Lo scorso 24 giugno Giacomo Riggi ha pubblicato il suo quinto disco, 11 Windows (Sun Village Records/Believe Digital/I.R.D.). Polistrumentista toscano dalla fama mondiale, Giacomo Riggi si cimenta per la seconda volta con il suo lato cantautoriale proponendo undici finestre sul suo mondo. Attraverso immagini, colori e sonori, offre la sua visione sull’amore, sulla paternità e sulla fede, ma anche sulla società che ci spinge a essere sempre più veloci e, in maniera inedita, sulla cosiddetta crisi dell’artista, affrontata da una prospettiva esterna.
In 11 Windows, Giacomo Riggi sceglie tre differenti lingue per la composizione dei testi: l’italiano, l’inglese e lo spagnolo, giocando con i connotati del songwriting internazionale. Le lingue però corrispondono a una esigenza anche musicale specifica. 11 Windows è un album a due facce: per la prima metà, dal sapore e dalle sonorità acustiche, Giacomi Riggi ha scelto l’italiano; per la seconda metà, invece, più elettronica e scura, ha scelto le lingue straniere. E, come in un perfetto gioco di specchi, ha fatto sì che le due parti comunicassero perfettamente con le due facce della sua anima: una che guarda agli aspetti positivi e un’altra che inevitabilmente si confronta con il mondo e con se stesso.
Nel corso di quest’intervista in esclusiva, Giacomo Riggi è andato ben oltre le canzoni. Il racconto dei brani di 11 Windows si è trasformato nel racconto dell’uomo, diviso tra realtà e immaginazione, musica e amore. Ma si è trasformato anche nel ricordo di un nipote che ha ereditato la vena artistica dalla nonna, che “poteva essere la nuova Sandra Mondaini” se non avesse incontrato il nonno. E in una spiegazione, tra serio e faceto, sulla lettura delle linee della mano.
In 11 Windows, Giacomo Riggi dimostra di non amare le etichette, né nella musica né nella vita in generale. E ha voluto accanto a sé un manipolo di persone a lui care e amici, a cominciare dall’imprescindibile cantautrice Carolina Bubbico, a cui ha anche dedicato un’intera canzone, C.B..
Intervista esclusiva a Giacomo Riggi
Cosa rappresenta per te 11 Windows?
11 Windows è un titolo abbastanza azzeccato per il disco: sono realmente undici finestre su di me, undici modi di presentarmi, undici canzoni che sono molto diverse tra di loro. È un disco fatto di due parti molto differenti, frutto chiaramente delle mie esperienze, delle mie idee e delle mie influenze quantomeno nel mondo cantautoriale.
Si tratta del tuo quinto album in assoluto ma del secondo da cantautore. Cosa ti spinge a continuare sulla scia del cantautorato?
Il bisogno di esprimermi dal punto di vista testuale e non solo da quello strumentale. Scrivendo testi, canzoni, è come se si arrivasse più direttamente alle persone rispetto a un pezzo prettamente strumentale.
Il cantautorato permette anche a chi scrive di guardarsi allo specchio, di fare i conti con se stesso in maniera inedita. Come notavi prima, 11 Windows si può scindere nettamente in due parti che sono diverse per musica e parole. Ci sono i brani in italiano che possiamo definire “speranzosi” e che raccontano qualcosa di positivo e felice. E ci sono pi quelli in lingua straniera, spagnolo e inglese, che invece sono più critici e affrontano questioni meno leggere e spesso sociali. Ti ha aiutato il cambio di lingua?
Sicuramente sì. Quando ricorro all’inglese, l’ispirazione mi porta a indagare e affrontare tematiche che sono più oscure, più dark, e che comunque fanno parte inevitabilmente della vita di tutti noi. Ci sono momenti in cui viviamo la vita con un approccio e uno sguardo positivo ma ce ne sono altri in cui invece cambiamo prospettiva, abbandoniamo la positività e guardiamo a ciò che in maniera molto soggettiva pensiamo sia meno giusto. Preferisco sempre affrontare ciò che non va, accettarlo e non nasconderlo.
Se prendiamo in esame i testi in italiano, mi sembra che in questo momento tu stia vivendo una situazione privata particolarmente serena. Si parla di paternità, di amore, di relazione di coppia.
Si. Diciamo che ho sempre avuto una vita privata molto turbolenta. Ora un po’ meno. Ho scoperto recentemente una cosa, anche se non ci creda poi molto: ho la linea simiana. Nella maggior parte delle persone, le linee del lavoro e dell’amore scorrono in direzione diversa. Nel mio caso, sono invece attaccate: è un binomio che bisogna tenere però a bada, è molto difficile da gestire.
11 Windows si apre con Chi sa se ascolterai, una canzone che parla di paternità: è una sorta di ipotetico dialogo tra un padre e un figlio che verrà, in cui cerchi di trasmettere ciò che tu hai imparato dalla vita. Canti che “i sogni a volte sono più reali del denaro”.
