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Gabriele Cirilli: “E ora parliamo di amore” – Intervista esclusiva

gabriele cirilli
Alla vigilia del debutto a Roma dello spettacolo teatrale Pot pourri d’amore, Gabriele Cirilli racconta a TheWom.it la sua idea di amore e di arte a 360°, partendo dal rapporto che lo lega con i giovani ragazzi che frequentano la sua Factory, nata sulle orme di Gigi Proietti.
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Siamo abituati a vedere Gabriele Cirilli in tv sempre pronto a farci ridere. Anche i suoi racconti attraverso le pagine di quotidiani e riviste sono sempre improntati all’insegna della battuta: del resto, parafrasando una famosa frase, non puoi togliere il comico da dentro l’attore. Ma oggi TheWom.it prova a fare un’operazione inedita con Gabriele Cirilli: provare a togliere l’uomo dal comico e fargli raccontare dei suoi sentimenti, soprattutto d’amore, verso la famiglia, la moglie, il figlio, l’arte e i ragazzi che frequentano la sua Factory.

L’occasione ce la dà lo spettacolo Pot pourri d’amore che Gabriele Cirilli porta in scena al Teatro Golden di Roma lunedì 8 gennaio. Si tratta di uno spettacolo ideato e diretto dallo stesso Gabriele Cirilli con gli allievi o, meglio, gli attori della Factory e la simpatica collaborazione di Valter Lupo. La Factory non è altro che la prima e unica scuola di formazione professionale che, voluta da Gabriele Cirilli, si ispira al Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Roma di Gigi Proietti, maestro dell’attore abruzzese. Si trova nella cornice del comune di San Salvo, in provincia di Chieti, e insegna recitazione, danza, canto e tutto ciò che serve per formare nell’arco di due anni nuovi attori e figure dietro le quinte.

E Pot pourri d’amore, come ci racconta Gabriele Cirilli, nasce proprio dall’esigenza di trasformare, da un input di sua moglie Maria, uno spettacolo di fine anno della Factory in un evento da portare in giro facendo sì che gli studenti abbiano il loro effettivo battesimo come attori professionisti. Già dal titolo si evince quale sarà l’argomento centrale: l’amore, quel sentimento di cui tanto si parla ma che poco si vede in giro, soprattutto negli ultimi tempi. Alla base c’è il desiderio di riprendere i brani più famosi, e anche quelli meno noti, di opere teatrali, di opere tragiche greche, di film cult, di cartoon di Walt Disney, di musical e farne una miscela che permetta allo spettatore di esplorare tutte le sfaccettature di un sentimento tanto nobile e gentile quanto potente e distruttivo.

Amore tra due innamorati, come i due amanti per antonomasia: Romeo e Giulietta, nella scena del balcone. L’Amore non ricambiato, quello di Rossana verso Cyrano. Quello filiale di Mrs Doubtifire e di Filumena Marturano. L’Amore premiato, di Admeto e Alcesti. Ma anche l’Amore eterno e incorruttibile di Penelope che incontra la Bisbetica Domata di Shakespeare o l’Amore di Sally e Harry. E tanti altri spunti, dal teatro classico alle opere più moderne.

Gabriele Cirilli.
Gabriele Cirilli.

Intervista esclusiva a Gabriele Cirilli

“Secondo me, in modo errato”, è la prima risposta che Gabriele Cirilli mi dà quando prima di cominciare la nostra intervista gli manifesto il mio rammarico per non vedere più Kruska, il suo mitico personaggio, in scena anche a causa delle a volte sterili polemiche che si innescano in nome di un politically correct fuorviante.

“Il personaggio era nato per far satira sui difetti fisici e sottolineare proprio che nessuno è perfetto. Si scherzava sul difetto per esorcizzarlo e non per prendere in giro qualcuno: chiaramente non da tutti è stato percepito e capito. Quando voglio, comunque, la riporto in scena, proprio perché si tratta di satira sociale e di costume: tutte le storie di Kruska si concludevano con lei che diceva ‘Guai a voi: se prendete in giro l’amichetta mia, vi corco’”.

L’8 gennaio va in scena la prima dello spettacolo Pot pourri d’amore al Teatro Golden di Roma. Come nasce l’idea di lavorare con i ragazzi della tua scuola?

