Fiorenza D'Antonio, giovane e talentuosa attrice, incarna il concetto di età come una scelta personale, un'opportunità per esplorare il mondo attraverso occhi diversi ogni giorno. Con un sorriso giocoso, Fiorenza D’Antonio condivide il suo entusiasmo sul set della serie tv Gloria: dopo aver brillato nel ruolo di Marzia ne I Fantastici 5, la stiamo vedendo come Lucilla su Rai 1, dove il suo personaggio sfida il mito della protagonista con la sua innata determinazione e i suoi sotterfugi.
Nel suo percorso artistico, Fiorenza D’Antonio si identifica con alcuni aspetti di Lucilla, una giovane attrice che lotta per emergere nel mondo dello spettacolo. Come lei, Fiorenza ha affrontato sfide e sacrifici nel perseguire il suo sogno, trasferendosi da Napoli a Roma per coltivare la sua passione. Tuttavia, mentre entrambe condividono la stessa determinazione, Fiorenza si distingue per la sua ricerca di riconoscimento basato sul talento anziché sull'immagine.
Il trasferimento a Roma ha segnato una svolta nella vita di Fiorenza D’Antonio, che sin da giovane ha vissuto avventure in tutto il mondo, dalla moda alla televisione. Questo percorso dinamico, caratterizzato da esperienze variegate, ha plasmato la sua prospettiva artistica e la sua capacità di adattarsi a nuove sfide.
La partecipazione a Miss Italia 2018 ha rappresentato un'opportunità unica per Fiorenza D’Antonio, che non ha esitato a mettersi in gioco nonostante le critiche. Questa esperienza, seppur inizialmente inaspettata, ha contribuito alla sua crescita personale e professionale, insegnandole l'importanza di affrontare il giudizio con determinazione e autoconsapevolezza.
Nel corso di quest’intervista in esclusiva, Fiorenza D’Antonio riflette sulla sua ricerca di autenticità e intimità, riconoscendo il valore della vulnerabilità e della condivisione emotiva. Attraverso la sua arte e la sua vita, continua a esplorare le sfaccettature della sua identità, abbracciando ogni aspetto di sé stessa con coraggio e sincerità.
Intervista esclusiva a Fiorenza D’Antonio
“Non mi serve sapere l’età: decido io ogni giorno quanti anni avere”, scherza subito Fiorenza D’Antonio quando nel conoscerci si finisce con il parlare dei propri anni. Sul set della terza stagione del Commissario Ricciardi, di cui sono appena partite le riprese, Fiorenza D’Antonio è reduce dal ruolo di Marzia nella serie tv I fantastici 5 mentre su Rai 1 va in onda Gloria, la serie con Sabrina Ferilli di cui è la vera antagonista. Interpreta Lucilla, una giovane attrice che, seppur nel mito di ciò che Gloria è stata, è pronta a farle le scarpe in qualsiasi momento.
“Abbiamo tutto dentro noi, tutte le gioie e i dolori del mondo, le energie delle stelle… siamo fatti di tutte le storie che abbiamo vissuto e, quindi, se scaviamo bene, può affiorare qualsiasi cosa”, mi risponde quando le chiedo se si diverte a mettere in scena personaggi così diversi tra loro. “Di Lucilla, ad esempio, non avete ancora visto molto se non un solo lato: è un prisma complesso che si rivelerà nel corso di quella che è una storia particolarmente aggrovigliata e calamitica. Ogni colpo di scena, e ce ne sono tanti, serve per raccontare le complessità dei tanti personaggi”.
Con Lucilla condividi il fatto di essere una giovane e talentuosa attrice.
Condividiamo la stessa voglia di lavorare: siamo mosse da grandissima passione. Come tantissimi giovani che provengono dal resto dell’Italia, Lucilla si trasferisce a Roma per concretizzare il suo sogno e si fa aiutare dai genitori che sicuramente fanno dei sacrifici per darle una mano: è un aspetto non raccontato dalla serie ma che si evince da qualche dettaglio… Ha dunque sulle spalle un grosso peso e in più in lei c’è il desiderio di essere riconosciuta più per delle abilità che per delle qualità, un problema che credo appartenga a molti attori e a molte attrici.
Di sicuro, ciò che differenzia me da lei è la sua ambizione nel voler diventare una diva, sebbene non sappia cosa significhi realmente esserlo: sa che vuole avere successo o essere riconosciuta ma l’accompagna anche una certa dose di ignoranza… non so quanto poi conosca veramente il cinema! Per certi versi, sono anch’io un pochino ignorante tanto che sto cercando di recuperare quel che posso della storia del cinema (recuperarla tutta è impossibile!), fidandomi dei consigli che provengono dai miei docenti del Centro Sperimentale di Cinematografia che frequento a Roma: mi faccio guidare da loro e dai testi scelti per la costruzione di una mia identità critica.
