Giovanna Sannino torna a rivestire nella serie tv Mare fuori 3 il ruolo di Carmela. È difficile spiegare con poche parole chi sia Carmela senza scadere nella retorica e nella banalità. A prima vista, è una ragazza che sta dal lato sbagliato della legge. Innamorata di Edoardo, ha da lei avuto un figlio ed è forse l’amore materno ciò che oggi più la caratterizza.
E per Giovanna Sannino non è stato sicuramente facile vestire per la serie tv Mare fuori i panni di Carmela, una donna lontana da lei e dal suo modo di essere. Passionale, lunatica e determinata, come lei stessa si definisce, Giovanna Sannino a differenza di Carmela ha avuto la possibilità di scegliere cosa fare e quale strada seguire. L’amore e la passione dei genitori l’hanno portata a capire che la recitazione sarebbe stato il suo percorso.
Cresciuta a pena ed Eduardo De Filippo, Giovanna Sannino ha conosciuto la realtà dell’IPM ancor prima di entrare nel cast della serie tv Mare fuori. Era poco più di una bambina quando ha seguito la madre per un laboratorio teatrale all’interno dell’istituto penitenziario di Nisida e ricorda ancora bene l’emozione provata e lo sguardo, spento, di chi stava dall’altro lato: giovani cresciuti in fretta in un mondo di adulti distratti e disattenti.
L’amore è tutto ciò che muove i personaggi della serie tv Mare fuori ma è anche ciò che muove Giovanna Sannino. Amore per se stessa, per il suo fidanzato, per il suo lavoro e per la sua famiglia. E quanto quest’ultima giochi nella sua vita un peso fondamentale lo ripercorre anche nel libro Non sempre gli incubi finiscono al mattino. Un libro scritto dopo un’esperienza intima dolorosa che ha messo in discussione ogni sua certezza.
In un confronto continuo tra la Carmela di Mare fuori e la donna Giovanna Sannino, in quest’intervista conoscerete quanta forza serva per andare avanti e non farsi travolgere e quanto importante sia coltivare un sogno, credendoci sempre.
Intervista esclusiva a Giovanna Sannino
Sei uno dei volti di punta di Mare fuori sin dalla prima stagione. Carmela, il tuo personaggio, è forse uno dei più complessi di tutta la serie tv: si ritrova, giovanissima, mamma di un bambino e quasi moglie di un detenuto, Edoardo. Com’è cambiata Carmela nel corso degli anni?
Carmela è cambiata un po’ insieme a me. L’ho incontrata che ero appena diciannovenne e al mio primo grande set. Siamo cresciute insieme.
Nella prima stagione di Mare fuori Carmela era una giovane che non sapeva quali responsabilità l’aspettavano e per tutti gli episodi rimane una ragazza che ancora deve mettere al mondo suo figlio. La seconda stagione, invece, iniziava con la scena del parto sofferente di Carmela ed è in quell’istante che è cominciato il suo processo di cambiamento: credo che nella vita di qualsiasi donna il prendere tra le braccia il proprio figlio incida sia a livello mentale sia a livello fisico.
Carmela ha dovuto, quindi, salutare la sua parte più immatura e abbracciare con tanto amore la donna che è diventata, pur rimanendo sempre nell’ombra di Edoardo. Quest’ultimo è un aspetto che ho voluto sottolineare spesso perché comunque quella di Carmela è una realtà che ci sembra lontana e distante da noi, quella di tante donne che non hanno voce in capitolo se non quella dei mariti.
Nella terza stagione, infine, vediamo finalmente Carmela affermarsi. L’aspetto bello è che, nonostante la brutta realtà che vive, Carmela non perde mai la sua empatia. Sia io sia il regista Ivan Silvestrini abbiamo tenuto molto a mantenere viva la sua umanità.
Umanità che è spesso sottolineata dalle sequenze in cui Carmela tiene il suo bambino tra le braccia, come se fosse quella piccola coperta di Linus da cui non riesce a separarsi.
È come se il cordone ombelicale con suo figlio non fosse stato mai reciso. È nel bambino che risiede la luce di Carmela: tutto ciò che fa lo fa in funzione del figlio. Forse è propria questa la scintilla di Carmela.
