Abbiamo imparato a familiarizzare con il volto di Gaja Masciale grazie alla trilogia di Sul più bello, dove interpretava Federica, una delle migliori amiche della protagonista Marta (ruolo che riprenderà nella serie tv che Prime Video ha già in cantiere). Ne abbiamo poi seguito i passi nella serie tv di Rai 1, Fino all’ultimo battito, e siamo stati contenti di saperla nel cast del film Il vento soffia dove vuole, presentato nel prestigioso contesto del Festival del Cinema di Karlovy Vary, in Polonia.
Ma il percorso di attrice di Gaja Masciale è in rapida ascesa. Ne avremo la conferma già a partire da questo venerdì 6 ottobre quando la ritroveremo protagonista della serie tv RaiPlay Eppure cadiamo felici che, prodotta dalla Publispei di Verdiana Bixio, è liberamente ispirata al bestseller di Enrico Galiano. Ma non solo: a fine mese, sarà nelle ultime due puntate del colosso I Leoni di Sicilia mentre nel frattempo continuerà la tournée teatrale dello spettacolo Uno sguardo dal ponte, al fianco di Massimo Popolizio.
E, nel corso dell’intervista in esclusiva che ci ha concesso, ci siamo chiesti diverse volte cosa ne penserebbe oggi di lei stessa la Gaja Masciale che, poco più che maggiorenne, lasciava casa in Puglia piangendo per salire su un treno che l’avrebbe portata dritta a oggi. Un treno che, fermata dopo fermata, ha scelto di abbracciare la sua preparazione e quell’innegabile talento che la fa essere uno dei volti da attenzionare maggiormente, una rising star di cui sentiremo a lungo parlare.
Autodeterminata e consapevole, Gaja Masciale è molto diversa dalla Gioia Spada che interpreta in Eppure cadiamo felici, dove diretta da Matteo Oleotto recita accanto a Giorgia Wurth, Paola Sambo, Costantino Seghi e Matteo Branciamore. Così come diversa è stata la sua vita, a partire dal rapporto con la madre e con la nonna. Per capire perché, basta continuare con la lettura e immergersi nel suo (bellissimo) mondo.
Intervista esclusiva a Gaja Masciale
Ci racconti chi è Gioia, la protagonista della serie tv RaiPlay Eppure cadiamo felici?
La serie tv è liberamente ispirata al romanzo di Enrico Galiano, non è l’adattamento pedissequo e rispetto a esso sono stati apportati del cambiamenti. Goia è una ragazza di diciassette anni che ha sempre vissuto un po’ on the road con la madre: sono costrette a spostarsi spesso senza che la ragazza ne conosca la ragione. Crede che scappare sia il modo in cui la madre affronti i problemi ma è consapevole di come ciò la costringe a doversi ambientare ogni volta in nuove città, faticando molto a far amicizia. Gioia non è una ragazza che ama le feste, è asociale e un po’ controtendenza rispetto a ciò che vorrebbe il luogo comune: è infatti lei a essere molto più responsabile della stessa madre, l’adulta di casa.
Dopo l’ennesima fuga, Gioia e la madre Sabrina arrivano a Gorizia, città in cui vive la nonna materna Claudia…
Una nonna che Gioia non ha mai conosciuto per via dei dissapori tra Sabrina e sua madre. A Gorizia, Gioia si ritrova a essere travolta dalle circostanze, a fare amicizia e a scoprire valori per lei importanti come quello della famiglia. Travolta dalle emozioni, per la prima volta vivrà finalmente la sua età e si sentirà legittimata a essere un’adolescente.
A Gorizia entrano in gioco anche interessanti dinamiche sul rapporto nonna-figlia-nipote: tre differenti generazioni di donne vengono messe a confronto.
È curioso, strano ma anche bello, notare come le generazioni agli antipodi riescano a parlarsi di più rispetto a quello che accade tra una generazione successiva all’altra. È come se avessimo bisogno di saltare una generazione per capire quella successiva: nonna Claudia e Gioia si capiscono meglio di quanto si capiscano Claudia e Sabrina da un lato e Sabrina e Gioia dall’altro, i cui legami sono nel segno dello scontro e dell’incomunicabilità.
Ho trovato interessante vedere come, saltando una generazione, si sia predisposti maggiormente ad ascoltare e confrontarsi, cercando di capire quello che non va. Il gap generazione, del resto, si deve a quella mancanza di ascolto che porta all’incomprensione anche alla sottovalutazione del malessere della generazione immediatamente successiva o precedente.
In Eppure cadiamo felici, le tre generazioni messe a confronto sono legate anche da un legame familiare indissolubile. E quindi in qualche modo dovranno trovare un modo per entrare in contatto e capirsi: ma sarà complicato trovare la chiave giusta.
Eppure cadiamo felici: I protagonisti
1 / 8Come Gioia, anche tu hai una mamma e una nonna. Hai ravvisato qualcosa di Gioia nel tuo legame con loro?
