Francesca Tandoi è la talentuosa pianista, cantante e compositrice jazz che ha conquistato il cuore degli appassionati di musica in tutto il mondo. A luglio, Francesca Tandoi concluderà il suo straordinario Bop Web Tour con due attesissime tappe a New York, coronando un viaggio musicale che l'ha vista esibirsi in diverse capitali europee e città internazionali.
Il tour, iniziato a gennaio, è stato un vero trionfo, con ogni concerto sold-out e un caloroso supporto da parte del pubblico. Francesca Tandoi ha portato il suo sound unico e vibrante a platee sempre più ampie, dimostrando che il jazz tradizionale può ancora emozionare e ispirare. La sua musica, caratterizzata da una fusione di culture e sonorità diverse, ha riscosso un enorme successo, grazie anche alla diffusione della notizia dei concerti attraverso i social media e il sostegno dei suoi fedeli follower su Instagram.
Durante questo tour, Francesca Tandoi ha collaborato con musicisti straordinari, sia con il suo duo olandese di musicisti che la affiancano che con quello italiano, dimostrando una versatilità e una passione che traspaiono in ogni sua esibizione. Nonostante l'impegno costante, Francesca Tandoi ha trovato questo viaggio estremamente gratificante, sottolineando come portare la propria musica in giro per il mondo sia un privilegio incredibile.
In questa intervista, parleremo con Francesca Tandoi del suo viaggio musicale, delle sfide e delle gioie di essere una musicista jazz, delle sue esperienze personali e professionali, e di come sia riuscita a conciliare il suo ruolo di leader in un contesto dominato da uomini. Francesca Tandoi ci racconterà anche della sua passione per il jazz, delle sue influenze musicali e del suo percorso artistico, offrendo uno sguardo affascinante e ispirante nella vita di una delle più brillanti interpreti del jazz contemporaneo.
Intervista esclusiva a Francesca Tandoi
Il Bop Web Tour sta per concludersi: mancano solo due tappe a New York. Com’è andata quest’esperienza che dall’Italia ti ha portato in giro per il mondo con la tua musica jazz?
Il tour è iniziato a gennaio, e la nostra prima tappa è stata Parigi. Abbiamo suonato in diverse capitali europee, e devo dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa dal calore del pubblico. Ogni concerto è stato un sold-out, e credo che parte del merito vada ai miei follower su Instagram, che hanno contribuito a diffondere la notizia dei concerti. È stato incredibile vedere quanto supporto abbiamo ricevuto ovunque siamo andati.
La prima parte del tour, quella invernale, mi ha vista impegnata con il mio trio olandese, ho poi proseguito con il trio italiano e posso già dire che ci sarà una ripresa autunnale, nuovamente con il trio olandese. Di fatto, si tratta di un tour che mi vede impegnata quasi dieci mesi all'anno: è molto impegnativo, ma anche estremamente gratificante ma portare la propria musica in giro per il mondo è un privilegio incredibile.
Sei l'unica donna dei due trio, la leader singer come si direbbe in gergo. È facile convivere musicalmente con quattro uomini diversi?
È vero che sono l'unica donna e ho sulle spalle il ruolo da “protagonista” ma ho la fortuna di collaborare con musicisti straordinari che sono anche grandi amici: per me è molto importante suonare con persone a cui tengo molto, a cui voglio bene e che stimo enormemente. Non si è mai creata una situazione in cui mi sono sentita in minoranza; siamo sempre stati tutti sullo stesso livello, e questo è per me è fondamentale. Certo, il tre come tutti i numeri dispari è infido ma per quanto mi riguarda sono contrabbasso, batteria e pianoforte a costituire un equilibrio che ben si adatta alla mia idea di musica: è la mia formazione ideale, quella con cui preferisco suonare ed esprimermi.
Hai iniziato a suonare molto presto dopo esserti innamorata da bambina di una canzone jazz alla radio. Hanno mai sottolineato quanto la tua fosse stata una scelta considerata da molti insolita?
Assolutamente sì, soprattutto chi poco conosce questo mondo: è tipico di chi non si è mai addentrato in un contesto o di chi non è addetto ai lavori e, di conseguenza, non ha contezza del tipo di vita e di costante ricerca comporti. Il jazz rimane ancora un genere di nicchia per cui chi non ne ha conoscenza vive di pregiudizi considerandolo noioso e molto difficile. Chi non fa parte dell’ambiente jazz o chi ne è totalmente fuori solitamente ti guarda come se fossi un alieno, non comprendo per quali ragioni lo si suoni o scriva.