Carmela ha una figura materna che è stata molto presente nel corso delle puntate. Volendo fare un paragone con la tua vita, anche tua madre è stata molto presente. È lei che ti ha portata ad entrare per la prima volta all’IPM di Nisida grazie a un progetto sociale interessante ed inclusivo.
La prima volta che sono entrata a Nisida è stata come spettatrice di un lavoro teatrale che aveva messo realizzato mia madre con i ragazzi ospiti dell’IPM. Avevo 15 anni, ero piccolissima e, a esser sincera, ero anche spaventata. Si trattava di una realtà completamente distante dalla mia e non sapevo nemmeno come comportarmi. Non volevo andar lì e dar l’impressione che stessi giudicando o osservando quei ragazzi.
Ci sono poi tornata qualche anno dopo in veste di coach per un laboratorio teatrale. Avevo diciotto anni ed ero più grande, avevo vissuto delle esperienze personali forti e mi sentivo molto in sintonia con quei ragazzi: la cosa più bella che mi hanno donato è stato il loro sorriso sincero, fatto di affetto e stima, dopo un percorso di sei mesi insieme. Quando entri all’IPM, incontri dei ragazzi con gli occhi spenti: non hanno mai conosciuto la spensieratezza e la bellezza dell’essere giovani e liberi.
È stato per te difficile renderti credibile con loro? Avevi comunque diciotto anni e parlavate da adolescente a adolescente…
La verità? Non ho trovato tanta difficoltà. Non mi sono mai messa a livello superiore con loro: ero lì per donare qualcosa ma anche loro stavano donando qualcosa a me. Avevamo la stessa età e forse è stato questo il punto di partenza fondamentale: eravamo sullo stesso piano ma con storie diverse da raccontare. Tra noi c’è stato sempre molto confronto tanto che a un certo punto mi sono ritrovata non ad assolverli ma a comprenderli, a voler andare loro incontro: non ero la professoressa che voleva insegnare loro qualcosa. L’obiettivo comune era un’ora d’aria in più, un momento di vera libertà e di gioco attraverso il teatro. E sin da subito c’è stato un forte contatto, facilitato dalla vicinanza e dalla comprensione.
Comprensione è ciò che viene richiesto anche agli spettatori di Mare fuori. I ragazzi della serie tv non vanno giudicati ma capiti. In fondo, si muovono tutti per amore, per bisogno d’amore. Nel corso della terza stagione, il pubblico si ritroverà di fronte a una storyline con al centro un amore omosessuale. Come avete accolto voi ragazzi del cast la notizia quando vi è stata data?
Rispetto al passato, siamo tutti consapevoli di come, dopo il successo su RaiPlay e Netflix, Mare fuori abbia un pubblico molto più ampio di prima. Di conseguenza, abbiamo il dovere di affrontare anche dei temi che, seppur sembrano metabolizzati, in realtà non lo sono. Quando gli sceneggiatori ci hanno presentato la storia, tutti quanti l’abbiamo accolta subito con grande impegno e serietà.
Trattare di temi come l’omofobia ma anche il razzismo, come vedrete nel corso delle puntate, è importante perché è dai giovani che bisogna partire se speriamo in un cambiamento reale. Occorre rappresentare certe tematiche per far sì che vengano accettate, abbracciate e capite nelle loro unicità e sfumature.
Su quanto ci sia ancora da lavorare è evidente se ripensiamo a quello che è successo quest’estate quando una suora ha interrotto un vostro shooting fotografico con due attrici che si baciavano. Cosa avete pensato voi ragazzi quando avete visto quelle immagini?
La prima reazione è stata una risata ma non di divertimento: eravamo sconvolti. Sembrava tutto finto, quasi la scena di una soap opera, per quanto era surreale: si parla tanto di diritti civili e di accettazione dalla parte della Chiesa che non riuscivamo quasi a crederci. Papa Francesco, non sono una fervida credente ma lo ho apprezzato sin dalle sue prime parole, si è presentato molto aperto al riguardo e tutti ci aspettavamo una sorta di cambiamento che a quanto pare non è ancora avvenuto.
