Entertainment

Giorgia Salari: “Libera di essere come sono” – Intervista esclusiva

giorgia salari
Protagonista del cortometraggio Le molecole del destino, Giorgia Salari si apre a TheWom.it con un’intervista esclusiva da cui emerge il valore della protezione. Non solo nell’ambito delle relazioni ma anche sul luogo di lavoro, riflettendo su una professione come la sua cambiata nel corso degli ultimi anni e sempre in divenire.

Giorgia Salari è la protagonista del cortometraggio Le molecole del destino, scritto e diretto da Massimo Ivan Falsetta, con nel cast anche Ettore Bassi, Costantino Comito, Sara Ricci e il professor Vittorio Unfer. Interpreta il ruolo di Eleonora, una giovane donna che scopre di aver contratto il papilloma virus che, infido e infingardo, dà il via a un calvario fatto d’innumerevoli operazioni finalizzate a non far progredire lo stato di lesione dei tessuti in una neoplasia. Quando sembra perdere ogni speranza e un’isterectomia appare come l’unica soluzione, Eleonora grazie a un incontro fortuito entra in contatto con un professore che le eviterà il peggio.

Giorgia Salari, reduce da un periodo fortunato che l’ha vista destreggiarsi tra cinema (I migliori giorni) e televisione (Nero a metà 3), non ha avuto dubbi nell’accettare la parte di Eleonora e di portare sullo schermo una storia che è ispirata a una vicenda realmente accaduta. Quanto sia potente il lavoro fatto da Giorgia Salari è evidente nell’ultima scena di Le molecole del destino, quando è possibile confrontare un audio di una telefonata della vera Eleonora con l’interpretazione che ne ha fatto l’attrice romana.

Figlia di una madre medico e di un padre imprenditore (che però ha mosso i primi timidi passi come attore), Giorgia Salari non è una che si nasconde dietro un dito e va dritta al punto: per prevenire il papilloma virus servono prevenzione e uso del preservativo. E su quest’ultimo aspetto ha le idee ferme: fosse per lei, metterebbe i distributori automatici di condom anche nelle scuole. Agli e alle adolescenti va fatto capire che esistono problemi e conseguenze che non si risolvono con la pillola del giorno dopo o con la prep, quindi sempre meglio proteggersi.

Determinata e risoluta, Giorgia Salari sa trovare la chiave ironica giusta per affrontare anche un argomento spinoso legate alla differenza di visione delle malattie a trasmissione sessuale tra uomini e donne. Mentre per le donne la ginecologia è un compagno indispensabile di vita, gli uomini dovrebbero capire che anche per loro l’andrologia è un’alleata e non una nemica.

Ma sono tanti e diversi gli spunti di riflessione che nascono dalla nostra intervista in esclusiva con Giorgia Salari. Si discute ad esempio di doppiaggio ma anche di social media, di intelligenza artificiale e di approccio a un lavoro come il suo in cui il pericolo molestia, non solo sessuale, è sempre dietro l’angolo. Ma senza mai dimenticare l’ironia, una dote che non si impara sul campo.

Giorgia Salari.
Giorgia Salari.

Intervista esclusiva a Giorgia Salari

È stato appena presentato un cortometraggio di una ventina di minuti di cui sei protagonista insieme a Ettore Bassi e Sara Ricci. Si chiama Le molecole del destino e affronta un argomento particolarmente delicato di cui si parla ancora oggi fin troppo poco: il papilloma virus. Interpreti Eleonora, una donna che segue tutto il calvario che il virus comporta: dai controlli periodici alle sue estreme conseguenze.

La storia che si racconta nel corto è molto belle perché è piena di sfaccettature e di eventi. In una ventina di minuti, si ripercorrono dieci anni di vita di una persona e non è stato semplice scriverla, interpretarla e realizzarla. Tutta la troupe, dal trucco al parrucco, si è data da fare per rendere credibile il passare del tempo e l’evoluzione di dieci anni di calvario e di convivenza con un virus che, colpendo una donna in un’età ancora fertile, provoca la prospettiva di farle subire un’isterectomia totale.

Il percorso di Eleonora è segnato da tanti punti cardine: vari interventi, la nascita di un primo figlio, la fine di un matrimonio, un secondo compagno e la volontà di una seconda maternità. La sua è una ricerca infaticabile che, in una situazione molto estrema, la porta a contatto con chi ha sviluppato le molecole del destino del titolo, il professore Vittorio Unfer, uno dei massimi esperti a livello internazionale dell’uso degli inositoli. È incontrando lui che eviterà l’asportazione totale dell’utero e potrà continuare a coltivare il sogno di una vita normale.

