Gero Riggio è stato protagonista dell’estate musicale italiana grazie a Luci rosse luci blu, brano (prodotto da Leo Curiale e distribuito da BMG Records) con cui ha vinto il contest musicale Sicurezza stradale in musica indetto da Anas Italia. Abbiamo visto Gero Riggio esibirsi al concertone del Primo Maggio a Roma ma anche a Radio Italia Live a Milano, prima di partecipare a un evento speciale del Giffoni Film Festival.
“Luci rosse luci blu è quella canzone che arriva dritta come un pugno nello stomaco, per il suo essere così cruda e così vera”, ha spiegato Gero Riggio. “Una canzone senza filtri che racconta alcuni flash che si sovrappongono nella mente di chi si trova disteso per terra dopo aver avuto un incidente stradale. Si scatenano in lui sentimenti ed emozioni profondi nell’animo, si materializzano sfuocate tutte le scene tragiche del caso: l’arrivo dei soccorsi, la gente che guarda attonita la scena e non riesce a capacitarsene… Immagini che si proiettano in una dimensione surreale, non persuadendosi del fatto che quella felicità e allegria, dopo aver bevuto qualche bicchiere, si fosse trasformata nell’opposto. Per fortuna alla fine della canzone si scopre che è solo un incubo, un terribile incubo che genera però nel cuore del protagonista una promessa, di non toccare mai più un volante dopo aver bevuto”.
Cantautore siciliano trentacinquenne, Gero Riggio ne ha fatta di strada dalla sua Mussomeli, paese dove ancora vive come ci rivela nel corso di quest’intervista esclusiva. Supportato dai genitori che sin da piccolo lo hanno spronato a coltivare il suo talento, Gero Riggio ha mosso i primi passi nel 2007 conquistando la finale del mitico Festival di Castrocaro e ha pubblico il suo primo disco nel 2009, Guardando nel mio specchio.
Da allora sono passati undici anni prima che desse alla luce un secondo album, Un anno in più. Un album che Gero Riggio considera come una playlist di tutto ciò che ha fatto musicalmente in tutto quel lungo periodo. E il termine playlist ben riflette la natura di quel suo lavoro: si spazia da un genere all’altro, dalla ballad al pezzo sociale, passando per i toni più leggeri da tormentone estivo quasi.
Diverse sono le tappe che hanno avvicinato Gero Riggio alla musica che conta. Lo vedremo il prossimo 1° settembre a Imola, in concerto con Irene Grandi, i Gemelli Diversi e Marco Ligabue. Lo abbiamo visto aprire negli anni alcuni concerti di Ron e Francesco Tricarico. Ma, soprattutto, vediamo quanto il suo percorso si sia voluto e abbia preso una nuova direzione, nel nome della semplicità e della verità dei sentimenti. Ha ricominciato da capo, Gero Riggio. E da capo vogliamo conoscerlo.
Intervista esclusiva a Gero Riggio
Come è nata Luci rosse luci blu?
È il primo pezzo che ho scritto dopo Trame, il singolo di lancio del mio nuovo percorso di scrittura. Ha trovato pane per i suoi denti in un contest indetto da Anas Italia per la sicurezza stradale. Tra l’altro, è un contest che ho scoperto casualmente accendendo la radio. Quindi, non si trattava di una canzone che avevo già nel cassetto ma è nata appositamente per il contest. Fortunatamente, come accade molto spesso, le canzoni alla fine sono veramente delle ancore che chi ha quel pizzico di fantasia in più riesce a tirare su. O sono forse un miracolo: è come se Luci rosse luci blu esistesse già nella mia testa sin dal primo momento.
Avevo ben chiaro il quadro di cosa volessi rappresentare in merito alla tematica del contest. Ho buttato giù delle parole ed è stata la mia prima canzone, non mi era mai successo prima, che è nata senza l’accompagnamento della chitarra. La musica è venuta in un secondo momento: tornato a casa dopo aver scritto il testo, ho preso in mano la chitarra ed è successo qualcosa che definisco di chimico. La musica ha subito sposato le parole e, quando il mio produttore ha ascoltato la canzone, era felice di mandarla al contest perché l’ha reputata sin da subito buona.
