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Giulia Schiavo: “Una ragazza d’altri tempi” – Intervista esclusiva

Giulia Schiavo
Tra i protagonisti della serie tv di Canale 5 Il Patriarca, Giulia Schiavo si racconta a TheWom.it con un’inedita intervista in cui la sua “ambigua” Nina Bandera cede lentamente il passo alla giovane ragazza, genuina e con i piedi per terra, che non ha paura di trovare le risposte alle tante domande che s’è fatta.

Giulia Schiavo è la figlia del Patriarca, interpretato da Claudio Amendola nella serie tv di Canale 5 che ha debuttato il 14 aprile con un ascolto record per la fiction Mediaset e grande plauso da parte della critica. La Nina Bandera di Giulia Schiavo è appena rientrata in Puglia da Parigi con l’aspirazione di aprire una galleria d’arte ma presto il padre la mette in competizione con il fratello Carlo per il controllo dell’azienda di famiglia, la Deep Sea.

Dapprima non desiderosa di rinunciare alle sue ambizioni artistiche, Nina pian piano cambia idea per via delle attenzioni poco disinteressate dell’avvocato Mario Rizzo, su cui esercita un certo potere seduttivo. E quello di Nina è l’ennesimo personaggio forte che Giulia Schiavo si ritrova a interpretare, al limite dell’ambiguo, caratteristica che da sempre accompagna alcuni dei suoi ruoli più importanti, a cominciare dalla Vera Viscardi della soap Un posto al sole.

Sarà colpa delle sue occhiaie, come ci dice lei, o merito della capacità di calarsi in panni totalmente distanti da lei, aggiungiamo noi. Giovanissima, Giulia Schiavo – un po’ come la sua Nina – ha lasciato Orvieto, la sua città natale, dopo aver terminato il liceo, per dedicarsi alla recitazione, anima e corpo. Non ha mai considerato un piano B, nonostante le preoccupazioni della madre che avrebbe voluto per lei, senza mai osteggiarla, una strada meno tortuosa.

Apprezzata nella prima stagione della mitica Skam Italia ma anche nel film Sotto il sole di Riccione, Giulia Schiavo è una ragazza molto determinata che sembra arrivata da altri tempi. Semplice, dall’animo colorato e sincera, non ha timore di rivelarci di sentirsi una millennial solo fisicamente ma non mentalmente.

Legata a valori semplici ma importanti come la famiglia, l’amore e l’amicizia, è lontana da certi atteggiamenti dei suoi coetanei e quasi a conferma di ciò arriva l’uso che lei stessa fa dei social: ridotto al minimo, evitando la sovraesposizione. Sarà per questo che ha anche chiaro come l’ossessione della perfezione e del confronto degli altri sia sbagliata e controproducente.

Giulia Schiavo.
Giulia Schiavo.

Intervista esclusiva a Giulia Schiavo

“Sono a Roma, la città che considero la mia seconda casa. Sono tanti anni che sto qui ma il mio cuore è sempre diviso in due dal momento che la mia famiglia vive a Orvieto, dove torno spesso: gli amici di una vita stanno anche lì”, ci dice subito Giulia Schiavo quando le chiediamo dove si trova.

E un ritorno a casa è anche quello di Nina, il personaggio che interpreti nella serie tv Il Patriarca. Nina è appena tornata da Parigi e ritrova la sua famiglia, gestita dal padre Nemo, che ha appena scoperto di essere affetto dal morbo di Alzheimer. Nel decidere le sorti di quello che è il suo impero, Nemo costringe la figlia a rinunciare al sogno di aprire una galleria d’arte mettendola in competizione con il fratello Carlo. Non deve essere stato facile entrare nei panni di una giovane donna che ha un sogno ed è costretta a capovolgerlo all’improvviso e a riscrivere il suo domani.

È una strana corrispondenza con la mia vita su cui ho ragionato molto anch’io. Ho l’abitudine di appuntarmi dei pensieri sulle note del telefono (faccio prima rispetto alla penna, anche se sarebbe bello tornare a scrivere su un quaderno!) e tra questi ce ne sono alcuni che sottolineano come anch’io abbia riflettuto molto su quest’aspetto: anch’io, al pari di Nina, ho cercato di inseguire il mio sogno altrove. Probabilmente, se fossi rimasta a casa, non sarei mai riuscita a fare quello che ho fatto finora. Ho vissuto a Orvieto per 18 anni: è una città che amo ma ho dovuto lasciarla per seguire il mio istinto e andare altrove per recitare e far cinema.