Ancora oggi anche per qualche amico, nonostante il grado di popolarità raggiunto, rimango la “poverina” che dopo aver studiato tanto non ce l’ha fatta solo perché non sono Lady Gaga o non mi vedono in tv. Non sanno che invece sono felice e, soprattutto, realizzata: non sono mai stata interessata al successo tout court ma solo alla possibilità di esprimere me stessa attraverso la mia musica.
Comunque, in genere è proprio l’artista a essere considerato “particolare”. Provengo da un contesto familiare in cui non ci sono mai stati altri artisti in nessun campo e anche in ambito familiare la mia scelta in passato ha generato compassione: ero l’artista incompresa che non avrebbe mai fatto nulla nella vita.
Scelta insolita anche per i tuoi genitori?
Mi hanno sempre sostenuta, anche se all'inizio erano un po' scettici perché non sapevano come guidarmi nelle mie scelte, molto banalmente dalla scelta del maestro a quello delle scuole da frequentare. Avevano comunque paura che potessi rimanere delusa dalla strada che volevo intraprendere e spesso mi suggerivano, sebbene pagassero le mie lezioni, di pensare all’università dopo le superiori, il classico piano B.
Li ho anche accontentati ma dopo essermi scritta all’università ho deciso di seguire la mia vocazione: ho sempre saputo che la musica era la mia vita, anche perché avevo già a 17 anni cominciato a suonare nei locali. Ricordo come fosse difficile conciliare serate e studio, per cui ho dovuto scegliere: volevo proseguire gli studi ma nella musica. E così è stato: ha scelto la mia autodeterminazione per me. Il vero piano B è così diventato il non avere un piano B, qualcosa che mi facesse perdere la concentrazione o disperdere le mie energie.
Quando hai poi cominciato a lavorare è stato semplice farsi prendere in considerazione come compositrice? Spesso l’impressione è che da donna si fatichi maggiormente.
Non è stato complicato lo switch da esecutrice a compositrice, anche se non lo definirei proprio switch: non si smette di essere la prima per diventare la seconda, tant’è che nei miei concerti propongo brani sia miei sia di altri. L’importante per me è la qualità di ciò che propongo e non chi lo ha firmato e quando qualcosa alla gente piace non conta chi lo sta eseguendo, se uomo o donna. Durante le mie serate mi diverto ma ciò che mi sta più a cuore è sempre arrivare a toccare il cuore di chi mi ascolta.
L’essere bionda e di bella presenza ha fatto mai saltare in mente a qualcuno di trasformarti in un’icona mainstream?
C’è stato qualcuno che ci ha provato e non solo una volta. Ma la risposta è sempre stata la stessa: la mia natura è sempre stata ed è jazz e non c’è verso di cambiarla. Ho fatto sì che lo capissero un po’ tutti sin da quando ho iniziato così come ho cercato di far capire che, nonostante cantassi e suonassi anch’io, fossi diversa da qualcun altro. Spesso, ad esempio, mi sento paragonare a Diana Krall e un po’ mi infastidisce: non perché non apprezzi la Krall ma perché proponiamo qualcosa di totalmente differente.
Già a partire dal solo fatto che, cantare qualche pezzo, non fa di me una cantante: rimango una musicista jazz a cui ogni tanto piace cantare. In molti, hanno spinto affinché insistessi con il canto perché chiaramente arriva in maniera più immediata al pubblico: avrebbe potuto aprirmi tantissime altre porte ma la mia missione è quella di divulgare il più possibile la musica strumentale per far capire a tanta più gente possibile quanto possa essere divertente e ben fatta. Sembra banale ma il pregiudizio per cui una donna possa solo cantare e non suonare o scrivere è ancora fin troppo radicato.
Detto ciò, nessuno snobismo nei confronti della musica mainstream: adoro il pop, ad esempio, così come qualsiasi altro genere. Semplicemente, non è la mia arte: da artista, non avrei mai voluto affermarmi con qualcosa che non esprimesse me stessa.
L’essere bionda è legato sempre a molti pregiudizi negativi. Nel tuo caso, l’hai saputo trasformare in un punto di forza anche grazie ai social.
Per molto tempo ho fatto fatica ad accettare di essere bionda ma poi ho capito che fa parte di me: sono io e non sono un’altra. Essere me stessa e accettarmi vuol dire anche essere una ragazza considerata bella che sale su un palco e per di più bionda, non posso cambiare la mia immagine. Purtroppo o per fortuna, la gente è ancora attirata dall’estetica e ho imparato a giocarci, senza dimenticare che la mia priorità è la musica. Non era certo mia intenzione esplodere su Instagram ma è successo. E forse la ragione è da ricercare nella disparità di genere che esiste ancora tra gli strumentisti: le donne sono una minoranza rispetto agli uomini e vederne una con una certa fisicità genera, a parità di talento, maggiore attenzione rispetto a un’altra.