La risposta parte da lontano. Sin da quando ero un po’ più giovane, ho sempre avuto il desiderio di portare agli altri ciò che io ho ricevuto dal mio maestro, Gigi Proietti. Ho sempre voluto comunicare ai ragazzi tutto il mio sapere, mettendo a loro disposizione tutto quello che so e che mi è stato tramandato da lui. Portare avanti l’idea proiettiana per me era fondamentale. Oggi ci sono troppe pseudo scuole e troppe masterclass che prendono in giro i ragazzi invitando pseudo vip a far lezioni in cui si limitano a raccontare le loro storie per poi dare un attestato ai partecipanti che possono così scattarsi un selfie da mettere sui social per dire di essere “attori”… Ma non è così che si mostra a un ragazzo come lavorare.

Alla Factory, la scuola di alta formazione che ho fondato, abbiamo messo in piedi un percorso con professionisti veri e con insegnanti del calibro di Fabrizio Costa, Giorgia Trasselli, Valter Lupo, Flavio Insinna, Francesca Reggiani, Fabrizio Mainini, Daniela “Dada” Loi, Matteo Becucci, Mario Scaletta e Francesco De Vito, affiancati dalla psicologa Sonia Abbondanza. Il nostro obiettivo è portare i ragazzi che la frequentano sul palco: noi diamo loro le basi e loro cercano di impararle per poi metterle in pratica per dimostrare quello che hanno imparato.

Ad avere l’idea dello spettacolo è stata mia moglie, che gestisce la Factory: ‘Perché non portiamo in giro lo spettacolo che abbiamo messo su a fine anno che ci ha fatto letteralmente sudare e facciamo diventare ufficialmente attori i 50 allievi che vi hanno preso parte?’. Ed è così che siamo arrivati alla serata dell’8 gennaio in cui in uno spettacolo, nato da una mia idea, parleremo d’amore. Il perché dell’amore è presto detto: abbiamo tutti bisogno di questa parola soprattutto in questo periodo e soprattutto i ragazzi. Non voglio fare il predicatore ma occorrerebbe ripartire da quel sentimento per ricostruire il presente stesso…

Noi lo decliniamo in tante maniere possibili - amore per i figli, amore per i genitori, amore per l’amante, amore per il marito – tirando in ballo personaggi di varia natura, da Rossana e Cyrano a Romeo e Giulietta, passando per Admeto e Alcesti o Filumena Marturano. Si tratta di uno spettacolo completo in tutti i sensi: fa ridere, piangere… ed è molto bello!

Tra l’altro, alla base c’è anche tantissimo teatro classico, a cominciare dalle tragedie.

Credo che sia fondamentale per dare le basi ai ragazzi. Agli studenti dico sempre di lasciare stare TikTok o Instagram: va bene essere social ma non rappresentano un modo per imparare l’arte. Faccio sempre a tal proposito un esempio: non si diventa medici attraverso i social ma andando a scuola, studiando all’università, laureandosi e facendo pratica. I social servono semmai a far conoscere l’esistenza di un medico dopo che questi ha però fatto il suo percorso.

https://www.instagram.com/p/CyS55sdoXGm/

Il percorso proposto dalla Factory dura due anni ed è molto diverso da quello delle scuole televisive che cominciano a settembre e finiscono a maggio.

Serve il tempo giusto per far imparare qualcosa. Non è una questione economica: siamo un’associazione e, se lo facessi per soldi, potrei già chiudere oggi. Lo facciamo per passione anche nostra: vedere i ragazzi, che arrivano spaesati o distrutti psicologicamente anche dal periodo storico che abbiamo vissuto, rifiorire, mettere da parte un’arte e riuscire a portarla in palcoscenico è per noi una soddisfazione enorme. Con loro, ho fatto anche uno spettacolo televisivo che si vedrà in primavera su Nove… sono una persona molto pratica: se ti ho scelto è perché per me puoi arrivare al tuo obiettivo ed io ti do i mezzi per permetterti di arrivarci.

Come mai ha sede a San Salvo in provincia di Chieti?