Mi sono immaginata che, un po’ come me, Nina sia volata a Parigi per inseguire il desiderio di diventare un’artista. E che abbia condotto una vita un po’ bohemien e anche in maniera un po’ libera: nel mio retroscena, è una gallerista, posa per degli autoritratti nuda, dipinge quadri impressionisti sopra cui incide poesie… Una volta rientrata in Italia, avrebbe voluto mostrare alla famiglia quello che ha realizzato ma sin da subito le vengono tarpate le ali: il padre le sbatte in faccia la verità, dicendole senza peli sulla lingua che non è una grande artista e che, se vendeva delle opere, era solo perché in tanti erano in debito nei suoi confronti.

Chiaramente, Nina ci rimane molto male. Soffre per la condizione che si ritrova a vivere e, per via del rapporto molto profondo che ha con il padre, le critiche non la lasciano indifferente. In più, si prende una grande sbandata per amore, un amore di cui dovrà ricredersi perché verrà parecchio raggirata. In poche parole, Nina diventa un po’ vittima dei personaggi crudi e senza scrupoli che le girano intorno: per volere del racconto, sono tutti un po’ sporchi, arrampicatori sociali che pensano ognuno di tirare acqua al proprio mulino.

Claudio Amendola e Giulia Schiavo in Il Patriarca.
Claudio Amendola e Giulia Schiavo in Il Patriarca.

Tra questi personaggi c’è sicuramente il Mario di Raniero Lapo di Monaco, che, come abbiamo visto sin dalla prima puntata, non è così disinteressato come sembra.

Non lo è, anche perché è completamente manovrato da un’altra mentalità femminile forte, la compagna Elisa, impersonata da Giulia Bevilacqua. È divertente come il titolo della serie, Il Patriarca, faccia pensare a una storia molto gerarchica e patriarcale come assetto quando invece poi i personaggi femminili sono ancora più forti di quelli maschili. Antonia Liskova, che interpreta mia madre, e Giulia Bevilacqua danno ad esempio vita a personaggi che sono quasi peggiori dello stesso patriarca Nemo e che cercano di sovrastarsi l’uno con l’altro.

In un primo momento, Nina prova a rimanere lontana dalle dinamiche di potere ma tutto è destinato a cambiare quando scopre la malattia del padre: è quello il momento in cui cambieranno le priorità di tutti. Affrontare una malattia come l’Alzheimer mette in ginocchio non solo la famiglia ma anche i sogni di tutti i suoi componenti: ognuno dovrà sacrificare se stesso.

Anche perché l’Alzheimer è una malattia abbastanza subdola. Chi ne è colpito, con il passare del tempo quasi non se ne rende conto perché vive in una dimensione propria. Le ricadute maggiori sono per le persone che lo circondano e gli stanno accanto.

È una condizione che conosco bene per averne avuto esperienza diretta. Mio nonno paterno si è ammalato di morbo di Parkinson, che è poi sfociato in Alzheimer. È andato avanti per undici anni e mia nonna, non volendo altre persone a darle una mano, se ne è occupata quasi da sola, con l’aiuto dei figli. È stata molto dura: ero piccola ma ricordo tutto molto bene le difficoltà che ha subito l’intera famiglia. La priorità era sempre una sola e si viveva il tutto come se fosse un’emergenza continua.

È passato molto tempo da allora ma per me è stato interessante attingere ai ricordi personali per entrare nella storia: mi ha permesso di capire quanto soffrisse Nina nel vedere le condizioni del padre degenerare.

Siamo ancora all’inizio della serie tv ma possiamo immaginare che cambieranno anche le dinamiche che interessano Nina e il fratello Carlo, in casa con lei, e la sorellastra Lara, che per tutta una serie di ragioni non sta con loro. Da figlia unica, a cosa hai attinto per vivere la relazione tra fratelli?

