Arriva il 5 maggio al cinema Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, film portato in sala da Bim Distribuzione. A dirigerlo è Lee Daniels mentre la sceneggiatura è dell premio Pulitzer Suzan-Lori Parks. Gli Stati Uniti contro Billie Holiday può contare sull’interpretazione di Andra Day. Per il ruolo, la cantante e attrice si è aggiudicata il Golden Globe come Miglior Attrice Protagonista in un film drammatico nel 2021. Al suo fianco, recita l’attore Trevante Rhodes, interprete di Moonlight, nei panni di Jimmy Fletcher.
Gli Stati Uniti contro Billie Holiday è un film di fondamentale importanza per la figura raccontata e i temi trattati. Siamo negli Stati Uniti degli anni Quaranta quando Billie Holiday, nota in tutto il mondo, collezionava successi uno dopo l’altro. Tuttavia, la sua figura di donna nera forte, determinata e caparbia, infastidiva non poco il governo degli USA. In poco tempo, il governo federale statunitense decise di trasformarla nel capro espiatorio di una dura battaglia contro la droga.
Dall’esistenza fragile e complicata, Billie era agli occhi di tutti una combattente ma nulla poteva contro i propri demoni e se stessa. La droga e l’alcol erano le uniche vie di fuga che conosceva e il governo puntò contro di esse per nascondere le sue reali intenzioni. Il fine ultimo altri non era che impedirle di eseguire la sua ballad Strange Fruit. Si trattava di una canzone di denuncia contro il linciaggio del governo degli Stati Uniti nei confronti dei cittadini neri e contributo essenziale per il movimento dei diritti civili.
Icona di attivismo
Gli Stati Uniti contro Billie Holiday continua il percorso ben definito di Lee Daniels. Con i suoi film, Daniels ha sempre mostrato di gettare uno sguardo lucido nella storia delle discriminazioni negli Usa. Sin da Precious, Daniels si è fatto portavoce di una battaglia cinematografica in nome dell’inclusione e dei diritti civili. La sua strada e quella di Billie Holiday erano forse destinate a incontrarsi, dal momento che la cantante, ancora prima delle grandi super star di oggi, combatté in prima persona la segregazione, il razzismo e le violenze di genere.
Madrina dei diritti civili, Billie Holiday non si tirava mai indietro quando si trattava di battersi in nome della sua gente. Nata da genitori adolescenti nel 1915, con la madre che lavorava come cameriera e il padre che suonava in una band jazz, Billie Holiday sin da piccola conobbe l’onta delle angherie e delle violenze. Trascorreva infatti molto tempo in casa della sorellastra della madre e del marito di essa. E a soli dieci anni questi la stuprò. Il caso fu portato davanti alle autorità ma, in una società maschilista e conservatrice come quella di allora, Billie venne trattata al pari di una prostituta. La musica fu la sua ancora di salvezza ma ci arrivò dopo essere stata rinchiusa in un convento cattolico, sbattuta in un bordello a 14 anni e arrestata per rissa.
- Il canto come salvezza
L’arresto della polizia fu davvero provvidenziale. Solo in quel momento, Billie Holiday si aggrappò a tutte le sue forze per fa sì che, al di là del colore della pelle e del genere di appartenenza, certi soprusi non si ripetessero. Aveva visto morire il padre a causa delle cure mediche negate perché nero e aveva conosciuto da vicino quali difficoltà incontrava una donna nera. E, proprio per tale ragione, aveva deciso di prestare la sua voce al canto, una voce che proveniva direttamente dall’anima e dai dolori che racchiudeva. Il canto diventò la sua arma di riscatto in un Paese in cui le leggi Jim Crown non trovavano nessun sostegno, soprattutto al Sud.
"Quando si descrive Billie Holiday - ha raccontato il regista Lee Daniels - troppo sbrigativamente la si liquida come cantante jazz iconica e tossicodipendente. Eppure, la sua storia rivela aspetti che in pochi prendono in considerazione. Nessuno la ricorda come una paladina dei diritti civili. Si pensa sempre e solo a Martin Luther King o Malcolm X ma mai a lei, che invece era una ribelle a tutti gli effetti e non si è mai piegata alla supremazia dei bianchi che volevano zittirla”.
Il piano dell’Fbi
Nel film Gli Stati Uniti contro Billie Holiday la storia della cantante che, per usare le parole di Frank Sinatra, che cambiò la storia della musica comincia a New York, nel 1939.
Il Cafè Society, al Greenwich Village, era uno dei pochi locali in cui I neri potevano sedere al fianco dei bianchi, grazie al proprietario convinto sostenitore dell’integrazione. In quel locale, si esibiva una giovane cantante di colore, dalla voce profonda e inquieta, dal passato difficile e dal carattere fiero: era Billie Holiday.
