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Gianni Rosato: “Mi voglio tanto bene” – Intervista esclusiva

Gianni Rosato
Attore da quando aveva 16 anni, Gianni Rosato sta per fare il grande salto: è il protagonista del film Do ut des, in uscita al cinema il 4 maggio e ispirato a una storia di cronaca che ha fatto scalpore. Lo abbiamo incontrato per un’intervista a tutto tondo in cui scopriamo sia l’attore ma anche l’uomo.

Il volto di Gianni Rosato è entrato nelle nostre case diverse volte e non è mai passato inosservato. Innumerevoli sono i progetti tra cinema e tv a cui Gianni Rosato ha preso parte: lo abbiamo visto in serie tv come Viola come il mare, al fianco di Francesca Chillemi e Can Yaman, ma anche in La fuggitiva, Che Dio ci aiuti, Don Matteo e Un medico in famiglia, ma anche in film come Morrison o Edhel.

Del resto, Gianni Rosato recita da quando aveva 16 anni, da quando adolescente ha capito di dover trasformare in realtà quel sogno che sin da bambino lo accompagnava, da quando costringeva tutta la famiglia ad assistere agli spettacoli che metteva in piedi per Natale. E nel sogno Gianni Rosato non ha mai smesso di credere, anche quando le inevitabili difficoltà bussavano alla sua porta o i ruoli erano piccoli.

Ma è proprio accettando anche ruoli che apparivano marginali che oggi Gianni Rosato è alla vigilia di un grande debutto: l’uscita nelle sale del film Do ut des di Dario Germani. Interpreta la parte del protagonista Leonardo, un imprenditore di successo la cui storia si incontrerà con quella di due diverse donne, la studentessa Francesca e la scrittrice Emanuelle, in un crescendo di eros, manipolazione e capovolgimenti di situazioni che mischieranno i confini tra bene e male.

Ed è da qui che facciamo partire la nostra conversazione a tutto tondo con Gianni Rosato, in un pomeriggio in cui, incapace di stare con le mani nelle mani, aveva appena vinto l’ennesimo provino per un nuovo progetto ancora top secret.

Gianni Rosato.
Gianni Rosato.

Intervista esclusiva a Gianni Rosato

Il 4 maggio uscirà al cinema Do ut des, un film ispirato alla storia di un protagonista della cronaca mondana che tanto ha fatto discutere.

Interpreto il protagonista maschile, Leonardo. Nella prima parte del film, Leonardo fa perdere la testa alla giovane Francesca (interpretata da Ilaria Loriga) e le fa credere che lo stesso vale anche per lui. In realtà, Leonardo la manipola così tanto, fino al punto in cui lei tenta il suicidio. Nella seconda metà del film, invece, entra in scena Emanuelle, (interpretata da Beatrice Schiaffino): si tratta della sorella di Francesca, intenzionata a vendicarsi.

Abituato ad avere il controllo sulle donne, Leonardo si ritrova in balia di Emanuelle condividendo con lei la passione per lo shibari, l’arte giapponese divenuta una pratica sessuale che consiste nel legare le proprie “prede”. In pratica, Leonardo si fa legare da Emanuelle subendo a sua volta ciò che lui era solito far subire alle sue vittime: un bello switch!

Per lo shibari abbiamo avuto un maestro sul set, che ci ha insegnato come muoverci: non potevamo di certo improvvisare. E siamo stati a Budapest, a casa di Rocco Siffredi, per girare le scene nei locali attrezzati che solitamente affitta alle produzioni cinematografiche.

Manipolazione e shibari sono quindi i due aspetti più evidenti della storia…

Assolutamente sì: la manipolazione psicologica caratterizza Leonardo, che passa dall’essere un manipolatore a essere manipolato. Il cambio è notevole e mi sono divertito a interpretarlo mettendomi in gioco sia come attore sia come uomo, seguendo le indicazioni date dalla sceneggiatrice Monica Carpanese che è stata presente sul set e ha fatto la seconda regia.

La reputo un’esperienza per me molto importante, se non la più importante della mia carriera finora: sono il protagonista maschile, tutto gira intorno a me e non nascondo qualche timore per l’uscita del film a causa del personaggio che interpreto ma allo stesso tempo è un lavoro che mi inorgoglisce e che rifarei dall’inizio alla fine.

Il sogno di ogni attore, dopotutto, non è quello di diventare famoso ma di farsi conoscere dal pubblico sperando di essere amati e apprezzati. La notorietà, come dico sempre, è solo un incidente di percorso.

Gianni Rosato in Do ut des

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Che esperienza di set è stata per te?

