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Francesco Panarella: “Il mondo è di chi viene messo da parte” – Intervista esclusiva

Francesco Panarella Cucciolo Mare fuori 3
Cucciolo è uno dei personaggi appena entrati in Mare fuori 3 ed è interpretato da Francesco Panarella. Lo abbiamo raggiunto per un’intervista esclusiva in cui in un mix di delicatezza e forza ci racconta chi è, il suo percorso e gli anni della scuola media, messo all’angolo dal bullismo che ha subito.
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Francesco Panarella è appena apparso nella serie tv Mare fuori 3 con il ruolo di Cucciolo e ha già suscitato parecchio clamore. La storyline che lo interessa è particolarmente ricca di spunti di riflessione per il peso che si porta addosso non solo all’interno dell’IPM di Nisida ma anche per gli eventuali sviluppi della stessa serie tv.

Il Luigi Di Meo, per tutti Cucciolo, che Francesco Panarella interpreta in Mare fuori 3 ha 17 anni ma una grossa responsabilità sulle spalle: il fratello quindicenne Micciarella, una pentola a pressione che con la sua imprevedibilità ben rende omaggio al soprannome che si è guadagnato. Cresciuto da una madre tossica e senza un padre, Cucciolo ha fatto del bene del fratello la sua priorità sobbarcandosi sulle spalle un peso da genitore che anagraficamente non gli apparterrebbe.

Ma come si fa a essere un modello per un figlio, seppur putativo, quando non si hanno figure di riferimento a cui appellarsi? Questa è una domanda a cui non è facile dare risposta: non ce n’è una certa che possa applicarsi a qualsiasi situazione. E lo sa bene anche Francesco Panarella che nel personaggio di Cucciolo in Mare fuori 3 ha ritrovato un richiamo a ciò che ha personalmente vissuto, come ci spiegherà con le sue parole nel corso di quest’intervista in esclusiva.

Nato il 26 maggio 2001, Francesco Panarella ha solo 21 anni e oggi è a una delle sue prime interviste ufficiali. Lo raggiungiamo grazie all’intercessione della sorella e di un amico in comune (Antonio D’Aquino), e si presta al fuoco delle nostre domande. Sin dall’inizio, durante la chiacchierata intrattenuta su Zoom, colpisce lo sguardo di Francesco Panarella che, giocando con il nome del suo personaggio in Mare fuori 3, appare come un cucciolo dalla leonina criniera, sempre sorridente ma con un’ombra che colpisce. Si porta dietro una malinconia da animo puro la cui vita è stata più fantasiosa di una fiction, come direbbe il suo idolo Jimmy Sullivan.

Francesco Panarella non scappa da nessuna delle domande su Cucciolo e su Mare fuori. Ma, soprattutto, non scappa di fronte alla sua vulnerabilità, il suo vero punto di forza. È un giovane della Generazione Z e sa quanto limitanti siano i paletti che vogliono necessariamente picchettare l’unicità di cui ognuno di noi è caratterizzato. Non è un caso se gli chiediamo subito dell’omosessualità di Cucciolo e cosa ne pensa dell’argomento: per motivi diversi, ha subito l’onta del bullismo e dell’essere considerato strano e oggi ha voglia di dar voce a tutti coloro che nel loro piccolo ma grande mondo sono messi all’angolo per ragioni “che non contano un cazzo”.

Tuttavia, Francesco Panarella non è solo il Cucciolo di Mare fuori 3. Come ogni gemelli che si rispetta, ha in sé moltitudini. È un batterista, ad esempio, e ciò che più gli manca in questo momento, a causa di un problema a un polso, è prendere le bacchette in mano per suonare, ragione per cui mentre parliamo ha un pennarello in mano che muove come se seguisse una partitura. E non solo: da piccolo, scriveva racconti (non ce lo dice ma abbiamo le nostre fonti!), inconsapevole di come avrebbe scritto oggi il racconto più importante della sua vita.

Francesco Panarella.
Francesco Panarella.