La tragicomicità involontaria di quell’episodio ci ha lasciati perplessi. Tuttavia, ci ha fatto capire che eravamo sulla giusta strada: se è quella è ancora la realtà inconcepibile dei fatti, avevamo il dovere di proseguire con il nostro lavoro. È stato un segnale di allarme.
Hai citato il successo della serie. Com’è cambiata la vita di voi ragazzi che da sconosciuti siete diventati idoli che vengono fermati per strada e chiamati con il nome dei propri personaggi?
Lavoro e studio alla Sanità, uno dei rioni più conosciuti di Napoli. E lì Giovanna, il mio nome, non è più contemplato: sono Carmela per tutti. Ormai ci ho fatto l’abitudine però è molto strano tutto ciò. Non mi rendo conto di quello che sta accadendo, forse non me ne renderò conto mai. L’altro giorno, ad esempio, stavo andando al lavoro e c’era una ragazza che mi fissava. Ha cominciato a parlare di Mare fuori cercando di capire la mia reazione. Non le ho detto niente perché sono terrorizzata dalla folla, però mi ha fatto molto sorridere: è in quei momenti che ti rendi conto di quante persone abbiano visto la serie.
Volendo, è anche molto divertente perché ti trattano come se fossi un super eroe senza contare che siamo persone assolutamente normali che sono arrivate fin lì un po’ per fortuna, un po’ perché abbiamo sudato e studiato. A me non va che passi il messaggio del successo immediato, del fenomeno: c’è tanto studio e fatica dietro. Le volte in cui mi fermano, ci tengo a spiegare che nulla è caduto dal cielo.
Studio, lavoro e sacrificio per una passione, quella per la recitazione, che ti è stata trasmessa dai genitori, che hanno da sempre il teatro nel sangue. Ricordi come hai iniziato?
Ho cominciato con mamma e papà. Ricordo che mio padre mi leggeva e mi obbligava quasi a vedere i testi e i film di Eduardo De Filippo: le sue opere erano la mia favola della buonanotte. Senza quasi accorgermene a cinque anni mi sono trovata su un palco per il mio primo spettacolo. Ho iniziato poi a lavorare intorno ai 13 anni: sentivo l’adrenalina nel sangue ogni volta che recitavo e mi piaceva. Di mio, non sono una persona ansiosa: l’unica cosa che mi provoca emozioni forti è una scena da girare, un testo da studiare o, molto più semplicemente, andare a teatro.
La regia di Mare fuori 3 è affidata a Ivan Silvestrini, venuto dopo Carmine Elia e Milena Cocozza. Per voi attori è cambiato qualcosa?
Ci siamo negli anni interfacciati con tre registi con visioni completamente diverse sia nell’approccio allo studio dei personaggi sia nel modo di lavorare e concepire il prodotto finale. Ed è stato molto interessante, dal momento che il progetto era sempre lo stesso. Con Ivan, abbiamo sicuramente avuto l’opportunità di entrare nelle viscere dei personaggi: è anche il regista che ha diretti ben 18 episodi e con cui abbiamo trascorso molto più tempo assieme.
Mentre nella prima stagione di Mare fuori c’era un grande punto interrogativo di fondo e occorreva costruire i personaggi, la seconda stagione è quella che ha permesso agli stessi di carburare. Nella terza, quindi, tutti i personaggi erano vivi: Ivan ci ha però dato la grandissima possibilità di limare tutti quei lati e tutte quelle sfumature non ancora definiti. Tante volte abbiamo girato le scene in due versioni differenti: quella di Ivan e la nostra, concedendoci totale libertà di lavoro. Ovviamente, era sempre lui il deus ex machina, responsabile della coerenza narrativa, però ci ha concesso una libertà enorme per farci rendere conto dei nostri sbagli. È stata un’incredibile occasione di crescita, personale e professionale.
Qual è invece l’atmosfera che si respira tra voi giovani attori sul set?