Non ho ragionato su come costruire un rapporto fraterno. Sono semmai andata molto in ascolto: ho sentito forte il rapporto umano che c’era tra noi attori come nucleo familiare: Claudio Amendola è stato sin dal primo momento molto accogliente nei miei confronti, così come lo è stata Antonia Liskova. Ho conosciuto mio “fratello” Carmine Buschini direttamente sul set (avevo sostenuto un provino per valutare le somiglianze con un altro attore), così come la mia “sorellastra” Neva Leoni.

Con Neva ho condiviso poi pochissime scene semplicemente perché il suo personaggio, Lara, ripudia la famiglia Bandera e il suo stile di vita, mentre noi fratelli Bandera abbiamo nei suoi confronti un certo atteggiamento di superiorità: è una ragazza semplice che lavora nel sociale, ambito a cui Nina e Carlo non osano nemmeno avvicinarsi. C’è tra loro un rapporto molto conflittuale, fatto anche di invidia e paura: Nina è comunque consapevole di come la madre non avesse mai accettato la relazione del padre con un’altra donna che è stata il vero amore della sua vita. Certe cose, le donne le avvertono, le percepiscono, le captano. Di conseguenza, si è creata tra le due sorelle una tensione molto forte, fatta anche di non detti, su cui mi è piaciuto giocare.

Nina e Carlo invece si vogliono molto bene ma il loro è un rapporto che è destinato a divenire sempre più burrascoso nel corso della storia, giustificato dalla competizione che si trovano loro malgrado a vivere. Non ho fratelli o sorelle ma so cos’è la competizione: ho molti cugini di primo grado e il paragone è qualcosa con cui ho dovuto fare i conti. Ho ragionato dunque per sostituzione immaginando come avrebbe potuto essere la relazione tra i due, non proprio da famiglia da Mulino Bianco.

Giulia Schiavo in Il Patriarca.
Giulia Schiavo in Il Patriarca.

Un’altra delle caratteristiche di Nina è data dalla consapevolezza del proprio corpo e dal potere di seduzione che esercita sugli uomini. È stato semplice calarsi nei panni di una giovane donna così consapevole dell’uso del proprio corpo?

Tutte le volte che ho affrontato un provino per un personaggio, anche quando questo era più ingenuo o dolce di Nina, mi sono sempre sentita dire che il mio tratto distintivo fosse proprio la consapevolezza, cosa di cui io stessa non sono così consapevole! Evidentemente di me si evince una certa sicurezza da come mi muovo o da come mi pongo mentre io, di base, mi sento molto più piccola rispetto a quello che esterno. All’esterno invece arriva un’immagine molto forte e sicura di me e, quindi, paradossalmente, sembra che mi riesca più facile interpretare personaggi di un certo tipo anziché la ragazza tranquilla, naif o comunque ingenua.

Sarà forse colpa anche della Vera Viscardi che interpretavi in Un posto al sole?

Non solo Vera: quasi tutti i miei personaggi hanno finora avuto come filo conduttore una specie di sottile follia. Secondo me, dipende dal mio sguardo, grande e chiaro ma marcato da sempre da un’occhiaia scura che gli conferisce una certa ambiguità quando in realtà di ambiguo non ho nulla. Mi risulta difficile convincere gli altri di avere un animo anche molto colorato e ricco di sfumature comiche: mentre io dentro mi sento così, dalla mia estetica passa invece una malinconia mista ad ambiguità o follia. Da piccola, i colori chiari mi conferivano un aspetto angelico ma poi avevo lo sguardo da peste!

Vera era un personaggio totalmente ambiguo che poi sfociava nella follia ma era molto consapevole della sua sensualità al punto da conquistare un uomo molto più grande di lei, un po’ come Nina. Ecco, in questo ad esempio differisco dai miei personaggi: in vita mia, non ho mai perso la testa per uomini più grandi di me… mi sono sempre fidanzata con miei coetanei, più o meno. Trovo divertente ritrovarmi così scissa tra quella che è la mia vita lavorativa e quella che è la mia vita reale: vivo situazioni che altrimenti non vivrei mai. Interpreto personaggi che spesso e volentieri si trovano in situazioni tra il pericoloso e l’ambiguo: se mi accadessero nella vita reale, sarei già in galera!