Intervista esclusiva a Francesco Panarella

Come tutti quelli che portano i capelli lunghi, hai una fascia al polso per legarli…

Il mio amico codino rosa, immancabile. È parte integrante delle mie giornate ed è un regalo della mia sorellona. Sin da quando ero piccolo, ho sempre avuto la fissa dei capelli lunghi: sarà che sono cresciuto comunque in mezzo a un ambiente circondato di musicisti che mi hanno influenzato. Non sono mai riuscito a vedermi con i capelli corti. C’è stato un periodo in cui li ho tagliati ma subito sono ritornato alla mia ordinaria amministrazione!

Lo hai accennato tra le righe ma so per certo che anche tu sei un musicista. Come si arriva dalla musica alla recitazione, due mondi apparentemente differenti?

Sono un batterista sin da quando ero piccolo. Per descrivere cosa sono per me batteria e recitazione uso sempre una metafora. Io sono come una sorta di treno che percorre due binari differenti, la musica e il cinema: ho sempre pensato che l’una dipenda dall’altro e viceversa, che siano più o meno quasi la stessa cosa. Ho cominciato prima con la musica ma negli anni mi è venuta in mente anche l’idea di potermi esprimere artisticamente tramite un altro modo.

Perché hai iniziato a suonare la batteria? È stato forse il desiderio di mamma di tenerti occupato?

Da piccolo, ancor prima di parlare, avevo la propensione a percuotere un po’ di tutto: battevo le mani su qualsiasi cosa si muovesse. È stata mia sorella a spingermi verso questa strada per vedere cosa succedesse: ricordo che era il periodo delle medie e che mi fece scoprire un batterista, Jimmy Sullivan, colui che è tuttora un mio punto di riferimento non solo per la batteria ma anche nella vita.

Ho così cominciato a suonare le percussioni grazie a un mio insegnante di musica che mi ha anche ispirato moltissimo e mi ha dato molta fiducia, Biagio Terracciano. Grazie ai continui suggerimenti di mia sorella, ho cominciato a formarmi musicalmente ascoltando un po’ di tutto: sono cresciuto con gli Avenged Sevenfold, i Queen, i Guns n Roses e tutta gente strana con i capelli di lunghi.

Tua sorella, che torna spesso nelle tue parole, è più grande di te ma è evidente il tuo attaccamento a lei. Per certi versi, nella tua vita è accaduto l’esatto contrario di quello che succede a Cucciolo, il personaggio che interpreti nella serie tv Mare fuori 3. Nella fiction, sei il fratello maggiore di Micciarella, portato in scena da Giuseppe Pirozzi.

Ho cercato di fare del mio meglio usando quello che ho vissuto io come fratello minore e ricorrendo all’esempio che ho ricevuto dalla mia sorellona maggiore. Ho provato a fare del mio meglio per portare in scena lo stesso affetto e lo stesso amore che io ho ricevuto per tutti i miei 21 anni e a riversarlo sul piccolo Micciarella. Spero di aver fatto esaurire mia sorella come fa Micciarella con Cucciolo e di non averle fatto vivere gli stessi incubi che il mio personaggio vive giornalmente nel dover fare da genitore a un ragazzino praticamente incontenibile. Cucciolo si ritrova suo malgrado a dover essere quel padre che né lui né il fratello hanno mai avuto a diciassette anni, un’età abbastanza delicata.

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Quanto è stato per te complicato portare in scena una figura paterna dal momento che nella tua vita non hai avuto qualcuno a cui ispirarti e con cui confrontarti?

Nella mia mancanza, sono stato molto fortunato. L’assenza di un padre è stata sopperita da un ambiente di persone che mi hanno circondato di affetto: mia madre e mia sorella mi hanno cresciuto insieme come se fossero un padre, dandomi un sacco di insegnamenti, seppur nell’arco dei loro limiti. Chiaramente, hanno fatto quel che potevano dal momento che c’erano cose a cui materialmente, da donne, non potevano rispondere.

Oltre a loro, c’è tutta una squadre di persone che sono entrate nella mia vita e che mi hanno aiutato… persone qualsiasi, come il professore di musica, ma anche personalità che magari non mi conoscono ma che io invece conosco: quando avevo un problema, una frase di Johnny Depp poteva aiutarmi a risolverlo o, quando mi sentivo pigro, The Rock mi insultava e mi spingeva ad allenarmi. E tra queste personalità metto al primo posto, ancora una volta, Jimmy Sullivan.

