Flavio Furno è in questi giorni al cinema tra i protagonisti di Il sol dell’avvenire, il nuovo film di Nanni Moretti che ha già richiamato al cinema 406 mila spettatori (un dato ottimo per un film d’autore italiano). In Il sol dell’avvenire, Flavio Furno interpreta un attore del film che Giovanni (Nanni Moretti) è in procinto di girare, un film ambientato nel 1956 all’interno di una sezione del Partito Comunista. “Edoardo, il mio personaggio, è il fotografo della redazione del giornale diretto da Ennio (Silvio Orlando)”, ci spiega prima di cominciare la nostra intervista in esclusiva.
Napoletano, classe 1986, Flavio Furno è al secondo ruolo importante di quest’anno. A inizio 2023, lo abbiamo visto nei panni di Gian Paolo Sechi nella serie tv Rai Il nostro generale. Scelte le sue che sembrano rispondere a un’idea precisa di recitazione: basta scorrere la sua filmografia tra cinema e tv per rendersi conto come Flavio Furno centellini con attenzione i progetti a cui prendere parte. Andrea Porporati, Antonio Frazzi, Luca Ribuoli, Lucio Pellegrini, Giuseppe Gagliardi, Luca Manfredi, Laura Morante, Giulio Manfredonia e Alessio Maria Federici sono solo alcuni dei grandi nomi che hanno puntato sul suo talento.
E in alcuni casi non solo una volta: Ribuoli, ad esempio, lo ha voluto in Questo nostro amore 70, Grand Hotel, Vite in fuga e nella sottovalutata Noi. E a breve a questa lista di cineasti si aggiungerà anche Edoardo Gabbriellini, che lo ha scelto per il suo atteso Holiday.
Ma anche l’impegno teatrale di Flavio Furno non è da meno. Da Molto rumore per nulla a Il malato immaginario (di cui ha curato anche la regia), si è cimentato spesso nei classici ma si è messo alla prova anche con registi come Antonio Zavatteri, Dario Aita, Andrei Koncalovskji, Roberto Andò e, persino, Luca Zingaretti.
Ma chi è Flavio Furno al di là del set? Siamo partiti da questa semplice domanda per cercare di conoscere maggiormente il Flavio Furno uomo. E il risultato è sotto i vostri occhi.
Intervista esclusiva a Flavio Furno
Cosa prova un giovane attore a essere chiamato da un maestro del nostro cinema come Moretti?
Ti ringrazio per il “giovane” attore, intanto. Nanni è un mito. Un uomo complesso: intelligente, ironico, maniacale, imperscrutabile. È un faro di coerenza e integrità nella confusione dei nostri tempi. Voglio dire, quanti ancora possono permettersi di fare film così ispirati? Di avere il coraggio (e talento) di raccontare fino in fondo solo ciò di cui sentono l’urgenza di parlare? Pochi, pochissimi. Mi sento fortunato ad averlo incrociato, ecco.
Il sol dell’avvenire parteciperà in concorso al Festival di Cannes: qual è stata la tua prima reazione?
Sono contento per il film. È un film bellissimo: coraggioso, Intimo, Divertente, poetico, commovente. Sono sicuro che a Cannes verrà accolto benissimo.
Sul set del film di Moretti, eravate in tanti i giovani interpreti ma altrettanti erano i big. Che atmosfera regnava?
Ottima. Ci siamo divertiti nonostante i tanti ciak. Poi ho conosciuto Silvio Orlando, un attore che stimo infinitamente da sempre. Simpaticissimo, colto e sensibile.
Tanti progetti tra cinema e tv. Ma come è nata la passione per la recitazione? Cosa ti ha fatto innamorare del palcoscenico?
Me lo chiedo sempre. La risposta cambia a seconda dei periodi. Forse perché ancora non ce l’ho! Ho cominciato presto, a sedici anni, per caso, facendo un corso di teatro nella mia città. Ed è successa una cosa inaspettata: mi veniva facile. Mi veniva riconosciuto un talento prima ancora che io ne fossi anche solo lontanamente consapevole. Sentivo che le paure e le ansie che mi accompagnano nella vita di tutti i giorni sparivano. Ed è ancora così: sul set o sul palco mi sento più vivo, più interessante, più poetico, più bello di quanto non mi senta nella vita.
Questo aspetto ha creato in passato non pochi turbamenti. Perché quando hai la fortuna di trovare un luogo in cui ti senti così bene rischi di esserne dipendente, di non riuscire a farne a meno. L’identificazione totale con questo mestiere è pericolosa. Ho dovuto lavorare molto su questo. Oggi lo considero un lavoro. Bello. Il più bello di tutti. Pieno di insidie, sì. Ma anche di soddisfazioni.
Nasci a Napoli nel 1986 ma ti formi tra Genova e Roma. Quando hai capito che dovevi andare via dalla tua città per tentare il grande salto?
