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Francesco Gheghi: “Alla ricerca dello star bene con me stesso” – Intervista esclusiva

francesco gheghi
Protagonista del cortometraggio Mignolo, Francesco Gheghi si racconta a The Wom, affrontando temi e pensieri che riguardano la sua generazione e facendo il punto, con ironia e franchezza, sul suo percorso di vita e lavoro.
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Francesco Gheghi, ormai più che una giovane promessa del cinema italiano, ci risponde al telefono con una sincerità disarmante. "È una di quelle domande per cui la risposta è estremamente banale, quindi ‘bene’, quando in realtà potrebbe essere molto più complicata di così", ammette Francesco Gheghi, delineando subito il tono di un dialogo che promette profondità e riflessione. Lo spunto per la conversazione ce lo dà Mignolo, il cortometraggio diretto da Gianluca Granocchia, in cui Francesco Gheghi è protagonista disponibile grazie a Pathos Distribution sulle piattaforme di streaming Prime Video, Apple Tv+ e Google Play. La vicenda del corto, intensa e complessa, merita di essere esplorata senza rovinare la sorpresa, ma Francesco Gheghi accenna che "lo è molto, per la storia che racconta".

Mignolo si rivolge a quei giovani che, terminati gli studi, si ritrovano disorientati in una società che sembra averli dimenticati. Il film esplora la solitudine e la ricerca di identità in un mondo che, nonostante l'abbondanza di stimoli, lascia spesso un senso di vuoto. Il personaggio di Francesco Gheghi si confronta con queste tematiche in maniera drammatica, trovando nella distruzione dei formicai un bizzarro senso di controllo e potere.

Nell'intervista, Francesco Gheghi riflette sulla costruzione del suo personaggio, un giovane uomo segnato dalla perdita del padre e da un lavoro insoddisfacente, costretto a misurarsi con l'impulso di un gesto estremo. Ma parla anche della sua vita personale, del suo approccio al lavoro e dell'importanza di trovare armonia con se stessi, argomenti che Francesco Gheghi affronta con una maturità che va oltre i suoi anni.

Condividendo pensieri su amicizia, amore, e sulle sfide e le soddisfazioni della sua carriera, Francesco Gheghi non solo ci apre una finestra sul suo mondo interiore, ma ci offre anche uno sguardo sulla generazione di cui fa parte, una generazione che cerca ancora il proprio posto in un mondo in rapido cambiamento.

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Francesco Gheghi nel cortometraggio Mignolo.
Francesco Gheghi nel cortometraggio Mignolo.

Intervista esclusiva a Francesco Gheghi

“È una di quelle domande per cui la risposta è estremamente banale, quindi ‘bene’, quando in realtà potrebbe essere molto più complicata di così”, è la prima spiazzante risposta di Francesco Gheghi quando, come si è soliti fare anche per convenzione, ci si chiede come sta. Ci sentiamo telefonicamente per confrontarci su Mignolo, il cortometraggio prodotto da Image Hunters di cui è protagonista e di cui, per evitare spoiler, è anche complicato parlare. “Lo è molto, per la storia che racconta”, fa eco Francesco Gheghi quando glielo faccio notare.

Chi è il protagonista della storia?

Mignolo racconta la storia di un ragazzo solitario che si sente come una formica in una società che non lo rispecchia. Ed è sentendosi così smarrito che in lui nasce la passione di far esplodere i formicai: lo fa sentire una sorta di dio rispetto all’impossibilità di gestire il suo ruolo sociale. È anche un ragazzo fortemente turbato che di base vorrebbe, come tutti quanti, essere amato proprio perché cresciuto senza amore. Almeno questo è ciò che io e il regista, Gianluca Granocchia, ci dicevamo per la costruzione del personaggio: di fondo, c’era anche l’idea di svilupparne un film che andasse ad ampliare tutte le possibilità che offriva il racconto.

Come, ad esempio, il particolare per cui il protagonista era rimasto presto senza padre…

È uno dei tanti indizi che sono stati disseminati lungo il racconto e che Gianluca aveva cominciato a posizionare per eventuali altri sviluppi. Il protagonista fa anche un lavoro che non lo soddisfa ma che porta avanti solo per cercare di racimolare i pochi soldi che gli servono per l’affitto e il cibo. Quando al lavoro viene sostituito da un rivale, il suo equilibrio mentale inevitabilmente ne risente portandolo a maturare il proposito di un gesto più estremo e violento. Ma qui mi fermo per non svelare il finale (ride, ndr).

