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Giovanni Segreti Bruno: “Ti voglio bene: tre parole semplici che non diciamo più” – Intervista esclusiva

Giovanni Segreti Bruno
Ti voglio bene è il titolo del singolo di Giovanni Segreti Bruno contenuto nella colonna sonora del nuovo film di Federico Moccia. Una canzone che ci ricorda che è meglio dichiararsi l’affetto senza paletti anziché dare adito a un mondo che ci vuole disuniti.

Giovanni Segreti Bruno e la sua canzone Ti voglio bene (Joseba Label) sono l’esempio perfetto di quanto straordinaria possa essere la vita. Uscita quasi in sordina due anni fa, Ti voglio bene ha pian piano conquistato il web e ha portato oggi la voce di Giovanni Segreti Bruno nella colonna sonora di Mamma qui comando io, il nuovo film di Federico Moccia uscito nelle nostre sale lo scorso 14 settembre.

Ciò ha fatto sì che Ti voglio bene tornasse prepotentemente nelle nostre radio, regalandoci quella carezza che era nelle intenzioni di Giovanni Segreti Bruno quando l’ha scritta in piena epoca CoVid. Un amore incondizionato, senza stereotipi e libero dai vincoli che spesso la nostra mente si crea e crea, il brano è un inno alla semplicità delle parole che scaldano il cuore in un mondo che pensa più a disunire che a mettere in relazione.

Con un videoclip diretto da Emanuel Lo, Ti voglio bene è anche una canzone romantica, come la definisce Giovanni Segreti Bruno. Ventiseienne di origine calabra, trasferito da tre anni a Roma per proseguire il suo percorso musicale, Giovanni Segreti Bruno dice di sé di essere un boomer della musica perché non si riconosce in ciò che oggi tra, violenza e maschilismo diffuso, va per la maggiore in radio o sulle piattaforme. Ma quello che salta all’occhio o, meglio, all’orecchio è la sua straordinaria penna, la stessa che ha cominciato ad allenare a 14 anni dopo quattro anni in cui studiava già pianoforte al Conservatorio di Musica “Stanislao Giacomantonio”.

Conosciamolo meglio grazie all’intervista in esclusiva che ci ha concesso prima di partire per gli Stati Uniti, dove si esibirà per la finale di New York Canta domenica 8 ottobre davanti a ospiti e giurati come Clementino, LDA, Noemi, Michele Zarrillo, Enrico Ruggeri e Claudio Cecchetto. Una serata che condotta da Monica Marangoni e Sasà Salvaggio vedremo prossimamente su Rai 2.

Giovanni Segreti Bruno.
Giovanni Segreti Bruno.

Intervista esclusiva a Giovanni Segreti Bruno

Come nasce Ti voglio bene?

Quella che la canzone sta vivendo è una seconda vita. È stata scritta durante il primo lockdown, in quel periodo in cui tutti eravamo costretti a stare separati e lontani anche dalle persone più care. Nasceva, quindi, dal bisogno di amore e voleva nelle intenzioni essere un abbraccio collettivo, una carezza che potesse arrivare un po’ a tutti.

Ho scelto appositamente il titolo che ha: tre parole abbastanza semplici che puntualmente non riusciamo a dire o, se proprio decidiamo di farlo, lo facciamo quando è troppo tardi. Diciamoli più spesso i “ti voglio bene”: non sono così scontati, soprattutto in periodi storici come quello che stiamo vivendo, in cui siamo molto egoisti, un po’ individualisti e chiusi nel proprio io. È importante tirare fuori quello che è il nostro mondo interiore.

Come hai reagito quando ti hanno comunicato che a distanza di due anni la canzone sarebbe stata inclusa nel nuovo film di Federico Moccia?

Ero non al settimo cielo ma tre metri sopra il cielo, per citare uno dei lavori più noti di Moccia. È stato devastante in senso positivo, quasi surreale: se me l’avessero detto tre anni fa, mentre scrivevo il brano, non ci avrei mai creduto. La cosa bella è che nel mio percorso tutto arriva durante quelle giornate in cui sono scazzatissimo, cambiandomi non solo la giornata stessa ma anche l’intero percorso, segnando una tappa importante.

Percorso che è fatto anche di scrittura per altri cantanti. Sei tra le altre cose l’autore di Eli Halo, il duetto tra Lorenzo Licitra e Anggun. Cosa cambia tra lo scrivere per te e lo scrivere per gli altri?

