festival, da Fulminacci a Francesco Renga, passando per Lo Stato Sociale e Orietta Berti.

La cover del podcast Fatty Furba.
La cover del podcast Fatty Furba.

Quando è cominciata la trasformazione verso quello che è poi diventato oggi?

Una volta rilasciate le puntate, mi ha cercata un contatto vicino a Tea Hacic Vlahovic, un’attivista che seguivo e che stimo da sempre: stava per pubblicare in Italia il suo primo libro e avrebbe avuto voglia di essere intervistata all’interno del mio podcast. Ne aveva già uno di suo in cui parlava delle battaglie che porta avanti da anni e il suo interesse mi lusingava. Tuttavia, c’era un problema: il mio podcast, così com’era nato, non prevedeva delle interviste. Ho cominciato quindi a ragionare su come risolvere la situazione ed è lì che è tornata fuori quella passione per le biografie che avevo negli anni del liceo e dell’università quando non leggevo nessun altro libro che non fosse biografico.

Le biografie mi erano tornate utili per crescere e per diventare ciò che ero e che diventerò, erano per me d’ispirazione. Avrei potuto in piccolo tentare di portare le biografie alle nuove generazioni e provare a sortire in loro lo stesso effetto che avevano avuto in me. E per farlo avrei usato il podcast, cambiando mezzo e forma: non più la monografia raccontata ma l’intervista. Era quella la soluzione! Ed è stato così che è nata la prima stagione del nuovo corso di Fatty Furba, legata al mondo dell’empowerment femminile di cui allora erano ancora in poche a parlare. Ho incontrato per l’occasione, oltre a Tea, Carlotta Vagnoli e Dueditanelcuore.

Nell’edizione successiva, mi sono poi concentrata sul gender gap nel mondo musicale, quello a cui ovviamente mi sentivo e mi sento tutt’ora vicina. La disparità in quel settore è sotto gli occhi di tutti ed è un argomento che torna fuori tutte le volte che notiamo quante poche donne ci siano in gara, ad esempio, a Sanremo o in vetta alle classifiche. Sfruttando la mia esperienza sul palco e dietro il palco, ho incontrato tre persone che per me hanno influenzato e stanno influenzando il mondo della musica con la loro battaglia contro il gender gap.

Ho avuto ospite Daniela Giombini (la prima promoter donna italiana, colei che negli anni Novanta ha portato i Nirvana nel nostro paese, che ha lottato per affermare la sua credibilità). Ma anche Paola Zuckar (colei che ha fatto rinascere il rap in Italia, tuffandosi in un genere da sempre ritenuto maschile) e Sara Potente (direttrice artistica e talent scout con cui abbiamo parlato di grandi etichette discografiche e del perché le donne non riescono a salire la cosiddetta “piramide di cristallo”).

E arriviamo a oggi, alla terza stagione del nuovo corso.

Dopo l’uscita delle puntate legate al gender gap, ho cominciato ad ascoltare ciò che mi richiedevano gli ascoltatori di Fatty Furba: il racconto di storie d’ispirazione legate a professioni varie. Ed è stato un utile suggerimento: l’ispirazione non arriva solo da persone che operano nello stesso ambito a cui tu ambisci, molto spesso arriva inaspettatamente da qualcuno che è molto distante da te ma nella cui storia di ritrovi.

In più, oggi, alla parte audio si è aggiunta anche una parte video.

Con la sua enorme fatica legata alla costruzione dell’immaginario visivo. Ho voluto che tutto sembrasse costruito ma allo stesso tempo casuale. Le riprese richiedono maggior tempo anche alle persone intervistate: si dedicano al progetto in maniera totalmente gratuita ed è per me un grande privilegio che lo facciano, che vengano a raccontare la loro storia e che si prestino alle riprese.

L’impegno richiesto è maggiore non solo on stage ma anche in fase di montaggio. Mi porto dietro anche tutto ciò che ho studiato all’università, applicandolo dalla raccolta dei contenuti al modo di organizzarli.

Andrea Delogu e Margherita Devalle.
Andrea Delogu e Margherita Devalle.