Il poster di Mignolo.
Il poster di Mignolo.

Il protagonista, in un mondo che comunque riempie tutti quanti di continui stimoli, pronuncia una frase quasi a effetto: ‘invece di vivere, sopravvivo’. Siete coetanei: hai mai avuto la sensazione di star sopravvivendo anziché vivendo?

Personalmente, no: è una frase che solitamente si pronuncia quando si ha una vita un po’ più piena o più vissuta della mia. Ho però sentito pronunciare quelle parole da alcuni amici e ammetto che sono toste da sentire, soprattutto se provengono da persone a cui vuoi bene.

Tra le persone a cui voler bene c’è prima di tutto se stessi. Quando hai imparato a sentirti bene con te stesso?

È una domanda difficile che mi accompagnerà adesso per tutto il giorno. Ti darò una risposta ma sono sicuro che si penserò fino a stasera. Quand’ero piccolo, di sicuro, mi sono sentito bene con me stesso il primo giorno di set quando, per Io sono Tempesta di Daniele Luchetti, ho visto Elio Germano lavorare. Mi ricordo che dissi a mia mamma che volevo da quel momento in poi fare quella roba che stava facendo lui.

Avevi quattordici anni all’epoca…

Sì, ma ho sentito sin da subito che quello era il mio posto. Rispetto alla mia vita da più grande, guardando al presente, sono ancora alla ricerca dello star bene con me stesso.

Elio Germano e Francesco Gheghi nel film Io sono Tempesta.
Elio Germano e Francesco Gheghi nel film Io sono Tempesta.

Mi colpisce il ‘quand’ero piccolo’: sulla carta sei ancora piccolo.

Per fortuna: potrebbe anche essere anche il titolo per questa intervista, “Quand’ero piccolo” (ride, ndr)… Ma è una di quelle frasi che paradossalmente dicevo anche da bambino quando mi ricordavano appunto che ero bambino. Non è che proprio mi innervosisse ma volevo essere considerato per quello che ero e non per l’età anagrafica.

Cosa ti spingeva a farlo?

Il mio modo di approcciarmi a tutto. Sono sempre stato abbastanza dritto e ferreo su quello che volevo o mi piaceva. Ascoltavo i discorsi di alcune persone più grandi di me, mi rispecchiavo nelle loro parole e mi chiedevo perché invece io non potessi permettermi di confrontarmi con il pensiero di un adulto o di assecondarlo. Volevo stare in mezzo a loro mentre adesso mi sto riprendendo lentamente tutto ciò che da bambino avevo messo da parte. Complici l’aver iniziato a lavorare da giovanissimo e il CoVid, mi sono perso tante cose, che purtroppo ho visto da lontano.

Lavorare e studiare contemporaneamente non deve essere stata una passeggiata…

Soprattutto con i termini di mia madre: giustamente, per fortuna, ha sempre voluto che rendessi il massimo, richiesta che ho assecondato anche per indole mia. Basti pensare che l’ultimo anno di superiori, nonostante le 70 assenze dovute alla partecipazione in due film, mi sono diplomato con 96, un risultato per cui mi sono dovuto impegnare.

Giovanissimo: a 13 anni già facevi teatro. Cosa ti aveva spinto verso quella strada?

Avevo anche già preso parte ad altri spettacolini da più piccolo, quelli delle scuole, che mi avevano fatto scoprire quali sensazioni si provavano a stare sul palco e a essere guardati da tutti. Sono sempre stato abbastanza comico e mi piaceva l’idea che qualcuno potesse ridere alle mie performance. Ma a dire il vero il mio sogno da bambino era altro: volevo are il calciatore, un sogno che conservo tuttora. Mentre parlo sono qui nel giardino di casa mia a calciare un pallone, palleggio e spero che un procuratore, passando da qui per caso, mi possa notare!

Nonostante quel sogno, però, a teatro mi sentivo bene: mi piaceva, mi divertiva e, soprattutto, notavo che raccoglievo risultati senza nemmeno dover faticare troppo. Al di là dell’impegno, che poteva essere massimo, lo sforzo per me era minimo. Com’è che si dice? Minima spesa, massima resa: di fronte a uno sforzo due, ottenevo un risultato quasi da dieci. E il pensiero è venuto naturale: cosa puoi ottenere se porti il tuo sforzo da due a otto o nove? Sicuramente, belle soddisfazioni, mi rispondevo. Il talento, per me, consiste proprio in quello, nel riuscire a fare una cosa con facilità.