Dovrebbero preoccuparsi i tuoi fidanzati…

Il mio ragazzo (Giorgio Belli, ndr) è un attore e comprende certe dinamiche, ci sosteniamo a vicenda: prepariamo insieme i provini o i self tape. Siamo una squadra e questo è molto bello.

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Della tua vita privata non si sapeva molto fino a oggi.

Sono una persona molto riservata. Non uso molto postare le mie foto sui social e cerco di tenere la mia vita privata riservata: non è mai stata mia abitudine quella di sovraesporre l’amore, mi piace tenerlo per me. E, dal momento che anche lui ha la mia stessa mentalità, ci siamo ritrovati per anni a non dire nulla di noi, tenendo quasi nascosta la nostra relazione. Ci ha permesso di vivere il sentimento in maniera reale e con i piedi per terra, preservandolo e senza darlo in pasto a voci che avrebbero potuto alimentare altro.

Ma, poi, in fondo io sono così: amo tenere i piedi per terra e mantenere la mia semplicità. Non solo con il mio fidanzato ma anche con gli amici intimi. Ho chiaramente amici anche a Roma ma quelli più cari sono i vecchi amici del liceo, che rivedo e frequento ogni volta che torno a Orvieto. Con loro, sono rimasta la stessa ragazza di sempre, tanto che spesso evito di parlare del mio lavoro (a volte è inevitabile, soprattutto quando me lo chiedono). Mi piace ritrovare quella dimensione da ragazza che spara cazzate o ricorda dinamiche che appartengono solo a noi, alla nostra vita da adolescenti, dalle vacanze insieme a tutte le volte che abbiamo fatto l’alba a ballare.

Nei loro confronti ho un affetto quasi primordiale: crescendo ci facciamo nuovi amici (ho conosciuto la mia migliore amica a Roma, ad esempio) ma è impossibile ricreare quella comitiva che si aveva in adolescenza. La mia è la stessa di quando avevo 15 anni, la vedo in maniera sporadica ma questo non muta l’affetto che nutro nei confronti di tutti. Abbiamo un gruppo su WhatsApp in cui ci sentiamo molto spesso ma vedersi è più complicato. Il rapporto è rimasto però invariato nonostante il tempo che passa o la vita ci abbiano allontanati. Per me, conta la qualità del bene che ci lega e non la quantità delle volte che ci vediamo. Vedersi quotidianamente non è sinonimo di amicizia: quello che conta è stare bene insieme e ritrovarsi come se non fosse mai passato un giorno.

Mi è capitato di avere “amici” che mi hanno allontanata perché non ero costante nel rapporto, perché non ero in grado di esserci quotidianamente. Ma per me quello non è sinonimo di amicizia, anche perché per carattere mi piace molto anche stare da sola, evadere e rimanere per i fatti miei: qualcuno non ha capito che non era cattiveria la mia ma esigenza. “Sparisci, non cerchi mai”, recriminavano: è una mentalità con cui non sono d’accordo.

Giulia Schiavo.
Giulia Schiavo.

Del resto, sei un sagittario e ami la libertà. Quella libertà che però in un certo senso ti è venuta meno quando hai vissuto in prima persona l’esperienza dei CoVid.

Sono stata malissimo: il 2020 è stato l’anno più brutto della mia vita. Non sono stata male chissà quanto fisicamente ma per il CoVid mi sono spariti olfatto e gusto: per sei mesi non ho sentito nessun sapore e nessun odore. Sono anche dimagrita di 5 kg perché non volevo mangiare più niente: non aveva senso farlo. Ho avuto delle crisi importanti e, nel momento in cui odori e sapori sono ritornati, erano del tutto sballati, diversi: sono come andata fuori di testa.  

Sono riuscita a superare quel periodo grazie all’aiuto di un percorso psicologico: consiglio a tutti di affrontarne uno, non c’è niente di male nel farlo. Sfatiamo il mito per cui chi va dallo psicologo è pazzo: se ci fa male la testa o un ginocchio, corriamo subito ai ripari… perché quindi se non è sereno mentalmente non deve rivolgersi a uno specialista?

