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Giordana Faggiano: “Scoprirsi fragile con la recitazione” – Intervista esclusiva

Giordana Faggiano
Giordana Faggiano, attrice poliedrica e sensibile, si prepara a vivere due momenti decisivi nella sua carriera: il debutto della serie Citadel: Diana e lo spettacolo teatrale Cose che so essere vere. Tra tensioni spionistiche e drammi familiari, Faggiano racconta l'intensità e la profondità dei suoi personaggi, esplorando con delicatezza il confine tra forza e vulnerabilità.

Giordana Faggiano è un'attrice che riesce a incarnare personaggi profondamente sfaccettati e complessi, tanto sul piccolo schermo quanto sul palco teatrale. Alla vigilia di due eventi cruciali nella sua carriera, l'uscita della serie tv Prime Video Citadel: Diana e il debutto teatrale con Cose che so essere vere, Giordana Faggiano si trova a riflettere sulla natura dei ruoli che interpreta, e in particolare sulla dicotomia tra forza e vulnerabilità, temi centrali nelle sue interpretazioni.

Nel ruolo di Sara in Citadel: Diana, Giordana Faggiano esplora la complessità del rapporto tra due sorelle segnate da una tragedia familiare. Sara, personaggio apparentemente secondario, rivela una centralità emotiva: è il pilastro umano e familiare attorno a cui ruota la vicenda, incarnando la possibilità di un ritorno alla normalità per Diana, la protagonista. Giordana Faggiano racconta come sia stato importante distaccare il personaggio dall’azione spionistica per focalizzarsi sulla sua capacità di esporre la fragilità umana e l’importanza delle relazioni affettive, aspetti che, anche in una spy story ad alta tensione, riportano lo spettatore a una dimensione più intima e quotidiana.

Questo contrasto tra eroismo e vulnerabilità è un tema che ritorna nel ruolo di Rosie nello spettacolo teatrale Cose che so essere vere. Rosie è un personaggio che, attraverso una scoperta dolorosa e graduale, cerca la sua verità in un contesto familiare tumultuoso e spesso ingannevole. Giordana Faggiano riflette su quanto la verità, sia nel teatro che nella vita, richieda un'esperienza personale diretta, un percorso di scoperta, non molto dissimile da quello che vivono i suoi personaggi. L'attaccamento emotivo che l'attrice sviluppa nei confronti dei ruoli che interpreta è profondo, tanto che spesso, ammette, è difficile per lei separarsi da queste figure senza vivere intensi momenti di introspezione e anche crisi emotive.

Giordana Faggiano è un'artista che vive la recitazione come un processo di scoperta personale, capace di immergersi completamente in ogni ruolo, consapevole che ogni personaggio che interpreta, dalla fragile Rose all’indipendente Sara passando per i grandi classici, le permette di esplorare sfumature inaspettate del suo stesso essere.

Giordana Faggiano (Press: Paola Spinetti per Biancamano e Spinetti Comunicazioni).
Giordana Faggiano (Press: Paola Spinetti per Biancamano e Spinetti Comunicazioni).

Intervista esclusiva a Giordana Faggiano

“Agitatissima”, risponde Giordana Faggiano quando il 5 ottobre le si chiede come sta alla vigilia di due appuntamenti professionali che la riguardano, il debutto al Teatro Stabile di Torino con Cose che so essere vere l’8 ottobre e l’uscita della serie tv Prime Video Citadel: Diana il 10 ottobre. Nello spin-off tutto italiano della serie dei record dei fratelli Russo, Giordana Faggiano interpreta Sara, la sorella della protagonista Matilda De Angelis.

“In un primo momento, pensavo che Sara si definisse solamente in base a Diana. Ma già in fase di prove ci siamo con Matilda rese conto che aveva invece un ruolo fondamentale, importantissimo, a prescindere dalla protagonista stessa: il suo compito era quello di riportare umanità alla vicenda, di tenere ancorata la storia familiare e di togliere da Diana quel velo di eroina che un certo tipo di racconto action o thriller spesso richiede”, ci confida l’attrice di origine pugliese.

“Sara permette di vedere la protagonista nella sua sfera privata, un aspetto che da sempre trovo molto interessante: anche quando a teatro interpreto grandi protagoniste mi chiedo cosa si celi dietro alle loro scene madri e quale possa essere la loro quotidianità. È quello che permette poi il processo di identificazione da parte del pubblico”.