Abbiamo quindi partecipato al concorso. Ed è andata bene perché siamo stati scelti tra i dieci finalisti. Ci siamo tutti esibiti al Reward Music Place di Radio Italia, dove presidente di giuria era Francesco Gabbani. Tra i giurati c’erano invece Mario Volanti (il patron di Radio Italia), Andrea Vittori, Dino Stewart e tanti altri big della discografia. C’era anche il rappresentante della BMG, l’etichetta che doveva poi promuovere il brano vincitore. Luci rosse luci blu ha dunque vinto ma già nell’aria c’era la sensazione che la canzone piacesse molto. La vittoria mi ha poi consentito di partecipare a tutti gli eventi connessi organizzati dall’Anas, tra cui il concerto del Primo Maggio a Roma e il Festival di Giffoni.
Il concerto del Primo Maggio è stata sicuramente una botta paurosa. Ma a me piace soffermarmi sull’esperienza al Giffoni Film Festival, dove il pubblico è composto per la maggior parte da giovani ragazzi e ragazze.
È sempre molto difficile affrontare tematiche molto delicate e con un pubblico giovane lo è anche di più. Ciononostante, la musica permette di avere un linguaggio comune. È la prima arte che viene consumata dai ragazzi ed io sento come una sorta di responsabilità nel comunicare loro questo genere di messaggi. Così come capisco che i giovani, in un primo momento, fanno fatica ad assorbire ciò che voglio loro comunicare, mi calo nei loro panni. Però è importante che qualcuno gli parli di sicurezza stradale: numeri alla mano, il 90% degli incidenti avviene per distrazione del guidatore. È un problema che esiste e di cui bisogna comunque parlare.
L’esperienza con i Giffoners è stata un momento molto bello ed emozionate. I ragazzi erano molto attenti e percepivano l’importanza dell’incontro. Sono molto felice di averla fatta perché, ripeto, la musica serve anche come spunto di riflessione per tante tematiche, dalla sicurezza stradale alla lotta per la legalità.
E, a proposito di lotta per la legalità, non possiamo non ricordare Svuoto il bicchiere, il brano che hai composto in memoria della strage di Via D’Amelio, accompagnato da un video in time lapse molto emozionante.
Innanzitutto, vorrei precisare per chi legge che non sono un cantautore sociale, anche se ho avuto la fortuna di imbattermi in tematiche che, raccontate in canzoni, mi hanno portato a risultati prestigiosi. Ciò sottolinea ancora una volta come ci possano essere tante cose da dire nelle mie canzoni, che toccano tantissime tematiche tra loro molto differenti e anche leggere.
Ho realizzato io i disegni del video di Svuoto il bicchiere. Mi piace anche disegnare e ho voluto mettermi alla prova. La canzone è una di quelle che occorrerebbe far ascoltare a tanti più ragazzi possibili. Quando si trattano temi come la lotta alla mafia, si rischia spesso di cadere nella retorica. Dai messaggi ricevuti, a quanto pare, ho scongiurato questo rischio e non sono stato così scontato nel raccontare più la vita che la morte del giudice Paolo Borsellino. È una canzone che comunque lascia una bella sensazione di vita piuttosto che di tragedia o sconfitta.
Grazie a Svuoto il bicchiere ho avuto anche la possibilità di conoscere personalmente Fiammetta Borsellino. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata insieme. Si è rivelata una persona davvero molto ma molto sensibile e si è ritrovata appieno nelle mie parole. Ho avuto anche modo di esibirmi alla Notte Bianca della Legalità all’Albero Falcone il 23 maggio, davanti a più di 20 mila giovani.
Hai alle spalle due album, Guardando nel mio specchio e Un anno in più. Tra il primo e il secondo ci sono ben undici anni di differenza. Stai ora lavorando a un nuovo progetto, il cui inno mi è sembrato quasi Da capo, singolo uscito nel 2021 che racconta dell’esigenza di ripartire appunto da capo. Definisci il percorso che hai intrapreso come nuovo. È spontaneo chiederti in cosa.