Non l’ho mai capito razionalmente. È successo. Io lavoravo in teatro con Luigi De Filippo. Facevamo tournée lunghe di sei, sette mesi. Un amico mi chiede di accompagnarlo ad un provino per la Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova e finisce che mi prendono.
Com’è stato crescere a Napoli, una città che offre anche diverse tentazioni?
Io sono cresciuto in periferia. A Ponticelli per l’esattezza, dove ho frequentato le scuole fino al liceo. Ho sempre saputo scegliere le frequentazioni giuste, mi sono tenuto alla larga da un certo tipo di tentazioni ma le ho viste, ascoltate, respirate. E quelle ti formano inevitabilmente. Non mi riconoscevo in un certo tipo di mentalità provinciale e forse inconsciamente è stata quella la spinta, attraverso la recitazione, ad andare via ed esplorare il fuori.
Oggi, che sono più grande, mi sono riappacificato con il cuore della mia città. La trovo viva, bellissima, contraddittoria, stratificata. Mi spiace avere avuto poche occasioni di lavorare a Napoli: mi piacerebbe recitare in napoletano, girare un film nel centro storico della città. Mi viene in mente La tenerezza di Gianni Amelio, un film che mi aveva colpito molto e nel quale mi sarebbe tanto piaciuto esserci.
Che bambino sei stato?
Sono stato un bambino curioso, socievole che amava stare in mezzo alle persone. Che sfidava i grandi, ne voleva fare parte e non sentiva la soggezione. Crescendo la situazione è cambiata. Sono diventato un po’ più ansioso, un po’ più timido, Un po’ più nevrotico forse.
Il cinema è amore e immaginazione. Che peso occupa nella tua vita?
Enorme. Sono uno spettatore accanito. Molto esigente, devo dire. Un rompicoglioni direbbero alcuni miei amici.
Mi piace il cinema che parla di noi. Che ci riflette, che lascia interrogativi aperti. Che non ha paura di essere patetico. Noi esseri umani, visti da vicino, tutti, indistintamente, lo siamo. Mi piace l’ironia nei film perché presuppone intelligenza. E mi piace la poesia che viene generata dalla disperazione. È un antidoto per sopportarla. In fondo attraverso il cinema, come attore e spettatore, provo ad amare meglio me stesso e di conseguenza gli altri.
Ma il cinema, da un altro punto di vista, è anche sacrificio e dedizione. Qual è stata la rinuncia più grande che hai affrontato?
La stabilità in ogni sua forma. La sensazione di non avere mai un potere nelle tue mani. Di dipendere dalla scelta degli altri. Ti fa sentire esposto, fragile.
Però, è solo quando ti interroghi sulla possibilità del fallimento che avviene la scelta. Odio la retorica contemporanea, tutta social, del “se credi nei tuoi sogni ce la farai”. Ma chi l’ha detto? La realtà è diversa. A volte le cose non succedono anche quando lo meriti. Anche quando ti impegni. I fattori da considerare sono tanti. C’è la fortuna, il destino, il momento giusto. Perché se accetti il rischio, nonostante tutto, vuol dire che la tua scelta è sincera. La passione è vera. E quella non te la toglie più nessuno.
Riesce il tuo lavoro a coniugarsi armonicamente con la sfera relazionale e affettiva?
Oggi si. E ne sono orgoglioso. Perché ho capito che la felicità viene da molti luoghi e le persone che ti scegli fanno la differenza. Ho una famiglia unita, amici (pochi) che stimo e una compagna meravigliosa. Che mi supporta e mi sopporta. Quindi, la risposta è sì.
Mai qualcuno ha provato a farti desistere o a distoglierti dalla tua strada? Che peso ha avuto l’autodeterminazione?
Mai. E giuro che nei momenti difficili, che pure ci sono, avrei tanto voluto che qualcuno mi dicesse “ma perché insisti?” o “ma chi te lo fa fare?”. Invece no. Non mi è mai successo. Ho sempre avuto intorno molte persone che mi hanno incoraggiato. Che mi ripetono che ce la farò. E spesso, quando non ci credo io, faccio appello a loro. Magari non si sbagliano.
Il web e la televisione hanno segnato i tuoi primi passi. Ti hanno aiutato a farti conoscere anche da un pubblico molto trasversale. Guardandoti dentro, cosa pensi che ti distingua dai tanti altri giovani attori in circolazione?
Io penso di essere un attore affidabile. Perché mi impegno. Sono serio e mai serioso. Sono creativo. Mi riconosco l’ironia. E poi ho una faccia neutra. Che cambia a seconda delle circostanze. E che può facilitare l’identificazione del pubblico. Sono molto sensibile, emotivo quanto basta. E poi recito, canto e ballo in inglese! “Che cazz te manca?!”, così diceva Marina Confalone nel film Così parlò Bellavista, prendendo a pugni una lavatrice.
Si dice sempre che la bellezza aiuti. Che ruolo ha giocato nel tuo percorso e che rapporto hai con il tuo corpo?