È in Abruzzo, la regione in cui sono nato. È stata una coincidenza a far sì che sorgesse lì: mi è stata proposta l’idea da una neo sindaca che voleva ringraziarmi per aver curato tanti anni fa la presentazione del libro di un amico… è stato il suo modo per ricambiare una cortesia che io neanche ricordavo. Stiamo, comunque, bene in Abruzzo perché per me è casa: è una delle regioni più belle d’Italia, non ancora scoperta dal turismo di massa ma con tanto da dare, anche più di altre. È coinvolgente, anche culturalmente parlando, perché è piena di storia: Sulmona, la città in cui sono nato, è ad esempio una città risalente ai tempi dell’Antica Roma, ha dato i natali ad Ovidio Nasone (il poeta degli amorosi sensi) ed è stata la prima capitale d’Italia dopo il gran rifiuto di papa Celestino V.

Faccio quasi da testimonial all’Abruzzo senza nemmeno essere pagato (ride, ndr). Per la scuola non riceviamo nulla e niente pretendiamo. Ma nemmeno dai ragazzi: le rette sono minime e ospitiamo anche allievi che provengono da altre regioni (di abruzzesi, ce ne sono pochissimi) dando loro un posto dove dormire, vivere in comune e fare esperienza.

C’è un range di età per essere ammessi alla Factory?

I primi due anni di scuola sono stati aperti un po’ a tutti. Abbiamo voluto dare una seconda opportunità a chi non l’aveva avuta. Abbiamo ad esempio accolto un ragazzo, secondo me bravissimo, che diventando padre da giovane aveva rinunciato alla carriera di attore.

Nel secondo biennio, invece, abbiamo deciso di aprire i corsi solo a ragazzi molto giovani, in modo da plasmarli: sono convinto che ci sia un’età in cui è più facile far imparare un mestiere. Solitamente, entro i 25 anni è molto più facile farlo.

E ci sono dei requisiti minimi richiesti?

Devono avere un’idea minima di quello che andranno a fare. Devo poi percepire attraverso i provini che c’è una base su cui poter lavorare: devono avere doti di ascolto e un minimo di talento. Se non percepisco ciò, è inutile far loro frequentare una scuola. Un po’ come faceva anche Gigi Proietti, prendo caratteristi, primi attori e giovanissimi, sia uomini sia donne, come se la stessa scuola fosse una compagnia stabile.

Gabriele Cirilli e i ragazzi della Factory.
Gabriele Cirilli e i ragazzi della Factory.

Tra te che frequentavi la scuola di Gigi Proietti e i ragazzi che frequentano la tua c’è di mezzo una generazione. Noti differenze di approccio alla recitazione?

Nonostante i social e i tempi che sono cambiati, l’approccio è lo stesso. Non c’è epoca o gap generazionale che tenga, ci sono semmai strumenti diversi ma stessa modalità.

Ricordi come ti sei sentito il giorno in cui hai partecipato alla tua prima lezione al Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Proietti?

Ricordo ancora esattamente tutto quanto, dall’entrata del Cinema Arcobaleno alla bacheca a sinistra in cui erano appesi i nomi di coloro che erano stati presi. Alla prima lezione, c’era Annabella Cerliani a far da apripista: insegnava Storia del Teatro e mise noi studenti tutti intorno a un tavolone… ero emozionatissimo ed avevo anche paura di parlare perché il dialetto abruzzese incombeva ancora sul mio linguaggio. Ho scoperto solo dopo, grazie alle lezioni di dizione di Vanna Polverosi, che il dialetto è importantissimo ma solo se supportato da una dizione perfetta.

E ricordi anche i tuoi compagni di corso?

Flavio Insinna, Enrico Brignano, Nadia Rinaldi, Chiara Noschese, Francesco Pannofino e tutta una serie di persone di cui posso fare i nomi ma che a molti non dicono niente perché adesso lavorano dietro le quinte come autori o registi. Ma ricordo perfettamente tutto, anche dove eravamo seduti durante la prima lezione.

Non avevi la sindrome dell’allievo che si blocca di fronte ai maestri?

No, quella per fortuna no. Se si ha quella sindrome, è un problema: bisogna lavorarci sopra. Anche perché più ci si convince che si sbaglierà, più è certo che accadrà. Bisogna semmai essere anche un po’ presuntuosi, andare sul palco senza timore e dimostrare quello che si sa fare, sempre con educazione.

https://www.instagram.com/p/C06ZyjhozKz/

Lo spettacolo, come dicevamo, si chiama Pot pourri d’amore e declina l’amore in ogni sua sfaccettatura, compreso quello filiale. Abbiamo tutti visto il tuo moto d’orgoglio sui social con la foto del giorno della laurea di tuo figlio Mattia. Cos’è per te l’amore filiale? È diverso da quanto lo vivi con la prospettiva del padre e non più solo del figlio?