Una bellissima esperienza. Mi ha sorpreso il fatto di non aver vissuto con nessuno degli altri attori, tutti molto bravi, la competizione: ognuno rispettava il proprio ruolo senza prevaricare sugli altri. C’è stato quindi un lavoro di squadra veramente importante e non è detto che sempre accada. Mi è capitato di stare su set in cui la competizione tra attori era molto forte e un po’ ci rimanevo male: ho lavorato con gente a cui l’unica cosa che interessava era sapere chi aveva più o meno pose, dimenticando che non esistono grandi o piccoli ruoli all’interno dell’economia di una storia.

Ogni ruolo è per me un’occasione per dimostrare quanto vali o quali siano i tuoi limiti, cosa sei capace di fare e cosa no. Non ho mai guardato al numero delle pose ma ho sempre e solo pensato a dare il meglio: è quello il tuo biglietto da visita. Anche una sola posa serve a “metterti in mostra” davanti agli occhi dei tecnici, gli stessi che possono in futuro richiamarti per altri progetti.

Mi è successo ad esempio in passato di lavorare per una serie tv Rai con un ruolo non grandissimo ma lo stesso regista qualche tempo dopo ha voluto provinarmi per un altro progetto, ricordandosi di come avevamo lavorato sul set precedente. Anche perché non si guarda solo alle capacità ma anche al lato caratteriale di una persona.

In molte scene ti vediamo a corpo nudo. Non ti ha creato problemi lavorare molto di fisicità?

Quando mi hanno chiesto se avessi avuto problemi con le scene di nudo, ho detto di no: sto bene con me stesso e ho un buon rapporto con il mio corpo. Dal mio punto di vista, girare una scena di nudo equivale a girarne una in auto piuttosto che in ufficio.

Ci sono stati momenti durante le riprese in cui gli attori eravamo completamente nudi ma non l’abbiamo vissuta come qualcosa di compromettente o scabroso: sul set, c’era il massimo rispetto. La produzione, Flat Parioli, ci ha tutelati sotto ogni aspetto. Eravamo circondati da una certa professionalità e, anche quando i nostri corpi erano totalmente esposti, non c’era nulla che ci mettesse a disagio. Stavamo lavorando, come ha anche sottolineato un’altra attrice del film, Martina Difonte a cui, dopo una scena particolarmente violenta appena girata, ho chiesto scusa: “Siamo attori, siamo colleghi, stiamo lavorando: non ti preoccupare”.

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Nasci a Catanzaro e già all’età di 16 anni hai cominciato a frequentare la tua prima scuola di teatro…

Scuola di teatro da cui avrei dovuto allontanarmi quando a 18 anni sono stato chiamato per il servizio di leva obbligatorio. Per evitare che la leva mi portasse via un anno, una volta arrivato a destinazione ad Avellino, dopo cinque giorni in cui stavo comunque bene e avevo trovato un gruppo di colleghi fantastici, ho fatto richiesta per fare l’obiettore di coscienza, per poter ritornare a casa e non perdere quel corso che tanto desideravo fare.

E cosa ti aveva portato a frequentare quel corso?

La mia passione per la recitazione, passione che ho sempre avuto sin da piccolo. Intorno ai 12 o 13 anni, costringevo mia sorella, mio fratello e i miei cugini a mettere in piedi uno spettacolino che tutti i parenti erano poi obbligati a vedere durante le cene di Natale. Nascevano dal desiderio di voler fare qualcosa e di farla vedere agli altri per dire “ci sono anch’io”.

Quando a scuola chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, i miei compagni erano soliti rispondere con il mestiere del padre: chi il medico, chi il chirurgo, chi il carabiniere… io invece no: dicevo o scrivevo che volevo fare l’attore. A un incontro scuola-famiglia, un’insegnante chiese a mia madre da dove nascesse tale mio desiderio o se in famiglia ci fossero altri attori: ovviamente, non ce n’erano, motivo per cui la mia veniva considerata una scaramuccia da bambino che prima o poi sarebbe passata. Quando l’insegnante ha posto la stessa domanda a me, ho risposto piccato: “Lei perché è donna? Non poteva nascere uomo?”, una domanda a cui non c’era risposta, proprio come non ce n’era a quella che lei aveva posto.

Da quel primo corso non mi sono mai fermato. È sempre stato un crescendo, un continuare… continuare a provare, a prendere batoste, a lavorare, a raccogliere soddisfazioni, ad avere occasioni perse, mancate o arrivate. Capita qualsiasi cosa quando scegli di fare questo lavoro. Ero stato ad esempio scelto per la serie tv The Good Mothers (Orso d’oro a Berlino 2023), avevo ottenuto anche un bel ruolo ma, una volta in Calabria, ho preso il CoVid. Avevo firmato il contratto ma ho dovuto rinunciare (la produzione è stata però molto corretta e non mi ha fatto mancare nulla durante quella che è stata la reclusione obbligatoria per ben dodici giorni come previsto dal protocollo in quel periodo). Ci sono rimasto veramente male, perdere un ruolo, così… ma con chi avrei dovuto prendermela?