Scrivere per se stessi implica un bel lavorio interiore e psicologico: devi scavare dentro te per aprire cassetti che non sempre fa piacere aprire. Scrivere per gli altri, invece, significa entrare in un mondo non tuo: è sicuramente più difficile ma è un lavoro stimolante perché ogni artista ha il proprio universo di riferimento. La regola fondamentale della scrittura rimane però sempre la stessa: essere veri e diretti. Ce lo insegna Vasco Rossi su tutti: la semplicità arriva al cuore delle persone.

Scrivere è anche per te un processo terapeutico che ti aiuta a guarire dalle ferite?

Sicuramente sì. Poi, tra l’altro, scrivere ti apre la mente in maniera pazzesca perché per farlo inizi anche a leggere tanti libri, a guardare tanti film e a entrare in rapporto con storie che appartengono ad altri e che in un certo senso diventano tue. Le mie canzoni nascono sempre da storie di vita vissuta ma anche da storie che mi raccontano gli altri, come nel caso di Eli Halo, frutto di un aneddoto che mi ha raccontato Lorenzo.

Giovanni Segreti Bruno.
Giovanni Segreti Bruno.

C’è mai stato qualcuno che avrebbe dovuto dirti “ti voglio bene” e non lo ha mai fatto?

La persona che reputavo il mio migliore amico ai tempi delle scuole medie quando ancora l’idea del migliore amico era insita in me. Oggi coltivo anche i rapporti di amicizia alla giornata: ho tanti conoscenti ma gli amici veri, quelli a cui chiedo un parere dopo aver scritto una canzone, sono pochissimi. Le spalle voltato da quella persona mi hanno lasciato una ferita che mi porto ancora addosso. Il “ti voglio bene” invece che avrei voluto dire ancora una volta è sicuramente quello a mio nonno prima di morire.

Il videoclip di Ti voglio bene porta la firma in regia di Emanuel Lo, coach di Amici di Maria De Filippi e compagno della cantante Giorgia.

Emanuel Lo ha lavorato con alcuni dei più grandi nomi del pop internazionale, da Ricky Martin a Geri Halliwell o Kylie Minogue: non so perché a un certo punto abbia deciso di lavorare con me (ride, ndr). Devo però dire che è stato pazzesco lavorare con lui perché è riuscito veramente a tradurre in immagini tutte le sensazioni e le emozioni che ho provato quando ho scritto il brano. Il video ha uno storytelling molto semplice ma è anche molto intimo e profondo, in linea con il brano.

La scelta del bianco e nero era condivisa?

Sì, un po’ come la pioggia che si vede. Quando ascolto la canzone, mi viene in mente l’acqua ed Emanuel, dopo averlo saputo, ha pensato bene di mettermi sotto un temporale con urlo disperato che è comunque una carezza: dico infatti delle parole che sono un po’ in contrapposizione con il cantato e le intenzioni della voce.

L’acqua è un po’ anche il simbolo delle lacrime versate…

E durante le riprese ci sono stati effettivamente dei momenti di forte commozione, tra il fatto che lavorare con Emanuel non capita tutti i giorni e la canzone che, comunque, resta per adesso la più rappresentativa del mio percorso.

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Anche se, quest’estate abbiamo sentito risuonare più volte la tua Mistress, nel cui video compare l’attore Massimiliano Varrese, al momento concorrente del Grande Fratello Vip.

Mistress è stata per me un esperimento. È un brano estivo e, come tale, molto leggero: il bisogno di essere leggeri, cosa non sempre facile, era alla base del testo stesso. Nonostante io mi senta più vicino alle atmosfere di Ti voglio bene, quest’estate è stato bello ritrovarsi a cantare la canzone su un palco con i ragazzi che erano sotto al palco.

Cos’è che non ti fa sentire leggero?

Sono una persona estremamente malinconica, con tutto ciò che questo comporta. La sensibilità a volte è un fardello non facile da sopportare e non sempre è consigliabile: è quella caratteristica che, se vogliamo, mi porta anche a scrivere ma bisogna sempre stare attenti al non farle prendere vie traverse e a farla diventare, nel peggiore dei casi, depressione.

La sensibilità rende vulnerabili alle ferite…

…e ti porta a crearti aspettative che, qualora deluse, generano frustrazione.

La malinconia ti accompagna sin da quando eri bambino?

