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“Bisogna trovare il coraggio di non stare in silenzio e di non vivere da invisibili” – Intervista esclusiva alla cantautrice Gabriella Martinelli

Tutto daccapo è quello che ha fatto Gabriella Martinelli ma è anche il titolo del suo ultimo disco. Cantautrice e pittrice, è rinata nel segno del glam e di un’indipendenza musicale unica, con mille sfaccettature e nessuna etichetta.

Gabriella Martinelli ha ricominciato tutto daccapo. Ha chiamato così il suo ultimo disco, uscito per l’etichetta OTR Live, e ha tagliato i suoi lunghi capelli. Ha rivoluzionato la sua immagine e si presenta con un tocco glam che ben rede la sua evoluzione.

Eppure, non è la prima volta che Gabriella Martinelli ricomincia tutto daccapo. Lo ha fatto la prima quando ha deciso di lasciare Taranto, la città in cui è cresciuta e a cui sente di appartenere, per fare la busker, l’artista di strada. Nei suoi viaggi, con la chitarra e l’amplificatore a batteria come uniche valigie, ha conosciuto persone, incrociato strade e imparato a guardarsi intorno. I suoi occhi filtrato le mille realtà diverse che incrociavano, le mille sfumature differenti che le aprivano nuovi orizzonti. Gli stessi che, fatti propri, esteriorizza anche nei suoi dipinti espressionistici.

Musica e pittura sono per Gabriella Martinelli alla stessa stregua. Non esistono confini tra le due arti, comunicano e si riflettano. Ne è passato di tempo da quando nel 2013 ha fatto capolino nel talent show Rai The Voice of Italy. E sembrano passati anche secolo da quando nel 2020 ha calcato il palcoscenico del Festival di Sanremo in coppia con Lula con un brano, impegnato si direbbe oggi, sul disastro ambientale legato all’ex Ilva di Taranto, Il gigante di acciaio.

Nonostante gli anni intercorsi siano pochi, Gabriella Martinelli ha preso consapevolezza del suo essere donna. Ha lasciato che la sua musica parlasse con e per lei, con sensibilità e attenzione. Nelle sue canzoni, che spaziano dal rock alle ballad, non ha paura di affrontare temi come l’accettazione di sé, la violenza di genere, le disparità di genere o la violenza. Del resto, da giovane donna sa qual è il peso del sacrificio che a una donna viene richiesto: pregiudizi e preconcetti sono duri da estirpare.

Ma non si può non sottolineare come Gabriella Martinelli sia una persona colorata. Ha deciso di mettere da parte le ombre e ha lasciato che a caratterizzarla siano i colori. Accesi, vivaci, glamour. Attenta alla moda, “estensione dell’immagine di un’artista” per usare le sue parole, Gabriella Martinelli è simbolo di quella generazione Z che oggi rifiuta ogni etichetta. È sempre proiettata al futuro, vive il presente con consapevolezza e affronta, come dichiara in quest’intervista, un passato non facile da dimenticare, in cui le mani non sempre erano sinonimo di amore.

E, aggrappandosi alle sue mani, le stesse con cui suona la chitarra, ha realizzato un disco, Tutto daccapo, che è un manifesto di tutte le sue sfaccettature. Le canzoni sono speculari a lei, non temono di osare e di sfidare i luoghi comuni. Dopotutto, per essere felici basta davvero poco: la semplicità e un tappeto per volare, come in una fiaba, dove si può star bene, senza gabbie che incasellano e tarpano le ali.

TheWom.it ha intervistato Gabriella Martinelli. Partendo dalla sua concezione di artista in evoluzione, abbiamo approfondito il suo approccio alla vita e la sua anima, bella come poche.

Gabriella Martinelli.
Gabriella Martinelli.

Intervista esclusiva a Gabriella Martinelli

Ti definisci un’artista in continua evoluzione. Cosa significa per te?

Mi annoio a fare le cose sempre allo stesso modo. Sono molto curiosa. Siamo fatti di sfumature e trovo che sia importantissimo oltre che bellissimo sottolinearlo. Ed è il motivo per cui sono felicissima di quest’intervista con TheWom.it: voi portate avanti una battaglia importante da questo punto di vista. Siamo figli di periodi diversi della nostra vita: oggi sono sicuramente quella che non ero ieri. E per fortuna! Seguiamo l’evoluzione naturale.