Anche in quella circostanza, però, non mi sono fermato al bicchiere mezzo vuoto. Ho perso un’occasione, è vero, ma avevo conquistato una casting director che stimo moltissimo. Non mi lascio facilmente abbattere: probabilmente non era quello il ruolo per me e arriverà dopo, qualcosa di più grande o di diverso.

Gianni Rosato.
Gianni Rosato.

Cosa significa partire dalla Calabria e affermarsi come attore?

Quando si arriva da un ambiente completamente diverso, non è facile proiettarsi in un vortice come quello rappresentato da una grande città come Roma o Milano. Occorre dunque farlo con rispetto, con umiltà e senza la pretesa di entrare a gamba tesa. Partire vuol dire mettersi in gioco, formarsi e apprezzare le cose che man mano arrivano. Sconsiglio a tutti le scorciatoie: il talento prima o poi viene fuori.

Nel mio piccolo, tutto ciò che ho fatto me lo sono sempre sudato: sono sempre stato contrario al meccanismo della raccomandazione: lo trovo squallido e alla lunga, alla prova del nove, non paga. La raccomandazione, infatti, non arriva dove può arrivare il talento. Preferisco semmai accettare piccoli ruoli: continuando a farli, ti crei un percorso che pian piano, maturando esperienza, ti porterà a essere così consacrato “nell’Olimpo degli attori”, luogo metaforico e ben reale dove tutti gli attori vogliamo arrivare.

Oltre alla raccomandazione, esistono altri tipi di scorciatoie…

Mi è capitato di ricevere delle avances, da parte sia di donne sia di uomini. Per uscirne, ho fatto lo gnorri fingendo di non capire dove volessero andare a parare. Ho ringraziato per l’opportunità di lavoro proposto ma mi sono defilato elegantemente senza nessun tipo di reazione istantanea o scena madre: le scene madri non portano da nessuna parte e spesso possono rivelarsi delle armi a doppio taglio.

Che provengano da uomini o da donne, le molestie tali rimangono: ho provato fastidio in tutte le circostanze perché le ho avvertite come una mancanza di rispetto. Mi hanno fatto sentire come umiliato e deriso: è come se tutto ciò che investi su te stesso e i sacrifici affrontati non servissero a nulla, basterebbe il compromesso.

Ricorderò sempre cosa mi disse a tal proposito Maurizio Costanzo. Anni fa, il mercoledì e il venerdì il Maurizio Costanzo Show aveva la sua appendice Raccontando, a cui ho preso parte per tre anni come opinionista (ne aveva cinque che cambiavano ogni settimana ma si era talmente affezionato a me da riconfermarmi puntata dopo puntata). In un’occasione in cui erano presenti anche degli agenti che davano consigli su come evitare determinate situazioni, ho raccontato di una persona che nel propormi un lavoro aveva avanzato le sue richieste e quale fu la mia reazione.

Costanzo, infine, mi diede una pacca sulla spalla invitandomi ad andare avanti per la mia strada perché “la mamma dei cretini è sempre incinta”. Si è parlato tanto di quella puntata e ricevetti numerose telefonate sia da gente che conoscevo sia da altri che non avevo mai incontrato, prima. Messaggi di appoggio ma anche di condivisione delle loro esperienze.

L’unico compromesso che accetto è quello lavorativo: il piccolo ruolo oggi per farti notare da un regista molto importante. Dà un valore aggiunto al tuo curriculum, ti permette di dimostrare chi sei e ti apre le porte per qualcosa di più grande in futuro.

Gianni Rosato.
Gianni Rosato.

Quanto è cambiato Gianni Rosato da quel giovane ragazzo che partiva dalla provincia di Catanzaro?

Professionalmente, tanto perché ovviamente ho continuato a studiare, a fare esperienza e a crescere. Mi sono fatto le ossa a teatro lavorando tanto con Enzo Garinei, figura fondamentale nel mio percorso, è stato un maestro ma anche un padre artistico: con lui non facevi solo teatro ma imparavi anche il rispetto per il lavoro e per gli altri. Mi ha insegnato che il palco è un luogo sacro: la sua sacralità nasce prima di tutto dal rispetto di tutte le persone che lo calpestano, dal tecnico per le luci alla signora delle pulizie.

Ma sono cambiato tanto anche personalmente. Ho imparato che si deve saper aspettare. Questo è un lavoro fatto di attese e, dunque, devi imparare ad aspettare a inserirti e a conquistare una determinata cosa. E ho imparato ad ascoltare: per me è più importante ascoltare gli altri che essere ascoltato.