Il disco parla di aspetti reali della mia vita privata ma anche di molte cose che provengono dall’immaginazione. Nel brano, parlo di me padre che aspetta un figlio ma non è una situazione che sto vivendo, è semmai un sogno, un desiderio. Come diceva Disney, i sogni sono realtà: se esistono nella tua mente, possono esistere anche nella realtà. Quindi, a volte sono più realizzabili di qualcosa che è realizzabile con il denaro.
Di Tutto da organizzare mi colpisce la presenza fisica della casa. Cosa rappresenta per te che sei abituato a cambiar casa perché sei spesso in giro per il mondo? E quanto è importante per la pianificazione di quella che è una vita in due?
Più che di una vita in due, nel mio caso parlerei di vita in molti più di due… sono sempre stato con mia madre, i miei nonni, i miei fratelli, mia sorella: casa mia è una casa molto grande. Casa per me significa famiglia. Il ritorno a casa è per me ha sempre avuto due significati diversi. Uno molto positivo: è il ritorno al nido, agli affetti. E uno un po’ meno: è il ritorno alle responsabilità. Sono il fratello maggiore e, quindi, quello che deve cercare di fare un po’ da guida.
In Delicate speranze ti affidi, come suggerisci il titolo, al concetto di speranza. Perché sono importanti le speranze e che ruolo hanno giocato nel tuo percorso professionale?
La speranza è quella cosa che, per quanto mi riguarda, mi porta andare avanti anche con delle aspettative. La speranza è di per sé chiaramente un’aspettativa. Ci sono persone che spesso dicono che è meglio non avere aspettative per non rimanerci male. Per me non è così: se porti avanti un lavoro e dei progetti in cui credi, è giusto avere aspettative. L’importante è non lasciarsi mai abbattere troppo se non si ottengono i risultati che ci si propone. È da stupidi non avere aspettative e non riporre speranze: funzionano da motore.
Con te passiamo dall’avere il cielo in una stanza ad avere il cielo in tasca. E questa tasca è piena di risposte e magie. Avere il cielo in tasca significa possederlo ed essere artefici del nostro destino.
Si capisce a chi è dedicato il brano, vero? La cosa importante è la consapevolezza che le risposte e le magie siano già dentro di noi. Spesso non abbiamo tale consapevolezza, arriva solo con la crescita, l’esperienza, il confronto, il paragone, lo stare insieme. Ovviamente, sono soggettive: ognuno di noi trova le proprie risposte. Io tante le ho trovate, mi danno la forza per andare avanti. Altre ancora no e probabilmente non le troverò mai.
Si tratta di risposte e magie che hanno a che fare con un altro grande tema affrontato in 11 Windows: la fede. È al centro, ad esempio, di Climb your ladder, in cui si parla di una montagna da scalare la cui vetta può essere raggiunta solo se si ha fiducia e fede ricercando prima di tutto se stessi e dopo anche gli altri. Hai trovato te stesso?
A tratti sì e a tratto no. Ci sono dei momenti in cui mi sento a mio agio con me stesso, con quello che faccio, con quello che è intorno a me: mi dà una sensazione bellissima. Però, è importante ricordare che è impossibile che le cose non cambino, non mutino. Ricordo che anche nel mio primo disco da cantautore ho parlato di aspetti inerenti alla famiglia, alla casa, alla fiducia, ma ne parlavo come se avessi il desiderio di congelare certe sensazioni, certi momenti e persino il bene o l’affetto che può scatenare una persona. Speriamo tutti che certi momenti rimanessero allo stesso modo per tutta la vita. Ma è chiaro che non è possibile.
Hurry Up è un’osservazione sulla velocità che il mondo di oggi ci impone. Eppure, musicalmente ha un ritmo molto lento che accelera solo nel finale. Quanto ti sei sentito inseguito dalla velocità?
È assurdo come la realtà di oggi ci imponga una velocità che è al limite del razionale. Tutto si fa sempre più veloce, un aspetto che fa sì che la soglia di un’attenzione di una persona di trent’anni sia pari a quella di un bambino. Me ne rendo conto osservando anche me stesso: sono iperattivo, voglio fare sempre un sacco di cose e sento spesso l’ansia di non riuscire a farcela. Però, la canzone è lenta. E lo è per un motivo ben preciso: volevo restituire ciò che accade quando si vivono situazioni molto rilassate. Quelle in cui il corpo sembra quasi sconnesso dal cervello, che invece continua a una così tale velocità che ti chiedi come sia possibile che si verifichi quel turbinio mentre sei in totale relax.
You Know I Will è il singolo che hai scelto per il lancio dell’album ed è un bell’esempio di contaminazione grazie alla presenza del rapper australiano Jayden Sierra. Nella canzone, si dice: “non confondere ciò che sai con ciò che ti è stato detto”. Ti è mai capitato qualche episodio in cui qualcuno ha cercato di confonderti le idee?