Quando sei padre capisci delle cose che prima non capivi: è un ruolo difficilissimo che quando sei figlio giudichi con molta facilità. Si capisce che essere giudicato è invece molto importante… spesso mi ritrovo a dire a mio figlio “come diceva mio padre” ma quand’ero figlio non mi permettevo mai di chiedere “Come dici, papà?”: è una verità che si capisce sempre troppo tardi.

Ho cercato di dare a mio figlio Mattia i valori che ho ricevuto dai miei genitori. E la stessa cosa ha fatto mia moglie Maria. Gli abbiamo trasmesso i valori della famiglia, gli stessi che andrebbero ritrovati insieme a quelli della scuola: se oggi riuscissimo a rimettere in piedi scuola e famiglia, avremmo risolto un bel po’ di problemi che vengono adesso denunciati anche in televisione. Spesso si adduce la responsabilità al cosiddetto “patriarcato” ma non sempre è la risposta giusta: io ricordo ad esempio come a casa mia abbia sempre comandato mia madre…

Quando sei padre, cominci a casa un lavoro con tuo figlio che speri venga continuato anche fuori, dove un figlio ha a che fare con le amicizie, con la fidanzata, con la scuola e via dicendo. Sono orgoglioso di quello che ha fatto Mattia perché è quello che avrei dovuto fare io con i miei senza esserci però riuscito. È questa la ragione per cui ho dedicato la sua laurea ai miei genitori: oggi non ci sono più ma, se ci fossero stati, sarebbero esplosi di gioia. Mio padre, soprattutto, avrebbe voluto che mi laureassi…

Desiderava qualcosa di specifico per te?

Sinceramente, voleva che fossi felice ma era un po’ più per i lavori tradizionali, quelli che davano maggior sicurezza… Non che il teatro non sia un lavoro tradizionale, esiste dai tempi dei tempi, ma è un mestiere di certo più precario del professore, dell’avvocato (lavoro di mio fratello) o di qualsiasi altra professione più “sicura” e meno precaria, più utile alla società in senso pratico. La mia lo è a livello psicologico, semmai: agisce sulla psiche delle persone e me ne rendo conto ogni sera quando la gente viene a salutarmi in camerino e mi dice di essere stata bene.

Come hanno preso i tuoi la decisione di diventare attore?

Ho un po’ combattuto… ma ho avuto la fortuna di avere una mamma emiliana che adorava il mio talento. L’ha riconosciuto subito quando a sei o sette anni, non ricordo di preciso, salii per la prima volta su un palcoscenico. È stata lei a darmi la possibilità di esprimere al meglio la mia passione ed è una fortuna avere in famiglia qualcuno che come lei mi ha fatto da sprono, accompagnandomi persino al provino per la scuola di Proietti a bordo di una Cinquecento.

E quando è nata in te la passione per questo lavoro?

È una passione nata senza saperlo. Ricordo che mi ritrovai a cantare ore dopo essere andato a teatro con mia nonna a vedere un’opera lirica… Mi piaceva tanto stare al centro dell’attenzione e ho cercato di dare priorità a questa mia ambizione. È stato poi il destino a portarmi sulla strada della recitazione: sono stato bocciato a scuola e, se non fosse mai successo, sarebbero saltate molte coincidenze, sarei uscito un anno prima dalle superiori e probabilmente avrei scelto un’altra strada. Chissà dove sarei andato…

Gabriele Cirilli.
Gabriele Cirilli.

Alla luce del percorso che hai fatto finora, pensi che quello per la recitazione sia stato un amore totalmente ricambiato? Non pensi che non ti sia stata riconosciuta qualcosa?

Ho fatto tutto quello che potevo. È chiaro che il percorso di una persona non coincide sempre con quello che uno vorrebbe. Vorrei fare tanto cose che, purtroppo, un po’ per una questione fisica e un po’ perché non sono raccomandato, non sono ancora riuscito a fare: mi piacerebbe un film da protagonista, un bello show televisivo tutto mio, una bella fiction. Essere protagonisti piace un po’ a tutti ma ho finora fatto tutto quello che mi piaceva e che volevo fare: cantare, ballare, recitare in chiave sia comica sia drammatica. L’importante, per me, è fare tutto con dignità, onestà e passione. Lo ripeto sempre anche ai miei ragazzi: “non esistono piccole parti ma esistono semmai piccoli attori… anche quando capita di dire solo tre battute, occorre dirle bene”.

