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Giuseppe Attanasio: “Accanto ad Adam Driver mi tremavano le gambe” – Intervista esclusiva

giuseppe attanasio
Nel cast del film Ferrari, il trentunenne attore bolognese Giuseppe Attanasio si racconta a The Wom. Dall’esperienza sul set all star diretto da Michael Mann alla sua prima recita, ci parla dei suoi sogni per il futuro ma anche delle sue ansie e del suo percorso privato e professionale.

Giuseppe Attanasio, trentunenne attore bolognese, è nel cast del film Ferrari di Michael Mann. Accanto a mostri sacri come Adam Driver, Penelope Cruz, Shailene Woodley e Patrick Dempsey, Giuseppe Attanasio recita nei panni di Romolo Tavoni, dirigente sportivo della casa automobilistica che nel 1957 affronta quello che passerà alla storia come un “anno orribile” per tutta una serie di accadimenti che interessano il patron Enzo.

Diplomato alla Civica Accademia di Arte Drammatica “Nico Pepe”, Giuseppe Attanasio si divide da anni tra il suo lavoro di autore, attore e performer per il teatro, in Italia e all’estero. Un percorso che ha cominciato in piena autonomia dopo che da adolescente ha ricevuto il suo primo applauso per una commedia plautina rappresentata insieme ai compagni di classe.

Già apprezzato nella serie tv Nudes diretta da Laura Luchetti e nella serie tv Netflix La legge di Lidia Poet, Giuseppe Attanasio racconta in esclusiva a TheWom.it la sua esperienza sul set di Michael Mann ma anche il suo percorso di giovane uomo alla ricerca del proprio posto in un ambito lavorativo abbastanza precario come quello della recitazione.

Giuseppe Attanasio.
Giuseppe Attanasio.

Intervista esclusiva a Giuseppe Attanasio

“Sono ovviamente felice ed eccitato per l’uscita del film: cammino a un metro da terra da un paio di giorni”, è la prima risposta che Giuseppe Attanasio ci restituisce quando lo raggiungiamo telefonicamente e per prima cosa ci complimentiamo per il risultato al box office del film Ferrari, che in pochi giorni ha abbondantemente superato il milione di incasso (un dato spesso impensabile al primo weekend per un film d’autore).

“È di buon auspicio: non posso che essere contento dei feedback e delle recensioni che stanno arrivando”, aggiunge l’attore bolognese ma con sangue siciliano nelle vene (il padre è originario di Comiso, un paese in provincia di Ragusa). Quinto di cinque fratelli e cresciuto in una famiglia molto cattolica, Giuseppe Attanasio ha rotto la tradizione “militaresca” familiare per fare l’attore cominciando a raccogliere i frutti del suo lavoro, del tutto opposto a quello della compagna, ricercatrice di ingegneria: “Siamo come i due diversi emisferi del cervello”, scherza, “ma stiamo lavorando a un progetto insieme da portare avanti”.

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Chi è Romolo Tavoni, il personaggio che interpreti nel film Ferrari?

Non sapevo nemmeno della sua esistenza fino a un attimo prima di avere il materiale per il provino davanti e scoprire una figura su cui poi mi sono informato molto. Ho scoperto così che ha ricoperto un ruolo chiave negli anni della scuderia Ferrari raccontati nel film ma anche che la sua storia aveva delle assonanze con la mia. La sua parabola è cominciata da un paesino in provincia di Modena: era di buona famiglia ma umile, un ragazzo alla buona e molto cattolico. Il suo primo impiego era stato in una banca e in un primo momento non avrebbe nemmeno voluto andare a lavorare per conto di Enzo Ferrari: aveva sempre evitato le rogne e Ferrari non aveva una buona nomea a tal proposito.

Tuttavia, si convinse quando fu lo stesso Enzo a chiamarlo, dando inizio con lui a un rapporto contraddistinto da continui licenziamenti e riassunzioni nell’arco di pochissimi anni: in base all’umore di ciò che viveva, Ferrari era in grado di licenziare anche il suo dipendente più fidato o quello con cui aveva condiviso di più. Una delle prime cose che gli disse quando lo assunse fu che da quel momento in poi avrebbe dovuto considerare una sola famiglia: la Ferrari, per l’appunto. Un diktat piuttosto importante da sostenere che lo poneva al servizio dell’obiettivo, ovvero tutto ciò che il marchio Ferrari rappresentava.

A poco a poco, Tavoni acquistò la più completa fiducia di Enzo Ferrari fino a divenire il suo segretario personale e venendo a conoscenza di tutti i suoi fatti personali, compresi quelli inerenti alla sua relazione con l’amante Lina.

Mentre a Tavoni imponeva di avere una sola famiglia, Enzo Ferrari in quel periodo ne aveva più di una: un po’ contraddittorio nel chiedere molto agli altri.