In questo mio nuovo disco, Tutto daccapo, ho deciso di portare alla luce tutti i miei colori o, almeno, una parte perché probabilmente ce ne sono ancora degli altri che non ho ancora scoperto, non amo le classificazioni. In genere, nella vita come nella musica.

Suonare per strada non è facile per niente perché la gente decide di dedicare parte della sua giornata, e quindi della sua vita, a te in quel momento. Ti incontra per caso e decide di fermarsi lì. È una roba di una potenza allucinante

Gabriella Martinelli.

Etichette che non portano mai da nessuna parte ma che ti incasellano. È un po’ come nella battaglia navale, ti lasciano in una casellina per poi affondarti. Quando sento parlare di continua evoluzione non posso non pensare ad artisti come Anna Oxa. Chi è in continua evoluzione è una persona che è ancora curiosa di conoscere se stessa. Immagino che la tua di evoluzione sia figlia anche delle esperienze pregresse. Come quella di busker, in giro per l’Europa. Un’esperienza all’apparenza strana ma che nasconde una realtà immensa, indefinita e indefinibile. Cosa ha rappresentato per te fare l’artista di strada? Cosa facevi? Qual era la reazione del pubblico? Che tipo di ricordi ti porti dietro? E cosa hai imparato in quegli anni?

Noi ci arricchiamo continuamente di nuove esperienze e, quindi, di nuove influenze. La strada ha insegnato a me tantissimo. Sono partita subito dopo i miei anni di Conservatorio e di liceo con il mio amplificatore a batteria e la chitarra, alla ricerca di qualcosa di nuovo, a me completamente sconosciuto. Sono stati due anni super rock’n’roll. Ho incontrato persone assurde. Ho dormito ovunque. E ho raccolto storie che poi ho riportato nei miei lavori precedenti, in cui mi sono divertita a disegnare personaggi che definirei più “fumettistici” conosciuti nei miei viaggi.

Suonare per strada non è facile per niente perché la gente decide di dedicare parte della sua giornata, e quindi della sua vita, a te in quel momento. Ti incontra per caso e decide di fermarsi lì. È una roba di una potenza allucinante, preziosissima. Per cui, sta a te artista cercare, con la massima verità, di attirare l’attenzione e gli sguardi. A me questo tipo di esperienza ha portato un insegnamento enorme: nei miei concerti, parto con un’idea di scaletta che però non rimane mai la stessa. La cambio se mi accorgo che il pubblico mi dà un segnale di un certo tipo, si sta annoiando oppure ha voglia di maggiore energia. Faccio sì musica per me stessa ma mi piace pensare di farla per gli altri, più di ogni altra cosa.

Parlando di continua evoluzione, mi hai citato Anna Oxa che è meravigliosa. Ma uno dei miei artisti preferiti che, secondo me, ha fatto la storia da quel punto di vista è David Bowie. Ma potremmo dire anche Lucio Dalla. Artisti che puntavano a non assomigliarsi mai, a superare sempre se stessi. Perché possiamo essere, per fortuna, veramente mille cose.

Ritratti e dipinti, non posso non chiederti della tua altra grande passione: la pittura. Le canzoni come i quadri sono delle creazioni: parti da un foglio bianco per dare vita a mondi che possono essere concreti o alieni, lontani da te. Come coniughi le due cose?

Trovo che non ci siano confini tra le due diverse forme d’arte. Anzi, mi capita spessissimo di essere influenzata dalla pittura nella scrittura delle canzoni e viceversa. Molto spesso, dipingo quando ho bisogno di distrarre i miei pensieri. So quando inizio ma non quando finisco. Un quadro può avere mille vite. La tecnica che utilizzo è espressionista è astratta. E questo mi diverte ancora di più: non parto da un soggetto preciso. Lo stesso mi succede spesso anche nella scrittura delle canzoni. Sì, magari ho l’esigenza di fermarmi su un argomento piuttosto che su un altro, però poi mi capita di prendere una direzione diversa.

Protagonista dei miei dipinti è il colore. Così come della mia musica. È coloratissima. Anche nel mio ultimo disco, ho cercato un sound esplosivo, fluido, che arrivasse come una grande botta di vita. Quando dipingo è come se entrassi in uno stato di trance e la parte più inconscia della mia psiche si rivelasse sulla tela, è un viaggio profondissimo che non conosce imposizioni.