A quella del podcast associ la tua esperienza da speaker radiofonica per Radio Popolare. Anche il mondo radiofonico, sebbene ci siano ormai tante donne, viene ritenuto un universo pressoché maschile. Ci sono molte donne ma sono sempre poche ed emergere non è semplice.

Farsi notare è difficile. Lo era in passato e lo è ancora adesso. Ci sono stati dei momenti nel mio passato molto duri, in cui sentivo di non essere “vista”. Non è che le cose siano cambiate di molto ma è cambiata in me la percezione: non è più importante essere vista ma è importante far o lasciare qualcosa.

Mentre nel mondo televisivo la presenza femminile è aumentata (anche per via della strumentalizzazione che se ne può fare), in radio è meno presente. Sono cresciuta grazie a un sacco di colleghi uomini con cui mi sono sempre trovata molto bene: paradossalmente, sono stata più nel mondo della fratellanza che della sorellanza. Purtroppo, a voler essere sinceri, di sorellanza in radio ne ho sempre trovata molto poca: forse per il fatto di essere veramente poche, c’è la paura insita di venire “superate”.

È un timore che di mio non ho mai avuto ma non per presunzione: a me non interessa il genere di appartenenza delle persone con cui lavoro ma il trovarmi bene. Per tutta una serie di circostanze, il team dietro l’ultima stagione di Fatty Furba è quasi tutto composto da donne (senza di loro, non esisterebbe il podcast) ma è una casualità non voluta. E, dunque, non sono mai stata ostacolata dagli uomini sul lavoro ma ho riscontrato difficoltà con le donne: non mi mettevano i bastoni tra le ruote ma semplicemente mi ignoravano. E l’ignorarsi è un po’ come ostacolarsi perché non ci si dà una mano, non si è solidali. L’ho percepito più volte e mi dispiace molto che sia così: l’unica giustificazione che trovo risiede nelle poche possibilità a disposizione.

Volevi dedicarti alla fisica quantistica o alla moda. Eppure, ti ritrovi a fare radio.

Quando frequentavo il liceo, sebbene non fossi brava in matematica, ero affascinata dalla fisica, dallo studio dello spazio e dalle nostre limitate conoscenze di ciò che c’è al di là del sistema terrestre. La moda è sempre stata una passione ma non un’ossessione: sono cresciuta grazie a mia mamma, una pioniera in tal senso, con l’idea di fregarsene di quel che pensano gli altri e di indossare solo ciò che mi fa star bene e mi fa essere me stessa. Tuttavia, l’esigenza di comunicare ha preso pian piano il sopravvento portandomi a creare il mio primo blog in un periodo in cui nascevano i primi blog in America.

La storia della nascita del mio blog è peculiare. Seguivo un blog americano e vedevo che chi lo aveva creato riusciva ad avere grazie alla sua attività libero accesso alle sfilate. Non ero una giornalista, stavo ancora studiando, e non avevo i soldi necessari per andare a tutti i concerti a cui avrei voluto assistere. “Ma vuoi vedere che se cominciamo a scrivere di musica ci invitano poi a concerti come succede a quelli che scrivono di moda invitati alle sfilate?”, chiesi alla mia compagna di università di allora. E così è stato. Insieme abbiamo cominciato ad assistere ai concerti più piccoli e a recensirli: lei scriveva e io facevo le interviste.

Pian piano le interviste sono diventate video su YouTube e, probabilmente, sono arrivate all’attenzione di un futuro collega di Radio Popolare. È stato lui a contattarmi e a propormi di tentare con la professione di speaker. E per me che venivo dalla provincia era una roba gigantesca, qualcosa che vedevo lontanissima e irraggiungibile: non pensavo mai che una passione si potesse trasformare in lavoro. Con il provino andato bene, mi sono ritrovata a frequentare l’Accademia 09 e contemporaneamente a fare la gavetta in radio, fino a quando non sono stata pronta per un programma tutto mio.