Andiamo oltre il pregiudizio e la paura dello stigma sociale che accompagnano l’andare dallo psicologo: è un blocco devastante che non dovrebbe esistere. Se fosse per me, renderei quello dello psicologo o dello psicoterapeuta un servizio gratuito sin dai tempi della scuola. Sarebbe importante avere un punto di ascolto in tutti i licei: parlare con uno specialista non è come farlo con la famiglia o con gli amici.

Lo specialista è qualcuno che non ti conosce, che ascolta i tuoi problemi da esterno e che non ha con te nessun coinvolgimento emotivo. Non c’è legame d’affetto o paura di farti rimanere male: emerge solo la verità, una verità che spesso è dolorosa e che devi trovare il coraggio di affrontare. A me è servito affrontare la verità e, grazie alla mia psicologa, sono uscita da quel momento, segnato anche da un fermo del mio lavoro: avevo smesso anche di recitare perché c’erano degli aspetti che non soddisfacevano (ho ripreso a farlo solo dopo aver cambiato agenzia alla scadenza del contratto con la precedente).

Mi sono talmente tanto appassionata alla psicologia e all’idea di avere delle risposte che non riuscivo a darmi che oggi sto valutando di riprendere in mano i libri e di iscrivermi alla Sapienza per studiarla: mi affascina da morire il funzionamento della psiche umana. Ricordo che spesso uscissi in lacrime dallo studio: faceva malissimo ma non vedevo l’ora di tornarci perché avevo bisogno di capire perché avevo fatto determinate azioni e come non ripeterle.

Fosse stato per me, sarei andata e andrei tutti i giorni dallo psicologo, così come altri praticano per meditazione yoga (che anch’io ho cominciato a praticare durante il lockdown). Quando ho terminato il liceo classico a Orvieto, non ho proseguito con l’università perché ho subito rincorso lo studio della recitazione: volevo concentrarmi bene solo su una cosa. Ma c’è sempre tempo per ricominciare.

In Il Patriarca, reciti con una serie di attori che appartengono a una generazione differente dalla tua, tutti mostri sacri della recitazione con un bagaglio di esperienze molto importanti sulle spalle. Com’è stato confrontarsi con loro?

Estremamente semplice. Li ho considerati come esempi da seguire, dai quali avevo solo da imparare e rubare nozioni e pratica. Sono stati per me materia di studio: vedere recitare Claudio Amendola, che fa l’attore da quando era poco più che un ragazzino, è stato come assistere continuamente a una lezione.

Ma è stato semplice anche a livello umano: io non mi sento molto al passo con la mia generazione e mi trovo molto più a mio agio con persone più grandi. Dico sempre che sarei dovuta nascere in altri tempi: per me, quelli nati dal 2000 in poi sono degli alieni, sebbene siano quasi miei coetanei. Mentalmente appartengo a una generazione che non è quella dei millennial e lo capisco anche dalla musica che ascolto. Io sono un po’ più malinconica: la mia canzone preferita è Confortably Numb dei Pink Floyd ma anche Hotel Supramonte di Fabrizio De André.

Preferisco perdermi sul divano ad ascoltare con le casse a tutto volume i vinili di mio padre anziché quelle del trapper di turno. L’unica eccezione è data da Blanco: l’ho sentito per la prima volta due anni fa e mi ha colpito, conosco tutte le sue canzoni e ha appena fatto un disco che è meraviglioso.

Giulia Schiavo in Il Patriarca.
Giulia Schiavo in Il Patriarca.

Sei andata via di casa a 18 anni, come ricordavi prima. Come hanno reagito i tuoi genitori di fronte alla tua scelta?

Mia madre aveva molta paura. Non ha reagito male e non ha cercato di impedirmi di inseguire il mio sogno ma aveva paura: era consapevole del percorso tortuoso e complicato che mi aspettava. Mi consigliava di studiare e di specializzarmi nelle lingue, idea che a me piaceva ma che non raggiungeva per intensità e forza il desiderio di recitare. E continua ancora oggi a consigliarmi di fare anche altro e probabilmente ha ragione visto che l’idea mi ronza spessissimo per la testa. Non escluso di farlo: non devo laurearmi domani e non mi rincorre nessuno, posso prendermi tutto il tempo che voglio per fare una cosa in più!

Mio padre, invece, era felicissimo: ha sempre avuto un forte spirito artistico e una fissazione per la musica. Involontariamente mi trasmesso qualcosa: non è un caso che poi io abbia seguito una certa strada!