Con Lucilla condividi anche il trasferimento a Roma da un’altra città… nel tuo caso, Napoli.
Sono sempre stata abituata a muovermi. Ancor prima di trasferirmi definitivamente a Roma, mia madre mi chiamava ‘la ragazza con la valigia’. Lavoravo nel mondo della moda ricoprendo vari ruoli, da stylist ad art director e modella, e di conseguenza ho girato molto per il mondo: Miami, Shanghai, Milano, Parigi.
È come se avessi dunque vissuto due vite…
O una molto velocemente. Ho anche fatto molta televisione e tantissimo altro: sono arrivata un po’ “tardi” alla recitazione. Anche se tardi in questo lavoro è una parola che non esiste: non è mai troppo tardi.
E come Lucilla hai dovuto dimostrare che c’erano delle capacità oltre che delle qualità: seconda a Miss Italia 2018. Ti ha creato problemi di pregiudizio?
Laddove altre nascondono o si vergognano dell’esperienza, per me è stata invece molto utile e divertente. Pregiudizio fortunatamente no: anche perché ai provini non usciva fuori spesso, a meno che non si mettessero a cercare il mio nome sul web… ma non lo facevano quasi mai: non sapevano chi fossi e si basavano soltanto sul curriculum scritto da me: non riportavo mai la partecipazione perché ai fini attoriali non serviva, non era utile per quello che ero chiamata a fare.
Non mi sono mai vergognata di aver concorso a Miss Italia, anche se a dire il vero, ero molto piccola ero un po’ contraria e hanno dovuto convincermi a partecipare! (ride, ndr). Mi sono poi divertita, il segreto sta sempre nel prendere ogni cosa con leggerezza, e mi ha anche aiutato: è stato il mio primo incontro con il mondo dello spettacolo. Avevo girato già qualche videoclip ma non ero mai stata su un palco, se escludiamo le recite alle scuole elementari in cui mi facevano interpretare Cechov…
Cechov alle elementari?
Sono stata molto fortunata ad avere un’insegnante stupenda che in qualche modo ha cercato di darci un’impronta artistica molto forte. Era una donna straordinaria di origine ebrea, che aveva insegnato per 25 anni in un liceo di Scampia prima di essere trasferita come maestra nella mia scuola. Ci ha fatto studiare tutta la letteratura italiana ed era sempre portatrice di discussioni e conversazioni interessanti che ci aprivano gli occhi sul mondo mostrando un’incredibile apertura mentale nonostante quello che aveva vissuto e un’età ormai particolarmente avanzata.
Un giorno arrivò a scuola raccontandoci di aver incontrato un ragazzo con disabilità sull’autobus: voleva alzarsi per farlo sedere ma era fortemente in imbarazzo perché non sapeva come dirglielo, erano pur sempre una donna anziana e un giovane. E ci propose di fare un tema su ciò che avremmo fatto noi al suo posto… Ci metteva davanti a sfide enormi di vita vera, compresi i ricordi di quando i tedeschi arrivarono in casa sua risparmiandola solo perché era una bambina. Quella donna ci ha fatto un grande dono insegnandoci a pensare e a sviluppare le nostre potenzialità critiche.
Quando hai capito di avere le potenzialità per dedicarti alla recitazione?
Molto presto. Iniziando a lavorare da ragazzina, mi sono sempre ritrovata ad avere a che fare con gli adulti: ho fatto volantinaggio e anche l’animatrice per le feste, scoprendo in quelle occasioni la mia capacità di arrangiarmi e di cavarmela da sola. Ero un’ottima “venditrice”: riuscivo a inventarmi di tutto e farlo credere alla gente… e adoro ancora farlo: parliamo ovviamente di sciocchezze e mai di cose di chissà quale gravità. Nelle mie storie capita spesso che introduca elementi talmente assurdi per essere veri a cui le persone credono.
Mi ha aiutata anche l’aver fatto contorsionismo a partire dagli undici anni: anche in quel caso si “recitava” e potevo esprimermi liberamente. In quel caso, ho trovato la mia libertà di espressione grazie a un maestro conosciuto a dieci anni: un vero artista, omosessuale. Non è a sproposito che cito il suo orientamento sessuale: ha influito decisamente sulla mia libertà mentale proprio perché la sua apertura mi ha insegnato a non vergognarmi mai di me in nessuna circostanza, anche nelle peggiori condizioni.