Quando mi hanno chiesto di cosa volessi parlare nel mio programma in linea con la radio in cui mi trovavo, ho cominciato a ragionare sull’argomento. Ed è allora che, considerando la mia passione per la musica e il fatto che i festival in Italia stavano cominciando a prendere piede, ho proposto un programma sui festival, dando vita a La figlia del dottore. Avrei prescritto pillole di festival contro la calura estiva, raccontando non solo gli eventi italiani ma anche i luoghi in cui si svolgevano.

E quindi è questa la ragione del titolo, La figlia del dottore?

In parte, sì. Ma ci sono dietro anche altre ragioni: mio padre è realmente un dottore e a consigliarmi il titolo è stato uno speaker che in realtà è anche un dottore!

Vanessa Villa e Margherita Devalle.
Vanessa Villa e Margherita Devalle.

È riuscita nonna a vedere la tua affermazione personale?

Purtroppo, no. Se n’è andata prima però è come se fosse con me ogni giorno. Tutte le volte in cui qualcuno me lo chiede, inevitabilmente la sua presenza si fa sentire. Mamma, invece, è molto fiera di quello che faccio, anche se il rapporto dei miei genitori con il mio lavoro è stato molto complesso. Hanno cominciato ad accettarlo solo negli ultimi due anni ma per loro non è stato facile digerire di avere una figlia molto curiosa che al lavoro di medico preferiva quello di ballerina (ride, ndr).

Non condanno le loro preoccupazioni: sono cresciuti in una società con una scala di valori diversa dalla nostra per cui un lavoro precario come il mio non dà la stessa sicurezza del mito del posto fisso. Non era sicuramente colpa loro così come non sarà colpa nostra quando non capiremo le scelte dei nostri figli… però, non è stato facile ma adesso che mi vedono felice e impegnata in quel che faccio sono davvero contenti per me.

Uno dei tuoi tratti distintivi è la treccia. Perché la treccia?

Perché mi piace molto quel retaggio di anni Novanta che si porta con sé. È una mia caratteristica della vita di tutti i giorni che ho voluto portare sia nei podcast sia nei social. Perché fondamentalmente nella sono esattamente come mi vedete al “lavoro”. Non cambia nulla o forse sì: quando fa freddo, indosso qualche body in più!

Nel tuo percorso, anche tu hai dovuto incassare dei no: è stato facile accettarli?

No, ma ho superato il “trauma” grazie alla terapia. Ogni persona è condizionata dal proprio passato ed è sempre proiettata al futuro ma per far pace con se stessi si dovrebbe pensare solo al qui e ora. Io ci sono riuscita grazie alla terapia e alla meditazione: mi hanno resa più consapevole e mi hanno permesso di accettare un qualcosa che è successo quando ero molto piccola.

Ovvero?

Ha a che fare con il rapporto dei miei genitori e con il mio estro creativo. C’è stato un momento in cui, frequentando la quinta elementare, avrei potuto essere presa da un teatro molto importante come ballerina di danza classica. Mi sarei dovuta trasferire in una grande città, avrei dovuto frequentare il liceo coreutico e avrei ballato di giorno e studiato di sera. I miei genitori dissero di no, sognavano per me qualcosa di diverso. E quel “no” è rimasto con me per tanto tempo fino al punto di portarmi a smettere di ballare definitivamente a 18 anni: ero fondamentalmente arrabbiata con me stessa per non essere riuscita a vincere quella battaglia con i miei.

Finito il liceo, mi sono trasferita a Milano per frequentare l’università. E il destino ha voluto che, finiti gli studi, incontrassi casualmente l’assistente di Susanna Beltrami, una delle più grandi coreografe contemporanee non solo italiane. Ero andata all’Accademia 09 per delle informazioni ma mi sono ritrovata per via di alcuni miei commenti sulla danza durante una pausa sigaretta con un lavoro a fine giornata che mi riavvicinava a quel mondo che avevo abbandonato.

Il caso e la terapia mi hanno fatto far pace con quanto avvenuto tanto che adesso ogni martedì sera faccio la mia bella lezione di danza per adulti con un gruppo di ex ballerine come me e ci divertiamo tantissimo!

Se dovessi descriverti, come lo faresti?

Sono sicuramente curiosa, intraprendente, di animo gentile e molto sensibile. Ma sicuramente determinata.

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Margherita Devalle.
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