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Giua: “La storia di Maria Stuarda ristabilisce la centralità dell’uguaglianza dei diritti” – Intervista esclusiva

Giua, poliedrica artista, ci presenta Maria Stuarda, lo straordinario spettacolo con la regia di Davide Livermore in tour da gennaio 2023 nei maggiori teatri italiani. Nel corso di quest’intervista esclusiva, affrontiamo argomenti come le lotte di potere, l’uguaglianza dei diritti e le battaglie che le donne devono ancora portare avanti per abbattere le differenze di genere. E tanto altro ancora.
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La poliedrica e versatile Giua firma insieme a Mario Conte le musiche di scena dello spettacolo Maria Stuarda, dal dramma di Friedrich Schiller per la regia del geniale Davide Livermore. Lo spettacolo ha debuttato al Teatro nazionale di Genova ma da gennaio 2023 sarà in tour in tutta Italia.

Con 5 album all’attivo, Giua (al secolo Maria Pierantoni Giua) ha alle spalle una lunga carriera musicale, diversi importanti riconoscimenti e collaborazioni. Ma la musica non è la sua sola grande passione: sono tanti i fronti artistici (e non solo) in cui è attiva. Non ultimo, quello di mamma, un ruolo di cui riconosce le difficoltà e le gioie sul finale di questa intervista esclusiva che ci ha concesso.

La composizione delle musiche di Maria Stuarda ci ha permesso di confrontarci sulla centralità della figura femminile e sull’importanza dell’uguaglianza dei diritti. Viva la multiculturalità, dice a proposito dello spettacolo ma anche della sua vita. Come ci racconta Giua prima di cominciare l’intervista, nelle sue vene scorre anche un po’ di sangue normanno: la nonna materna era di Palermo e i suoi colori non erano di certo arabi.

Ma non solo sangue normanne: nelle vene di Giua scorre il sangue di chi sa che la bandiera femminista, intesa nell’accezione più nobile del termine, non deve essere abbassata. C’è ancora molto da fare su quel fronte: le differenze di genere sono dure da estirpare. Ma non è più possibile che le donne siano solo mogli, amanti madri o cugine di…, sposando in pieno la battaglia contro il patriarcato portata avanti dalla scrittrice Michela Murgia, da lei citata.

Giua in Maria Stuarda.
Giua in Maria Stuarda.

Intervista esclusiva a Giua

Cosa ti ha convinto a prendere parte a un progetto come Maria Stuarda?

Tutto, mi ha convinto tutto. Innanzitutto, che me lo chiedesse Davide Livermore, che stimo tantissimo come uomo, come regista e come cantante. L’idea di poter lavorare con un lui è stata la spinta principale. Poi, ovviamente il testo così affascinante di Friedrich Schiller, che mi ha permesso di riesumare una vicenda storica legata alle mie reminiscenze da studentessa. Avevo come tutti incontrato la figura di Maria Stuarda al liceo ma non avevo mai approfondito la sua storia. L’opera mi ha dato l’occasione di rivedere una pagina di storia che di un’attualità disarmante per i temi in gioco.

Al centro, c’è tutta una questione legata al potere delle donne ma non solo. Vi sono gli intrighi di corte, gli imprevisti politici e la religione. Il testo permette di entrare nel merito di tante questioni che a me interessavano particolarmente.

Maria Stuarda, la cui storia da qualche anno affascina anche i cineasti di tutto il mondo (basti pensare al bel film con Margot Robbie e Saoirse Ronan), ristabilisce la centralità della figura femminile. Quanto è importante ribadirlo in questo periodo storico?

Secondo me è importantissimo stabilire finalmente la centralità dell’uguaglianza dei diritti. Come diceva Gino Strada, che purtroppo non c’è più, se i diritti non sono di tutti, sono privilegi. Stabilire la centralità della figura femminile serve per parlare di uguaglianza e di libertà, concetti che purtroppo sembrano essere, ahimè, ancora lontani.

Personalmente hai calcato diversi ambiti della scena artistica. Sei cantautrice, compositrice, pittrice. Il mondo dell’arte è più egualitario e libero rispetto ad altri?

Per certi versi, si. Mi sembra che ci sia in atto una rivoluzione da un punto di vista almeno intellettuale da più tempo. C’è più possibilità di confronto e più spiragli di attuazione per quanto concerne i diritti. Anche se, in realtà, io stessa ho dovuto più volte fare i conti con l’essere donna. Per noi artiste, una gravidanza può diventare ad esempio un fattore discriminante. E non sempre è facile relazionarsi con dei referenti maschi che occupano delle posizioni di potere. Ho vissuto e vivo diverse situazioni in cui mi sono ritrovata in difficoltà. Con il passare del tempo ciò diventa sempre più fastidioso vedere che non è per nulla assodata la libertà e l’uguaglianza.

Maria Stuarda è rimasta imprigionata per vent’anni. Tu ti sei mai sentita imprigionata?