Le molecole del destino si basa su una storia realmente accaduta. Il film si chiude con la telefonata della vera Eleonora al dottor Unfer.

È la prima volta che mi capita di lavorare su un personaggio esistente e ancora vivo. La prima cosa che ho fatto quando ho accettato il ruolo è stata quella di farmi mandare l’audio di quella telefonata dal professore. Me lo sono studiato per un bel po’ perché più che replicarne il tono volevo capire il carattere di quella donna. Quel vocale mi ha aiutata tanto perché lascia trasparire l’energia e la spinta vitale che la caratterizzano.

Non tutti nella vita affrontiamo i problemi con la stessa attitudine e non necessariamente il dolore ti migliora e ti cambia. Lei invece non ha mai perso la speranza: mi ha trasmesso l’idea del mollare, non solo la forza ma anche il sorriso che serve per non mollare. Per me, che ho tutt’altro carattere, è stata una bella scoperta: mi ha regalato delle cose che mi sono portata dietro.

Le molecole del destino: Le foto del film

1 / 4
1/4
2/4
3/4
4/4
PREV
NEXT

In cosa siete diverse e cosa ti ha lasciato?

La mia indole profonda mi porta a mordere la vita in maniera forse aggressiva, non è la parola corretta ma usiamola per semplificare il tutto. Lei invece ha una sua forza che esprime in altro modo, con una grande vitalità e un grande sorriso: siamo entrambe due donne forti ma con un’attitude differente nei confronti della vita. Con la sua storia mi ha lasciato la possibilità di scoprire il sorriso del non mollare a cui accennavo prima. Non serve sempre prendere tutto di testa, rischi di chiuderti alle possibilità: se sei concentrato solo su qualcosa, tiri dritto per la tua strada come se indossassi dei paraocchi e non vedessi più altre possibilità di affrontare la tua vita.

Eleonora mi ha dato modo di sperimentare un altro lato di me. Ogni volta che si affronta un ruolo c’è la speranza di scoprire qualcosa di interessante. Non sempre accade, a volte non ti porti niente dai personaggi (e questo gli attori tendono a non dirlo mai!) ma questa volta per me è successo.

In un momento particolare del suo percorso, Eleonora decide anche di lasciare il marito…

E di ricominciare. Fatalità vuole che incontri una persona che la supporterà. È stata coraggiosa e la vita le ha fatto incontrare qualcuno empatico che è riuscito a capire la sua condizione, che non si è spaventato quando parlava di virus e malattie: la gente normalmente si spaventa e scappa malamente! Il marito non è che sia scappato ma non ha saputo affrontare la cosa, decidendo di buttarsi sul triathlon e di evadere. Non se n’è andato ma si è chiuso nel suo mondo, il che è un altro modo per lasciare soli e rivelare la propria incapacità e la propria paura. Il secondo uomo è invece più empatico e, come sappiamo, il mondo si divide in due grandi categorie: le persone empatiche e quelle che non lo sono. Gli empatici riescono a darti qualcosa.

Il papilloma è uno dei virus più infidi che si possono incontrare nel percorso di vita sia di donne sia di uomini. Non viene quasi mai ricordato ma anche una piccola percentuale di uomini va incontro a problemi di varia natura…

Il tumore del pene come per la donna il tumore al collo dell’utero. Ma non sapevi che sono le donne a portare tutte le malattie sessualmente trasmissibili? (ride ironicamente, ndr). Persiste ancora questo retropensiero quando in realtà gli uomini sono quasi sempre portatori sani di papilloma virus e sono esenti da conseguenze gravi come quelle che intaccano le donne: in questo, siamo biologicamente un po’ sfortunate!

Tra uomini e donne c’è anche un diverso approccio alla prevenzione. Non è così facile che un uomo vada dall’andrologo a dire di avere un problema…

Per noi donne è totalmente diverse: ci controlliamo spesso e siamo brave nel fare prevenzione (anche se non tutte lo fanno). La ginecologa di riferimento per noi è quella che ti risponde al telefono tutte le volte che ne hai bisogno. Non esiste che una ginecologa non ti richiami: per noi donne, è un medico fondamentale, più di quello generico o di base. Gli uomini invece hanno un rapporto quasi inesistente con l’andrologo: delegano a noi donne il da farsi quando hanno un problema. Ma che ne sappiamo noi? Parlassero con il loro medico! (ride, ndr). Anche se poi io mi diverto a fare le diagnosi: da piccola, avrei voluto fare il medico come mia madre.

