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FraFoodLove: “La mia semplicità complessa” – Intervista esclusiva alla food influencer e personal chef

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Sei milioni di like su TikTok hanno reso FraFoodLove una delle food influencer più note d’Italia. Ha da poco pubblicato il suo primo libro, Semplicità complessa, dove oltre alle sue amate ricette racconta il suo percorso di vita, non privo di sfide e ostacoli. L’abbiamo intervistata in esclusiva.
Nell'articolo:

La storia di FraFoodLove è molto particolare. Inserita da Forbes tra le top 20 food influencer d’Italia, FraFoodLove forse da piccolina mai avrebbe pensato di diventare personal chef e scrittrice da grande. È vero che amava la cucina sin da quando ha mosso i primi passi ma per lei quello era il regno in cui poteva ammirare le gesta della madre, una donna che, come tante della sua generazione, mostrava amore non con gesti o parole ma attraverso ciò che cucinava.

Con i suoi milioni di follower tra Instagram e TikTok, FraFoodLove ha faticato non poco per raggiungere quei risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Ogni volta che nella sua vita si avvicinava a un obiettivo il destino sembrava volerla allontanare. Sin da quando, ancora in tenera età, aveva messo la sua voglia di perfezione nella ginnastica ritmica, sport che ha dovuto mollare in seguito a un incidente che negli anni successivi avrebbe provveduto a forgiare, indirettamente, il suo legame con il cibo.

La ricerca d’amore, dicevamo prima, è il primo motore che ha avvicinato FraFoodLove ai piatti. Ma l’amore non sarebbe tale se non portasse con sé anche una carica di odio, un rovescio della medaglia che quando si è adolescenti può risultare rischioso. Fortunatamente, FraFoodLove ha saputo distinguere tra una strada giusta e una meno giusta. Ciò però non vuol dire che il percorso sia stato privo di insidie, di curve a gomito e di tir che occupano la corsia di sorpasso.

Di tutto ciò ci racconta oggi in un’intervista esclusiva. Ma lo fa, in maniera più speciale, anche nel suo primo libro, Semplicità complessa – Il Gourmet per tutti, edito da Alise Editore. Al secolo Francesca Gambacorta, FraFoodLove è oggi una donna strutturata che sa come affrontare l’arte della cucina e come sviscerare aneddoti sia sulle sue ricette sia sulla sua vita. Agli occhi dei più disattenti la sua può apparire una figura facilmente fraintendibile: “cucini su Instagram ma vai a lavorare seriamente” è uno dei commenti più gettonati dagli hater, insieme a “hai le mani da vecchia” o “ha la voce da doppiatrice porno”. Commenti a cui FraFoodLove, anche con ironia, risponde, soprattutto quando vengono mossi da donne.

Coraggio, determinazione, sacrificio e voglia di rimboccarsi le maniche sono stati i suoi caratteri distintivi, gli stessi che ha portato tra i fornelli in un mondo, per forza di cose, dominato soprattutto da maschi. Li potete scoprire ripercorrendo con noi la sua storia. Le sue ricette, invece, le trovate in libreria ma se siete tra i sei milioni che hanno messo un like ai suoi video su TikTok o la amate su Giallo Zafferano oggi scoprirete molto di lei, come donna, chef, figlia e mamma.

FraFoodLove, Francesca Gambacorta.
FraFoodLove, Francesca Gambacorta.

Intervista esclusiva a FraFoodLove

In Semplicità complessa, racconti tra una ricetta e l’altra il tuo percorso. L’aspetto che più emerge è come, quando ogni volta che eri sul punto di agguantare un successo e trovare stabilità, accadeva qualcosa che rimischiava le carte. Oggi sei finalmente chi vuoi essere?

Non lo so. O, meglio, anche prima pensavo di essere quella che volevo essere ma poi qualcosa mi faceva capire che era la strada sbagliata. Adesso, sembrerebbe che sia questa la mia dimensione ma nella vita mai dire mai: sono una persona che si adatta tantissimo al cambiamento. Se un domani dovesse succedere qualcosa, potrei comunque reinventarmi nuovamente senza problemi.