Ultimamente, in questi due anni di pandemia, ho scoperto che sono tantissimi gli artisti, i musicisti, che dipingono anche. E posso anticipare, in forma esclusiva, che sto lavorando a un format tv in cui si incontrano musica e pittura. Storicamente lo facevano i grandissimi, come Bowie citato prima, Joni Micthell, Bob Dylan, Franco Battiato… ma ancora adesso ci sono tanti che lo fanno. Non esistono confini e c’è una grandissima connessione tra musica e pittura, così come tra musica e moda, intesa come prolungamento dell’immagine dell’artista. La moda è un altro elemento che a me diverte tantissimo.

Gabriella Martinelli.
Gabriella Martinelli.

Come hai dimostrato nelle foto che accompagnano Tutto daccapo. Hai rivoluzionato la tua immagine e hai scelto un look molto colorato, senza etichetta, fluido. Senza rispondere a canoni imposti da chissà chi o chissà perché. Penso sia frutto di una tua ricerca.

Esatto. Anche perché nel tempo ho scoperto che mi diverte giocare con la teatralità del mio corpo. Ho stretto una collaborazione con Veronica Di Pietrantonio, una stilista fiorentina giovane e molto creativa. Ha realizzato su di me le gorgiere, i grandi colli che si rifanno all’età elisabettiana. Mi ha detto: “La regina Elisabetta I è stata la prima vera grande rockstar dell’epoca”. Ed è divertente riportare questo su un corpo che piò essere paragonato a un grande quadro. E torna anche il discorso delle sfumature, della fluidità, della trasversalità. Periodicamente ragioniamo su nuovi colori e nuove forme che mi diverto a raccontare sui social.

Un’immagine totalmente diversa da quella che avevi proposto nel 2013 partecipando al talent The Voice of Italy. Quanta importanza hanno i talent nel percorso di un’artista? I talent servono alla musica o è la musica a servire ai talent? Serve un’esperienza come quella?

Non ho tratto grandi benefici dal concetto di sfida. Lo ricordo in modo non costruttivo. Però, l’esperienza televisiva di per sé mi ha lasciato e mi ha insegnato delle cose importanti. Anche nella banalità di imparare a guardare nella luce di una telecamera piuttosto che a rapportarsi con un pubblico televisivo molto grande. Aspetti che poi mi sono ritornati utili al Festival di Sanremo 2020. Ho tratto tesoro da quella esperienza.

Il conflitto, invece, non ha a che fare sicuramente con la musica. Credo, tra l’altro, fortemente nelle collaborazioni e spero di averlo dimostrato partecipando al festival con un’altra artista (Lula) o duettando nell’ultimo disco.

Qualcosa comunque mi ha lasciato. Figlia di quel periodo della mia vita in cui vagavo e cercavo veramente qualsiasi tipo di occasione. E poi ho conosciuto anche altri artisti che ho ritrovato nel mio percorso, addetti ai lavori… ha avuto i suoi lati positivi.

Guardando i talent da casa, siamo soliti puntare il dito pensando che i partecipanti vengano forgiati fino al punto di annullare le loro personalità. Fortunatamente, nel tuo caso non è successo.

No. È un’esperienza che non è durata tantissimo nel mio caso. Non saprei dirti cosa sarebbe successo dopo. Però, sarei stata pronta ad affrontare la questione con determinazione rispetto ad alcune imposizioni che non avrei sicuramente accettato. Anche le canzoni che ho portato sono state scelte da me. D’accordo con gli autori ma mie proposte. Dal punto di vista musicale, sono stata lasciata libera. Anche durante le selezioni ho avuto modo di cantare le mie canzoni e ciò mi ha riempita di orgoglio. Sono arrivata con determinazione ma con l’incoscienza di chi aveva tutto da scoprire.

Non ho amato, come dicevo prima, il conflitto. Non mi piace l’idea di dover vincere o perdere contro qualcun altro. È un po’ quello che rimprovero anche alla mia esperienza sanremese. Potentissima, bellissima ma durata troppo poco sul palco dell’Ariston e ridotta a una sfida. La musica non ha a che fare con quello.