Non avevi dubbi o paure?

Me le infondevano gli altri, semmai. Ricordo quando, andando al provino per la serie tv Sky In Treatment, le mamme degli altri provinanti raccontavano alla mia le difficoltà incontrate dai loro figli: sebbene fossero armati di voglia e determinazione, da anni non riuscivano a ottenere la loro occasione. Tuttavia, quella paura trasmessa è scomparsa quando al terzo provino sono stato scelto da Daniele Luchetti…

Ci sono poi anche le paure che ti infondono coloro che conoscono poco il mestiere di attore e le sue difficoltà o non lo conoscono affatto. In molti non hanno idea di cosa significhi stare su un set: pensano che arrivi lì e come per magia si faccia un film. Non conoscono tutto il lavoro che c’è prima, lo considerano un hobby e vivono nel mito della bellezza: basta essere belli per riuscirci.

Mignolo: Le foto del film

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Che rapporto hai con l’essere bello?

Non sono bello, so’ caruccio ma sono simpatico. Non ho mai valutato la bellezza esteriore come un plus: sarà una banalità ma preferisco la bellezza interiore o tutto ciò che è poco canonico.

Forse ciò si nota anche dall’uso che fai dei tuoi profili social.

Uso i social principalmente per lavoro, per comunicare al meglio i progetti in cui sono coinvolto. Però, sarei ipocrita nel non dire che alcune volte capita che posti anche foto del mio privato in cui fondamentalmente mi vedo così come sono. Di certo, non cerco di restituire un’immagine che non mi appartiene: sono sceso a patti con il fatto che i miei genitori non mi abbiano fatto biondo con gli occhi azzurri (ride, ndr).

È indice, se vogliamo, di una coerenza che si rispecchia anche nel tuo percorso professionale. Guardando la tua filmografia, non si trova niente che sia di facile consumo: anche quando ti abbiamo visto in commedie, erano anche queste finalizzate alla trasmissione di un certo messaggio.

Ho sempre preso parte a film, non sono ancora riuscito per fortuna o per sfortuna a interpretare serie tv, in cui credevo. Quest’anno, ad esempio, usciranno quattro diversi progetti a cui ho preso parte: Maschile plurale di Alessandro Guida, Roma Blues di Gianluca Manzetti, Mani nude di Mauro Mancini e Familia di Francesco Costabile. Ciò che mi porta a fare le mie scelte sono sempre motivi diversi tra loro ma alla base ci può essere o il desiderio di lavorare con una persona o quello di raccontare una determinata storia. Non sono però un privilegiato: il termine ‘scelta’ è forse improprio. Forse è meglio parlare di ‘valutazione’, dal momento che sostengo, come altri, un provino per ottenere un ruolo.

Francesco Gheghi in scena

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Mani nude.
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Maschile plurale.
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Roma Blues.
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A muso duro.
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Il filo invisibile.
roma, Italy - March 18, 2021: Photo by Cymon Taylor - CTP
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Piove.
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Mio fratello rincorre i dinosauri.
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A proposito di ruoli da valutare, in una vecchia intervista dichiaravi che ti sarebbe piaciuto interpretare Cleopatra. Ti riferivi al genere di film o al personaggio in sé?

Dovrei ora ricordare la domanda esatta e capire se si giocasse in maniera ironica o se fosse seria. Però, ho sempre considerato affascinante Cleopatra e il ruolo che ha ricoperto nella storia. Di sicuro, potrei andarci a cena: avrebbe molto da raccontare.

Sempre nella stessa intervista, hai accennato a un evento specifico della tua vita che ha a che fare con qualcosa di cui solitamente non si parla: la morte. Raccontavi di essere entrato in una camera mortuaria per salutare un tuo amico. Cosa ha rappresentato per te la perdita di una persona tua coetanea?