Quello del contorsionismo è un aspetto molto curioso del tuo percorso.
Mi avevano trovata in una cesta insieme agli elefanti: non mi avevano schiacciato e mi cullavano con la loro proboscide (ride, ndr). Praticavo ginnastica artistica, ero molto spericolata e snodabile. Mi piaceva molto ma le mie insegnanti (maestre che oggi andrebbero denunciate per i metodi usati con le bambine, costrette a far cose assurde) mi fecero passare all’agonistica. Volevano che andassi tutti i giorni ad allenarmi per due o tre ore al giorno… non faceva per me.
È stato allora che ho scoperto che in un punto di Napoli si faceva circo. Sono andata a vedere e, come Ulisse con Circe, mi sono persa in quell’isola. Mi sono innamorata di quel mondo e non l’avrei mai abbandonato: l’ho lasciato solo quando ho lasciato la mia città.
Praticare contorsionismo significa riconoscere i limiti del proprio corpo e capire in quale momento fermarsi, mettersi costantemente alla prova.
A me piaceva farlo, sono sempre stata pronta a buttarmi in qualcosa: in questo, Lucilla mi somiglia. Amavo l’adrenalina della caduta ma anche il pensare a ciò che elettrizzava chi mi guardava, la loro percezione del pericolo. Seppur si studia come cadere, chi vola per aria vive fisicamente la sensazione della caduta, con tanto di farfalle nello stomaco e una scarica di adrenalina incredibile… Ma anche da bambina ero particolarmente spericolata: mi arrampicavo o mi tuffavo senza pensarci due volte.
Mi sono calmata da quando ho cominciato a fare l’attrice. Ecco, straparlo come al solito, chissà poi che scriverai…
Pensi che le tue parole possano essere travisate?
Spesso, per rendere più accattivanti i racconti, avete la tendenza a romanzarli o ad aggiungere qualcosa. Anzi, ne approfitto per smentire clamorosamente qualcosa che ho letto in un articolo in cui si parlava di me: non sono fidanzata… mi piacerebbe molto che ci fosse qualcuno nella mia vita sentimentale ma al momento non esiste. Però, sì, mi piacerebbe: chi non sogna l’amore? Sono grata tutti i giorni alla mia vita, a quello che ho e alle persone preziose che mi circondano. Però, è bello l’amore e non solo quello verso se stessi.
Come tutti, ho fatto il mio percorso per trovarmi, accettarmi e coltivarmi, ma se poi non condivido chi sono con qualcun altro che senso ha? Purtroppo, siamo diventati un branco di individualisti e forse è anche per questo che non nascono tante storie d’amore: mettiamo sempre l’io davanti al noi ma l’io non esiste se non lo mettiamo in relazione agli altri. Corriamo il rischio di diventare dei narcisisti egoisti e di non riuscire più ad andare incontro all’altro. Io ho sempre bisogno dell’altro: mi piace starci insieme e conoscerlo per capire cosa ha dentro. E questo non significa che non ami me stessa o che sia dipendente da qualcosa.
Gloria: Le foto della serie tv
1 / 70Un percorso per trovarti… cosa hai trovato di te che ti piace?
Ho capito che definirsi è una stupidaggine: equivale a ingabbiarsi e limitarsi. Spesso ci arrabbiamo con noi stessi per delle peculiarità ma per troppo self love tendiamo a giustificarci, non migliorando quelle nostre parti. Per me, invece, lavorarci sopra è stato molto importante perché mi ha permesso di incazzarmi meno con me stessa e di avere più controllo. In passato era come se ci fosse un simposio nella mia testa mentre oggi ho raggiunto un maggiore equilibrio dando spazio alle varie me in base a dove mi trovo e con chi sono, senza soffrire il fatto che non emergano contemporaneamente tutte le mie sfaccettature: so che sono da qualche parte ma è impossibile che vengano fuori tutte insieme.
Cos’è che invece ti fa paura?
Il giudizio: per quanto puoi essere forte, comunque ti tocca. Ho paura del repentino cambiamento interiore e ho paura di perdere o rovinare ciò che amo: ho visto tanti amori e amicizie finire quando non avrebbero dovuto.
Non temi che la popolarità porti soprattutto sui social a giudizi poco lusinghieri?
Non penso molto, per fortuna, ai social però so quanto le bombe mediatiche siano impattanti. Dovrei forse usarli maggiormente ma al momento mi limito a vederli come mezzo promozionale per i miei lavori e non come vetrine come vedo fare, giusto o meno che sia, a certi miei colleghi, con il film romanzato della loro vita o con la versione che vogliono raccontare di se stessi. Non mi piace quell’uso perché non voglio espormi come persona al giudizio di chi non mi conosce veramente: preferisco che mi si giudichi come attrice.
