Si terrà a Los Angeles dal 30 marzo al 1° aprile la seconda edizione dell’Italian Comedy Festival (ICF), la manifestazione italiana che celebra la commedia nel mondo sotto la direzione artistica di Gianfranco Terrin.
Con una seconda edizione ancora più ricca, che spazia dal cinema al teatro, passando per l’animazione e la tv-web, l’Italian Comedy Festival vuole essere un’occasione di incontro e confronto per i professionisti del settore e gli artisti emergenti. L’edizione di quest’anno è rivolta soprattutto all’inclusione sociale. Sul palco e sul grande schermo, infatti, si alterneranno storie che, attraverso gli stilemi tipici della commedia, trattano tematiche sociali fondamentali come le disuguaglianze di genere. Una tre giorni che vedrà l’alternanza di: spettacoli dal vivo, proiezioni, eventi, incontri con il pubblico e seminari con professionisti del settore.
Del Festival abbiamo voluto parlare direttamente con Gianfranco Terrin, raggiungendolo telefonicamente dall’altro lato del mondo. Ma non è l’unica cosa di cui parliamo nel corso di quest’intervista in esclusiva. Diviso tra Stati Uniti e Italia, Gianfranco Terrin è uno dei nostri pochi attori che, seppur da piccolo non sognasse di diventare attore, è riuscito ad affermarsi a Hollywood lavorando per Disney Channel o con Ben Affleck, risultati che farebbero invidia a tutti quanti ma conseguiti con l’umiltà di chi sa quanto valore abbia sempre un sorriso.
Intervista esclusiva a Gianfranco Terrin
“Se avessi fatto colazione con le uova strapazzate, non avrei avuto la forza di parlarti in questo momento: sarei stato steso sul divano: non so gli americani come facciano!”. Inizia così la nostra intervista con Gianfranco Terrin, attore ma soprattutto direttore artistico dell’Italian Comedy Festival. Si trova a Los Angeles, per lui sono le dieci del mattino e certe abitudini, seppur in parte accettate, fanno sempre la differenza per uno che sta “con una gamba in America e una in Italia”.
Sta per partire la seconda edizione dell’Italian Comedy Festival. Ci racconti cos’è?
A me piace definirla festa. Non è come può sembrare il Festival della commedia italiana ma è il Festival italiano della commedia. Non si tratta solo di un’annotazione di forma ma di sostanza: non abbiamo lo scopo di portare in giro per il mondo la commedia italiana ma siamo il Festival italiano che vuole celebrare a Los Angeles la commedia internazionale. Direi che è una festa italiana, la mia pazzia italiana.
Il Festival è nato lo scorso anno ed è figlio per certi versi della pandemia da CoVid.
Il Festival è nato forse per caso, potrei definirlo come uno di quei tanti figli forse nati sotto la pandemia. Durante il lockdown, mi trovavo a Los Angeles, dove con un gruppo di amici attori italiani ci si riuniva almeno una volta settimana in un parco (l’unico posto in cui ci si poteva incontrare per via delle restrizioni) per leggere e raccontarci cose divertenti. Non potevamo per ovvie ragioni essere a teatro e avevamo scelto quel luogo per leggere copioni o testi teatrali, scambiarci barzellette divertenti e condividere momenti insieme: dopo tutto quello che stavamo attraversando, non avevamo di certo voglia di andare al parco per piangere ancora di più!
Per noi, ogni domenica era come Pasquetta: facevamo il nostro picnic distanziati l’uno dall’altro, con le nostre merendine, il nostro panino e le nostre bibite, seduti con la tovaglia sull’erba. Appuntamento dopo appuntamento, il gruppo è cresciuto e si è allargato sempre più, con gente che proveniva anche da altre parti d’Europa e dell’America Latina e non solo dall’Italia. Fino a quando non ci siamo detti “perché non trasformare tutto ciò in una splendida vetrina”? E il Festival è nato così: siamo giovanissimi e piccolini!