Chi è Sara dal tuo punto di vista?

Una donna indipendente che, rispetto alla sorella, è riuscita in qualche modo ad andare avanti rispetto alla grande tragedia che ha colpito e segnato le loro vite.

L’evento in questione è la caduta dell’aereo su cui viaggiava la loro madre, avvolta da misteri e sospetti. Da siciliano, non posso che trovare certe attinenze con l’aereo inabissatosi ad Ustica nel 1981.

Interessante parallelismo a cui non avevo pensato forse per essere nata più di un decennio dopo: ho sì sentito parlare di quella tragedia ma per questioni anagrafiche ho pensato ad altri grandi tragedie, come ad esempio l’attacco aereo alle Torri Gemelle o al volo MH370 della Singapore Airlines sparito nel nulla nel 2014 con a bordo 239 persone. Tutti casi in cui si è alla costante ricerca di una verità, la stessa che Diana vuole scoprire nel notare quanta omertà circondi l’accaduto.

Citadel: Diana - Le foto della serie tv

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Verità… porti a teatro Cose che so essere vere di Andrew Bovell. La domanda è quasi telefonata: cos’è per te la verità?

La verità per me ha a che fare con la scoperta: prima di dire che qualcosa è vera, devo farne esperienza. Ed è un pensiero che ha molto a che fare con il personaggio di Rosie che porto in scena a teatro: per tutta la storia, l’autore si chiede chi è e cosa vuole diventare. Alla fine, troverà risposte solo perché si sarà scoperta vivendo determinate circostanze.

Tu sai chi sei?

No, non so nemmeno adesso chi sono (ride, ndr). Ho una sola certezza: amo recitare.

Una scoperta che nel tuo caso avviene anche molto presto. Le cronache raccontano che già a sette anni frequentassi una scuola di recitazione.

In realtà, a sei anni. Ero piccolissima e vivevo a La Spezia allora, una città che non offriva molto a quei tempi. Mia madre si inventò allora a scuola un corso di recitazione per bambini, grazie al quale vedeva che mi divertivo a far finta. Pian piano, ho poi realizzato che giocare alla verità fingendo era qualcosa che mi accendeva e mi connotava. Ma non sempre… è capitato negli anni di essermi spinta un po’ oltre nel gioco fino a farmi male e ad avere anche dei crolli emotivi importanti.

È accaduto di fronte a ruoli intensi che anche lontano dalle scene richiedevano un certo grado di partecipazione: non riesco a essere come quegli attori che un minuto prima di scene importantissime ridono, scherzano o sparano cavolate come nulla fosse… io sento il bisogno di entrarci talmente dentro da compromettere anche l’ambiente di Giordana al di fuori del personaggio.

Cosa ti ha permesso la recitazione in tal senso di scoprire di te stessa che prima non sapevi?

Di essere fragile o di avere comunque dei blocchi anche quando devo lavorare su personaggi che comunque non mostrano particolari fragilità o vulnerabilità. Non avevo mai dato troppa importanza all’ambivalenza tra fragilità e forza ma mi sono resa conto con il tempo che ogni personaggio è in realtà fragile di per sé: molto spesso occorre trovarne il punto debole per conferirgli tridimensionalità. Siamo tutti bravi a individuarne i punti di forza mentre è più complicato con quelli deboli, spesso nascosti da una ferita o da altro che nel testo non viene raccontato.

E a me piace andare in tale direzione: è il motivo per cui apprezzo anche Valerio Binasco, uno dei pochi registi se non l’unico che riesce a lavorare come un coach con gli attori, mettendoli nelle condizioni di aprirsi e offrirsi ai personaggi a 180°.

Cose che so essere vere: Le foto

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Ricordi quando è arrivato il primo importante crollo emotivo?

Certo, assolutamente sì. Avevo 21 anni e interpretato donna Elvia nel Don Giovanni con la regia di Valerio Binasco con Gianluca Gobbi protagonista. Ero giovane e inesperta, ero uscita dall’Accademia da meno di un anno e non sapevo ancora trovare la giusta misura: purtroppo, mi buttavo con tutta me stessa nelle cose e ciò mi ha portato a star male… molto male, al punto che odiavo persino recitare, non mi andava di far nulla per tutto il giorno, soffrivo di terribili capogiri e piangevo dalla mattina alla sera, con i miei preoccupatissimi. Per me, andare in teatro era un inferno: mi ero persino comprata un cappellino per nascondere la faccia e le lacrime durante il tragitto da casa a teatro. Ero totalmente in preda a un’ansia che mi divorava.

