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Flee: Una bugia per sopravvivere – Storia di un rifugiato afgano

Flee, il film d’animazione di Jonas Poher Rasmussen, in lizza per tre Oscar ripercorre la storia di Amin, giovane rifugiato afgano con un segreto che potrebbe distruggere la sua vita. Tra animazione e documentario, viene fuori una seduta psicanalitica sullo sradicamento e la famiglia.
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L’annuncio delle candidature agli Oscar 2022 ha destato più di una curiosità. Tra tanti titoli blasonati e scoperte come Lunana, ha colpito la nomination a tre diverse statuette di Flee, il film di Jonas Poher Rasmussen. Flee ha catturato l’attenzione per il suo essere un mix di documentario e animazione. In Italia, uscirà al cinema il 10 marzo per I Wonder Pictures.

Cos’è Flee?

Non facile, commovente e delicato, Flee, il film di Jonas Poher Rasmussen, racconta la storia di Amin e del suo doloroso segreto, che ha tenuto nascosto per vent’anni e che minaccia di interrompere bruscamente la vita che si è costruito alla vigilia del matrimonio con il compagno Kasper.

Amin, nome di fantasia, ha accettato di raccontare la sua storia, a partire dalla sua esperienza di bambino afgano rifugiato, a condizione che la sua identità non venga svelata. Per accontentarlo, il regista Jonas Poher Rasmussen ha deciso di ricorrere all’animazione. Così facendo, ha protetto l’identità del protagonista ma ne ha anche esaltato la storia in un mix di attualità e memoria viscerale e poetico.

Il numero di premi e riconoscimenti internazionali di Flee sottolinea come si tratti di una delle pellicole di animazione più sorprendenti di sempre. Vincitore, al momento, di 36 premi internazionali, Flee sfrutta l’animazione per creare una miracolosa empatia tra narratore e spettatore, senza cinismo e senza cadere nel sentimentalismo.

Conoscere chi abbiamo accanto

“Sono cresciuto in una famiglia liberale. Ho imparato a essere sempre rispettoso, di mentalità aperta e curioso delle persone intorno a me, indipendentemente dal loro passato, dalle loro convinzioni politiche o da qualsiasi altra cosa rappresentino. Conoscere le persone, chiunque siano e ovunque si trovino, è uno degli obiettivi principali che perseguo nei miei documentari”, ha commentato Jonas Poher Rasmussen, il regista del film Flee.

“Il mio scopo è quello di stabilire rapporti onesti e reali basati sulla fiducia. Ciò mi permette di raggiungere il cuore delle storie, il loro lato più intimo. Cerco di capirne le sfumature e le complessità, compresi i lati vulnerabili o spiacevoli, e anche le sfaccettature più disumane della loro vita.

Jonas Poher Rasmussen, il regista di Flee.
Jonas Poher Rasmussen, il regista di Flee.

La storia di Amin, rifugiato afgano

Amin, amico sin dall’adolescenza del regista Rasmussen, è un gay di origine afgana che vive a Copenaghen. È scappato da Kabul con quel che restava della sua famiglia dopo il ritiro delle truppe sovietiche nel 1989. Il padre, un ufficiale militare dissidente, venne allora arrestato e assassinato in prigione dalle forze mujaheddin.

In Flee, il film di Jonas Poher Rasmussen, Amin fa breccia nei suoi ricordi, nei momenti che per decenni ha provato a tenere nascosti, a sopprimere. Ricorda come la sua famiglia è arrivata a Mosca con un visto turistico e come sia rimasta nella capitale russa, anche oltre la scadenza del documento, nascondendosi in un appartamento in affitto.

Amin ripercorre il momento in cui il fratello maggiore e le due sorelle sono stati portati in Svezia su una nave portacontainer quasi senza cibo, acqua e aria. Ma ripensa anche a come lui, con la madre, sia stato costretto a fare un terrificante viaggio attraverso la Russia prima e a bordo di una minuscola imbarcazione sul Baltico dopo.

Come se tutto ciò non fosse già un inferno, Amin non dimentica di quando è stato deportato da un campo di detenzione estone a Mosca e di come abbia raggiunto disperatamente la Danimarca. All’aeroporto di Copenaghen, per non essere rispedito indietro, è stato costretto ad affermare che tutta la sua famiglia era morta, una bugia detta a fin di bene: solo così poteva essere accolto caritativamente come un rifugiato minorenne orfano.

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Una bugia per salvarsi

La bugia, però, non ha mai smesso di tormentare Amin. L’ha interiorizzata per una vita intera e sa che dire la verità pubblicamente potrebbe compromettere l’esistenza che a fatica si è ricostruito. Porta dunque avanti la menzogna, sebbene sia in contatto con la famiglia, che ha trovato salvezza in Svezia.

Diversamente da come ci si aspetta, non è il suo essere gay a creargli problemi (Amin ci scherza anche sopra, ricordando la sua cotta per l’attore Jean-Claude Van Damme) ma sono i suoi stessi gesti, gli stessi che gli hanno garantito una solida posizione e una carriera accademica in ascesa.

Il tema della fuga

Nel ripercorrere la storia di Amin, Flee è come se fosse una seduta di psicanalisi, intima e personale.  Le questioni sociali e politiche passano in secondo piano davanti alla confusione e ai traumi che Amin ha vissuto da bambino, a cominciare dal continuo cambio di casa e conseguente sradicamento: da Kabul alla Russia alla Scandinavia.

“Provengo da una famiglia ebrea. La questione della fuga e dello spostamento è da me particolarmente sentita”, ha sottolineato il regista del film, Jonas Poher Rasmussen.

“I miei antenati scapparono dalla Russia a inizio Novecento per sfuggire alla persecuzione e ai pogrom. Come Amin, attraversarono il Baltico per arrivare in Danimarca. Fu però negato loro l’asilo e furono costretti a trasferirsi di nuovo, questa volta in Germania. Mia nonna a Berlino frequentò le scuole elementari con la stella gialla sul petto e presto dovette fuggire nuovamente, in Inghilterra. Accadde quasi un secolo fa ma lo spostamento forzato pesa ancora sulla mia famiglia”.

Flee: Le foto

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Final Cut for Real
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