Sono tantissime le cose che voglio ancora fare. Questo lavoro, così come lo sto portando avanti io, mi potrebbe portare ovunque a fare cose diverse. Non avendo un mio posto fisso o non lavorando in un ristorante, il mio lavoro potrebbe evolversi di mese in mese e conseguentemente cambiare la mia vita.

Per spiegare però chi sei e come si è evoluto il tuo percorso di personal chef occorre partire da lontano. C’è una piccola bambina che in casa di Guidonia come tante altre, quella di una casalinga e un operaio, osserva ciò che la madre prepara in cucina. Chi era quella bambina?

Era una bambina curiosissima che una ne pensava e cento ne faceva. Era una bambina vogliosa di essere apprezzata e amata: un bisogno che mi ha sempre caratterizzata. Stare lì a curiosare, appoggiata col muso sul tavolo dove mia madre preparava i piatti, era anche un modo per essere vicina a lei, a una donna che per sua natura stava sempre sulle sue e non mostrava i suoi sentimenti. La cucina era il posto in cui poteva donare amore a noi: mamma è sempre stata una donna anaffettiva: cucinare era il suo unico modo di arrivare a noi. Al contrario di me che con le mie figlie ho un rapporto molto, molto importante dal punto di vista emotivo.

Con gli occhi cercavo di rubare ogni suo gesto o segreto. Cercavo a modo mio di partecipare a quelle che erano le ricette di mamma. Ricette anche povere perché, non avendo chissà quali possibilità economiche, si cucinava con quello che si poteva: un filetto di manzo non so nemmeno quando mai l’avrò mangiato a casa mia! Comunque sia, ciò che si mangiava era sempre molto buono perché cucinato con amore e bene: alla fine erano piatti che oggi mi mancano. Penso alla pasta con il basilico fritto, a quei fusilli conditi semplicemente ma dalla bontà unica: se la presentassi oggi alle mie figlie, mi menerebbero! (ride, ndr).

Mi piacevano tantissimo le lumache. Le andava a raccogliere mio padre. Le mangiavamo con lo stuzzicadenti per cercare di evitare la parte finale, quella dell’intestino: non era mica come oggi che devi presentare l’escargot già pulita e sistemata nel piatto!

https://www.instagram.com/p/Cjh4sgzAwMP/

Una bambina con la voglia di essere apprezzata e amata si porta quel bisogno per tutto il resto della vita, anche quando ci sono milioni di follower a seguirla o a guardare le sue ricette. Nasce forse anche da questo il tuo bisogno di rispondere sui social a quegli haters i cui commenti vanno a colpire la persona.

Per tutta la vita ho cercato di essere la persona perfetta per farmi apprezzare e amare da tutti. Mai una parola fuori posto, con l’indole da crocerossina verso tutti e con l’empatia come forza guida. Quando mi ritrovo davanti a persone che si permettono di dire o scrivere “fai schifo, hai le mani da vecchia, che voce insopportabile”, la reputo un’ingiustizia.

Mi chiedo quale sia il bisogno di insultare una persona prendendo di mira una parte del loro corpo o della loro personalità: accetterei le critiche al piatto, alla ricetta o alla preparazione, sarebbero costruttive. Ma non mi piace chi mira ad altro senza sapere chi c’è dall’altra parte. Nonostante io sia una persona oramai strutturata, molto spesso rimango senza parole, soprattutto quando noto che spesso le più feroci sono proprio le donne. Dove sono finite la solidarietà femminile, la complicità e tutte le battaglie che portiamo avanti contro il body shaming? Ricordiamoci sempre che i commenti sui social hanno portato anche al suicidio di molte persone.