La prevenzione deve cominciare nel momento in cui si inizia ad avere i primi rapporti sessuali. Alle adolescenti va detto di vaccinarsi così come di non sottovalutarsi. Bisogna lavorare tantissimo sulla relazione di coppia e mettere da parte il mito del piacere maschile: non esiste solo quello. Quindi, “volevamo dare questa notizia a tutti quanti”: usate il preservativo , non fa piacere a nessuno ma è così che funziona per stare sereni. La prevenzione è essenziale: vaccino (che va ripetuto dopo dieci anni) e preservativo, prima di tutto. Tra l’altro, del papilloma esistono qualcosa come cento sottotipi differenti, una cosa terrificante.

L’unico aspetto positivo, se vogliamo cercarne uno, è che circa l’80% della popolazione che ha incontrato il papilloma ha risolto spontaneamente il problema con un corpo in grado di combatterlo e annientarlo. Resta però un 20% di casi sfortunati che può degenerare in altro, dal tumore all’utero per le donne a quello al pene per gli uomini. Gli uomini non pensano ai controlli al pene perché il tampone fa male ma, senza entrare nei dettagli scabrosi, pensano forse che una visita ginecologica sia per noi piacevole?

Fosse per me, ad esempio, metterei i distributori di preservativi nelle scuole, accanto a quelli delle bibite. Vanno usati non solo per evitare gravidanze indesiderate ma soprattutto per proteggersi da tutta una serie di malattie a trasmissione sessuale, di cui fortunatamente oggi si parla un po’ di più rispetto al passato.

https://www.instagram.com/p/ClLvNk3KUZI/

Giorgia Salari, mamma medico e papà…?

Da giovane ha lavorato come attore, tra l’altro, in uno sceneggiato bellissimo per la Rai, con Anna Magnani ed Enrico Maria Salerno, e ha fatto una piccola partecipazione al film Il medico della mutua. Ha conosciuto diversi mostri sacri del nostro cinema anche se poi ha deciso di fare l’imprenditore nella vita. Tra l’altro, sapevo che avesse fatto l’attore ma non che avesse lavorato con la Magnani e Salerno: me lo ha detto due settimane fa… giusto due nomi a caso, i primi arrivati!

Hai quindi un po’ ereditato il mestiere dei tuoi: desideravi fare il medico e sei diventata attrice…

Non so se l’ho ereditato. C’è una foto di me piccolissima, a tre anni, che dimostra che volevo già far l’attrice. Ma mi sarebbe piaciuto diventare anche medico, come Enzo Jannacci, ad esempio.  

Ti diverte il tuo lavoro?

Non è che mi diverte, il mio lavoro è la mia vita. Senza questo lavoro, sarei una donna morta.

E ti divertono anche le critiche negative quando arrivano?

No. Che se ne dica, anche la critica costruttiva si fa fatica a digerirla. Un attore vuole essere bravo e ricevere gli applausi. Quindi, per accettare le critiche, anche se costruttive, occorre fare un grosso lavoro sul proprio ego. Non credo di conoscere nessuno che, indipendentemente dalla professione, sia felice quando gli dicono che svolge non bene il suo lavoro: non vedo tutti ‘sti illuminati in giro, non capisco perché dovremmo esserlo noi che lavoriamo in un campo artistico.

È il pubblico che alla fine ti restituisce se hai svolto bene o male il tuo lavoro: le critiche spesso arrivano dai colleghi o dagli addetti ai lavori, che si sentono in obbligo di darti consigli anche quando non sono richiesti.

Spesso si finisce per essere giudicati non per il proprio lavoro ma per aspetti della vita privata…

Viviamo in un momento in cui si è raggiunto un livello altissimo di perversione pura nei confronti della vita privata della gente, soprattutto di personaggi pubblici. Non si tratta più di semplice gossip ma di invenzione pura. Spesso, ti senti dire anche dagli addetti ai lavori o dagli uffici stampa che devi inventarti qualcosa: non basta più parlare del proprio lavoro ma serve qualcos’altro da dire altrimenti non ti si fila più e si cercano le attrici giovani che hanno qualcosa di particolare da rivelare della loro vita.

Ed è così che partono tutti quei trend che portano colleghi e colleghe a parlare di malattie e patologie che andrebbero semplicemente curate da un medico e non dai mass media. Il rapporto con il pubblico andrebbe costruito con il proprio lavoro e non attraverso i dolori: non lo trovo corretto e non mi piace. Rilascio interviste se ho qualcosa di bello da raccontare sul mio lavoro e non sulla mia vita privata: in questo, ho sempre avuto come modello Mariangela Melato e la sua straordinaria capacità di essere amata per il mestiere che faceva e non per altro.

Di vita privata chi fa il tuo lavoro parla spesso anche sui social, qualcosa che invece tu non fai.