Se vogliamo, la doppia famiglia rientrava nell’aspetto machistico di Enzo e si è rivelata anche strategica, dal momento che dalla relazione con Lina ha avuto un erede. Nel film, vediamo tutto il suo travaglio e le difficoltà comportate dall’avere una vita doppia, se non tripla o quadrupla stando ai mormorii di paese.

Ferrari: Le foto del film

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Com’è stato essere diretti da un attore come Michael Mann? Cosa hai provato quando ti hanno detto che il ruolo era tuo?

Un’esperienza incredibile: non capita tutti i giorni di essere chiamati da un regista del suo calabro. Francamente, in un primo momento non ci credevo: è stato il mio agente americano a darmene conferma ma pensavo a uno scherzo. Più lui continuava a dirmi che ero stato preso, più io trovavo il modo di prenderla in burla… ho realizzato lentamente che era vero: mi trovavo in teatro e da dietro le quinte cominciai a urlare e saltare di gioia, interrompendo le prove nel bel mezzo di una scena drammatica. I miei colleghi mi hanno preso per pazzo ma non riuscivo a stare fermo fisicamente.

La sensazione di irrealtà mi ha accompagnato anche durante i primi giorni di set: era come se da un momento all’altro qualcuno con un pizzicotto mi riportasse nella realtà della mia cameretta, facendomi risvegliare dal sogno di recitare accanto ad Adam Driver. Solitamente si fa fatica ad accettare qualcosa di negativo: nel mio caso, non riuscivo ad accettare qualcosa di positivo!

Ansia da prestazione sul set?

Sì, senz’altro. Ricordo il giorno della lettura del copione con tutto il cast riunito davanti al regista Michael Mann. Lui non lascia nulla al caso e aveva ovviamente deciso anche i posti che gli attori avrebbero occupato durante la lettura, scegliendoli in base al ruolo che ricoprivano nella vita di Enzo Ferrari. Da “persona informata sui fatti più viscerali di Enzo”, ero di fronte ad Adam Driver, con alla mia destra Penelope Cruz e Shailene Woodley a due passi da me: intorno, avevo “semplicemente” un paio di premi Oscar…

Non riuscivo a star fermo con le gambe sotto al tavolo, Mann mi è poi passato accanto e mi ha stretto il braccio molto forte: ho capito dopo sul set che si trattava di un segnale di incoraggiamento. È stato come qualcosa di magico: è riuscito a tranquillarmi. Come ci siam detti tra colleghi, chiunque era presente su quel set lo era perché rispondeva a un desiderata di Mann: sa sempre cosa vuole dai suoi attori. Scegliendomi, era consapevole di ciò che poteva ottenere da me: solo così ho messo da parte la sindrome dell’impostore.

Giuseppe Attanasio.
Giuseppe Attanasio.

Tra l’altro, Mann ha scelto tantissimi giovani attori italiani. Cosa ha intravisto, secondo te, in voi?

È una bella domanda, che ci siamo posti anche noi italiani nei primi giorni di set. Mann era presente a tutti i provini e nello sceglierci credo che il denominatore comune sia stata la nostra volontà di essere ambiziosi, un aggettivo che ricorreva spesso nella descrizione dei personaggi. Un po’ come Enzo Ferrari, anche Mann ha cercato “collaboratori” che fossero in grado di mettere da parte la loro carriera o la loro vita privata per il conseguimento tutti di un unico obiettivo, al di là dei meriti o dei demeriti precedenti. A ogni provino, ha cercato in ognuno di noi negli occhi lo scintillio dell’ambizione e della volontà di esserci per fare un grande film.

Cos’è per te l’ambizione?

È complicato definirla, anche perché in Italia ha spesso una valenza negativa quando invece è qualcosa in molti casi di estremamente positivo che collima nell’autodeterminazione. È un concetto molto filosofico di cui parlerei per ore, ragione per cui non so definire cosa sia l’ambizione in sé.

Non viviamo in un mondo in cui siamo tutti uguali: purtroppo, ognuno di noi parte da situazioni avvantaggiate o svantaggiate a seconda dei casi. Non c’è una giustizia reale, non basta essere ambiziosi per farcela e sarebbe ora di smetterla con questo pensiero mainstream… Io mi porto sempre dietro le parole del mio primo maestro di teatro: “Non importa come sia andato lo spettacolo, come stavi tu, come ti ha dato la battuta il collega… ciò che conta è solamente la sensazione che provi quando, finito lo spettacolo, torni nel tuo camerino e ti guardo allo specchio chiedendoti se hai dato il meglio di ciò che potevi dare”. In poche parole, non importa il risultato ma il modo in cui lo si è raggiunto, indipendentemente dall’andar bene o dal fare schifo.

Quand’è la prima volta che hai sentito che da grande avresti fatto l’attore?