La tua esperienza sanremese è stata anche anticipatoria di uno dei temi sociali che oggi fa maggiormente discutere: il disastro ambientale. In Il gigante d’acciaio si parlava dell’ex Ilva di Taranto. Peccato che la sfida l’abbia fatta passare quasi inosservata, senza prestare attenzione alle parole che cantavate. È il grande inganno della televisione: ci soffermiamo sulle immagini senza andare oltre.

La sfida è fine a se stessa.

Ho sempre pensato che si debba trovare il coraggio di non stare in silenzio e di non vivere da invisibili, anche a costo di risultare scomodi o scomode. E, purtroppo, le forme di violenza di genere che ci riguardano sono ancora tante oggi, dall’imposizione dei ruoli all’invisibilità, dalla violenza alla disparità salariale.

Gabriella Martinelli

Prima di Sanremo 2020, c’è stata la pubblicazione nel 2018 di La pancia è un cervello col buco, progetto crossover in cui racconti di donne libere e coraggiose, che non si riconoscono in una limitazione di genere. Come è nato il progetto?

Le donne di quel disco sono donne che ho cercato e che ho messo accanto in modo preciso per lanciare un messaggio che in qualche modo torna anche in Tutto daccapo. Ho sempre pensato che si debba trovare il coraggio di non stare in silenzio e di non vivere da invisibili, anche a costo di risultare scomodi o scomode. E, purtroppo, le forme di violenza di genere che ci riguardano sono ancora tante oggi, dall’imposizione dei ruoli all’invisibilità, dalla violenza alla disparità salariale.

Chi fa cultura o arte, deve cominciare a prendere una posizione. Si tratta di un problema, di una questione stratificata che ha mille volti e meriterebbe una rivoluzione culturale. Bisognerebbe partire dall’educazione e dal rispetto.

Leggevo ieri gli ultimi dati sul settore musica. Gli spazi per le donne non sono ancora abbastanza. Scarseggiano i nomi femminili nelle line up e siamo soggette al pregiudizio secondo cui non sapremmo suonare, o almeno non così bene come gli uomini. Mi sono sentita dire delle volte che noi donne facciamo musica destinata a sole donne, canzoni uterine. La trovo una cosa allucinante, come se la nostra unica capacità di espressione fosse l’emotività. Quando, invece, non è vero e le donne da sempre hanno fatto musica in modo non convenzionale.

Mi sono davvero scocciata di dover parlare di uomo e donna. Trovo assurde alcune iniziative che rischiano di incastrare il tema in una classificazione maggiore come la questione del vagone treno. Sono contraria perché non si può pensare di sentirsi meglio in un vagone separato, vuol dire accontentarsi del ghetto. E poi mi domando: come ci poniamo nei confronti di persone trans o non binarie. Siamo davvero un contenitore immenso ed è arrivato il momento in cui ognuno possa sentirsi effettivamente come vuole e come desidera.

Noi ci siamo e siamo in tante. Bisogna solo trovare la volontà, la voglia e il coraggio di ascoltarci. Le donne che mi piace raccontare sono donne coraggiose, positive e che prendono posizione, così come i personaggi di quel disco. Ho raccontato la storia di Jeanne Barret, la prima donna che ha circumnavigato il globo. E lo ha fatto travestita da uomo per seguire l’uomo che amava perché all’epoca, nell’Ottocento, non era concesso alle donne di fare delle cose del genere. Roba assurda, paradossale.

Gabriella Martinelli.
Gabriella Martinelli.

Nella vita di tutti i giorni, hai mai sofferto atteggiamenti di disparità di genere? Immagino che per una giovane donna non sia facile fare musica. Vedo già le facce dei produttori.

Purtroppo, sì. A parte i casi di catcalling che mi capitano spessissimo e sono fastidiosissimi, nella musica ci sono pregiudizi che ho vissuto anche su di me. Quando mi vedono con una chitarra addosso, mi dicono: “No, ma tu suoni anche?”. Come se fosse una roba da alieni. Ma di cosa stiamo parlando ancora adesso? È assurdo.

E poi c’è tutto il discorso legato alla fisicità. La donna deve rientrare in alcuni canoni precisi. La bellezza va identificata in un certo modo. La donna che fa pop deve vestire in un certo altro modo. Robe che trovo paradossali. Non ho mai puntato a fare musica per grandi numeri non perché non lo voglia ma perché non ho accettato certe imposizioni durante il mio percorso. Ho fatto sempre quello che sentivo di fare, commettendo anche degli errori.