Non so sei vera o no ma gira voce che ultimamente si fanno i casting scegliendo i talent in base al numero di followers che hanno. Probabilmente questa moda dei social passerà presto, anche perché stiamo andando verso tutta un’altra direzione. In questi giorni, anche a causa dello sciopero in atto nel mondo del doppiaggio, si parla spesso di intelligenza artificiale applicata all’audiovisivo: tutti quanti possiamo essere digitalizzati, stiamo andando incontro a un universo à la Blade Runner.

Tra l’altro, si sta parlando molto poco dello sciopero del settore. Forse ci renderemo conto delle conseguenze quando vedremo la Brooke di Beautiful parlare in inglese con i sottotitoli in italiano.

Il doppiaggio può piacere o non piacere, è sempre stato molto divisivo: c’è chi lo ama e chi invece preferisce vedere i prodotti in lingua originale con i sottotitoli. Con tutto il beneficio del dubbio, non ho la sfera di cristallo per capire come andrà in futuro, quello dell’intelligenza artificiale è un rischio molto serio da non sottovalutare. Mi piacerebbe che il valore di certi mestieri, come il doppiatore o l’attore, ritornasse a essere contemplato nel nostro Paese.

Una volta, gli attori arricchivano la vita delle persone in maniera diversa, forse perché c’erano anche altri prodotti in grado di raccontare la gente: ciò generava un rapporto di gratitudine, di riconoscenza e di amore nei confronti degli artisti. Un rapporto che oggi non c’è più: i prodotti si consumano perché si ha voglia di staccare il cervello e non pensare, sono diventati una merce di consumo e ne esce intaccata anche la qualità degli stessi.

Ecco perché degli scioperi del settore o delle conseguenze dell’uso dell’intelligenza artificiale non interessa niente a nessuno. C’è il rischio che certi mestieri scompaiano per sempre: pensavamo che tale pericolo non riguardasse il settore artistico e invece non è così. Forse noi attori ritorneremo per davvero alle origini, al teatro, a quello che rimane il mio primo amore e in cui non puoi mettere un ologramma o un influencer a recitare.

Il teatro è quel luogo che svela tante cose e che tanto ti dà in cambio. È un mestiere diverso, molto più faticoso anche fisicamente: sei in scena tutto il tempo con il tuo corpo, fai le prove, prendi la valigia e sei costantemente in viaggio per le tournée… ho fatto in tempo a vedere le tournée lunghe, quelle per cui per mesi e mesi eri lontano da casa. Ho visto quel mondo prima che cambiasse, ho lavorato con i vecchi maestri e forse per questo sento di avere un’eredità di altro tipo, un imprinting diverso.

A proposito del tuo lavoro, è uscito in questi giorni una sorta di decalogo su ciò che le attrici non dovrebbero fare per evitare molestie sul luogo di lavoro. A prima vista, sembra quasi paradossale la volontà di responsabilizzare le vittime e non gli abusatori.

La vedo un po’ diversamente. È importante prendere coscienza della correità dell’atteggiamento femminile rispetto a quello che è il comportamento maschile. È vero che certi uomini si prendono delle libertà ma è altrettanto vero che sin da piccole a noi donne ci hanno abituato a sorridere, a essere ben educate, a fare in un modo anziché in un altro. Nonostante siamo figlie e in alcuni casi nipoti di gente che ha fatto il ’68, ci ritroviamo a dover far fronte a un tipo di atteggiamento che nel nostro Paese è ancora più patriarcale che in altri: alcune hanno saputo trarre vantaggio, anche in maniera non totalmente cosciente, da quest’atteggiamento indotto ma dobbiamo effettivamente cominciare a rieducarci e a risensibilizzarci su come comportarci.

Quindi, il decalogo non è una stupidaggine o una sciocchezza: è un modo per invitarci a evitare un atteggiamento non vittimistico. Se continuiamo a dare la colpa solo a loro, ai maschi brutti e cattivi che non ci danno la possibilità di emergere, non ne usciamo vincitrici ma sempre vittime. Io per prima sono stata indottrinata in un certo modo ma allo stesso tempo ho potuto decidere come doveva essere il mio percorso. Ho avuto la fortuna di non essere mai stata molestata ma di abusi di potere da parte degli uomini sui luoghi di lavoro ne ho subiti: potrei fare mille esempi che non sono direttamente una molestia sessuale ma che sono un abuso.

Se su un set non sorridi, diventi ad esempio la stronza che se la tira. L’iniziativa del decalogo serve a imparare a dire di no: oggi non ho voglia di sorridere, di vestirmi figa o di compiacere te: devo essere libera di essere come sono… e questo è un lusso!

Giorgia Salari.
Giorgia Salari.
Riproduzione riservata