E quand’è avvenuto lo switch che ti ha permesso di avere la meglio?

Quando ho mollato le aspettative che avevo io per prima su me stessa. Mi sono allora ripromessa di aver cura dei personaggi che mi sarei portata a casa e di non giudicarli, respingendoli. In un certo qual modo, è come se mi fossi accettata e l’accettare molto spesso risolve molto.

Da cosa nascevano le aspettative che avevi?

Ho cominciato a recitare molto presto e percepivo il grande orgoglio che ciò comportava per la mia famiglia. Pur lasciata sempre libera di fare quello che volevo, sentivo il peso della responsabilità… ma non solo. Da sempre giudicata come la migliore della classi di recitazione che frequentavo, sentivo il peso dell’essere ritenuta talentuosa: quella fama mi metteva agitazione e ansia, tanto che c’è stato un momento in cui recitavo non per me stessa ma per gli altri, per ricevere gratificazione o conferme.

Chiedermi per chi recitassi e smettere di pensare a ciò che gli altri avrebbero detto ha rappresentato uno scarto per me necessario, faticosissimo e anche dolorosissimo: abbandonare e lasciare parti di sé non è mai facile e c’è voluto il sostegno di uno psicologo.  Pian piano, sono riuscita a stabilire cosa mi piace fare, cosa non mi piace e cosa devo fare di fronte a qualcosa che non mi piace ma comunque facente parte del mio lavoro: troverò in quel caso da qualche parte qualcosa che comunque mi restituisce un equilibrio.

Ma non erano quelle aspettative legate al tuo desiderio di rivalsa per anni di adolescenza non sempre sereni?

Gli anni delle medie sono stati emotivamente complessi. Non ero ancora fiorita come donna: vedevo tutti intorno a me fidanzarsi mentre io con le mie due trecce in testa non venivo presa in considerazione da nessuno. Ero veramente come Peter Parker, molto spesso presa anche bonariamente in giro. Poi, però, su un palco scioglievo quelle trecce, lasciavo spazio ai miei capelli ricci lunghissimi e diventavo la Giordana che non riuscivo a essere a scuola. Ma non era neanche quella la mia rivalsa… oserei dire che è arrivata solo adesso, dopo la premiere di Citadel: Diana, quando alla vista delle fotografie mi hanno scritto molte persone che hanno fatto parte della mia infanzia e adolescenza per complimentarsi.

È incredibile come i progetti più nazionalpopolari abbiano maggior presa sulla gente. Come se nel frattempo non abbia ad esempio portato a teatro progetti molto importanti, compreso un Sei personaggi in cerca di autore per cui mi è stato assegnato il premio Le Maschere del Teatro Italiano come miglior attrice giovane. Ma non ho nemmeno voglia di rimarcare loro qual è stato il mio percorso fino a ora: che cavolo me ne frega?

A me interessa sapere quale peso do io al teatro e che la mia agente capisca le mie esigenze. E fortunatamente ha compreso che non rinuncerò mai al teatro per il cinema o per la televisione: non è così scontato che accada. Il mio sogno è quello di continuare a fare teatro e che, come accaduto a Fabrizio Gifuni, Toni Servillo, Lino Musella o Barbara Ronchi, da questo pian piano si aprano altre possibilità.

Giordana Faggiano.
Giordana Faggiano.

Dal 2016, a teatro, trovi Valerio Binasco, di cui divieni l’attrice per antonomasia.

Sono felice del lavoro fatto con Valerio, lo reputo un regista molto bravo e spero di continuare a trovarlo sulla mia strada. Ma non vorrei che passasse l’idea che io sia “l’attrice di Valerio Binasco” come spesso mi sono sentita dire: ci sono state persino occasioni per cui per altri progetti qualcuno ha sentito l’esigenza di chiedere a lui il permesso di lavorare con me o situazioni in cui mi sono arrivati commenti poco piacevoli.