Fortunatamente no. Ho un rapporto meraviglioso con mia madre e mia nonna, fatto di molto sostegno e pochissimo contrasto. A casa siamo tutte donne, appartenenti a generazioni diverse: possono nascere delle discussioni ma siamo una bella squadra. Con mia madre, ci supportiamo a vicenda. E lo stesso accade con mia nonna, con cui ho un legame molto speciale: sono cresciuta con lei e basta uno sguardo per capirlo. Se lei sta male, lo sento anche a chilometri di distanza.
E cosa hanno pensato quando hai detto loro che volevi far l’attrice?
Anche in questo caso, mi hanno sempre supportata. Studio recitazione da quando sono molto piccola: ho cominciato a frequentare i corsi di recitazione quand’ero in terza media ed è stata proprio madre ad assecondare il mio desiderio. Ero spinta dalla curiosità, avevo provato ogni sport fino a quando poi non ho manifestato la voglia di provare a recitare. Mia madre si è prodigata nell’aiutarmi a trovare un corso in Puglia, dove vivevo.
Quando, poi, alla fine del liceo ho fatto loro presente che avrei voluto provare per davvero a diventare attrice, non nascondo che mia madre avuto qualche tentennamento. Ma non perché era contraria alla mia decisione, semplicemente aveva paura di un lavoro che non dà mai alcuna garanzia o certezza. Il suo era istinto di protezione tanto che mi invitava a pensare anche a un “piano B”: quando ho presentato domanda per essere ammessa all’Accademia d’Arte Drammatica a Roma, mi ha suggerito di pensare anche all’università. Avevo già pensato anche alla facoltà quando poi, entrata in Accademia, ho accantonato il proposito.
Che facoltà avevi scelto?
Già al lieo per me era molto interessata all’essere umano, ragione per cui avevo pensato a Psicologia o a qualche altra facoltà che poteva avere a che fare con esse. Curiosamente, poi, da attrice sono chiamata a confrontarmi con l’essere umano: entrare nella pelle di un personaggio vuol dire anche capirne la psicologia.
Eppure cadiamo felici dà importanza alla psicologia dei personaggi ma ne dà altrettanto anche al mondo che ci circonda, parlando anche di quelle che vengono definite minoranze e interessandosi a temi come la discriminazione, l’identità sessuale, la violenza e i senzatetto. Quanto ti rende felice che il tuo nome sia associato a un progetto così inclusivo e attento alle diversità?
Mi rende molto felice perché parliamo del mondo che ci circonda. Chi vede una serie tv o un film, ha l’esigenza di vedersi innanzitutto rappresentato e non sentirsi escluso. Quindi, dal mio punto di vista, la serie mi ha dato la possibilità di dar voce a temi di cui è necessario parlare e che è importante affrontare e mettere a nudo: è il goal di chi fa il mio lavoro. Ho visto di recente al cinema Io capitano di Matteo Garrone: un film necessario e fondamentale che sottolinea come lo scopo dell’arte sia far riflettere, aprire delle finestre e di far vedere e toccare con mano ciò su cui, presi dalla frenesia e dal contesto in cui viviamo, neanche ci soffermiamo a pensare.
Eppure cadiamo felici parla di temi attuali, molto vivi e molto presenti. Parla di fragilità e di essere adempienti a quello che si è veramente: quanto più si è fragili, tanto più si è veri. Forse il vero eroe è chi, come ognuno dei personaggi all’interno della serie, compie un viaggio anche dentro di sé per affrontare la propria battaglia: rifuggiamo dall’idea che tutti sia perfetti e dalla felicità della perfezione.
Uno dei tanti aspetti di cui la serie parla, anche se non è centrale, sono le relazioni tossiche, che spesso sfociano in violenza soprattutto sulle donne. Qual è il primo e importante passo da fare, secondo te, per uscire fuori da una relazione tossica?
La relazione tossica in questione non riguarda Gioia e non è neanche il fulcro della narrazione, anche a un certo punto della storia è interessata da una delle sue conseguenze. Le relazioni tossiche esistono perché si instaurano tanti meccanismi psicologici e uno dei primi errori che compie chi le vive è di non confrontarsi mai con nessuno, tenendo per sé ogni aspetto di quello che diventa un rapporto esclusivo a due. Se solo invece si provasse a chiedere un consiglio, a parlare di quello che si sta vivendo e ad aprirsi, si cambierebbe prospettive: è come se le relazioni tossiche annebbiassero il cervello e rendessero poco lucidi sul da farsi.
Non si deve avere paura di chiedere un aiuto a un amico, a un familiare o alla persona di cui ci si fida di più, anche perché fin quando le cose rimangono solo nella nostra testa assumono caratteri e dimensioni diverse dal reale. È un piccolo inizio, è chiaro: disinnescare i legami tossici è un lungo lavoro che richiede pura pazienza e va trattato con il dovuto rispetto. Ma come in tutte le cose della vita il primo passo da fare riconduce alla comunicazione.
Eppure cadiamo felici: Le foto della serie tv
1 / 8A Gorizia, Gioia si ritrova a vivere l’amore per la prima volta. Cos’è l’amore per Gaja Masciale?