C’è tanta stima e complicità tra di noi. Sin da subito, abbiamo capito che sarebbe stato una serie tv diversa dalle altre e abbiamo unito le nostre forze per dar vita a un progetto unico e nuovo. Avevamo tutti in comune lo stesso obiettivo e ciò ha fatto sì che ci fosse grande gioco di squadra. Un gioco che continua ancora oggi…
Non sono mancate e non mancano le discussioni ma riusciamo sempre a metterle da parte con grande maturità. Certe volte, sembriamo dei quarantenni e non dei ventenni: non arriviamo mai sul set portandoci appresso le discussioni del giorno prima.
Un classico luogo comune dice che un attore porta sempre un po’ di sé nel personaggio. Cosa hai portato di te in Carmela?
Ho portato la mia concezione di amore. Ho sempre vissuto e vivo l’amore in maniera passione e totalizzante, nel bene e nel male. Di sicuro, ho avuto le mie batoste ma le ho sempre accolte con la consapevolezza che tutto ciò che era stato fatto era per amore. E, quindi, prima con Edoardo e ora con il piccolo Ciro, ho voluto che Carmela rendesse l’idea di essere una persona innamorata dell’amore, il motore di ogni cosa. Se non c’è amore, c’è apatia. E, se c’è apatia, c’è morte.
E cosa invece Carmela ha lasciato a te?
Un forte senso di maternità e di responsabilità nell’avere un bambino minuscolo tra le mani. Non ho mai voluto lasciare il bimbo durante le riprese: volevo creare un contatto con lui. Non era un attore, troppo piccolo per esserlo, ma un povero martire che ha sofferto con noi il caldo dell’estate! Creare quest’imprinting fisico con lui mi ha aiutato e lasciato addosso una gran voglia di maternità, un desiderio di essere madre che prima non era così forte.
A 13 anni, dicevamo, hai cominciato a far l’attrice per lavoro. E a 15 anni hai cominciato a scrivere il tuo primo libro, Non sempre gli incubi finiscono al mattino, in cui racconti una storia molto personale. Hai impiegato anche diversi anni prima di portarlo a termine e pubblicarlo.
Il libro parla di un pezzo della mia vita, quattro mesi di cui racconto non particolarmente belli. I temi fondamentali sono due: l’amore, indissolubile, che lega un padre e una figlia qualunque cosa accada e la malagiustizia di cui è stato vittima mio padre.
Dopo diversi anni ne parlo con serenità e tranquillità, come se tutta la vicenda non mi avesse investita. Ma c’è voluto tanto tempo prima che riuscissi a metabolizzare cosa è accaduto. La scrittura per me è stata una forma di terapia: avevo bisogno di trovare delle risposte che i grandi non riuscivano a darmi. In primis mio padre, coinvolto suo malgrado in un caso con cui non aveva niente a spartire, sapeva darsi spiegazioni, figuriamoci se riusciva a darle a una figlia: si rimane come bloccati dall’orgoglio e dalla paura di essere giudicati dal proprio stesso sangue.
Ho dunque cominciato a scrivere per mettere ordine nella mia testa. Se oggi la mia testa viaggia ancora a tremila km/h è a causa del caos che c’era in quel periodo. Mio padre ha avuto un avviso di garanzia con custodia cautelare, dieci giorni di fermo all’interno di un istituto penitenziario più due mesi e mezzo agli arresti domiciliari. In quel momento, per me era inconcepibile che fosse innocente: volevo capire cos’era quella realtà che non ci aveva mai toccati prima.
Scrivendo la storia, ho iniziato a ricercare altri casi simili a quello che stava vivendo la mia famiglia e a indagare. Ho trovato più di 60 mila casi solo nel 2015 di malagiustizia, ovvero di persone indagate, magari finite in galera come mio papà senza aver fatto niente, accusate ingiustamente da un PM e poi dichiarate innocenti per non aver commesso il fatto. Ed è stato in quel momento che mi sono resa conto di non essere sola nel dolore.
Al di là dello scrivere, come si supera un dolore del genere quando sei così giovane?