Rispondo quasi sempre in maniera ironica agli haters. La controreplica è sempre la stessa solfa: “eh, ma se sei un personaggio pubblico devi accettare le critiche”. Lo farei se non vertessero sul personale, se non fossero insulti volti a denigrare la persona.

Il fatto che la maggior parte delle critiche di questo tipo venga da donne dovrebbe far riflettere.

Non leggo quasi mai commenti denigratori sulla persona da parte degli uomini. Non che loro non muovano critiche ma sono di altro tipo: spesso provengono da cuochi che sottolineano come io sia solo una “chef da Instagram” perché non mi conoscono e non sanno quello che faccio al di là dei social. I commenti femminili, invece, sono terribili: “sei rifatta”, ad esempio.

Come diceva qualcuno di più noto di me, i social hanno dato la possibilità di esprimere la propria opinione a una marea di stolti: dovrebbe esistere un sistema di controllo molto più accurato con tolleranza zero nei confronti di chi offende gli altri. Anche perché non sai mai in che stato psicologico versi la persona dall’altro lato dello schermo, quanto possa essere in quel momento particolarmente vulnerabile. A tutti noi capitano le giornate storte in cui siamo più stanchi di altre: sembra quasi che i social o gli haters lo sappiano, colpiscono sempre in quelle occasioni.

Ricordo un episodio. Una donna mi ha insultata senza girarci troppo intorno. Ho aperto il suo profilo e ho notato che era una mamma con due figli piccoli. Prendendo spunto dal fatto che si chiamasse come mia figlia Chiara, le ho scritto che speravo che da mamma potesse insegnare ai suoi figli l’educazione, il rispetto e la delicatezza che non aveva mostrato con me. Ne è seguito anche uno scambio di messaggi vocali e, alla fine, ha riconosciuto il suo errore. “Faccio una vita di m***a”, mi ha risposto. “Vorrei avere il coraggio che hai avuto tu nell’esporti così pubblicamente ma non ci riesco. E allora sono molto frustrata”.

La frustrazione è uno dei motivi che sta dietro a determinati commenti. Ma sono io a togliere nulla a nessuno. Anziché sprecare energie a inveire contro gli altri, gli hater dovrebbero impegnarle a realizzare i propri sogni o a reinventarsi. Abbiamo tutti una vitaccia, anche chi sui social non la lascia a vedere. Una food influencer come me non si limita alla presentazione di un piatto: lo cucina, recupera la materia prima, ne ha studiato le proprietà per capire a cosa va abbinata, ha anni di scuola alle spalle… Per non parlare poi del resto del lavoro lontano dai social: venti ore in piedi per un evento, le tasse da pagare, i collaboratori da pagare, gli anticipi da versare, gli introiti che ritardano ad arrivare.

In tanti pensano che stare sui social sia soltanto metterci la faccia e far le smorfie. Nell’ottica comune, si pensa che l’influencer sia una nullafacente e un’incompetente. Una delle ragioni per cui ho scritto il libro è il voler mostrare quanti sacrifici ci siano dietro, spesso maggiori rispetto a quelli che deve affrontare un uomo.

FraFoodLove durante un firmacopie.
FraFoodLove durante un firmacopie.

Il bisogno di amore ti ha ad esempio accompagnata anche durante l’adolescenza. In Semplicità complessa ne accenni ma non approfondisci la questione: parli di un rapporto di odio e amore con il cibo che fa pensare a un disturbo del comportamento alimentare.

Da adolescente, quando mi innervosivo, mangiavo molto. Trangugiavo tutto quello che trovavo e capitava che andassi dopo a vomitare perché mi sentivo in colpa. Forse è esagerato definirlo un disturbo perché non capitava regolarmente, era semplicemente conseguenza del mio rapporto con il cibo, considerato una valvola di sfogo per smaltire lo stress. C’erano anche situazioni in cui mangiavo come una matta ma non vomitavo.