Per me ricominciare daccapo e iniziare un nuovo percorso di scrittura significa in primo luogo assorbire dalle esperienze che la vita ti pone di fronte per farne tesoro e trasformarle in canzoni. Tra Guardando nel mio specchio e Un anno in più, che contiene tra l’altro pezzi molto diversi tra loro sia come genere sia per tempo di realizzazione, sono passati undici anni, è vero. Ma non perché non avvertivo l’esigenza di fare un album: semplicemente, mi sono preso il tempo necessario per farlo. Quando usciva qualcosa che ritenevo valido, lo inserivo nella tracklist dell’album, un album che mi piace definire come una playlist di tutto quello che è nato in quel periodo. L’ultima canzone inserita è stata proprio Svuoto il bicchiere, che mi ha portato alla vittoria di Musica contro le mafie.
Ed è stato in quel momento che ho realizzato che potevo dire delle cose importanti attraverso le canzoni: è nata l’esigenza di ricominciare da capo il mio percorso. Ed è venuta fuori Da capo, canzone frutto di un’altra esperienza bellissima che mi porterò sempre dietro: quella del SoundboCS, la prima music farm a scopo civile mai realizzata in Europa. A Cosenza, per sette giorni, siamo stati chiusi in un “box” artistico, all’interno del quale si potevano scrivere canzoni che avevano come obiettivo quello di mirare alla bellezza e alle buone azioni. Da capo non fa altro che sottolineare come bisogna sempre ripartire da capo per reinventarsi e per completarsi.
Dopo quell’esperienza, ho cominciato a scrivere nuove canzoni e ho avvertito l’esigenza di non aspettare altri undici anni per pubblicare un nuovo album! Spero di continuare su questa scia, di dedicarmi molto più alla musica e di ascoltarmi maggiormente.
In un verso di Da capo si dice che abbiamo bisogno di credere in qualcosa. Quali sono le cose in cui crede Gero?
Sono esattamente quelle che descrivo nel brano. A me basta avere al mio fianco persone che credono in me, che mi stimolano, che mi rimproverano quando c’è da farlo e che mi fanno notare determinati aspetti. Ma la cosa più importante in cui credo è la verità, quella che ricerco molto spesso nei rapporti umani, che siano stretti o che siano un po’ più distanti. L’altro, secondo me, è uno specchio: nell’altro puoi trovare uno spunto per rivederti e notare ciò normalmente non vedi. Fondamentali poi sono i sentimenti: sono la base da cui io parto per le mie canzoni.
Sui sentimenti, non avevo dubbi. Basta ascoltare un paio di tue canzoni per capire quanto centrale sia l’amore in ogni sua forma e declinazione. Da quello sociale a quello di coppia, passando da quello tra genitori e figli. Qual è la tua concezione dell’amore? È quello shakesperiano che vince tutto o è ciò che causa sofferenza e passione?
Dipende da come uno vede la vita o dà che interpretazione dà all’amore. L’amore può essere tante cose. può portarti a star bene così come a soffrire. Ma, anche se causa sofferenza, ti fortifica e ti rende migliore facendoti notare quali sono gli errori da non ripetere. A me piace trattare emozioni e sentimenti a 360 gradi. Non mi limito a descrivere un amore che può essere solo quello tra uomo e donna: mi piace descriverlo nella sua totalità. Può essere quello di un padre per il figlio, può riguardare un’amicizia o può spingere a una riflessione sugli anni che passano. Sperimento spesso e colgo aspetti anche minuziosi: la mia vocazione è quella di farlo finché avrò ispirazione. Alla fine, le canzoni non sono altro che fotografie che restituiscono a un ascoltatore, che viene spinto a riflettere su qualcosa.
Quanto ti sei divertito invece con canzoni come Dieci & Love, ad esempio, o Un’estate (a ritmo di dance)?
Sono state le prime canzoni che hanno fatto parte del progetto Un anno in più. Si sente anche dal sound che sono diverse e che sono nate dalla voglia di trasmettere leggerezza. Non a caso, ad esempio, Un’estate (a ritmo di dance) nell’album viene dopo Svuoto il bicchiere: non è messa lì perché volevo farmi del male ma quasi per contrasto. Trattano di argomenti completamente diversi e sono il riflesso della mia voglia di spaziare. Brani come quelli mi riportano a una fase della mia vita molto spensierata: è bello ogni tanto ritrovare quelle fotografie.
Tu sei siciliano, di Mussomeli, un piccolo paesino dell’entroterra siciliano. Com’è che si riesce a far musica partendo da un posto circondato semplicemente da distese gialle, arse dal sole d’estate?