Ovviamente, io non sono proprietà di Valerio e il mio percorso è il mio, per quanto io sia grata a Binasco che mi ha scelto per grandi ruoli quando ancora ero una ventunenne e al Teatro Stabile di Torino, un posto che per me è famiglia, che amo e in cui tutti mi hanno sempre supportata confermandomi di spettacolo in spettacolo. Con loro mi senta a casa me ho voglia di aprirmi anche a realtà nuove e sicuramente diverse, nonostante con Valerio ci si capisca oramai con uno sguardo, si collabori e ci sia una bella sinergia creativa!

La recitazione ti ha dato molto… ma cosa ti ha tolto?

Sicuramente, l’organizzazione di una vita più ordinaria. Spesso osservo i miei amici sposarsi, avere relazioni stabili o divenire genitori: per me, invece, tutto ciò è ancora quasi impossibile. Mi ha dunque tolto la possibilità di fare progetti più ordinari, non mi viene altro termine: sebbene ad esempio manchi la condizione necessaria, mi piacerebbe avere adesso un figlio ma non è una scelta che non posso permettermi perché nel frattempo ho una tournée che mi aspetta e voglio avere anche la libertà di girare.

E mi ha tolto anche riposo. Solitamente, il giorno di riposo a teatro è il lunedì ma quello è anche il giorno in cui ci si sposta da una città all’altra! Stare in tournée è faticosa e toglie benessere fisico, nonostante sia la cosa più bella del mondo. L’essere sempre in viaggio finisce anche per condizionare le tue abitudini: ho comprato casa a Roma per viverci quando non lavoro ma se ci sto per più di cinque giorni impazzisco, sento sempre l’esigenza di viaggiare e muovermi.

Del resto, sei sempre stata in movimento anche per esigenze familiari…

Sono nata a Bari ma con la mia famiglia mi sono spostata a Livorno. Poi, da lì siamo passati a La Spezia e da La Spezia a Genova. Da Genova sono poi passata a Roma ma vivo per esigenze di lavoro molto spesso a Torino… sono una mina vagante!

Giordana Faggiano.
Giordana Faggiano.

Cosa ha significato per te ricevere nel 2023 il premio “Le Maschere del Teatro Italiano”? Un premio cambia qualcosa nella vita di un attore o di un’attrice?

Onestamente? Mi sarebbe piaciuto vincerlo l’anno prima quando ero candidata per le interpretazioni di Ifigenia e di Clitennestra per due spettacoli che avevo portato in scena quasi contemporaneamente, con una maratona difficile da sostenere sia psicologicamente sia fisicamente. Ma non l’ho vinto e ci sono rimasta malissimo… riceverlo l’anno dopo è stato del tutto inaspettato, anche se quello della Figliastra per Sei personaggi in cerca d’autore è uno dei personaggi più complessi interpretati in vita mia, costantemente in scena a ridere.

Cambia qualcosa? Sì, fosse anche solo il modo con cui gli altri si relazionano a te con maggior rispetto. È brutto quasi da dire ma è così: un premio è pur sempre un riconoscimento pubblico, una verifica superata, soprattutto quando è meritato. E, lo dico senza presunzione, io me lo sono meritato…

Per quello spettacolo ho affrontato un percorso umano tostissimo: tutte le sere tanta era l’ansia da prestazione che prima di andare in scena avevo l’esigenza di andare in bagno almeno otto o nove volte. Dovevo ridere per un’ora e 45 in maniera sempre diversa e ridere è sempre difficilissimo. Reputo quello della Figliastra un ruolo estremamente performativo che richiedeva non solo istinto ma anche molta tecnica.

E a dir la verità quel premio ha sicuramente cambiato anche qualcosa nei miei contratti successivi.

“Non sono una maestra, sono una collega”: ti presenti così agli allievi della Scuola Teatro Sergio Tofano. Allergia al termine “maestro”?

Sì. Ed è un’eredità che mi porto dietro da Valerio Binasco, che a sua volta l’aveva ricevuta da Carlo Cecchi. Il non considerarsi “maestro” mette in una condizione che non è di superiorità ma di comprensione tra insegnante e allievo. Per come la vedo io, il maestro è qualcuno che sa qualcosa di più rispetto agli altri mentre io non credo di sapere più di un allievo: rispetto a lui, ho semplicemente conosciuto più cose sulla recitazione perché ho più esperienza. Ma con il giusto allenamento anche lui può arrivare a conoscerle: per me, la recitazione è una forma di allenamento con tanta tecnica da sollecitare.

Giordana Faggiano.
Giordana Faggiano.
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