La bellezza? Quale bellezza? Ho un rapporto pessimo con la mia immagine. Non sopporto di rivedermi. Ma ho capito che è una cosa comune a molti attori e attrici. Non mi sono mai trovato bello. Non sono mai stato uno di quelli che entra in una stanza e tutti si girano a guardarlo: ne sono consapevole. Ho sempre dovuto faticare per ottenere l’interesse da parte degli altri.
Ma penso mi abbia aiutato a sviluppare altre doti. A rendermi più interessante. A piacere a quelli a cui volevo piacere. Anche con le ragazze è stato così. Con il tempo mi sono liberato da un po’ di zavorre. Se fai l’attore devi essere credibile. Sincero. E questo non passa dall’occhio azzurro o dalla mascella pronunciata. Può essere una carta da giocare, per chi ce l’ha, nel breve periodo.
Ma alla lunga, se ci pensi, chi sono le colonne portanti del nostro cinema? In 16 anni di mestiere io ho avuto modo di incrociare nel mio percorso, anche solo per poco, attori come Elio Germano, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Sergio Castellitto, Silvio Orlando, Nanni Moretti, Luca Zingaretti e cito anche quelli che non ho ancora avuto modo di incontrare, Servillo, Mastandrea, Lo Cascio, Gifuni. Io non credo che siano gli attori che sono per la bellezza, onestamente. Sono il talento e i ruoli giusti, che ti valorizzano, a renderti anche bello. In un senso più ampio.
Tanti provini sostenuti equivalgono spesso a tanti no. Come reagisci al no?
All’inizio malissimo. Con frustrazione. Impotenza. Mi è successo spesso di essere scelto dal regista e poi non finire comunque nel progetto perché per qualcuno non ero abbastanza bello/brutto/giovane/vecchio/potente/ famoso.
E io mi dannavo chiedendomi “ma più di piacere al regista e farmi scegliere che posso fare?”. Se stai dietro a queste logiche impazzisci. Oggi riesco a viverla un po’ meglio. Me la faccio passare con più facilità, almeno. Poi certo, un rifiuto è sempre un rifiuto. Ci metto nel mezzo il destino e il fatto che le cose succedono quando devono succedere. Mi intorto così.
Si può fare l’attore anche senza la spunta blu, in sintesi. Dipende da quali sono i tuoi obiettivi.
Ansia da prestazione: Cosa ti aiuta a superarla?
A parte qualche ansiolitico, intendi? No, non la supero. Direi più che la attraverso. Le do confidenza. Ma devo dire che questo riguarda più la fase in cui devo essere scelto. Sul set o sul palco mi sento più sereno. Non mi fanno paura le sfide. E se una cosa mi viene male non metto in discussione tutta la mia persona. Vuol dire che la farò meglio.
Moretti, Capuano e Gabbriellini sono tra i registi che ti hanno diretto. Rappresentano tre modi differenti di intendere il cinema. Cosa ti hanno lasciato tre cineasti così diversi tra loro? Quale insegnamento hai fatto tuo?
Che esistono tanti modi di recitare per quanti film esistono nel mondo. Ognuno ha bisogno di una chiave diversa. Ci sono alcuni che hanno tutto sotto controllo. E ti chiedono di fare esattamente quello che vogliono. Alcuni che inconsciamente ti chiedono di intervenire, anche creativamente. Altri che si fidano totalmente del tuo gusto e ti lasciano libero.
Bisogna avere sensibilità e intelligenza per farsi dirigere. Avere una personalità propria, umana e artistica, ma anche riconoscere il mondo di chi dirige. In fondo il film è del regista. Gli attori sono proiezioni e mezzo. Personalmente, le occasioni che prediligo sono quelle in cui mi viene chiesto di fare qualcosa che io non so già di saper fare. Quando vedono qualcosa di me che io non vedo. E poi sai una cosa di cui mi sono reso conto? Che non sono mai stato diretto da una donna, a parte un piccolo ruolo in un film di Laura Morante! Mi piacerebbe essere diretto da una donna. E mi piacerebbe un ruolo che desse più spazio al mio lato ironico e disincantato.
Vizi e difetti di Flavio Furno, attore e uomo?
Il difetto che mi riconosco più di tutti è sicuramente l’impazienza. (È curioso che abbia scelto una vita in cui aspettare è d’obbligo). Posso anche risultare presuntuoso in alcune circostanze, ma chi mi conosce bene sa perfettamente quanto sia un banale meccanismo di difesa. Da manuale base di psicologia.
Cos’è per te la libertà e che peso ha avuto nel tuo percorso?
La libertà passa attraverso la profonda conoscenza di se stessi. Che a volte è anche molto dolorosa. Però, solo in questo modo impariamo a distinguere le scelte che facciamo per compiacere gli altri da quelle che facciamo veramente per noi stessi. È un obiettivo lungo e che ogni tanto ha bisogno pure di essere rimesso in discussione. Revisionato, come il bollo dell’auto. Però, sul lettino dell’analista.