Quel rapporto di amore e odio mi accompagna ancora oggi: io mi mangerei il mondo… però, ovviamente, non posso farlo e non voglio nemmeno ingrassare troppo. Ma preparare ad esempio la carbonara e dover mangiare dopo il riso basmati è una sofferenza! Non avendo un fisico atletico o gli ormoni di chi mangia e non ingrassa, tendo a prender peso in maniera veloce. Ed io nel mio piccolo tengo al mio aspetto.

Il non fare sport è conseguenza di qualcosa che mi è accaduto da ragazza. Io ero una sportiva, praticavo ginnastica artistica ma nel fare un salto a dieci anni mi sono rotta i legamenti. Praticamente, ho dovuto smettere di far sport e, se a dieci anni ero magrolina e muscolosetta, nell’adolescenza con l’esplosione ormonale ho cominciato a fare i conti con i chili in più. Ho attraversato anche un momento molto difficile per me: vedevo che stavo ingrassando e ci soffrivo. Ricordo che mangiavo patatine o cioccolato all’uscita delle scuole medie per poi tornare a casa, sedermi e pranzare. Ma la colpa era sempre del nervosismo: mi portava a mangiare, ingrassavo perché ero nervosa e quindi stavo male perché ingrassavo. Un cane che si morde la coda.

Torna ancora una volta fuori il concetto di perfezione. Sin dalla ginnastica artistica, oserei dire. Ed è la ricerca di perfezione che ti porta alle scuole superiori a cominciare un percorso legato alla recitazione al doppiaggio.

Finite le scuole superiori, mi sono iscritta al Dams. Nei miei sogni c’era il desiderio di essere apprezzata non solo dai miei familiari ma da tutti, persino dagli estranei. Ho cominciato a far sin da subito piccole cose, come ad esempio i fotoromanzi su Cioè, e a studiare teatro. Già dal secondo anno recitavo in un teatro di Roma e mi piaceva: ero brava, non un fenomeno ma studiavo e mi applicavo. Sono riuscita ad avere anche le mie soddisfazioni ma lavorare a teatro non mi garantiva di certo un’indipendenza economica tale da rimanere ferma e in attesa: ho cominciato quindi a cimentarmi con il doppiaggio.

Una delle prime cose è stato il famoso “brusio”, la voce di sottofondo di qualcuno o quella fuoricampo dentro a un bar. Poi pian piano sono arrivati i ruoli e persino la parte di protagonista in qualche cartone animato, dove ho doppiato molti bambini maschi! Proprio di recente ho beccato su Netflix uno di quei vecchi film natalizi, da un’occhiata mi è sembrato di riconoscere la storia: la voce del protagonista era la mia!

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E, mentre studiavi recitazione, hai incontrato colui che sarebbe diventato il tuo primo marito e il padre delle tue due figlie.

Classico topos: l’allieva e l’insegnante. Ero molto giovane, lui aveva dieci anni più di me ma, da persona molto seria e molto impostata qual è sempre stato, sembrava ne avesse venti in più! (ride, ndr). Ci siamo sposati e abbiamo avuto le nostre due figlie ma abbiamo finito con il separarci ma siamo tuttora in ottimi rapporti. Certo, non è facile in un primo momento superare le incomprensioni che seguono la rottura ma ce l’abbiamo fatta. Anche perché il matrimonio non è finito per colpa di terzi ma per la fine del sentimento che ci univa. Non c’erano rancori o grossi torti da superare.

È la nascita soprattutto di Chiara, la vostra prima figlia, che in un certo modo ti ha riavvicinata alla cucina.

Durante i primi mesi, Chiara non dormiva e non mi faceva dormire. È stato devastante e mi porto ancora dietro il trauma del non dormire. L’unico momento della giornata in cui si addormentava era intorno a mezzogiorno, dopo aver mangiato. Stavo con lei sul divano e guardavo la televisione, soffermandomi soprattutto su La prova del cuoco o sui programmi di cucina di Gambero Rosso. Ed è lì che ho ricominciato ad appassionarmi alla cucina, scrivevo tutte le ricette che mi colpivano su un quaderno per poi riproporle: alcune le ho rifatte con il tempo, altre sono ancora lì.