Quindi, sì, ho sentito la mancanza di un padre ma ho sentito e sento ancora di più l’amore che ricevevo e ricevo giornalmente da tutte le persone che mi sono a fianco. Preferisco pensare più a quello che ho e non a quello che non ho avuto: mia sorella mi ha insegnato che le persone meritano di avere tutti i padri e le madri che servono e non necessariamente quelli biologici.

La storia d’amore tra Cucciolo e Milos non è una storia d’amore omosessuale: è una storia d’amore, punto e basta.

Francesco Panarella

Con un volo pindarico, essere cresciuto solo da due donne è un po’ come essersi formato in una famiglia omogenitoriale. Un aspetto che mi fa venire in mente la storyline che riguarda Cucciolo. In una delle puntate di Mare fuori 3, vediamo Cucciolo protagonista di un delicatissimo e bellissimo coming out, in cui si sottolinea senza forzature l’importanza dell’amore e dei sentimenti. Come hai affrontato il personaggio?

Piccolo preambolo: sono contentissimo e felice di come abbiano scritto il personaggio di Cucciolo e del lavoro fatto dagli sceneggiatori. Sono cresciuto in un contesto in cui l’amore non dipende solamente da una persona o un’altra. Scherzando, dico sempre che sono stato cresciuto da un team di scienziati che mi hanno fatto capire che l’amore non è bianco o nero ma che ha un sacco di sfumature e di colori diversi.

Dopo avermi visto interpretare Cucciolo, mi è stato chiesto varie volte quale fosse il mio orientamento sessuale. Non ho mai risposto ma non perché non abbia le idee chiare. Il motivo è un altro: appartengo a una generazione che sta facendo i salti mortali per far sì che non ci siano più paletti o convenzioni sociali per cui deve necessariamente piacere A o B. Ci stiamo tutti quanti sforzando e stiamo facendo veramente il massimo per far sì che si sia tutti uguali. Non è rilevante quindi cosa mi piace e cosa no.

La storia d’amore tra Cucciolo e Milos non è una storia d’amore omosessuale: è una storia d’amore, punto e basta.

Al di là della domanda senza senso che ti viene posta, quali sono state le prime reazioni e i primi commenti arrivati?

Sono stato molto sorpreso dalla valanga di affetto che ho ricevuto, non me l’aspettavo. Avevo quasi timore della reazione e invece sono arrivati un sacco di complimenti sia da chi conosco da molto tempo sia da sconosciuti. È un calore che ricambio al mille per mille.

Francesco Panarella, Antonio D'Aquino, Salahduin Tijiani Imrana e Giuseppe Pirozzi in Mare fuori 3.
Francesco Panarella, Antonio D'Aquino, Salahduin Tijiani Imrana e Giuseppe Pirozzi in Mare fuori 3.

Mare fuori 3 starà sicuramente sconvolgendo la tua esistenza. Chi era Francesco prima di Cucciolo?

Lo stesso cretino rock con i capelli lunghi che vedete adesso. La differenza è che ora rispetto a prima mi vede molta più gente ma sono sempre io. In molti temevano che potessi in qualche modo cambiare intraprendendo un percorso del genere ma è difficile che avvenga: il cambiamento non è nelle mie corde. E, quindi, faccio le stesse stronzate che facevo prima, niente di nuovo se non qualche occhio in più a guardarmi.

Beh, 12 milioni di visualizzazioni in un solo giorno per Mare fuori 3 sono un po’ di più di qualche occhio. Secondo te, perché piace così tanto la serie tv?

Quello che piace di Mare fuori è che si raccontano delle storie vere, reali, con una delicatezza e con una forza che sono agli antipodi. Da un lato, c’è una forte delicatezza e, dall’altro lato, una delicatissima forza: due aspetti che riescono a entrare nel cuore delle persone più in profondità rispetto ad altri progetti.