Quest’anno ci sono in cartellone ben 15 lungometraggi provenienti da diverse nazioni, dall’Italia al Perù passando per la Corea del Sud. Tanto piccolino non mi sembra…
Abbiamo in cartellone progetti anche molto interessanti. Uno degli obiettivi del Festival è quello di abbracciare anche tematiche sociali importanti: non dimentichiamo che la forza della commedia sta nel raccontare il mondo che ci circonda con un linguaggio semplice, facile e leggero. Quest’anno ad esempio ci interessiamo alle differenze di genere con film che, seppur non fornendo risposte, aiutano a porsi delle domande. La storia ci insegna che niente cambia fino a quando qualcuno non si pone una domanda su quello che si vive.
Tu vivi in bilico tra l’Italia e gli Stati Uniti. Hai notato differenze nel modo in cui vengono affrontate le questioni legate alle differenze di genere?
Parliamo di due culture diverse con politiche altrettanto diverse. Sicuramente, negli Stati Uniti è da diversi anni che c’è maggior sensibilità su certi argomenti almeno a livello mediatico. Certi movimenti sono partiti da qui per poi attraversare anche l’oceano e arrivare in Europa.
Non c’è il rischio che l’attenzione al politically correct finisca per intaccare la sfera della commedia e della comicità? Negli ultimi tempi si discute molto su ciò che un comico può non può dire: basta anche una battuta considerata fuori luogo per rovinare la carriera a qualcuno. Non dovrebbe il comico avere il diritto di far ridere anche con qualcosa di “sporco”?
Sono d’accordo ma forse il senso dell’Italian Comedy Festival risiede anche nel trattare determinati argomenti per chiederci cosa è giusto e cosa non lo è, nell’affrontare determinati discorsi senza litigare o creare controversie. Credo sia fondamentale capire fin dove la commedia può spingersi. Personalmente, ad esempio, non sono d’accordo con la cancel culture: occorre capire in che contesto sono state dette o fatte le cose. Fino a qualche decennio fa non c’era la sensibilità di oggi ma basta questo per cancellare l’arte e la cultura? È semmai arrivato il momento di parlare, sederci e aprire un dialogo costruttivo sui limiti della commedia. Fin quando non si parla di determinati argomenti questi rimarranno sempre un tabù e il cambiamento generazionale e sociale che stiamo vivendo non vuole tabù.
Tu hai cominciato il tuo percorso nel mondo del cinema a dieci anni. Che ricordo hai di quell’esperienza?
Non volevo nemmeno far l’attore, non sapevo neanche cosa significasse: non era un mio sogno. È successo tutto per caso: mia madre lavorava all’epoca in comune, in biblioteca, era in vacanza ma per ritirare una cosa è passata in ufficio. In quel momento, stavano facendo dei provini per cui cercavano ragazzini: mi sono ritrovato al casting per puro caso e sono stato scelto per Giro di lune tra la terra e il mare di Giuseppe Gaudino, un grandissimo film che ha anche vinto tantissimi premi. Quell’esperienza mi ha letteralmente stregato: improvvisamente sapevo cosa volevo fare nella vita.
È stato uno dei doni più belli che abbia mai ricevuto: quando mi si chiede in cosa sono stato fortunato, rispondo sempre “nel sapere già da piccolo cosa volessi”. Quel sogno mi ha dato la forza e l’energia per andare avanti: tutte le scelte che ho fatto dopo sono state dettate dall’amore per le arti, il cinema, il teatro e lo spettacolo. Tutto dopo quel momento è andato verso una sola direzione.
E a 18 anni è arrivata l’America…
Anche quello è stato un puro caso. Avevo finito le superiori e frequentavo un’accademia di recitazione a Roma. Non avevo mai sentito parlare degli Strasberg o dell’Actor’s Studio, forse non dovrei dirlo ma ero ignorante in merito, quando mi sono presentato a dei provini per una borsa di studio: pensavo che fosse per qualcosa in Italia! A scegliere è stata Anna Strasberg in persona e devo a lei la possibilità di studiare in California, di arrivare a Los Angeles e vedere da vicino Hollywood.