La strada per il paradiso è piena di errori. Ma almeno hai la certezza di essere sempre stata coerente con te stessa.

Sempre. Adesso sento forte l’esigenza di osare di più. Se prima mi sono contenuta su alcune cose, adesso non ho propria voglia di farlo. Ci sono esperienze a cui oggi devo ancora molto: l'esperienza da busker di cui parlavamo prima, la partecipazione ai Festival, così come gli anni in cui ho lavorato come voce del Muccassassina, della famosa “festa”. Mi è capitato di raccontarlo poche volte perché è un'esperienza che risale a un po' di anni fa. È stato meraviglioso perché, arrivando da una realtà piccola, mi sono ritrovata in questa grandissima festa, dove tra l’altro ogni evento era un vero e proprio spettacolo, come se si trattasse di un super musical. Ho avuto modo di respirare un concerto di libertà enorme, assoluto.

Un lavoro che ti ha permesso di confrontarti con l’inclusività da vicino e di far parte della grande comunità LGBTQIA+.

Nel mio percorso c’è anche un progetto che si chiama Come Into My Home. Nato in Africa, vedeva artisti provenienti da tutto il mondo incontrarsi nella composizione di brani assolutamente improvvisata. È stata anche questa un’esperienza che mi ha permesso di respirare il valore della diversità in quanto ricchezza. Ogni artista portava la sua cultura e un brano nato in un modo diventava del tutto un’altra cosa.

Gabriella Martinelli.
Gabriella Martinelli.

Che ben vengano gli incontri culturali ma anche quelli con persone. Nel tuo ultimo disco, Tutto daccapo, collabori con Erica Mou ed Erriquez dei Bandabardò. Come sono nate le collaborazioni? E come si sono integrate nel tuo mondo?

Con Erica Mou c’è un rapporto di amicizia e di stima che va avanti da tanto tempo. Ci eravamo ripromesse di collaborare e di fare qualche cosa insieme. Le ho proposto Un’altra carezza perché la canzone, secondo me, è molto vicina alla sua vocalità dolce, sensuale. Trovo che lei abbia dato un valore aggiunto a quel brano. Volevo che ritornassero in qualche modo le mie origini, le mie radici pugliesi: io ed Erica siamo conterranee e legate dalla continua voglia di metterci in gioco. Anche Erica ha questa necessità. Anche lei, come me, è una “zingarella”: è pugliese ma vive in Francia e si sposta molto spesso. È una collaborazione avvenuta in modo molto naturale.

Erriquez, invece, ha ascoltato quello che era il provino di Si può essere felici. E ha deciso di darmi questa possibilità, di continuare a scrivere insieme la canzone rapportandosi a me in modo molto paterno. Erriquez mi ha insegnato il valore della leggerezza in pochissimo tempo, anche perché io e lui, purtroppo, abbiamo lavorato a distanza, attraverso uno schermo, durante il primo periodo della pandemia. Mi diceva sempre: “Bisogna imparare a non prendersi mai troppo sul serio e a guardare il mondo con il naso all’insù”. Il “poro popò” del brano suona come una specie di mantra, è un invito alla leggerezza, a volersi bene e ad andare anche oltre ad alcune imposizioni.

C’è un omaggio a Erriquez (scomparso nel febbraio 2021, ndr) nella bonus track: è il primo provino scritto con lui, mantenuto con tutte le sue imperfezioni. Devo moltissimo alla sua famiglia per avermi permesso di inserirlo. È anche un modo per fare ascoltare come nascono le canzoni, prima di essere prodotte e lavorate molto di più.

Le canzoni di Tutto daccapo spaziano su diversi temi. Tutte però hanno un filo conduttore: la visione anticonvenzionale non solo della società ma anche dei sentimenti. Non hai paura di cantare Culi di gomma così come In trappola, pezzi con versi insoliti per una cantautrice. Nel secondo, canti di un rapporto sessuale con versi come “buttami via, sei la mia malattia”. Nel primo, invece, canti dell’apatia con frasi come “ai tuoi discorsi preferisco un porno amatoriale”. Ritorniamo al discorso di prima: da una donna non te lo aspetti.

