Giuseppe Scoditti è attualmente al cinema in due film tra loro molto diversi: Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, in cui interpreta un giovane regista, e Percoco – Il primo mostro d’Italia di Pierluigi Ferradini, in cui ricopre il ruolo di Enzo Bellomo. Ma il 2023 sembra essere del tutto l’anno di Giuseppe Scoditti, quello in cui raccogliere i frutti di talento, determinazione e fortuna, le tre costanti del mestiere dell’attore. Lo vediamo infatti anche in televisione nel cast fisso della trasmissione di Rai 2 Bar Stella.
Barese, classe 1991, con una laurea in Lettere moderne e un diploma come attore conseguito nel 2014 alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, Giuseppe Scoditti si definisce un attore con una certa propensione alla comicità e, come tale, ama spaziare tra generi e linguaggi tra loro molto differenti, una caratteristica più unica che rara. Un po’ come la sua altezza, 1 metro e 95 centimetri, che lo rende riconoscibile in mezzo a tante e che, senza tanti giri di parole, Giuseppe Scoditti considera un po’ la sua grande fortuna.
Intervista esclusiva a Giuseppe Scoditti
“Eh, ci sono quelli in cui ho paura di entrare”, mi risponde così Giuseppe Scoditti quando gli chiedo com’è entrare in un ascensore, soprattutto vecchio, quando si è alti 1 metro e 95. Lo sento al telefono una mattina come tante mentre esce di casa, dopo aver mangiato un numero esagerato di biscotti con le gocce al cioccolato e aver ritirato una raccomandata (“Agenzia delle Entrate, una grande mattinata!), prima di recarsi sul set della seconda stagione di una serie tv Rai.
Sai cos’è la prima cosa che si trova su internet se si cerca Giuseppe Scoditti?
“Chi è, fidanzata, figli, vita privata”… e no so per quale motivo. È uno di quei format che riciclano e adattano a chiunque, una specie di struttura che riutilizzano nel momento in cui qualcuno appare in televisione… per la grande tristezza di mia madre che detesta le cose un po’ “superficialotte”.
Ti troviamo in questi giorni al cinema nel nuovo film di Nanni Moretti, Il sol dell’avvenire, dove interpreti la parte di un giovane regista in antitesi con Giovanni, il protagonista interpretato da Moretti stesso.
Interpreto un giovane regista e, fondamentalmente, è un personaggio felice, qualcosa che mi capita raramente di interpretare. In questo caso, invece, do vita a qualcuno con una bella carica di gioia e di felicità assurda: non solo è fiero di realizzare dei film violenti in maniera gratuita ma è anche contento di fare quello che sta facendo.
È un aspetto che emerge tantissimo nel film e la sua felicità era verticale alla felicità di me, Giuseppe, che stava recitando in un film di Nanni Moretti, uno dei miei idoli assoluti. Motivo per cui ho deciso di chiamare il personaggio con il mio nome, Giuseppe: in una battuta, che ho aggiunto io, c’è una specie di bellissimo incontro tra il personaggio che è felice di girare il film e Giuseppe che la gioia straordinaria di recitare con Moretti.
La gioia del mio personaggio si contrappone totalmente allo stato d’animo del protagonista Giovanni, che sta attraversando invece un momento di crisi.
Giuseppe Scoditti in Il sol dell'avvenire
1 / 4Giovanni è abbastanza disilluso del sistema cinema oggi. Il tuo personaggio invece ne è il contraltare ma potrebbe rappresentare anche un giovane Moretti alle prime armi.
È un’altra delle tante ragioni che mi fanno dire che l’aver interpretato questo ruolo è stato un onore. Potrei rappresentare anche un Nanni da giovane inesperto, tant’è che nelle battute e nelle movenze ho cercato anche qualche volta di imitarlo. In un momento, mentre il mio personaggio sta per dare il ciak, metto le braccia dentro la schiena, un po’ come fanno i vecchietti che guardano i cantieri (ride, ndr). Si tratta di un gesto tipico di Nanni, una sua classica posa che ho cercato di replicare.
Il sol dell’avvenire non era però la tua prima esperienza al cinema. Avevi girato prima Percoco, un film recentemente uscito al cinema appartenente a un genere totalmente differente.
Sono stati entrambi due epifanie, due feste bellissime. Percoco è stato il primo film che ho fatto. È stato girato a Bari, la mia città, e racconta una storia realmente avvenuta nel mio quartiere. Quindi, è stato veramente emozionante. Amo il cinema da sempre: ho studiato in una scuola di teatro e recitato molto a teatro, però mi piace tantissimo il cinema e il set in generale. Mi piace rifare le scene, improvvisare le battute, lavorare sul dettaglio, fare i primi piani. Ecco perché dico che entrambe le occasioni sono state per me una festa clamorosa.
Tra teatro e cinema hai notato delle differenze?
L’unica differenza è legata ai personaggi. Mentre a teatro ho avuto la possibilità di interpretare personaggi diversi da me, in entrambi i casi al cinema i registi hanno scritto dei personaggi su di me: è molto curioso come aspetto. Girerò presto un altro film con il regista siciliano Toni Trupia e ancora una volta sarà un personaggio vicino a me.