È accaduto spesso ma succede a tutti quanti perché siamo noi a permetterlo. Lo facciamo quando in ambito personale o privato chiediamo banalmente consiglio. L’altro, pur non conoscendoti nell’intimo nonostante possa volerti bene, ti suggerisce qual è la cosa giusta da fare. Ciò non fa altro che confonderti. Ma non è colpa sua: è colpa nostra, chiaramente. Dovremmo essere noi stessi in grado di prendere decisioni, siamo noi che stiamo vivendo quella situazione.
La canzone racconta il malessere legato a una crisi artistica, anche se è vissuto con una prospettiva che possiamo definire esterna. Non sei tu a viverla ma “lei”. La crisi artistica è uno di quei problemi con cui, chi fa il tuo mestiere, è chiamato a confrontarsi. Come la si affronta?
Ogni volta è diverso. Un paio di brani di 11 Windows sono nati come reazione a una crisi artistica, a una sorta di mancanza di idee e di stimoli. Sono nati da una mia imposizione personale: mi sono obbligato a scrivere tutti i giorni qualcosa, che fosse un brano, una strofa o solo un verso, in tutte le tonalità a partire dal do maggiore. L’ho fatto per 24 giorni e da quella che era una forzatura sono nate delle canzoni che sono poi confluite nel disco. È stata una reazione: non credo all’idea per cui l’arte debba venir fuori in maniera naturale. Come diceva Stravinskji, un grandissimo compositore, comporre è un lavoro a tutti gli effetti. Non aspettiamo dunque l’ispirazione per fare qualcosa: non è detto che arrivi.
Chi è l’altro te, quello di cui canti in Historia de otro yo?
Rientra nella sfera delle canzoni legate all’immaginazione e non alla realtà. L’altro me vive in un’altra dimensione, in un’altra linea temporale, ciò che non ho vissuto io e ha avuto esperienze che io non ho.
Ho citato prima Jayden Sierra. Ma non è l’unico ospite del tuo disco. Ci sono anche il flautista statunitense Steve Kujala, il percussionista colombiano Samuel Torres, il pianista Claudio Filippini e la cantautrice Carolina Bubbico. Come sono nate le collaborazioni?
11 Windows è un disco che è nato anche dalla volontà di coinvolgere artisti che secondo me sono fantastici e con cui ho avuto modo di lavorare anche in passato.
È da tempo immemore che conosco Carolina e che lavoriamo insieme, dal lavoro in studio ai live. Tra qualche tempo verrà anche a casa mia a fare un workshop di canto! La stima che nutro per lei è grandissima e ho voluto che fosse presente nel mio disco in tanti modi diversi: canta un brano, fa i cori e ha un’intera canzone a lei dedicata, C.B..
Quella con Filippini è invece una conoscenza un po’ più recente. È un pianista eccezionale di cui ho desiderato la presenza fortemente e che mi ha accontentato con estremo piacere: è stato meraviglioso.
Ho conosciuto Jayden invece per Axel del Cirque du Soleil: abbiamo lavorato insieme per sette mesi ed è un giovanissimo dal grande talento: è fantastico.
Steve Kujala era l’unico che non avevo mai conosciuto ma l’ho amato sin da tempi in cui ascoltai per la prima volta il suo disco Voyage, in coppia con Chick Corea. Gli ho mandato la traccia senza aspettarmi chissà che cosa e invece due giorni dopo mi è arrivata la sua registrazione: è una persona splendida.
Con Simon Torres, infine, avevo collaborato in Colombia, dove l’ho conosciuto. Abbiamo fatto insieme un paio di tour in Sud America con il suo gruppo. È un grande suonatore di kalimba e ha impreziosito Delicate speranze.
Tu sei consapevole di essere un grande showman? Ma non solo come musicista ma anche comico: i video di TGacomo sono esilaranti.
Mi fa piacere che lo dicano gli altri. Sono dei video che mi divertono e di cui non posso fare a meno. In questo sono contento di aver trovato uno spirito affine in Claudio Filippini, grandissimo musicista dotato anche di uno spirito molto ironico. Ho già altre idee e mi sa che vedrete ancora dei video di TGacomo.
Sei legatissimo ai tuoi nonni. Hanno appena festeggiato 72 anni di matrimonio. Un giorno chiederemo a loro qual è il segreto di una convivenza così lunga e solida.
Saranno felici di rispondere. Credo che parte della mia vena artistica venga da mia nonna: era lei l’artista della famiglia. Da giovane, è stata fidanzata con il fratello di Fred Buscaglione e per un pelo non ha preso il posto che poi è andato a Sandra Mondaini quando, negli anni Cinquanta, Macario era alla ricerca di una figura femminile che lo affiancasse. Chissà come sarebbero andate le cose… forse oggi non sarei nemmeno un artista o non sarei nemmeno nato.
O non avresti imparato a cantare Skylark di Hoagy Carmichael grazie a tuo nonno.
Esatto. Mia nonna ha suonato con mio nonno per una vita prima che aprissero il loro negozio di strumenti musicali. Facevano musica da ballo, che ai loro tempi in Danimarca o Norvegia non era quella che intendiamo oggi. Era molto più tosta.