Direi di no. Non perché non abbia avuto prigioni esterne, culturali o anche interne (ogni tanto ci fabbrichiamo da soli le prigioni). Ma perché per indole, per mia fortuna, ho lasciato che fosse la mia curiosità a muovermi. La mia bussola è sempre stata rivolta al trovare le chiavi per uscire di prigione rifiutando di concentrarmi su situazioni di malessere o di chiusura. Ciò mi ha fatto vivere le limitazioni e le costrizioni come un dato di realtà da cui partire per trovare delle soluzioni.

Mi ha sempre colpito leggere i racconti di coloro che sono stati imprigionati perché difendevano la libertà di pensiero: l’essere in prigione per loro passava quasi in secondo piano. Ho come sposato la loro filosofia.

Per citare una tua canzone, ti sei invece mai sentita una wonder woman?

Quella canzone non era per niente autobiografica, non ho mai pensato di essere una wonder woman (ride, ndr). Tornando seri, assolutamente sì. Ma con un’accezione più ironica, senza prendersi mai sul serio. Spesso ci si dà questa connotazione da super eroina ma poi si fanno ugualmente grandi cazzate. Crescendo, ci si rende conto che di errori se ne fanno. L’importante è non farsi fermare da essi o dall’orgoglio: gli errori vanno considerati come una possibilità di crescita che abbiamo a disposizione.

Maria Stuarda, come dicevamo prima, racconta anche la vicenda di una donna contro un’altra. La storia del cinema ci ha abituati a tante storie di donne contro donne. Il caso più eclatante è forse Eva contro Eva. In Maria Stuarda, invece, abbiamo Elisabetta I contro la cugina Maria. Quanto pensi che le donne siano capaci di farsi male da sole?

Ma lo sono como lo sono tanti uomini. Non riesco a risponderti in maniera netta sulle donne. Mi vien da dire che purtroppo ci sono donne che vanno contro le altre donne per mantenere quelle posizioni che hanno conquistato a fatica. Ma ci sono anche tantissime altre donne ma anche uomini, non tantissimi ma ci sono che finalmente hanno capito l’importanza di allearsi. È lì che sta la forza: non si può raggiungere una vera eguaglianza di genere se questa non viene portata avanti in maniera solidale sia da uomini sia da donne. La questione riguarda tutti, non è solo prettamente femminile. mi auguro che per le nuove generazioni la questione dei diritti diventi universale e non solo legata a battaglie femministe.

Le donne, la multiculturalità e le unicità di ogni tipo dovrebbero essere al centro delle politiche ma mi sa che siamo ancora un po’ lontanucci. E non è un discorso legato solo a chi sta ora al governo: anche chi ci stava prima, di tutt’altro schieramento, non ha fatto quasi nulla in questa direzione.

Giua.
Giua.

La storia di Maria Stuarda è ambientata tra il Seicento e il Settecento in Inghilterra. Cosa si fa a farla parlare con l’oggi?

Tutti i grandi classici hanno una voce che va al di là del loro tempo: è questo il motivo per cui diventano, appunto, dei classici. Da un punto di vista registico, Maria Stuarda ha offerto a Davide Livermore la possibilità di mettere in campo diverse cifre stilistiche, che vanno dalla tragedia greca al cinema di oggi, pur rispettando totalmente il testo. Mi ha colpito tantissimo vedere lavorare Davide e quello che è riuscito a mettere in piedi: uno spettacolo di tre ore che fa rimanere lo spettatore incollato alla sedia.

Da un punto di vista musicale, io e Mario Conte siamo stati lasciati liberi di fare le nostre scelte. Le nostre partiture non servivano solo da contorno ma erano elemento fondamentale del racconto stesso. Anche questa è una novità: io sono in scena a suonare, le musiche vengono performate dal vivo dall’inizio alla fine. Un po’ come si faceva quando i film muti venivano proiettati accompagnati da un’orchestra. Il musicista in Maria Stuarda non si trova dentro la buca: la musica non può essere disgiunta dalla recitazione. È sia coro da tragedia greca ma anche parte in causa del racconto.

Partendo da elementi classici, io e Mario abbiamo cercato di essere il più vicino possibile ai nostri giorni. Ecco perché spesso cito come modello di riferimento David Bowie: è oramai un’icona classica in grado di parlare anche al di là del tempo storico in cui ha vissuto e scritto i suoi capolavori. Per noi, è come fare un concerto diverso ogni sera, dal momento che tutto cambia in base anche alle sensazioni del pubblico, a come un attore pronuncia una battuta o da quale attrice interpreta Maria o Elisabetta.

Si, perché da un punto di vista attoriale Maria Stuarda ha una peculiarità unica. Lo spettatore ma anche le attrici – due regine del teatro come Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi – non sanno mai chi sarà Elisabetta I e chi Maria Stuarda: lo scoprono solo in scena.