Hai mandato un messaggio ad Antonella Clerici per dirle che se oggi sei una food influencer il merito è un po’ anche suo?

Ad Antonella Clerici no. Ma ad Igles Corelli sì. Lo vedevo su Gambero Rosso e, quando l’ho conosciuto, gli ho detto che gran parte di ciò che mi è successo è anche merito suo.

Ma ti arrabbi quando dicono che cucinare è compito delle donne?

No. Mi arrabbio quando dicono che i veri chef sono uomini. È vero che quelli più affermati sono maschi ma per due motivi fondamentali. Il primo è fisico: hanno più forza fisica per alzare pentole e padelle. Il secondo è logistico: non fanno figli e quindi possono stare al ristorante dalla mattina fino alla sera tardi grazie al supporto delle mogli o compagne. Abbiamo ancora qualche problema legato alle differenze di genere ed io non sopporto le classificazioni.

Finito il matrimonio, ti ritrovi mamma single di due bambine piccolissime e senza un’entrata fissa. In pratica, con nessuna certezza.

Ho smesso di recitare per una questione pratica: se avessi continuato, avrei avuto bisogno di una babysitter da pagare senza comunque poter contare su uno stipendio fisso. Ho continuato a doppiare facendo dei turni al mattino quando avrei potuto lasciare le bambine al nido ma anche il doppiaggio non mi permetteva di pianificare nulla a livello economico: le entrate erano variabili e spesso irregolari. Fino a quando non ho deciso di abbandonare il palcoscenico definitivamente e di cercarmi qualcosa di più appropriato e redditizio. Ed è così che ho cominciato a lavorare come agente di commercio nel settore della telefonia. E, come sempre da perfezionista, ho frequentato un corso, ho studiato e ho aperto subito una posizione alla Camera di Commercio.

https://www.instagram.com/p/Cmbk0XTKeOx/

Il destino però vuole che la cucina sia tornata a bussarti alla porta proprio mentre lavoravi in un negozio di telefonia quando tra i tuoi clienti si presenta un certo signore…

Un giorno al negozio entra un signore che chiede un contratto business. Da squalo qual ero, mi sono fiondata subito cercando di entrare in empatia con lui. Un paio di domande dopo ho scoperto di avere davanti Sandro Masci, chef con una sua scuola di cucina. Mi si è come illuminata la lampadina: ho cominciato a fargli delle domande sulla cucina e sui corsi, dimenticando quasi il contratto telefonico! Mi ha spiegato che teneva anche dei corsi amatoriali la sera dove in un’atmosfera quasi informale si rideva, si scherzava, si stava insieme e si cucinava. E in più ha aggiunto che il direttore didattico della scuola era Igles Corelli, colui che consideravo un mio mito.

Ho ripensato a quell’incontro per giorni e giorni. I costi del corso erano per me inarrivabili ma non riuscivo a togliermi l’idea della testa. Ho cominciato a far delle rinunce e dei tagli e ho optato per il corso da personal chef che si teneva una volta alla settimana, avevo pur sempre le bambine da sistemare.

Cominciato il corso, la tua vita è radicalmente cambiata.

Ho capito che la cucina era la mia strada. Continuavo a lavorare in negozio ma allo stesso tempo ho cominciato a far qualche cena con gli amici e a invitare persone con la speranza di allargare il giro delle cene a domicilio. Ho iniziato anche a pubblicare su Facebook e nei gruppi di cucina le foto dei piatti che preparavo. E sono arrivati così i primi contatti e i primi lavoretti da chef privato. Da mamma, non potevo far la gavetta nei ristoranti ma potevo impegnarmi in tutta una serie di attività, dall’organizzazione di eventi al lavoro in un laboratorio gastronomico a 50 km di distanza da casa mia. Quest’ultimo era massacrante: mi svegliavo alle 5 del mattino e per nove mesi ho vissuto come uno zombie.