I tuoi non hanno mai osteggiato il tuo percorso?

In un primo momento, non erano tanto d’accordo sulla mia scelta. Mia madre, ad esempio, mi avrebbe voluto vedere frequentare l’Università e diventare medico ma le ripetevo sempre che non era quello il mio percorso di vita. Quando ho cominciato a fare i primi provini, i miei non sapevano nemmeno che andassi a Roma a sostenerli. Con la complicità di un’amica, partivo con il treno di mezzanotte dopo il mio lavoro di cameriere, arrivavo nella capitale alle 3 di notte, sostenevo i provini durante la giornata e ripartivo nel pomeriggio. Tornavo la sera a casa esausto ma ho continuato a far così per i primi due anni fino a quando non mi sono trasferito a Roma.

Quando hanno realizzato che l’attore era quello che volevo veramente fare, hanno cominciato a sopportarmi e supportarmi in tutto, anche se non volevo pesare economicamente sulle loro spalle. Far l’attore comporta dei costi, volevo diventarlo io e non i miei genitori, e quindi trovavo corretto mantenermi. Ho fatto di tutto, dal cameriere all’agente immobiliare part time, prima di frequentare la sera il mio corso di teatro. Non so descrivere cosa hanno provato i miei genitori quando hanno cominciato a vedere i primi frutti di quello che facevo al cinema o in televisione o a leggere le prime interviste: era qualcosa che mi inorgogliva e che mi emoziona tuttora.

Che tipo di rapporto hai invece con le persone che ti seguono anche sui social?

È piacevole essere seguiti e apprezzati per quello che si fa. Mi capita, però, che mi scrivano in privato soprattutto giovani che desiderano diventare attori e che vorrebbero mandarmi il loro curriculum. In quei casi, non so veramente cosa fare: non rientra nelle mie possibilità quella di aiutarli, non sono un responsabile casting o un agente. Ciò mi fa capire come ancora oggi manchino la conoscenza e la consapevolezza di come funzioni il nostro lavoro e il settore in cui ci muoviamo.

Ovviamente, mi scrive anche chi vuole complimentarsi e i complimenti fanno sempre molto piacere: sono uno stimolo ad andare avanti e a non avere paura a mettersi sempre in discussione. Ma mi stimolano anche i commenti negativi: non si può pretendere di piacere a tutti. Rispondo in privato quasi sempre a tutti e di fronte a una critica negativa: “Mi dispiace che non ti sia piaciuto. Al prossimo progetto mi impegnerò a far sì che io possa piacerti”. E, quando esce qualcosa di nuovo, torno a riscrivere a quella stessa persona, chiedendole cosa ne pensa e se è andata meglio della volta prima. Spesso la persona si stupisce ma per me è un modo per creare un rapporto anche con chi a volte non apprezza ciò che fai: è costruttivo, posso non condividere ma rispetto sempre l’opinione altrui.

Gianni Rosato.
Gianni Rosato.

Chi è Gianni come uomo?

Sono una persona molto free ed easy ma anche molto determinata. A volte, la determinazione porta anche a dare l’impressione di avere dei paraocchi. Ho un obiettivo davanti a me e non vedo altro. Questo mi porta a dedicare meno attenzione al resto.

E in questo resto c’è anche la sfera sentimentale?

Quella è un’altra parte della mia vita alla quale tengo tantissimo. Cerco di far sì che non venga meno il tempo da dedicare a un rapporto per il lavoro. Mi impegno affinché gli affetti in generale non ne risentano…

Anche perché il tuo è un lavoro che non sempre viene ben digerito da chi ti sta accanto…

Se si sta insieme a una persona, non deve esserci gelosia. Stare insieme vuol dire anche fidarsi l’uno dell’altro e avere la libertà di partire per lavoro senza che l’altro pensi “chissà cosa starà facendo”. Deve esserci sempre fiducia reciproca, altrimenti diventa un rapporto tossico. E un rapporto malato mi è capitato di viverlo ma, quando me ne sono reso conto, ho tirato i remi in barca e l’ho lasciato andare.

Tra i miei tanti difetti, ho un grande pregio: mi voglio tanto bene, ragione per cui forse non ho nemmeno né rimpianti né rimorsi. Sono soddisfatto di tutte le esperienze che ho avuto, belle o brutte che siano, perché ognuna di loro mi ha formato, mi ha dato forza e ha indicato quale direzione prendere. Quindi, che ben vengano anche le batoste: ogni tanto fanno bene gli scossoni, non ci si deve mai adagiare sugli allori… pensa che noia!

Gianni Rosato.
Gianni Rosato.
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