Già. Siamo troppo abituati all’idea che le donne cantino solo dell’amore, dell’amore classico. E, invece, no. Anche in questo caso, l’amore ha tantissime sfumature. Spesso è incastrato nell’abitudine e siamo spaventati dalla verità di una situazione del genere, che però fa parte anche delle relazioni. In Culi di gomma, così come in Paranoie (la prima traccia del disco), c’è un richiamo a 1984 di George Orwell, che racconta quanto la percezione del reale sia distorta da questo grande occhio che ci vorrebbe tutti sempre in un certo modo. E noi siamo rimasti, soprattutto in questi ultimi due anni, incastrati nel mondo dei social, così come le nostre relazioni.

I social non vanno assolutamente demonizzati, hanno i loro aspetti positivi. Ci hanno aiutato ad accorciare le distanze ma hanno anche allungato le illusioni. Ci siamo preoccupati di più di guardare la vita degli altri dimenticando la nostra. E questo ha portato all’apatia dei sentimenti, all’incastro in alcune dinamiche di noia che andrebbero distrutte.

Dietro a un verso come quello del porno amatoriale, c’è un po’ la scoperta di se stessi. Fa parte anche della nostra sessualità. Anche le donne vedono i porno e tra di noi ne parliamo tantissimo.

Hai trovato in due canzoni diverse, Paranoie e Si può essere felici, la risposta alla felicità. Felicità è rotolarsi su un tappeto, un tappeto di cartone.

È la metafora della semplicità. Per quanto mi riguarda, la felicità sta nel poter fare ogni giorno quello che amo. Con tutte le difficoltà del caso. Però, mi piace svegliarmi e potermi dire che sto lottando per qualcosa in cui credo veramente, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo. Anche per la musica, non è semplice.

La pandemia ha rallentato tutto quanto e avere avuto la possibilità di scrivere e pubblicare un disco non è per nulla scontato. Me lo ripeto costantemente. Sono abituata a guardare il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. E questo per me ha a che fare con il concetto di felicità, che alle volte sembra lontanissimo.

L’idea di poter volare è sempre qualcosa di nuovo. Questo disco parla di sfide, di chi impara a stupirsi senza farsi troppe domande. Ogni momento è quello giusto per decidere di partire e di tagliare qualche nodo di troppo. Che è quello che ho fatto anch’io: ho tagliato i miei capelli rimettendomi in gioco. Vivendo sempre da consapevoli e mai da invisibili.

Ricordo le favole che mia mamma raccontava a me e mia sorella la sera prima di andare a dormire, ricordo le promesse, le sue carezze, i sacrifici. Mia mamma ha sempre lavorato duramente, piangeva di nascosto e voleva che noi avessimo un'altra opportunità.

Gabriella Martinelli

Qual è invece il rapporto con tua madre? In Un’altra carezza si fa riferimento alle madri “ansiose”.

Le mamme del sud sono mamme molto apprensive. Sono un po' delle mamme “chioccia”, fa parte anche della loro bellezza. Io alla mia devo tantissimo. Sono cresciuta senza il mio papà, un uomo violento di cui fatico ancora a parlarne. Ho rimosso quasi tutto, di quella bambina ricordo molto poco, solo quello che mi conviene. Ricordo le favole che mia mamma raccontava a me e mia sorella la sera prima di andare a dormire, ricordo le promesse, le sue carezze, i sacrifici. Mia mamma ha sempre lavorato duramente, piangeva di nascosto e voleva che noi avessimo un'altra opportunità.

 È stata lei a regalarmi la mia prima chitarra in un periodo in cui io ero particolarmente ribelle, ero arrabbiata, avevo paura. Non avevo fiducia nel mondo. Mi ha comprato la chitarra migliore che ci fosse, costosissima, pur non avendo un euro, dicendomi: “Non permettere a nessuno di dirti che non ce la puoi fare”. E io ho visto in quella chitarra, grazie alla forza di mia madre, la possibilità di sognare. E nelle canzoni vedo ogni giorno la possibilità di rinascere in modo nuovo. Ecco perché credo che possiamo essere quello che vogliamo essere. Si può fare davvero.

Però, in Pesci, brano rock, fai capire di non essere stata una “brava bambina”. “Mai starò seduta aspettando che il mondo mi crolli addosso”. Oggi ti senti ancora in gabbia?