La bellezza delle mie zone è forse difficile trovarla altrove. C’è qui molta tranquillità. Ci sono territori veramente poco toccati dalla mano dell’uomo. Ed è questo forse il segreto che mi concede l’ispirazione necessaria per scrivere. In un’epoca in cui tutti possiamo predisporre di uno strumento incredibile che si chiama internet, le barriere e le distanze si abbattono di molto.
È però anche vero che per vivere determinate situazioni è necessario spostarsi: questo luogo, dal punto di vista tecnico, ti offre poco. Anche se io ho trovato qui il mio team di lavoro, i miei musicisti e il mio produttore. In studio di registrazione, vado a piedi. È il bello di poter lavorare da qui, in un piccolo paesino. C’è maggior entusiasmo e maggior semplicità. La semplicità è ciò a cui io punto sempre: è inutile costruirsi e mostrarsi per quello che non si è. Finché potrò, cercherò di rimanere qui.
Come hanno preso i tuoi genitori la tua decisione di far musica?
Fortunatamente, ho due genitori che mi hanno sempre spronato. Sono stati loro a spronarmi da piccolo a cantare: si erano accorti del mio talento e cercavano di darmi la carica giusta dal momento che ero molto timido. Hanno poi sempre rispettato le mie decisioni e lasciato libero di esprimermi come volevo, senza mettermi nessuna pressione addosso, come invece spesso capita ai miei coetanei. Oggi sono molto soddisfatti dei piccoli risultati che sono riuscito a raggiungere.
Quali sono stati i tuoi riferimenti musicali?
A me piace ascoltare tutta la musica possibile e immaginabile perché mi piace anche capire e apprezzare la diversità degli artisti. Ma ci sono dei nomi che faccio sempre. Il primo è Niccolò Fabi: è un cantautore sincero e lo si nota soprattutto dalle sue ultime canzoni. Io lo definisco un cantautore terapeuta: nei suoi testi si trova sempre molta delicatezza e cerco di ispirarmi al suo modo di raccontare la vita. Il secondo è Brunori: il suo è un cantautorato che viene da cuore, quasi di impatto. È sempre molto genuino e sorridente, con la battuta pronta riesce sempre a dissacrare quello che lui stesso scrive. E il terzo è infine Cesare Cremonini, che lungo il suo percorso non è mai stato scontato, da un disco all’altro è riuscito sempre a migliorare. In lui vedo quella tenacia e quella dedizione al lavoro di artista che tutti dovremmo avere.
Come ti vedi rispetto a quando hai cominciato?
Mi vedo come un uomo nuovo, più maturo. E, ovviamente, cresciuto, non solo a livello di anima ma anche di fisico. Mi vedo come un ragazzo che non vuole diventare famoso, come spesso pensano gli altri, ma che vuole semmai poter vivere delle proprie canzoni e far sì che ciò che nasce dalle sue idee possa essere condiviso da tante altre persone. Ho ormai 35 anni, un’età per cui posso rendermi conto quanto difficile sia oggi affermarsi nel panorama musicale. Grazie all’impegno e al lavoro portato avanti, sto vedendo arrivare le prime affermazioni e i primi riconoscimenti per il mio metodo di scrittura. Vivo quindi tutto in maniera molto tranquilla, con tutta la semplicità e l’umiltà di questo mondo.
Quanto sei un bravo ragazzo? Lo noto dalla semplicità delle risposte, che evidenziano come sei vero al 100%.
Ho cominciato da poco a prender parte a eventi con artisti di una certa fama. Il 1° settembre mi esibirò a Imola con Irene Grandi, i Gemelli Diversi e con la band di Marco Ligabue. Ovviamente non mi conosceranno tutti ma non è detto. A Cattolica, ad esempio, mi è capitato che mi abbiano chiesto di fare delle foto o degli autografi: mi sono sentito in imbarazzo. Credo che dica molto del mio carattere. Ogni tanto ci penso e sorrido: dovrei imparare a fare anche queste cose ma io amo la semplicità. Per me, stare su un palco significa aver centrato il mio obiettivo e di conseguenza non sono tra coloro che si mettono a strafare. Mi basta fare il mio e portare a casa il risultato finale.