Ecco perché mi arrabbio davanti ai commenti negativi senza senso: venite con me e vi mostro perché ho le mani “da vecchia”. Da persona umile senza una famiglia ricca alle spalle, ho sempre dovuto faticare per conquistare ogni cosa. Ciò che ho raggiunto oggi è frutto del mio impegno da sola, dell’essermi spezzata la schiena con il lavoro.

A differenza di quanto è accaduto a te, tu sei onnipresente nella vita delle tue figlie.

Le mie figlie sono sempre state la mia priorità. Ero super presente e lo sono anche oggi: quando il lavoro mi porta via da casa per tanti giorni, cerco in qualche modo di esserci. Fortunatamente, sono due ragazze serene, giudiziose e splendide. Il merito è sia mio sia del padre. Ho cercato di non ripetere con loro quelli che credo siano stati gli errori di mia madre. Non so nemmeno se chiamarli errori: mia madre aveva un suo background che l’aveva portata a essere così fredda e il suo comportamento era dettato anche di un modo di pensare diverso.

La sua non era cattiveria, l’ho capito solo crescendo ma il non sentirsi dire ti voglio bene negli anni mi ha portata spesso a chiedermi se io mi volessi bene. Ecco perché alle mie figlie il “ti voglio bene” non manca. Tutti i giorni hanno la mia presenza anche da lontano attraverso una parolina d’amore o un gesto affettuoso, un messaggio su WhatsApp o un bacio.

Come hanno reagito Chiara e Sofia quando Forbes ti ha inserita nella lista dei Top 20 dei food influencer italiani?

Sono state ovviamente contente. Anche se all’inizio Sofia, la piccola, ha purtroppo vissuto un momento non particolarmente felice. Frequentava all’epoca la terza media e i compagni la prendevano in giro per avere una mamma che sui social si faceva notare. Fortunatamente, tutto è cambiato quando ha cominciato le superiori. In un primo momento, non voleva che si sapesse cosa facesse sua madre.

Un giorno, invece, parlando tra amiche che si vantavano di avere mamme con centinaia di follower, ha preso coraggio raccontandole di una mamma che di follower ne aveva “qualcuno in più”. E ha scoperto che le sue amiche mi seguivano da sempre! Le ragazze erano talmente sorprese e incredule che ha dovuto dimostrar loro che era veramente mia figlia con i messaggi che ci scambiavamo. Adesso Sofia è contenta e orgogliosa di essere figlia di FraFoodLove!

E che rapporto hanno loro con la cucina?

Loro devono prima di tutto studiare. Anche se Chiara ha una certa passione per la cucina. Ovviamente, studiando tanto, non ha il tempo di preparare tutto ciò che preparo io ma, a differenza mia, ama preparare i dolci e le riescono anche bene.

Ma a cosa si deve la tua idiosincrasia per i dolci?

Sono molto istrionica. Vado molto a sentimento sui sapori, sulle sensazioni, sulle consistenze e sui metodi di cottura. Certo, ci metto anche tecnica (ormai non si contano più i corsi che ho seguito) ma non me la sento di stare lì a pesare e dosare gli ingredienti, mi annoio. Preparare i dolci è un processo chimico irreversibile: se sbagli, non puoi tornare indietro. Ho anche seguito un corso di pasticceria, quando li preparo mi riescono bene ma ho una sorta di rifiuto a farli!

Tra gli aneddoti che racconti in Semplicità complessa, ce n’è uno che non tanti conoscono. Nel 2016 hai sostenuto un provino per Masterchef.

Avevo finito la scuola di personal chef e avevo già cominciato a lavorare con le cene a domicilio. Avevo deciso di tentare la carta di Masterchef per farmi conoscere meglio e cercar di lavorare di più. Ho superato il primo step, mi hanno richiamata per un’intervista telefonica e invitata a far un video in cui cucinavo. Sono arrivata a sostenere dopo il provino con gli autori. Ho cucinato, anche bene, ma non è servito.