È un casino, da sempre. Sono anche una persona molto abitudinaria e quando l’abitudine viene a mancare si generano in me angoscia e tristezza, anche per le cose più stupide: vorrei ripetere sempre tutto e allo stesso modo, dalle feste di Halloween in casa di una mia amica alla settimana di Sanremo vista con gli altri… ecco, forse Sanremo proprio più che guardarlo da casa vorrei viverlo da sopra il palco dell’Ariston.

Giovanni Segreti Bruno.
Giovanni Segreti Bruno.

È questa tendenza romantica che ti ha portato a suonare il pianoforte, strumento romantico per eccellenza?

Si. Ed è anche per questo che quando ho cominciato a studiare pianoforte mi concentravo solo sulla musica classica: non volevo sapere niente delle canzoni pop, mi bastava ascoltarle in radio. Tra i miei compositori preferiti c’erano Chopin e Debussy, i massimi esponenti del romanticismo musicale. Non nascondo la mia vena romantica e non credo nemmeno di doverlo anche in un periodo storico come il nostro in cui musicalmente è fuori moda.

Mi sento quasi un boomer della musica ma credo anche che si debba dare un’alternativa a tutti questi “bro’” che si sentono in giro: non si può dar da mangiare agli ascoltatori tutti la stessa roba: prima o poi diventerà indigesta e porterà alla nausea. La maggior parte della canzoni che vanno per la maggiore non dice nulla e non ha alcun messaggio. E, se ce l’ha, è anche negativo… La mia generazione finirà con il non avere dei punti di riferimento musicale mentre quella dei nostri genitori aveva Battisti, Dalla, De André, Battiato, Rino Gaetano, Guccini e così via, tutti a loro modo rivoluzionari.

Oggi più nessuno sembra voler far più la rivoluzione. Una rivoluzione che consiste anche nel lanciare dei messaggi costruttivi da quella grande vetrina che è Sanremo: non si va su quel palco a eseguire il proprio brano e basta, un big non può limitarsi a quello.

È come se mancasse un po’ di sana imagination, la stessa cantata dai Cranberries nel brano Just my Imagination che tuo padre ti faceva ascoltare in loop in macchina durante i vostri spostamenti.

Ricordo ancora adesso quei viaggi che oggi non mi risulterebbero neanche troppo lunghi ma che allora mi sembrano lunghissimi. La canzone andava in loop come anche Raggio di sole di Jovanotti… I miei hanno sempre sostenuto la mia propensione alla musica, invitandomi però spesso ad avere un piano b, anche se per me fino alla lettera z c’è sempre e solo la musica.

Hai oggi 26 anni e da tre anni hai lasciato la tua Calabria per tentare di trovare la tua strada.

A muovermi è stata la determinazione: è sicuramente una caratteristica determinante del mio carattere. Sono un Capricorno: anche se cado, mi rialzo, ci sto male un’ora ma subito mi rimetto al lavoro… lasciare casa non è stato facile: ho dovuto salutare il posto in cui sono cresciuto e lasciare lì tutti i miei affetti. Tuttavia, sono sempre stato convinto che era la scelta giusta: far musica al sud è molto più difficile perché, nonostante i talenti e le risorse, mancano le possibilità.

E, a proposito di difficoltà, non te ne ha create studiare pianoforte sin da piccolissimo?

Non era proprio semplice. I bambini della mia età giocavano tutti a calcio mentre io ero quello che faceva qualcosa di completamente diverso. Non mi è pesato perché ero convintissimo di ciò che volevo ma non ho mai fatto parte di un gruppo e non ero “uguale” agli altri: ogni cosa che è diversa da noi viene guardata sempre con sospetto quando dovremmo invece tentare di entrare nel mondo degli altri, scoprirlo e assorbirlo. Ecco forse perché ho avuto pochi amici ma buoni, trovandomi maggiormente a mio agio con le persone più grandi che con i bambini.

Sanremo, dunque, rappresenta il tuo prossimo obiettivo.

Ci spero. Anche perché, avendolo già sfiorato nel 2018, spero che sia la volta buona: molto probabilmente, non era quello il momento giusto mentre oggi mi sento più strutturato dal punto di vista artistico e pronto all’esperienza. Avrei delle canzoni che meriterebbero quel palco… per il momento mi concentro però su New York canta: sto per partire per gli Stati Uniti e sarà una bella avventura. Proporrò un brano che si chiama La strada di casa e paradossalmente anche per me l’America è in qualche modo casa: mia madre è nata a New York e gran parte dei miei parenti vivono lì.

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