Gli adulti nel racconto si sforzano di fare del loro meglio per far da genitori a dei ragazzi che sono cresciuti in contesti dove è difficile fare distinzione fra il bene e il male. Non hanno proprio una linea dritta da seguire ma si sforzano di riportare i ragazzi sulla giusta strada e dar loro una possibilità che dimostri come nella vita, qualsiasi cosa accada, c’è sempre una via d’uscita, un piano B.

Un piano B che sul finale della terza stagione Cucciolo non sembra avere, lasciando via libera a quell’aspirazione da boss che nel corso delle puntate era stata quasi taciuta.

Più che di aspirazioni da boss, Cucciolo ha sulle spalle la responsabilità di pensare al fratello minore e, quindi, fa di tutto per proteggerlo e farlo crescere in un ambiente che, sebbene complicato, sia il più sicuro possibile. Non può dunque far altro che costringersi a essere forte in quel mondo complicato e selvaggio in cui sono cresciuti: il suo obiettivo primario rimane quello di proteggere Micciarella, nonostante tutto e tutti. Punta tutto sull’amore che prova per lui.

Amore non solo per Micciarella ma anche affetto per Dobermann, il ragazzo nero che diventa parte integrante della sua “famiglia” portato in scena da Salahudin Tijani Imrana.

Cucciolo e Micciarella sono un bell’esempio di inclusività. Accolgono Dobermann come se lo conoscessero da un sacco di tempo senza badare al suo colore di pelle. Rientra un po’ nel discorso che facevo anche prima: noi ragazzi della Generazione Z lottiamo per far cadere paletti ed etichette non solo dal punto di vista degli orientamenti sessuali ma anche da tutti gli altri: dal colore di pelle, da come uno porta i capelli o gli occhiali, da come si veste, da cosa pensa, da cosa dice. La diversità è di norma una ricchezza: che mondo sarebbe senza unicità?

Francesco Panarella.
Francesco Panarella.

A proposito di capelli lunghi, è facile camminare per strada senza sentir commenti sgradevoli?

Son sincero: prima della serie tv, qualche commento sui capelli arrivava. Non si trattava di insulti veri e propri ma erano considerazioni: “guarda, c’è Gesù”. Da quando è uscita la serie tv, da Gesù si è passati a Tarzan, che però per me non è mai stato un insulto: è sempre stata una delle mie figure di riferimento, è cazzutissimo! Hanno sempre guardato ai miei capelli con aria di curiosità, come se fossero qualcosa di esotico o strano.

Quanto è stato difficile recitare in napoletano?

Eh. Per fortuna, sono stato aiutato in alcune fasi dai miei colleghi. Li ringrazio moltissimo perché mi hanno supportato tantissimo offrendomi aiuto e spunti. Era la mia prima esperienza d’attore e ho cercato di fare del mio meglio per rendere il mio napoletano il più veritiero possibile, dato che non parlo in dialetto nella vita di tutti i giorni. Il dialetto mi vien fuori ogni tanto, soprattutto quando mi incazzo: se sbatto il mignolino sul comodino, mi incazzo in dialetto! (ride, ndr).

Così come Cucciolo entra all’IPM trovandosi davanti un gruppo di pari totalmente nuovo, tu sei entrato nel cast di Mare fuori 3 trovandoti di fronte a un gruppo di attori già affiatato. Com’è stata l’accoglienza degli altri ragazzi?

È stato come entrare in una nuova comitiva di amici, un gruppo di persone in cui prevale l’affetto. Non sapevo cosa aspettarmi e sono stato sorpreso da come mi hanno accolto: i ragazzi avevano alle spalle già due stagioni e formavano un gruppo già coeso, non sapevo cosa mi attendesse e la reazione mi ha sorpreso. Di mio, sono una persona molto timida, anche se non sembra, ma sin da subito mi hanno fatto sentire uno di loro, presentandosi, parlando con me, invitandomi a uscir la sera o ad andare a prendere un aperitivo. Ricordo che Antonio d’Aquino sin da subito mi ha offerto non so chissà quanti caffè: una delle cose più belle che ricordo del set sono le pause caffè con lui.  

E quella degli adulti?