A volte si, la bimba ribelle torna. Siamo figli di tempi faticosi e incerti, di una generazione precaria ma che si dà tanto da fare e non ha voglia di restare ferma a guardare. È una generazione che non ha paura di dire la sua, nuotando per fortuna, controcorrente.

Ci vorrebbero “tutte brave bambine”, incasellate in canoni e atteggiamenti da routine. Una società che ci vorrebbe sempre tutte e tutti sul pezzo, impeccabili e al top. Anche no! Siamo il risultato anche delle nostre fragilità e io a quella bambina arrabbiata devo la pelle dura che oggi mi porto addosso e la voglia di vivere da persona libera.

Un brano come Pesci nasce con l’intenzione di offrire riparo. Quando il mondo crolla e anche i sogni sembrano annegare, per lo meno la musica c’è. Ci sono sempre delle possibilità.

Come si esce concretamente da quelle situazioni familiari?

Più vado avanti, più mi rendo conto che diventa anche una responsabilità parlarne, proteggendo ovviamente mia mamma e mia sorella. Mi piacerebbe nel mio piccolo essere un esempio per quelle bambine che alle volte si trovano incastrate. Io ho trovato realmente una via di uscita nella musica, in quella chitarra regalatami da mamma. Mia sorella, invece, nella danza. Mia mamma, a un certo punto, ha detto: “La via di uscita può stare nei sogni. Dovete appassionarvi a qualcosa”.

Ed è vero, è stato esattamente così. Mia sorella era veramente una farfalla dagli occhi minuscoli. Adesso è invece una donna fortissima, è una madre. Io non sono una madre e non ne sento la necessità, probabilmente perché ho scelto una vita di un certo tipo e mi sento madre delle mie canzoni. Con la musica, ho capito che potevo imparare a fidarmi del mondo.

Per mia mamma non è stato facile. Si è data veramente da fare, si è rimboccata le maniche e un giorno ci ha portate via da quella casa buia. Siamo cresciute affrontando i problemi insieme. I problemi ma anche le conquiste, le vittorie.

Gabriella Martinelli.
Gabriella Martinelli.

Immagino che ciò abbia influito nel tuo rapporto con gli altri.

Molto. Tendenzialmente sono diffidente. Però, piano piano, sto riuscendo a fidarmi degli altri.

E riesci a vivere degli amori incondizionati come canti in Dove vivi tu.

Ho un compagno che è un uomo straordinario. Mi ha insegnato la bellezza dell’amore, libero da qualsiasi tipo di condizionamento, forme di violenza. L’amore che conosce rispetto. Prima mi legavo molto difficilmente. L’amore che canto in Dove vivi tu è l'amore verso gli altri e anche l’amore verso se stessi: imparare a guardarsi allo specchio riconoscendo le proprie fragilità come punto di forza, non come debolezze. Noi siamo anche il risultato delle nostre fragilità: ci possono insegnare come trovare una via alternativa, anche quando quella via non si riesce a vedere.

C’è un sogno che ancora insegui?

Sogno di vivere di musica e arte a vita, nel modo più sereno possibile. Mi piacerebbe tornare sul palco dell’Ariston e godermelo molto di più. Sanremo è una grandissima giostra: non sono solo quei due minuti in scena ma tutto quello che c’è attorno, stancante ma divertentissimo. Sto già lavorando a un nuovo progetto, sono già alla ricerca di qualcosa di nuovo. E mi piacerebbe portare alla luce in modo più concreto il rapporto che c’è tra la musica e la pittura.

E la dimensione live? Siamo stati chiusi e quasi non pensiamo più ai concerti dal vivo.

Ci sarà presto un tour. I club e i festival stanno riscontrando ancora delle difficoltà organizzative, si devono anche recuperare i tour precedenti. Tutto procede lentamente ma, per fortuna, considerando che mi sto suonando sotto e non vedo l’ora di riprendere, da maggio partirà il tour di Tutto daccapo. E porterò con me, dove sarà possibile, un po’ di quadri. Esporrò un po’ di dipinti per raccontare questo confine che non c’è tra musica e pittura.

Gabriella Martinelli.
Gabriella Martinelli.

Credits:

Photo: Andrea Morelli

Styling & Costume designer: Veronica Di Pietrantonio 

MUA & Hair: Serena Lucchesi

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