Gioia si ritrova a vivere la sua prima storia d’amore perché per la prima volta, dopo aver rifuggito qualsiasi incontro o situazione, trova in Lo qualcuno con cui non ha bisogno di nascondersi o di fingersi qualcos’altro. Sente con lui una forte affinità elettiva sin sa subito, senza quasi nemmeno conoscerlo o saper niente sul suo conto. Ecco, credo che l’amore sia questo…
Viviamo in un mondo in cui cerchiamo di nascondere e di non dire quello che siamo veramente. L’amore è quando ti senti libero di esser ciò che sei con l’altra persona senza la paura di perderla e di metterti a nudo sentendoti al sicuro. La bellezza dell’amore è data dall’essere un gioco di squadra: non si è più da soli e non si ha la sensazione di dover fare tutto da soli, l’amore è poter contare su qualcuno senza temere che poi la fiducia concessa ti si ritorca contro.
L’amore è anche assenza di giudizio, qualcosa che invece è iper presente sui social, dove qualsiasi contenuto pubblicato è soggetto a parere, positivo o negativo, altrui. Gioia non ha i social, almeno all’inizio della storia. Che rapporto hai invece tu con questo mezzo di comunicazione?
Cerco innanzitutto di preservare la mia vita privata. Per il mio lavoro i social sono una vetrina e, sicuramente, li uso per tutto ciò che concerne la sponsorizzazione di ciò che faccio. Sto attenta anche a non farmi inghiottire e a mantenere una certa distanza, usandoli solo se è necessario.
È più facile interpretare una ragazza di oggi, a te contemporanea, o una di altri tempi, come vedremo prossimamente in I Leoni di Sicilia?
In questo periodo sto portando in giro in teatro con Massimo Popolizio Uno sguardo dal ponte, una storia ambientata nella New York degli anni Cinquanta, e una delle difficoltà maggiori che ho incontrato è stata quella di riconnettersi ai valori dell’epoca, quando una ragazza era costretta a chiedere il permesso o l’autorizzazione per qualsiasi cosa. Vivere storie d’altri tempi è sicuramente un po’ più complicato perché devi cercare di riesumarne i modi di pensare e le abitudini ormai quasi del tutto scomparsi. Chiaramente, ogni lavoro ha la sua difficoltà: arriva quando e dove meno te lo aspetti ma, personalmente, amo tutti quei lavori in cui devo scervellarmi un po’ di più perché il personaggio è lontano da me. Consiste anche in questo il lavoro di un attore, no?
In Eppure cadiamo felici ti vediamo nel ruolo di figlia ma, nell’ultimo capitolo della trilogia del “più bello”, Sempre più bello, ti abbiamo apprezzata, anche se per poco, nei panni di una giovane madre adottiva, sottolineando come la maternità sia una scelta che può essere presa volontariamente a qualsiasi età. Ti ci vedi come mamma?
Bella domanda. È qualcosa a cui non penso tanto: mi piacerebbe un domani diventarlo ma al momento si rivolgono a ben altro i miei pensieri. Prima di essere madre, mi piacerebbe essere una donna che ha qualcosa da dire e che ha vissuto intensamente la sua vita.
Qual è la libertà a cui, in generale, non potresti mai rinunciare?
Essere fedele a quello che sono e ai miei sentimenti. Non vorrei mai scendere a compromessi con me stessa.
Rientra in questa sfera anche la libertà di tenere i capelli rossi?
Non ci vorrei rinunciare: mi sono sempre piaciuti.
Ti vedremo a breve anche nel film Il vento soffia dove vuole di Marco Righi.
Non sono protagonista ma coprotagonista. Mi ha permesso di lavorare al fianco di colleghi che stimo molto come Jacopo Olmo Antinori e Yile Vianello e di affrontare un tema particolarmente delicato come la religiosità. È stato molto bello partecipare a un film così piccolo e respirare il profondo rispetto e la cura nei confronti di quello che facevamo: è qualcosa di raro.
Per coronare il tuo desiderio di diventare attrice hai lasciato la tua terra, la Puglia. Com’è stato lasciare casa?
Quando ho saputo di essere stata presa in Accademia e che mi sarei dovuta trasferire, ho sofferto molto. Per quanto fosse ciò che più volevo, ho sofferto nel dover lasciare casa… Ricordo che i primi tempi, quando rientravo in Puglia e poi dovevo ripartire, in stazione mi lasciavo andare a pianti lunghissimi e ad abbracci super malinconici e nostalgici con la mia famiglia. Salivo poi sul treno e continuavano a piangere per tutta l’ora successiva. Sorrido oggi a ripensarci ma soffrivo nel lasciare il mio porto sicuro.
Ora sono felice della mia scelta e Roma è la mia seconda casa. Ho capito che per andare avanti un passo necessario è quello di fare i conti con il cordone ombelicale… non si tratta di reciderlo ma di portarselo dietro: il cordone ha la capacità di allungarsi come non mai. Tutto ciò che scegliamo di fare ha un costo e la bellezza di tutto sta proprio nei contrasti e nelle contraddizioni: inseguivo il mio sogno anche a discapito del dolore.