Non sarà forse colpa del fatto che con i colloqui interiori ci vai d’accordo?
Hai visto i miei video su Instagram? (ride, ndr). Però, non vanno bene quei video: mi piacerebbero che diventassero più virali. Per me, i social sono un tasto molto dolente. Mi rendo conto che sono una parte importante per chi vuole fare oggi il mio lavoro ma vedo molte persone, soprattutto quelle che sono nate sui social, che lavorano molto più di me.
Non che io lavori poco, per carità di Dio, ma loro riescono a raggiungere più velocemente determinati obiettivi. E questo mi fa molta impressione, mi fa molto effetto: è gente che non ha fatto alcuna scuola di teatro, a differenza mia, ma che ha fatto la scuola dei social stando davanti a un telefono e cercando di capire cosa richiede l’algoritmo. Non critico costoro ma, per ritornare al film, rispetto a loro mi sento un po’ Nanni Moretti (ride, ndr)! Non li considero nemmeno colleghi: saranno tali quando li avrò visti su un palcoscenico o recitare davanti a una telecamera.
Tornano ai video, cerco di realizzarne qualcuno ma, secondo me, si vede che sono un attore di professione: non ho quella spontaneità tipica dei social e propongo anche tematiche non condivisibili.
Studi come attore ma ti so anche con una laurea in Lettere moderne…
Dopo le superiori, mi ero iscritto ad Architettura a Roma ma sono stato bocciato all’esame di Disegno. Ho deciso allora di lasciare la facoltà. Sono andato dai miei genitori e ho detto loro: “Ragazzi, voglio fare l’attore, come vi sto dicendo da dieci anni”. Mi hanno risposto che andava bene ma che avrei comunque dovuto prendere una laurea: il classico piano B che avrebbe dovuto farmi sicurezza nel caso avessi fallito, un ragionamento da patriarcato borghese ottocentesco (ride, ndr). Ed è così che mi sono laureato in Lettere moderne mentre frequentavo la Paolo Grassi.
Studiavi quindi contemporaneamente da un lato per far contenti i tuoi genitori e dall’altro per prepararti a essere chi volevi tu. Un bell’esempio di autodeterminazione, si direbbe oggi, costato sacrificio e dedizione.
Totalmente. Mi sono fatto un culo grande come una capanna, come si suol dire. Ma, come ha detto anche Nanni Moretti in un’intervista, per fare questo lavoro i tre elementi fondamentali richiesti sono la determinazione, il talento e la fortuna. Al primo posto, c’è la fortuna: ti deve arrivare l’occasione giusta dal nulla quando tu meno te l’aspetti. Al secondo, c’è la determinazione: devi essere prontissimo per afferrare al massimo quell’occasione. E alla fine c’è il talento.
Quello dell’attore è un lavoro che puoi continuare a fare o sognare di fare solo se sei veramente cocciuto, soprattutto quando intorno a te hai gente che ti continua a ripetere di smetterla con “questa scazzata dell’attore”. Bisogna essere stupidi e testardi in maniera tenacissima per andare avanti.
Stupidi e testardi ma in grado di recitare in due film presentati in due contesti tutt’altro che trascurabili. Percoco ha avuto la sua anteprima al BiF&st mentre Il sol dell’avvenire sarà presentato in concorso al Festival di Cannes. Non ti dà la certezza di essere sulla giusta strada?
Il lavoro che sto facendo mi sta dando questa certezza ma dopo dieci anni, eh. Bisogna coltivare sempre la semina, non subito attecchisce, occorre saper aspettare. Ho finito la Grassi a Milano nel 2014 e solo dopo nove anni comincio a vedere dei risultati. A contorno di tutto ciò c’è anche un’altra esperienza bellissima che sto vivendo: faccio parte del cast di Bar Stella, in onda su Rai 2 in seconda serata e condotto da Stefano De Martino.
Bar Stella è un programma bellissimo che sta dando a noi di Contenuti Zero, il gruppo di attori e musicisti di cui faccio parte dal 2017, molta libertà di sperimentare, di fare esperienza e lavorare in televisione, dove si mette in atto un gioco molto diverso dal teatro e dal cinema. Mi piace come programma perché si distanzia dagli altri che si vedono in giro: ha un’impostazione quasi radiofonica che ricorda un po’ i programmi di Renzo Arbore degli anni Ottanta o Novanta. Mancava in tv un programma da guardare con una band e degli ospiti interessanti prima di andare a dormire! Sono molto felice di farne parte.
A proposito di tuoi personaggi, mi sono chiesto cosa ne penserebbe il critico hard da te inventato di Il sol dell’avvenire. Com’è nato il personaggio?
Ne parlerebbe tantissimo. Non trattandosi di cinema porno, sarebbe tranquillissimo di poter dire un sacco di cose. Per altro, nel film non ci sono nemmeno scene di sesso.