Come ha reagito tua madre quando le hai detto che volevi far l’attrice?
Non ci credeva. Ma mi ha subito risposto che allora avrei dovuto studiare. È sempre stata per me una grande spalla, nel vero senso della parola, anche per i provini ed è sempre stata molto obiettiva e sincera nei suoi giudizi. Ha ad esempio notato i miei miglioramenti e il fatto che lei riconosce la mia crescita mi ha dato una grande forza.
Ma il suo essere obiettiva non è un modo di dire, tutt’altro. Quando dopo la partecipazione a Miss Italia mi hanno chiamata per fare da valletta a Domenica In con Mara Venier, ero contrariata all’idea del ruolo della ragazza “immagine” in televisione e non volevo andare. “Non sai ballare, non sai cantare e non sai recitare: che altro vorresti fare? Da qualche parte dovrai pur cominciare… vedrai che imparerai qualcosa”, è stata la sua risposta. Ed aveva ragione: ho imparato ad esempio a capire l’importanza di quante persone si muovono dietro a un lavoro, come funziona uno studio televisivo, come ci si rapporta con tutti i reparti e come ci si relaziona con il pubblico.
E, in più, ho imparato anche tantissimo dalle personalità che passavano per la trasmissione: da Patty Pravo ad Amanda Lear, tutti mi hanno lasciato qualcosa. Per non parlare della stessa Mara Venier.
È un caso che tu abbia citato Pravo e Lear?
Sono due esempi di donne libere, dalle larghe vedute e di fortissima personalità, in grado di saper ridere di se stesse di fare ironia: due modelli che mi piacciono molto.
Qual è la libertà che maggiormente ti manca?
Da ragazza ritenuta sempre molto spumeggiante, mi manca la libertà di essere triste, di stare un giorno giù e di chiedere io aiuto agli altri. La libertà di concedermi qualcosa di intimo come la risata o il pianto… la risata, per me, è ancora più intima del pianto: poter ridere di gusto con l’amica con cui puoi pensare ad alta voce è una rarità. Anche se poi spesso per me risata e pianto coincidono: quando rido, piango e viceversa.
A Marzia, il personaggio che interpretavi nei Fantastici 5, mancava la vista. È stato complicato?
Marzia è stato il personaggio dietro a cui finora ho maggiormente lavorato. E non solo perché la cecità richiedeva un certo tipo di movimento: è stata il mio punto di partenza per comprendere alcuni lati del suo carattere. Nel prepararmi, ho avuto la fortuna di conoscere persone che sono realmente cieche, a cominciare da Chicca Mencoboni, con cui ancora oggi ci sentiamo molto spesso per raccontarci le nostre vita.
“Sono sempre pronta a buttarmi in qualunque cosa”: quand’è stata la volta che ti sei buttata senza pensare alla caduta?
Forse quando, invitata con la squadra di Miss Italia, al Festival del Cinema di Venezia per la prima di Chiara Unposted, il film su Chiara Ferragni, ho voluto fare un red carpet non previsto finendo per rubare la scena alla stessa Ferragni. Non era però per mania di protagonismo: dietro c’era tutt’altra storia.
Il giorno prima ero stata invitata alla prima di Joker: non sapevo di dover fare il red carpet, ero vestita malissimo e mi sono ritrovata a far buono viso a una situazione non prevista. Quando ho saputo dell’invito per il docufilm, ho subito chiamato una mia amica stilista, Enrica, a cui ho chiesto se potesse prestarmi un vestito tutto di un filetto bellissimo realizzato da sua mamma e sua nonna. Per farmelo arrivare, Monica ha mandato sua sorella a prendere un volo per Venezia facendole fare in pratica da corriere: appena finito il red carpet, le avrei riportato il vestito là in aeroporto dove mi aspettava per ripartire.
Arrivata però al Palazzo del Cinema, ho scoperto che il mio invito non prevedeva red carpet. Mi sono sentita morire nel pensare alla mia amica e a sua sorella che si erano prodigate e sacrificate per me. Senza pensarci due volte, ho approfittato di un momento di distrazione della sicurezza per passare sul famoso tappeto rosso e ballare al ritmo della musica in diffusione. Il giorno dopo tutti si chiedevano chi fosse la ragazza bionda con le treccine che aveva rubato la scena a Chiara Ferragni… ma non era quello il mio scopo: mi sentivo semplicemente in colpa per la fatica che c’era stata per reperire quell’abito e in qualche modo dovevo ripagarla.