Per la prima volta, sono entrato in relazione con la morte come un concetto che non è lontano da noi. Prima di quell’evento, non avevo perso nessuno dei miei familiari (solo la scorsa estate ho perso mio nonno e qualche settimana fa il mio amato cane) e ho quindi vissuto più tangibilmente cosa significa la morte e il processo che innesca. Avevo diciotto anni e, seppur la vivessi di rimbalzo, immaginavo la sofferenza che poteva aver generato nei familiari, ad esempio. E forse è stato ciò che mi ha spinto a rivalutare la vita in maniera diversa, prendendola anche meno seriamente: basta un niente, un infarto a diciotto anni, quando hai appena cominciato a vivere, per mandare all’aria ogni progetto. Di sicuro, è stato un punto di svolta della mia esistenza.

Punti di svolta che aiutano, per ritornare in tema, a diventare grandi. E diventare grandi significa anche aprirsi all’accettazione delle unicità altrui e all’inclusione. Cosa ne pensa un ventunenne di oggi come te della parola ‘diversità’?

Trovo noioso porre l’accento sulle diversità: ognuno di noi è unico. Nella mia mente non esistono concetti come ‘diverso’ o ‘normale’: esistono semplicemente le persone verso cui provare rispetto e la vita.

Hanno mai provato a farti sentire diverso?

Ovviamente, già il fatto che lavoravo come attore da adolescente era percepito dagli altri come una diversità. Ma non accade solo fuori casa, anche all’interno della mia stessa famiglia succede ancora così di fronte a discussioni all’apparenza normali: tutte le volte in cui provi ad affrontare un discorso più serio o hai una reazione specifica, vieni tacciato di far l’attore o di stare recitando. Ho smesso però di reagire: quand’ero più piccolo, me la prendevo di più ma ora no… ma reagivo sicuramente senza violenza: considero la violenza la morte dell’uomo stesso.

Cos’è che potrebbe provocarti così fastidio fino al punto di farti arrabbiare?

Difficilmente mi arrabbio ma di sicuro mi provoca fastidio la mancanza di rispetto. Una persona, qualche giorno fa, mentre ero in un agriturismo con degli amici, ha intavolato una discussione poco felice arrivando al punto di minacciare, velatamente, la mia ragazza: ha quasi ignorato me, sfruttando la sua superiorità fisica per incutere timore.

La tua ragazza: cos’è per Francesco Gheghi l’amore?

Boh. È qualcosa su cui tutti ci interroghiamo da secoli senza che si sia arrivati mai a una risposta definitiva. Potrei dire cosa provo per lei, ad esempio, ma non cos’è l’amore in generale. Forse lo potrei al massimo rappresentare con un’immagine.

E che immagine sarebbe?

Io, mia madre, mio padre e mia sorella sdraiati sull’erba, al sole.

Tua sorella ha due anni più di te: ti è stata d’aiuto quando da adolescente affrontavi il tuo lavoro da attore?

Mi è stato d’aiuto il nostro legame: lei è una forza della natura. Ed è da lei che ho cercato di prendere molto, anche se non sa per cosa. E non deve saperlo (ride, ndr).

https://www.instagram.com/p/C3ALaD1LcNZ

A proposito di aiuto, per cosa avresti bisogno del supporto di qualcuno?

Sicuramente per una perdita. Non intendo necessariamente solo la perdita legata alla morte ma anche quella di qualcuno che decide di allontanarsi da te. Mi è capitato che accadesse e mi ha fatto molto male. Credo molto nei rapporti e nell’amicizia: avere dei buoni amici vicino è importante… anche solo per le robe pragmatiche. Non quelle contabili, a quelle ci pensa mamma (ride, ndr)!

Noto la tua ironia. Spesso la si usa come maschera per proteggere la propria fragilità.

Corretto, non mi nascondo dietro un dito. Ma è anche un modo per proteggere la propria timidezza. Quand’ero piccolo, ad esempio, ero molto timido e solo con gli anni ho saputo dosare i due aspetti, mescolando fragilità e timidezza con l’ironia.

È difficile quando durante le interviste qualcuno cerca di scoprire chi sei al di là dello schermo?

Non lo è più ma lo è stato in passato. Da persona super impulsiva e iperattiva, cercavo sempre la risposta migliore da dare nel minor tempo possibile. Un po’ come accadeva per le interrogazioni, restituivo un paio di risposte imparate a memoria che puntualmente dimenticavo quattro giorni dopo. Però, intanto prendevo dieci e mamma era felice (ride, ndr).

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