Il perché? Mentre cucinavo, ero intenta alla preparazione delle mie ricette e poco propensa a parlare della mia vita privata. Anche perché non avevo chissà quale situazione da raccontare: ero semplicemente una mamma single con due figlie da crescere e un nuovo mestiere da portare avanti. Non è andata come speravo e non nascondo di esserci rimasta male: sarebbe stato un modo per unire il mio desiderio di lavorare in cucina sfruttando anche la mia capacità di stare davanti a una telecamera.

https://www.instagram.com/p/CmJmJLYMe-r/

Ciò che un video ti toglie un video ti dà. È il gennaio del 2021 quando la tua ricetta degli spaghetti all’astice e al gambero rosso diventa virale su TikTok.

Tutto è nato durante una conversazione a cena con mia sorella. Parlavamo di una persona che si era messa a postare dei video sul social. Ci avevo tentato anch’io qualche tempo prima, in piena pandemia, ma non i risultati lasciavano a desiderare. Nel corso della conversazione, è venuto fuori che su TikTok si veniva pagati per i video e, quindi, ho voluto riprovarci. Quella ricetta in breve ha raggiunto visualizzazioni pazzesche: non capivo cosa stesse accadendo.

Con un formato diverso, ho caricato gli stessi video anche su Instagram ma senza la mia voce. Mentre i video su Instagram funzionicchiavano, quelli su TikTok crescevano giorno dopo giorno: la mia voce, a quanto pare, funzionava ed era ora di sfruttarla di più. Di conseguenza, anche i video su Instagram hanno cominciato ad avere la voce.

È cominciato tutto così. Sono arrivate dopo le chiamate da GialloZafferano, i primi adv (ricordo ancora quando chiesi i primi 50 euro: c’era gente disposta a pagarmi per fare ciò che amavo fare!) e il contatto da parte di Nilufar Addati per Gambero Rosso. Non sapevo nemmeno chi fosse Nilufar: non guardo televisione da un ben po’, ho l’antenna guasta in casa e non l’ho nemmeno aggiustata. Mi era arrivata una mail da un indirizzo personale in cui mi si parlava di Gambero Rosso, pensavo fosse spam in un primo momento. Ho risposto e ho dato il mio numero. Sono stata richiamata e dall’altro lato ho sentito la voce di una ragazza che parlava con un accento simil napoletano: ho scoperto così che Nilufar era una donna e che esisteva realmente.

Quando ne ho parlato con le mie figlie, erano incredule: loro sapevano benissimo chi fosse Nilufar, cosa avesse fatto a Uomini e donne e quanto contasse come modello per le ragazze della sua età! Ho accettato allora la proposta di prendere parte ad Arte in cucina.

La seconda parte del tuo libro presenta ricette suddivise in cinque capitoli: coraggio, amore, sfida, contrasto e gratitudine. Di queste cinque parole, qual è quella che ti rappresenta maggiormente?

Coraggio è forse quella che le racchiude tutte. Se non avessi avuto coraggio, non avrei fatto tutto quanto e non mi sarei rimessa in discussione. Ma per esser coraggiosi serva anche amore.

E c’è amore al tuo fianco?

C’è Tony, il compagno con cui stiamo insieme da cinque anni. Ci sono le mie figlie. E c’è Umami, il mio bulldog.

Come sta mamma oggi?

Ha un problema di salute particolarmente grave. Finché la vedo combattere, mantengo una dose di positività. È strano: il mio libro, in cui parlo della mia voglia di sentirmi amata dopo un’infanzia con una madre anaffettiva, è uscito nel momento in cui mamma si è ammalata. Oggi mi ritrovo io a dare a lei quell’amore che a me è mancato, si sono ribaltati i ruoli.  

Lisa dalla Noce e FraFoodLove.
Lisa dalla Noce e FraFoodLove.
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