Una sera Billie decise di cantare una canzone di Abel Meeropol, poeta, scrittore, compositore ebreo-russo, scritta per protesta contro il linciaggio di due lavoratori di colore di una piantagione. “Non c’era nemmeno un leggero applauso nell’aria all’inizio - scrisse nella sua biografia la cantante – poi solo una persona ha iniziato a battere nervosamente le mani e così tutti gli altri l’hanno seguito”. Non era più intrattenimento, ma una protesta. Il brano divenne la conclusione di tutti i concerti e alla fine lei lasciava il palco. Non c’era bisogno di aggiungere altro.
Billie sapeva quanto importante era chiudere così i suoi concerti. Il successo riscontrato canzone dopo canzone non l’aveva resa una privilegiata. “Puoi mettere le tue tette in un abito di raso bianco o portare gardenie tra i capelli ma per tutti resti sempre una che lavora in una piantagione”, dichiarò una volta descrivendo la sua vita da segregata. E di certo il successo non impedì agli Stati Uniti di ordire un piano per essersi rifiutata di smettere di cantare Strange Fruit.
- Un complotto letale
A causa della sua vita privata non facile, Billie Holiday faceva ricorso a sostanze stupefacenti, più o meno legali. Erano la sua scappatoia a tutto ciò che aveva vissuto e che continuava a vivere. Nonostante diverse relazioni o amanti, uomini e donne, la sua sfera sentimentale era abbastanza sfortunata. E, sapendo del suo vizio, il governo degli Stati Uniti ne approfittò in maniera bieca, impari e ingiusta. Harry Anslinger, direttore dell’Antidroga, assunse il nero Jimmy Fletcher per infiltrarsi nei circoli jazz e incastrare Billie. Jimmy finì però per l’innamorarsi di Billie ma i suoi sentimenti non la salvarono da morte certa.
Billie Holiday morì di epatite a 44 anni ma in molti sono convinti che a ucciderla, regalandola al mito, furono gli Stati Uniti, il suo Paese, direttamente o indirettamente. “Nel 2020 pensare che si può perseguitare qualcuno per una canzone appare ridicolo”, ha evidenziato il regista Lee Daniels. “Ma gli anni Trenta erano molto differenti. Le canzoni di protesta erano all'ordine del giorno e, quando nel 1939, Holiday cantò per la prima volta Strange Fruit in un night club di New York, il Café Society, davanti a una platea di bianchi il pubblico rimase in silenzio.
La musica di quell'anno era segnata da hit come Over the Rainbow di Judy Garland e When the Saints Come Marching In di Louis Armstrong, molto più rassicuranti. Per capire meglio il peso del testo, basta ricordare che John Hammond, il produttore della cantante, e la Columbia Records, la sua casa discografica, si rifiutarono di registrare e far uscire la canzone, pubblicata successivamente dalla Commodore, una piccola etichetta indipendente”.
Un’icona di stile
Come ben mostra il film Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, Billie Holiday era una vera e propria icona di stile. Molti decenni prima di Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Madonna, Cher, Céline Dion o Lady GaGa, Billie Holiday aveva sviluppato un incredibile senso della moda. Alcuni dei suoi look continuano a ispirarci ancora oggi, dai vestiti con le spalle scoperte ai grandi gioielli scintillanti.
Nata come Elanora Fagan Gough, Billie Holiday aveva cambiato adottato il suo pseudonimo in omaggio a un’attrice di nome Billie Dove e forse da lei aveva appreso una certa teatralità e padronanza del palco. Ogni volta che si esibiva o veniva fotografata, tra i capelli indossava sempre degli accessori, a partire dai fiori, in particolare le gardenie, che tanto amava.
Non amava particolarmente passare inosservata tra la gente. E questo è il motivo per cui non si faceva mai vedere in pubblico senza gioielli. E quelli che indossava sono molto usati anche oggi: orecchini chandelier, anelli da cocktail e fili di perle al collo. Anche quando non si esibiva, Billie ricorreva a vestiti che accentuavano le sue curve. Appariva perfetta in ogni abito, al di là della natura dello stesso, ed era perfetta in ogni situazione, da una festa privata a un evento formale.
Inoltre, ogni dettaglio portato con disinvoltura era una scelta che Billie faceva consapevolmente per comunicare qualche cosa. Fiocchi oversize, pellicce o maglioni tempestati di paillettes, servivano a lanciare chiari messaggi. Il brio con cui si presentava faceva il resto.
Eppure, non bastarono le perle e gli abiti di seta ad aprirle le porte dei migliori ristoranti, a farla esibire sullo stesso palco con i cantanti bianchi o a farla salire su un semplice ascensore.
Gli Stati Uniti contro Billie Holiday: Le foto del film
1 / 39Una clip in anteprima
TheWom.it vi presenza oggi una clip in anteprima esclusiva del film Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, al cinema dal 5 maggio. Già dal breve filmato, è possibile ammirare il realistico lavoro fatto da costumisti e truccatori nel rendere Andra Day una perfetta icona come Billie Holiday.