Ho imparato a consumare il dolore. In certi casi non c’è una terapia che ti aiuti e lo dice una che in terapia c’è stata nemmeno tanto tempo fa per altre faccende. Se la ferita scotta così tanto, puoi parlarne e raccontarne a chiunque ma ti senti sempre imprigionato in un loop mentale. Ho imparato a non metter da parte il dolore fin quando da qualche parte dentro me una piccola fiamma ancora brucia: il dolore deve essere vissuto fino a quando, anche per istinto di sopravvivenza, finirà e la bruciatura diventerà solo una cicatrice.
Sei arrivata a dubitare dell’innocenza di tuo padre, cosa che faremmo tutti messi di fronte a determinate situazioni. Come si ricostruisce dopo il rapporto?
Quando mio padre è tornato a casa, ero molto combattuta ma ho visto un uomo distrutto che non si sarebbe mai aspettato una roba del genere. Sono stati in realtà solo dieci giorni quelli in carcere ma sono stati per lui devastanti. Ho cominciato allora a leggere le lettere che mi scriveva: dall’altro lato c’era un uomo disperato non per quello che stava accadendo ma per il desiderio di essere assolto dalla sua famiglia.
Cos’è il coraggio per Carmela? E cos’è per Giovanna?
Per Carmela, è il vivere una vita in cui lei non ha mai possibilità di scelta: si ritrova sempre in determinate situazioni e non credo che le piaccia tantissimo. Ma, nonostante ciò, lo accetta e lo affronta, non si tira mai indietro di fronte alle sue responsabilità. Per Giovanna, il coraggio è spegnere per un secondo il suo cervello e sentire cosa sta accadendo intorno a lei: vuol dire cominciare a mettersi in discussione e farlo è molto coraggioso.
Ti fa paura il futuro?
Mi fa paura perché ho tanti obiettivi che vorrei raggiungere. Sento che in qualche modo ce la farò. Ma rimane l’incertezza di fondo: non sapere quale sarà la strada che mi accompagnerà per tutta la vita mi fa paura. Temo il cambiamento, mi terrorizza. Cammino piano piano e accompagnata sempre da persone positive, forse così è meno spaventoso.
Cosa ti aspetti professionalmente al di là della serie tv Mare fuori?
Un grande cambiamento che dipende solo da me. Ho capito cosa voglio fare: comunicare con le persone attraverso l’arte. Mi aspetto che me ne venga data l’opportunità. E se non mi venisse data e la prenderei.
Quali aggettivi sceglieresti per definirti?
Sono passionale. Sono lunatica e sono determinata.
E il successo di Mare fuori ha rimodulato la tua vita sentimentale?
Fortunatamente, no. Prima di tutto, perché non avverto il cambiamento rispetto a prima. Sono consapevole di quanto il successo sia effimero. Quindi, preferisco preservare la mia essenza, non cambiare mai come persona e non rivoluzionare i miei rapporti più veri. Ho comunque conosciuto il mio ragazzo sul set di Mare fuori. Anche lui è un attore: condividiamo gli stessi problemi, gli stessi tormenti e gli stessi successi. Solitamente tra attori si crea tante volte competizione: io invece ho trovato una persona che mi ha sostenuta per tutti e cinque i mesi di riprese quest’estate e che ha trascorso le nottate insieme a me a studiare.
Cosa ti manca come donna?
Mi manca una forte sicurezza. Me ne sono accorta forse una settimana fa. Non credo sempre in me stessa e i momenti di malinconia me li prendo tutti, non ne butto via manco uno. Me li godo appieno. Nonostante io sia una persona solare, tendo spesso a buttarmi giù e a pretendere sempre più da me stessa. Il che è positivo ma non sempre: mi manca il poter dire di essere soddisfatta e orgogliosa di me.
Cosa vorresti dimostrare a mamma e papà con il tuo percorso?
Loro sono sempre con me, fortunatamente mi seguono e mi accompagnano in ogni dove. Ma voglio dimostrare che anche da sola riesco ad avere tante soddisfazioni e che, nonostante i momenti di sconforto, so come farcela: mi abbatto e mi rialzo da sola. Voglio dimostrare che ce la posso fare.