Hanno svolto per me un’importante funzione di guida. Avendo molta più esperienza alle spalle, ci hanno preso quasi per mano in questo lungo percorso senza mai tralasciare il lato umano: non erano solo guide ma anche una bellissima compagnia di persone con cui parlare e confrontarsi. Non si avvertiva alcuna differenza fra chi era adulto e chi no: ricordo le battute di Vincenzo Ferrera che smorzavano qualsiasi tipo di problema con il sorriso, la dolcezza di Carolina Crescentini, la disponibilità di Carmine Recano (è un grande comandante anche nella vita reale), la sintonia con Lucrezia Guidone (è stato come se ci conoscessimo da molto tempo) e la grandezza di Agostino Chiummariello (potrei parlare ore e ore di lui, non ci sono parole per descriverlo: gli voglio bene come a uno zio).

Mare fuori 3 sta facendo vivere a noi spettatori un bel po’ di addii. Quanto è complicato girare una scena di addio, soprattutto se tragica?

Molto. A me è toccato girare quella dell’addio a Matteo, interpretato da Andrea Verticchio. Ed è stato abbastanza difficile: devi fronteggiare un sacco di aspetti che magari nella vita reale non hai ancora avuto la possibilità di sperimentare e che speri non si presentino mai. Devi far appello a emozioni che non sono all’ordine del giorno ma che comunque fanno parte della vita. Ci si deve concentrare e si fa.

Francesco Panarella.
Francesco Panarella.

Le scene di Mare fuori richiedono anche un impegno fisico di non poco conto. Qual è stata la scena più difficile da girare da questo punto di vista?

Ho un problema a un polso che sto cercando di risolvere. Non è un problema invalidante da un punto di vista fisico ma mi impedisce al momento di suonare la batteria: non suono da cinque mesi ed è come se mi mancasse un pezzo essenziale della mia vita, non aspetto altro che il momento in cui potrò tornare a farlo. Quindi, ho girato la terza stagione con il polso dolorante: le scene di risse o semplicemente alla guida di un motorino mi hanno generato una sofferenza niente male: anche una piccola botta, mi fa vedere le stelle. Tuttavia, la scena più difficile è stata proprio quella dell’addio a Matteo.

Qual è il momento personale più difficile a cui fai appello quando devi mettere in scena situazioni così drammatiche? O quello più allegro, dato che per contrappasso potresti anche andare a ricercare attimi spensierati?

Non c’è qualcosa di preciso ma solitamente tendo a fare leva su quelle che sono le esperienze vissute dal personaggio per renderle reali nella mia testa. Chiaramente, mi vengono in aiuto dal punto di vista emozionale qualche esperienza da me vissuta, come ad esempio la morte di Jimmy Sullivan. Cerco in qualche modo di prendere quel po’ di emozione che ho vissuto per legarla alla grande emozione del momento che sta vivendo Cucciolo.

Venivo preso di mira per i capelli lunghi, per essere un po’ più in carne e per tutta un’altra serie di fattori che comunque non contano un cazzo. Il mondo è nostro, di noi messi da parte.

Francesco Panarella

Questa è una delle tue primissime esperienze. Se dovessi descrivere Francesco, come lo faresti?

Con una parola che Jimmy Sullivan, torna sempre lui ma è il mio riferimento massimo, aveva tatuata sul corpo: fiction, nel senso di racconto fantasioso. Come disse anche lui, “se raccontassi la storia della mia vita a qualcuno, direbbe che è una fiction”. La mia vita è sempre stata insolita: sono sempre stato quello strano, bullizzato a scuola e con alle spalle tutta una serie di cose non proprio carinissime che però mi hanno sempre fatto andare fiero dell’essere me stesso. Anche nelle difficoltà, sono felice di essere stato e di essere tuttora quello che sono.

Bullizzato a scuola, perché?

Per tutto. Alle scuole medie, ad esempio, le cose non è che andassero benissimo. Venivo preso di mira per i capelli lunghi, per essere un po’ più in carne e per tutta un’altra serie di fattori che comunque non contano un cazzo. Il tutto mentre mia madre attraversava un delicato momento di salute.

E in quel periodo a cosa o chi ti appellavi per trovare la forza di andare avanti?