Esattamente. Laura ed Elisabetta hanno studiato entrambi i ruoli. Ciò non vuol dire che sappiano solo tutte le parti a memoria: conoscono anche tutti i movimenti registici e le sfumature in ballo. Davide Livermore ha scelto l’espediente non perché faccia figo ma per far vivere anche agli attori in scena e al pubblico l’ineluttabilità del destino: nessuno di noi sa cosa accadrà da un momento all’altro. A decidere chi è Maria Stuarda e chi è Elisabetta I è una piuma.

Oltre a un impianto scenico spettacolare, Maria Stuarda conta anche sugli abiti realizzati appositamente da Dolce & Gabbana per le due protagoniste.

È stato un modo per mettere insieme le maestranze di diversi settori. I più puristi storcono il naso: per loro, questo non è teatro. Ma siamo quasi nel 2023 e il teatro non è lo stesso di venti o cent’anni fa. I linguaggi si evolvono e occorre trovare nuove grammatiche. Se parliamo di abbattimento di generi e di confini, facciamolo anche nel mondo dell’arte. Definire qualcosa dà certezza e sicurezza, la novità invece porta paura. Forse è per questo che viviamo in un periodo storico, in qualche modo avvincente, di costante crisi.

Giua.
Giua.

Hai in mente di tornare alla musica con un progetto tutto tuo? È passato diverso tempo dall’ultimo album.

Ho scritto così tanto che avrei il materiale per fare due dischi! Ma non so che disco fare… Nel frattempo, c’è un altro progetto che mi piace tantissimo con un altro cantautore ligure, Zibba: stiamo mettendo insieme alcune canzoni sue, altre mie e alcune scritte insieme per un disco. È un progetto che porteremo anche dal vivo e sono felice di farlo per più ragioni. Intanto, il 23 dicembre abbiamo una data zero al Folk Club Torino.

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Al di là di Maria Stuarda, tu porti avanti due progetti voltati all’inclusività. Nel tuo caso, l’inclusività non è solo una parola di cui ci si riempie la bocca ma anche un atto concreto. Il primo è il Coro popolare della Maddalena mentre il secondo è Parkinsong.

Sono due progetti a cui sono legatissima e che hanno per me un valore soprattutto umano. Non dico che l’arte debba dare necessariamente dei messaggi o che debba insegnare qualcosa a qualcuno. Ma ha semmai pensare a far star bene le persone.

Nasce da questa consapevolezza il Coro popolare della Maddalena. Non è un caso che sia nato proprio a Genova: è la mia città ma è anche quella di figure come Don Gallo. Ho voluto mettere insieme attraverso la musica persone che altrimenti non si parlerebbero nemmeno. L’ho pensato insieme a quello che all’epoca era il mio compagno ma è un progetto che per fortuna ha camminato presto sulle sue gambe, andando avanti anche al di là di me. Ha avuto la sua culla in uno dei quartieri più difficili della città ma anche più interessanti: tra le sue strade di giorno accade la qualsiasi e ci sono divisioni che portano a non salutarci.

La domanda è stata: perché non siamo in grado di parlare con le prostitute, con chi viene dall’altra parte del mondo o con chi bazzica nella malavita, fingendo di non conoscerli? Detesto da sempre la politica che isola anziché unire e, di conseguenza, ho fatto sì che si creasse un’occasione di condivisione in grado di trascendere da cosa si fa o da dove si proviene. Lo spirito è questo: vediamoci, mangiamo qualcosa insieme e cantiamo. È nata così una comunità di persone che finalmente si sono potute conoscere e incontrare grazie alla musica, andando oltre le etichette.

Anche Parkinsong è nato da un’intuizione. Due amiche medico mi hanno parlato degli studi che dimostrano come il canto e la musica aiutino le persone affette da Parkinson a recuperare della facoltà perse con la malattia. Stando a contatto con chi ne soffre, ti fa rendere conto di come vivano la loro malattia. Ma anche di come con il lavoro che fai con loro non solo gli cambi la giornata ma gli insegni anche delle cose che gli migliorano la qualità della vita e, addirittura, la malattia stessa.

Spesso sento che è come un privilegio stare dall’altra parte. Ecco perché mi infervoro quando sento parlare delle persone come residui. Una volta Agostino, mio figlio di sette anni, mi ha chiesto: “Ma se in una di quelle barche ci fosse suo figlio, Salvini direbbe le stesse cose?”.

Hai appena citato tuo figlio. Musicista, pittrice, cantautrice, compositrice e, quindi, anche mamma.

Per me, non è un peso essere anche mamma. Mi reputo molto fortunata: divido la mia vita tra il prima di Agostino e il dopo, la sua nascita è un po’ come il mio anno zero. La sua venuta al mondo intimamente è stata un’occasione per ripensare alla mia vita e alle cose che faccio o che mi interessano. Certo, poi, devo pensare a come fare, guadagnare o organizzarmi: ci sono delle belle differenze tra l’essere madre e l’essere padre!

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