Personalmente, vorrei che la gente mi ascoltasse a occhi chiusi ma è impossibile, per cui dopo anni ad aver rifiutato l’idea che ben venga chi si interessa alla mia musica per via del mio essere donna. Ho imparato, dunque, a non rifiutare questa parte di me, ma a usarla a mio vantaggio senza mai perdere di vista la qualità del mio lavoro. Mi rendo conto che la mia immagine può attirare l'attenzione, ma lavoro sodo per far sì che sia poi la mia musica a parlare.
Studiare musica ed essere musicista comporta anche sacrifici. Qual è stato il più grande?
Più che di sacrifici, nel mio caso parlerei di rinunce: la cosa più difficile è sicuramente rinunciare a una vita sociale e familiare stabile. Da musicista, viaggio tanto per lavoro e spesso mi manca stare con la mia famiglia e i miei amici.
Ma questa è la vita che ho scelto e ogni scelta comporta delle rinunce, che ho imparato ad accettare. Non potrei fare altrimenti e sono felice così, anche se a volte mi pesa non poter essere presente a eventi importanti come i compleanni o le feste di famiglia: so che è il prezzo da pagare per seguire la mia passione e non snaturarmi.
Forse è la stessa ragione che non mi ha ancora portata a mettere su famiglia, una mia scelta personalissima: ci sono tantissime artiste di successo che riescono a conciliare lavoro e maternità, io invece non ne sarei capace. Se facessi una scelta in quella direzione, dovrei rallentare con il lavoro e in questo frangente non me la sento di farlo: amo la vita che faccio, l’ho sempre sognata e non vorrei cambiarla.
Sei cresciuta a Roma ma vivi oggi a Bologna quando non sei in giro per il mondo. Cosa ti manca dell’Italia quando sei all’estero?
Dai 24 ai 35 anni sono stata sempre fuori dall’Italia, si tratta di una bella fetta di vita e tra l’altro di un certo peso: sono stati gli anni in cui mi sono formata sia come persona sia come professionista. Posso dire di aver passato più tempo all’estero che a casa. Tuttavia, col tempo, qualcosa è cambiato: mentre prima viaggiando avevo voglia di esplorare, di fare e di vedere nuove cose, oggi sento quasi l’esigenza di sentirmi a casa. Ed io mi sento a casa solo in Italia, per cui sono diventata la classica italiana a cui mancano la buona cucina, il clima e la bellezza che respiriamo a ogni angolo.
Eppure, rispetto all’estero, l’Italia non sembra aver ancora dato il giusto riconoscimento al tuo talento.
È una frase che mi sento oggi di smentire. C’è quest’idea condivisa per cui all’estero ci sia più spazio e riconoscimento per il jazz sottovalutando quanto il genere sia in netta crescita anche in Italia. È un dato di fatto, ad esempio, come la mia carriera sia decollata proprio quando ho deciso di rientrare in Italia: tornando a casa, ho trovato quella pace interiore che mi ha portata a esprimermi senza più timore regalandomi felicità e serenità. Quindi, non direi che l’estero mi ha elevata particolarmente a livello professionale: mi ha aiutata semmai per lo studio perché purtroppo da questo punto di vista le nostre scuole non è che funzionino a dovere.
Oltre che sentirsi a casa, cosa ti ha permesso di trovare pace interiore?
Il mettere da parte le insicurezze, l’inquietudine dell’artista. Come tanti giovani, anch’io sono stata molto insicura e non mi sentivo mai all’altezza. Il sentirmi finalmente a casa ha fatto sì che cominciassi a sentirmi bene e ad acquisire maggiore consapevolezza anche di me stessa.
Hai mai avuto paura del fallimento?
Certo, la paura del fallimento c'è sempre. È una costante nella vita di ogni artista. Il jazz, in particolare, è una musica che ti mette costantemente alla prova. Ma credo che la chiave sia conoscere veramente chi sei e aggiustare il tuo percorso di conseguenza. Se avessi voluto diventare Beyoncé avrei fallito ma il mio obiettivo è sempre stato ritagliarmi una fetta di spazio in cui essere veramente la versione migliore di me stessa. Ed è l’unica chiave per non superare la paura del fallimento.
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