Quando stai quasi affogando e ti senti in alto mare cosparso di acqua, non sai che fare. Io ho trovato la forza oltre che in mia sorella nell’arte in generale: nella musica, nel cinema, nei racconti e nelle storie finte, in cui poteva succedere di tutto e un ragazzino che come me veniva bullizzato a un certo punto cacciava fuori i suoi poteri e ribaltava tutto. Mi ha portato a voler intraprendere questa strada il pensiero che, se nella vita reale non succede nulla, in un film può succedere di tutto. Se non cambia qui, cambia almeno di là.

Hai parlato degli atti di bullismo che subivi a scuola con gli insegnanti?

Si, l’ho fatto ma hanno fatto loro qualcosa? È un aspetto che mi fa sempre incazzare: tutti bravi con le parole ma non con la realtà dei fatti. Proprio per questo, mi sono riproposto che, semmai avessi avuto un giorno la possibilità di avere voce, ne avrei parlato per essere d’aiuto e da spunto a tante persone che stanno vivendo la mia stessa situazione. Che mi sarei battuto per chi prova o ha provato quello che ho provato io. Spero oggi di poter essere d’ispirazione per chi è stato meno fortunato.

C’è ancora un tabù che ci vuole a tutti i costi vincenti e che ci porta a mostrarci forti e a non lasciar trasparire le emozioni: se parli di ciò che provi, dei tuoi problemi o di ciò che ti passa realmente per la testa, vieni etichettato come debole. “Gli uomini non piangono” è un cliché da abbattere: se piangi o se parli dell’essere bullizzato non significa che tu sia una persona meno forte. Anzi, ci vuole molto coraggio nel farlo: quando viviamo un problema, non vergogniamoci a parlarne con uno specialista, con un genitore o con chiunque altro, da una sorella a un amico. In fin dei conti, anch’io ero uno sfigato e, anche se non mi piace la parola, diverso.

Ma essere diversi è una cosa fantastica, quindi, viva gli sfigati, viva gli strani, viva i vulnerabili: il mondo è nostro, di noi messi da parte.

Non a caso hai citato prima Johnny Depp, un attore che ha spesso interpretato personaggi emarginati e marginalizzati. Penso ad esempio a Edward mani di forbice

È una delle persone che non mi conosce ma che mi ha aiutato ad accettare la mia vulnerabilità e a essere fiero di ciò che sono. Ha sempre portato avanti con i suoi personaggi la narrativa dell’esser fieri della propria unicità. Da un punto di vista attoriale, Depp è un mostro sacro e amo tutti i suoi personaggi, da Jack Sparrow a Don Juan de Marco.

Francesco Panarella.
Francesco Panarella.

Che ne pensa mamma nel ritrovarsi con un figlio attore?

Mamma è commissario di polizia e, a parte che la fa strano vedermi nei panni di un detenuto, sin dal giorno in cui ho superato il provino è stata fiera e felice di me. È impazzita del tutto: zompetta di qua e di là a dire a tutti quanti quanto sia contenta. Non si stanca mai di dirlo.

Come Cucciolo, sei cresciuto a Napoli ma hai scelto una strada diversa dalla sua. Come si fa a scegliere di rimanere sulla retta via?

Non c’è una vera e propria formula matematica. Più che di scelta, è una questione di contesto. Sono cresciuto con una mamma che fa un determinato lavoro e un ritratto di Falcone e Borsellino in salotto. Ma, indipendentemente dal contesto in cui si vive, Mare fuori ci ricorda che c’è sempre la speranza, la possibilità di redimersi nel caso in cui si prendano strade sbagliate.

Qual è la tua speranza in questo momento?

Vorrei lavorare, crescere e migliorare molto. Vorrei affrontare un sacco di sfide nuove per testarmi e mettermi alla prova.

E hai incontrato di recente qualcuno di quelli che ti bullizzavano?

Non ancora. Ma di recente sono andato nella scuola media che frequentavo ospite del mio professore di musica. Tra i ragazzi c’era anche la sorella più piccola di uno di loro: lo sguardo dolce nei suoi occhi mi ha fatto pensare che c’è speranza.

Francesco Panarella.
Francesco Panarella.
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