Pensa che per me Hollywood, Los Angeles e la California erano tre cose completamente diverse, dislocate in parti del mondo differenti: ricordo ancora quando con sorpresa ho visto per la prima volta la scritta Hollywood, mi sentivo come un alieno che dalla luna era arrivato sulla Terra!
Dovevo stare solo per un periodo limitato, avevo un visto da studente ma le cose sono andate diversamente. Anche perché quasi subito dopo la Strasberg è arrivato il mio grande trampolino di lancio: sarei dovuto rientrare in Italia, avevo le valigie già pronte quando apprendo di un provino super segreto a cui partecipo. A tre giorni dalla partenza, ho ricevuto la chiamata che mi annunciava di essere stato preso: ne ero felice, era bellissimo ma non sapevo per cosa. Era per una trasmissione televisiva di cui sarei stato il conduttore per un anno su Disney Channel!
Facendo avanti e indietro da un lato all’altro dell’oceano, in Italia hai anche recitato in un film spesso dimenticato, il bellissimo Rosa Funzeca di Aurelio Grimaldi con la superba Ida Di Benedetto, un’attrice che meriterebbe più riconoscimento di quello che ha finora avuto.
Quella è stata un’esperienza stupenda di cui conservo un bellissimo ricordo. Sul set eravamo un bel gruppo di ragazzetti: io, Adriano Pantaleo, Primo Reggiani, Francesco Di Leva… Aurelio è un grandissimo regista e non posso che includerlo tra coloro che hanno segnato la mia formazione in Italia: mi ha fatto innamorare ancora di più di questo mestiere. Anzi, ne approfitto: Aurelio, mi raccomando, tienimi in conto per il prossimo film che farai, torniamo a lavorare insieme! E come non ricordare Ida Di Benedetto? Da giovane attore, lavorare con lei è stato come andare a scuola di recitazione tutti i giorni: ha un talento straordinario.
E di esperienza in esperienza arriviamo al 2016 quando vieni diretto – e qui ti invidiamo un po’ tutti - da Ben Affleck nel film La legge della notte…
Un altro piccolo sogno diventato realtà… Ripeto sempre che una delle mie più grandi fortune è stata quella di aver avuto la possibilità di imparare dai grandi osservandoli da vicino. Diretto da Ben Affleck per un film prodotto da Leonardo DiCaprio e distribuito da uno studios come la Warner…
Se La legge della notte è un film a grosso budget, ce ne sono stati altri low budget che aspettiamo ancora di vedere. Se ti dico Azzurrina?
Che ti devo dire? Parla di un fantasma ed è diventato un film… fantasma! Purtroppo, molte volte chi guarda un film non sa quanta fatica debbano fare molti titoli prima di essere distribuiti: c'è del lavoro, c’è fatica (a prescindere dal risultato) e si va avanti tra mille sforzi a causa di budget limitati. Ma, paradossalmente, capita che più un film costi meno più sia riuscito.
Visto che hai diretto dei cortometraggi, mai avuta la tentazione di cimentarti con la regia di un lungo?
Avrei una paura immensa. Ma sarebbe anche una questione di pigrizia: dovrei imparare un sacco di cose. Potrei pensarci forse in futuro ma ho tantissimo rispetto per questo mestiere e i suoi ruoli: non mi sentirei preparato, almeno a oggi non lo sono. Tuttavia, mai dire mai.
Chi è oggi Gianfranco?
Un po’ marzulliana come domanda (ride, ndr)… Per risponderti, dovrei chiedere al mio terapista: io posso dire di essere un eterno sognatore, un bambino che sogna di diventare prima o poi adulto e che cerca di infondere il sorriso in chiunque incontra. È un po’ una missione che ho fatto mia, come ho fatto mio il motto di un professore che ho sentito qualche giorno fa in u video: “Fai quello che ti fa svegliare un’ora prima al mattino”.