Com’è nato? Ero a casa – non a guardare i film porno, anche se mi piacciono molto e non ho alcun pregiudizio nei confronti di quel cinema – a scervellarmi nel buttar giù delle idee per la nuova stagione di Bar Stella quando ho cominciato a vedere vecchi sketch in cui Roberto Benigni faceva la parodia del critico cinematografico a L’altra domenica, un programma storico di Arbore. Mi è piaciuta molto la figura di quel critico a disagio che non sa parlare del suo lavoro e, grazie a un paio di associazioni, sono arrivato al personaggio. Nella comicità funziona sempre il contrasto, il paradosso: un critico di cinema hard che si vergogna di parlare di cinema hard perché è imbarazzante parlare di sesso è paradossale, no?
Il tuo primo exploit è però legato a un altro format televisivo. Hai partecipato come concorrente a Italia’s Got Talent. Ha aiutato il tuo percorso quell’esibizione?
Tantissimo. Uno dei due monologhi che porto in giro, 1 e 95, uno stand up comedy show, deve la sua fortuna a quella partecipazione: credo di essere arrivato a un’ottantina di repliche. Il programma mi ha fatto molta pubblicità: è uno show che funziona e dà i suoi risultati se sfrutti bene l’occasione. Lo rifarei ma non sono uno stand up comedian, non mi definisco tale. Sono semmai un attore con una predisposizione alla comicità, tant’è che dopo ho scritto uno spettacolo del tutto differente che si chiama Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa, una performance di un uomo che vuole a tutti i costi portare Sorrentino a teatro perché ha un conto in sospeso con lui.
Nello spettacolo, il performer protagonista recita, canta, fa pezzi di bravura, racconta… a un certo punto lo spettacolo si interrompe anche e diventa un film su Sergio Endrigo di un quarto d’ora! Non è stand up comedy ma uno show in cui si intrecciano linguaggi molto diversi tra loro.
Sorrentino: ti ha detto no al provino per The Young Pope. Cosa si prova dinnanzi a un no?
Siamo come attori molto abituati al no, lo riceviamo nell’85% dei casi. I no fanno parte di questo lavoro e bisogna farsene una ragione. Ti rimettono anche in discussione e, infatti, gli attori bravi sono quelli che riescono anche a resistere e ad andare avanti. Servono perseveranza e costanza (ma costanza idiota!) per continuare fare questo lavoro.
Personalmente, ho ricevuto tantissimi no e altri ne riceverò ancora. Ma anche i più grandi ne hanno ricevuti: penso ad esempio ad Alberto Sordi. La sua storia è molto vicina a quella degli attori di oggi: ha ricevuto tantissime porte in faccia ma è arrivato a essere il grande attore che è stato tramite vie parallele, passando dal doppiaggio e recitando anche in film brutti. La sua perseveranza è molto attuale: non è stato il fenomeno che esplodeva ma l’esempio di una persona che stava lì a non mollare nonostante i no.
Sei pugliese. E oggi esiste in giro tanta comicità pugliese: i simboli, seppur differenti, ne sono Checco Zalone e Pio e Amedeo. Non c’è il rischio di un sovraccarico per cui il no è quasi d’obbligo?
In alcuni casi, è già d’obbligo. A me piace la comicità pugliese quando il pugliese diventa tramite di qualcos’altro. Checco Zalone ha inventato un personaggio che rappresenta l’italiano medio: è di Bari ma potrebbe essere anche di Treviso, non farebbe la differenza. Non mi piace, invece, quando il pugliese è fine a se stesso: “ti devo far ridere perché sono pugliese”. E quindi abbasso Pio e Amedeo.
Ritorniamo da dove siamo partiti. Sei alto un metro e 95, un’altezza sicuramente non facile da gestire ma anche una bella responsabilità sulle spalle. Non hai mai sentito il peso di avere qualche centimetro in più?
No. anzi, credo che sia stata la mia più grande fortuna: l’altezza mi contraddistingue e mi rende in qualche modo unico e riconoscibile in mezzo a tanti. Fa parte di quegli aspetti che appartengono alla natura dell’attore e su cui l’attore non ha alcun controllo. Marty Feldman, l’attore che interpretava Igor in Frankenstein junior, era anche Marty Feldman per il suo aspetto fisico, qualcosa che non aveva di certo studiato.
Dal punto di vista privato, nello sport l’altezza mi rende un disastro, totalmente scoordinato: durante una partita di calcio, sono riuscito a fare autogol di testa all’indietro da centrocampo. Sui voli delle compagnie low cost le mie gambe non entrano nello spazio davanti al mio sedile e ogni volta che devo comprare delle scarpe mi guardano come se fossi un alieno proponendomi misure assurde.
E da ragazzino non ti sei sentito diverso dai tuoi coetanei?
Si, ma è una sensazione che mi sono fatto scivolare addosso. Non sono mai andato dallo psicologo a chiedere aiuto per la mia altezza (ride, ndr).
Come si vive a guardare il mondo costantemente dall’alto verso il basso?
Non lo so, non conosco la differenza. Da piccolo, guardavo come tutti il mondo dal basso verso l’alto ma crescendo la prospettiva inversa è stata la mia realtà, l’unica che conosco. È come se chiedessi a un daltonico com’è guardare il mondo con la sua visione dei colori: normale.