Tornando all’amore, è grande quello che ti lega a tua moglie Maria. Vi siete conosciuti poco prima di finire il liceo e lavora al tuo fianco. È facile coniugare la dimensione privata con quella professionale?

È difficilissimo. Mia moglie è farmacista e potrebbe subentrare in lei anche una sorta di frustrazione per aver accettato di stare al mio fianco, ha dovuto un po’ adeguarsi al mio cammino mettendo da parte ciò che magari le sarebbe piaciuto fare per l’amore della famiglia. Non dico che ha sacrificato, è un brutto verbo, ma ha sicuramente modificato il suo percorso mettendo da parte il suo talento e il suo sapere per produrre i miei spettacoli o per dirigere la scuola, ritrovandosi a far cose che magari non voleva fare ma che svolge bene e con professionalità. Bisognerebbe chiedere a lei se avesse preferito far altro. Ha scelto, però, la famiglia.

E il concetto di famiglia per te è fondamentale, tanto che anche la tua società si chiama Ma.Ga.Mat, dalle vostre tre iniziali: Maria, Gabriele e Mattia…

Il titolo del mio prossimo spettacolo sarà proprio Cirilli and Family… per me, il team, la squadra, la famiglia è fondamentale per qualsiasi cosa: da soli, in qualsiasi campo, non si va da nessuna parte.

E nella tua famiglia rientrano anche i meno fortunati. Da anni sei testimonial di City Angels.

Cerco di essere utile con la mia immagine. Visto che Dio mi ha dato la possibilità di diventare popolare, metto la mia popolarità a disposizione di cause utili quando serve. Ogni volta che mi chiedono di prestare la mia immagine (lo ha fatto più volte anche per associazioni come Emergency o Amnesty International, ndr) a scopo solidale e benefico, non dico mai di no, senza chiedere mai nulla in cambio. Spesso, ci ho rimesso di tasca mia ma per me è come quando si lascia qualche banconota o qualche spicciolo alla persona che sta seduta per terra…

Gabriele Cirilli.
Gabriele Cirilli.

Famiglia è anche Tale e quale, l’ormai storico programma di Rai 1. Carlo Conti dopo tanti anni per te è come un fratello. Quanto ti diverti?

Tantissimo e proprio perché è un continuo mettersi in gioco a 360°. Come mi ha insegnato il mio maestro Gigi Proietti, metto a disposizione tutta la mia arte e mi diverto. Al di là poi del fatto che molti dei personaggi interpretati diventano virali, da Psy a Orietta Berti, restituendomi tanto di quell’amore che altrimenti non sarebbe mai arrivato. Ci sono personaggi che si interpretano o per cui ci si traveste ma ce ne sono altri a cui si è veramente simili: mia suocera, in tempi non sospetti, è stata la prima a dirmi che avrei dovuto “fare” Orietta Berti perché le somigliavo!

Così come ce ne sono altri dentro cui devi mettere del tuo e di mio ci metto la goliardia: non sono né un imitatore né un cantante ma di me si apprezza l’interpretazione. Ricorderò sempre i complimenti che mi ha fatto avere tramite sua moglie Pino Daniele, che si era molto divertito nel vedere la versione che di lui avevo reso.

Qual è la critica che maggiormente ti ferisce?

Quella cattiva, fatta senza alcun spirito… critico, per l’appunto. Accetto chi mi dice che non l’ho fatto ridere e mi spiega il perché – è costruttivo – ma è cattiveria sentirsi dire “non fai ridere”, come se fosse una verità assoluta e universale. Lo si scrive solo per far del male trasformando qualcosa di strettamente soggettivo in un’oggettività contestabile anche da una sola persona che ha invece riso. Capita spesso che avvenga per ragioni politiche o perché stai sulle scatole a qualcuno quando invece bisognerebbe essere molto obiettivi e onesti. Dovrebbero esserlo anche i critici di professione…

Gabriele Cirilli e i ragazzi della Factory.
Gabriele Cirilli e i ragazzi della Factory.
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