“Non mi rincorre nessuno e posso prendermi tutto il tempo che voglio” è un insegnamento che dovrebbe arrivare anche a tanti giovani, considerando anche gli ultimi casi di cronaca…

Sono casi in cui si sente forte il peso delle aspettative sociali ma anche familiari. Spesso sono le stesse famiglie che mettono ansia dentro o pressione: “devi diventare qualcuno”, “devi far qualcosa di pratico o di concreto nella vita”… Viviamo in un momento in cui l’idea di perfezione e successo viene continuamente spiattellata sui social: è tutto un continuo confrontarsi e paragonarsi agli altri, motivo anche per cui non apro molto Instagram, l’unico social che ho.

Mi sono persino rifiutata di scaricare TikTok quando mi è stato consigliato per lavoro: avrei perso un sacco di ore utili a controllare lo smartphone e a fare il paragone con cosa fanno gli altri. Molto meglio incontrare un amico con cui si sta bene e andare fare una passeggiata o a vedere un film al cinema!

Cosa rappresenta per te il provino?

Il provino è un’occasione, motivo per cui devi presentarti con il massimo della preparazione. Non tutti i provini sono ovviamente uguali: alcuni li senti maggiormente perché avverti i personaggi più affini a te mentre altri ti portano a esplorare qualcosa che non ti appartiene. Ma anche in questo secondo caso puoi avvicinarti al personaggio con lo studio psicologico o guardando film, leggendo libri o facendo ricerche. Personalmente, trovo bellissimo prepararmi su personaggi realmente esistiti: senti dentro te una tale responsabilità che non puoi sbagliare!

Da attrice, non sono particolarmente legata alla memoria: studio le battute ma mi piace anche vedere dove mi porta la situazione o capire la mia reazione di fronte a una battuta che, pronunciata da qualcun altro, arriva in maniera inaspettata da come me l’ero immaginata. Preferisco per mia natura essere più aperta allo scambio reale, non attaccandomi troppo all’idea di come vorrei che fosse una scena.

E come reagisci di fronte a un provino non superato?

La maggior parte dei provini non vanno come speri fino a quando non arriva quei sì che ti cambiano la vita. È difficile a volte accettare di non essere scelti, soprattutto quando ci si impegna tanto. Subentra anche una certa demoralizzazione in alcuni momenti ma, da donna dal carattere forte quale mi reputo, tendo a non buttarmi giù e a non colpevolizzarmi. Spesso noi attori ci addossiamo colpe che non abbiamo: non tutto dipende da noi, ci sono fattori esterni o scelte di produzione su cui non possiamo avere il controllo. Si deve andare avanti: noi possiamo dare il massimo e non prenderci mai troppo sul serio, che è un po’ la mia legge di vita.

Facciamo tutti tanti provini ma non tutti possiamo essere presi, siamo in tanti a fare questo mestiere. C’è quindi una competizione sfrenata che spesso non è nemmeno fisicamente reale. Non vedi quasi mai il tuo competitor, ragione per cui è come una continua lotta con i mulini a vento: quando sostiene un provino, sei da solo, sai di essere in competizione con qualcuno ma non sai con chi. Ecco perché serve cercare di mantenersi sani e non ammalarsi dietro a certe dinamiche.

E sei mai scappata da un provino?

Scappata mai ma ci sono stati dei provini dei quali non sono soddisfatta. A volte, capita che si creino delle chimiche non favorevoli per cui non ci si sente a proprio agio o non ci si può esprimere al massimo delle proprie potenzialità. Quello dei direttori di casting non è un lavoro semplice, del resto: in una sola giornata devono vedere 600 mila attori differenti!

Ti sei mai trovata di fronte a una molestia?

No. Anche perché, conoscendomi, risponderei con una testata in faccia. Mi sono sempre considerata un maschiaccio e non ho paura di far valere le mie posizioni. Ma so anche che parlare è facile, bisogna viverle certe situazioni: anche la donna più forte del mondo potrebbe trovarsi in difficoltà perché gli uomini di potere sono comunque gli uomini di potere. Fortunatamente, però, rispetto al passato, qualcosa è cambiato.

Giulia Schiavo.
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