Durante uno spettacolo delle scuole superiori, una commedia plautina. Frequentavo il liceo classico, c’era un contest sulle commedie plautine e un regista giovane, particolarmente bravo, ci ha aiutato per una recita che ha ricevuto molti applausi. Era la prima volta che ricevevo un applauso, un qualcosa che mi riempiva l’anima e mi faceva vibrare tutto il corpo… la fatica che avevo messo in qualche modo era piaciuta ed era stata riconosciuta anche a livello sociale: davanti avevo tante persone diverse, ognuna con pensieri differenti ma accomunate dal fatto di aver apprezzato la stessa prova. Quel primo applauso mi ha riempito il cuore come nulla prima: “Potrei farci l’abitudine”, è stato il mio primo pensiero uscendo di scena. Avevo sedici anni.

Giuseppe Attanasio.
Giuseppe Attanasio.

Ed è stato facile dire a casa quello che volevi fare?

Credo che non sia facile comunicare a nessun genitore il proprio desiderio di voler vivere mille vite in una. La recitazione non è qualcosa di concreto che può garantire sostanziale benessere: è vista come qualcosa che ha a che fare con la follia, soprattutto quando devi relazionarti anche con le circostanze economiche della tua famiglia. Mio padre era operaio e mia madre insegnante d’asilo nido (adesso è una bibliotecaria), nella mia famiglia c’era tutta una tradizione di militari (anche mio fratello lo è) o, comunque, il miraggio del posto fisso.

Ma sono sempre stato un po’ lo “strambo” della famiglia, quello che cercava stimoli esterni rispetto all’ambiente in cui cresceva (un contesto cattolico nella campagna bolognese). La decisione vera e propria è arrivata grazie a quel mio maestro che era perentorio sul fatto che dovessi far l’attore e in famiglia è stata presa con una specie di fredda accettazione: nessuno si è opposto così come nessuno mi ha aiutato economicamente. Forse solo mia mamma quando si rendeva conto che ero alla canna del gas.

Rimango tuttavia molto grato a quello che i miei genitori hanno fatto per me: mi hanno cresciuto, allevato e formato, in una famiglia numerosa, cosa sicuramente non facile, e mamma è stata colei che mi ha trasmetto la grande passione per la lettura. I miei mi hanno consegnato al mondo una volta grande ed io responsabilmente mi sono fatto carico della mia scelta. Forse il sapere di non avere una spalla su cui piangere nel momento in cui le cose sarebbero andate male mi ha dato una marcia in più rendendomi più responsabile delle mie azioni.  Avere un cuore caldo all’interno che si ricorda dei tanti momenti difficili attraversati aiuta ad affrontare una professione sempre precaria.

Ho tanti amici a cui voglio bene che tuttora mi sostengono e mi danno la carica per andare avanti. Così come negli anni dell’Accademia Nico Pepe ho conosciuto tanti grandi maestri del teatro che, nell’incertezza data dalla loro stessa professione, mi hanno lasciato tanti pensieri a cui mi sono aggrappato durante il mio percorso. Un attore rimane sempre un navigatore a vista e mi auguro che prima o poi qualcosa a livello sociale e politico cambi o diventi più semplice per chi sceglie di intraprendere questa strada: vorrei che quello di attore venisse riconosciuto come lavoro a tutti gli effetti. C’è molto per cui combattere e la categoria dovrebbe essere compatta per reclamare i propri diritti.

Ma per il futuro mi auspico anche di andare a lavorare all’estero per poi portare la mia esperienza in Italia. Lo reputo un valore aggiunto per creare anche competitività ed essere riconoscibili anche al di fuori dai nostri confini anziché rimanere qui a lamentarmi perché un attore straniero viene chiamato per interpretare un personaggio italiano.

A proposito di futuro, hai in mente di diventare stuntman grazie a un insegnante come Simone Belli (omonimo del make-up artist delle star, ndr).

Con Simone cominceremo a frequentarci regolarmente dal prossimo anno: mi sono fatto questa promessa e spero di mantenerla. Abbiamo già fatto delle sessioni di guida pericolosa in circuito ma nulla di più. È opinione comune che gli stunt giochino con la loro vita ma in realtà tutto ciò che fanno non è altro che apportare migliorie per rendere più sicuro il set stesso: lo stuntman è una sorta di consulente del rischio che aiuta le produzioni a mettere in atto misure per evitare incidenti. Conoscendo Simone, ho potuto constatare da vicino il suo attaccamento alla vita e la sua gioia di vivere nell’imparare ad andare oltre i limiti, non solo fisici ma anche mentali. Mi attrae l’idea di riappropriarmi del mio corpo e di fargli fare cose assurde che mai avrei pensato.

Giuseppe Attanasio.
Giuseppe Attanasio.
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