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Gloria Giorgianni: “Illuminare la storia delle donne attraverso la televisione” – Intervista esclusiva

Gloria Giorgianni
Nell'attesa della puntata di Illuminate dedicata a Suso Cecchi D’Amico, abbiamo incontrato Gloria Giorgianni, mente creativa dietro l’amatissima docuserie di Rai 3 e fondatrice e CEO della casa di produzione Anele.

Illuminate, giunta alla sua sesta stagione e continuamente acclamata da pubblico e critica, è molto più di una semplice docuserie: "Nasce dalla mia idea di proporre dei ritratti femminili ibridando il racconto del documentario e ricostruzioni con le attrici protagoniste", ci spiega Gloria Giorgianni, fondatrice e CEO della casa di produzione Anele. "Era un format che in qualche modo avevo già sperimentato in una serie di tempo prima, Nel nome del popolo italiano, che aveva però al centro gli uomini. Ma con Illuminate volevo dare voce alle donne, offrendo un racconto positivo e ispirante in un'epoca in cui troppo spesso siamo sommersi da notizie negative".

Il titolo stesso, Illuminate, ha un significato profondo. "Non si tratta di raccontare solo storie di geni o di supereroine", ha sottolineato Gloria Giorgianni. "Le nostre protagoniste sono donne comuni che hanno seguito la loro indole e i loro sogni, affrontando ostacoli e sacrifici. Sono 'illuminate' nel senso che hanno trovato la propria via e illuminano il cammino per chi le guarda."

Durante l'intervista, Gloria Giorgianni rivela anche la sua personale motivazione dietro Illuminate: "Mi è capitato di aggrapparmi al ricordo di donne che per me sono speciali e hanno fatto cose importanti. E ho pensato che anche altre donne, o ragazze, potessero trovare degli spunti di direzione nell'operato di chi ha superato limiti e ostacoli molto più grandi di quelli del nostro tempo".

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Ma il cammino di Gloria Giorgianni, oggi affermata produttrice, verso il successo non è stato privo di sfide. "Quando mi sono dimessa dalla mia precedente casa di produzione, è stato un salto nel buio", ammette. "Avevo paura delle conseguenze, ma l'indole mi spingeva altrove. E così ho fondato Anele, dedicandomi totalmente al mio progetto". Un progetto d’amore che è particolarmente legato a sua madre Elena.

Parlando della sua famiglia, Gloria Giorgianni rivela il legame speciale con sua zia, Elvira Sellerio, una figura importante nel mondo della letteratura italiana. "Sono molto fiera della mia indipendenza", afferma. "Ho fatto delle scelte ben definite nella mia carriera, senza lasciarmi condizionare dalla storia familiare. Anche se ogni tanto ho sentito il peso del pregiudizio, sono determinata a seguire il mio percorso".

Infine, Gloria Giorgianni condivide il suo amore per la sua terra natale, la Sicilia. "Anche se ho lasciato Palermo per seguire il mio percorso professionale, ho sempre mantenuto un forte legame con la mia terra", confessa. "Sogno di poter contribuire allo sviluppo dell'industria culturale nel Sud Italia, offrendo opportunità alle future generazioni di talentuosi professionisti"-

Sono dunque tanti gli stimoli che l’incontro con Gloria Giorgianni lascia emergere. Ma su uno non abbiamo dubbi: un giorno qualcuno racconterà la sua storia perché Gloria Giorgianni si rivela una donna che incarna pienamente il concetto di "illuminata", un esempio di determinazione, passione e coraggio nel perseguire i propri sogni.

Gloria Giorgianni, fondatrice di Anele.
Gloria Giorgianni, fondatrice di Anele.

Intervista esclusiva a Gloria Giorgianni

“Domenica 10 marzo su Rai 3 va in onda la puntata di Illuminate dedicata a Suso Cecchi D’Amico, che reputo bellissima”, mi risponde Gloria Giorgianni quando le chiede se tra le tante storie di donne proposte negli anni ce ne fosse una a cui tiene particolarmente. “Suso è stata un personaggio strepitoso, la prima donna sceneggiatrice in Italia a cui presta il volto una bravissima Anna Ferzetti (ma anche la regista dell’episodio è una donna, Maria Iovine). Ha lavorato con tutti i più grandi registi italiani e mi ha sempre colpito l’umiltà e la semplicità con cui si è messa al servizio dei grandi per amore del cinema e della cultura puntando sul lavoro di squadra: mi ha emozionato la sua storia”.

Illuminate presenta una serie di figure femminili legate da un sottile fil rouge che si chiama autodeterminazione. È giunto alla sua sesta stagione e continua a essere un successo non solo di rai 3 ma anche on demand. Com’è nato?

Nasce dalla mia idea di proporre dei ritratti femminili ibridando il racconto del documentario e ricostruzioni con le attrici protagoniste. Era un format che in qualche modo avevo già sperimentato in una serie di tempo prima, Nel nome del popolo italiano, che aveva però al centro gli uomini, alcuni grandi eroi del nostro Paese che in alcuni casi avevano anche pagato con la vita, da Marco Biagi a Piersanti Mattarella. Anche in quel caso, non si trattava solo di un racconto documentaristico ma avevamo coinvolto dei giovani, i nipoti degli stessi o, comunque, le seconde generazioni, e aveva funzionato.

Ciò che mi interessava con Illuminate era quello di proporre un racconto tutto al femminile e, soprattutto, positivo in opposizione a tutto ciò che invece c’è oggi e che leggiamo sui giornali, a partire da tutti quei femminicidi che ormai veramente ci opprimono e mi opprimono tantissimo. Sapere di una società che questo tipo di approccio da parte degli uomini nei confronti delle donne mi angosciava, ragione per cui volevo proporre storie positive, senza ideologia e senza giudizio, per raccontare le vite di donne esemplari, che potessero nei momenti di difficoltà e di sconforto da parte di chi le guarda essere di supporto.

Molto banalmente, a me è capitato in tali frangenti di aggrapparmi al ricordo di donne che per me sono speciali e hanno fatto cose importanti, alcune della mia famiglia e altri no. E, quindi, ho pensato che forse anche altre donne o, ancora meglio, ragazze di età diversa dalla mia potessero trovare degli spunti di direzione nell’operato di chi in passato ha dovuto superare limiti e ostacoli molto più grandi di quelli del nostro tempo. Come in una sorta di passaggio generazionale, quasi sempre le attrici che interpretano le Illuminate sono giovani (a eccezione di alcuni camei di attrici più mature che ci hanno fatto un bellissimo regalo nel mettersi in gioco).

Il titolo definitivo, Illuminate, è frutto di una splendida idea che ha avuto Stefano Coletta, quand’era direttore di Rai 3: è stato bravissimo nell’individuarlo perché dà un senso di luce, di respiro e di proiezione… è una luce che parte da lontano ma che si propaga fino a oggi.

Mi fa piacere che tu spieghi il titolo: spesso “illuminate” viene inteso come sinonimo di “geniali”. Ma nel caso della serie non ci sono racconti di wonder women. Come vengono scelte le storie?

Non ci sono racconti di donne al di fuori dalla storia del loro tempo e della realtà delle cose. sono tutte donne che potrebbero essere come noi ma che hanno ognuna una propria unicità. Le quattro protagonista di ogni edizione devono appartenere ad ambiti diversi, un aspetto che ho sempre voluto mantenere: non sono solo del mondo dello spettacolo o della cultura ma provengono anche da altri contesto, come ad esempio quello della moda.

Da grande appassionata di moda come industria, mi piaceva sottolineare come il made in Italy in tale campo sia stato creato spesso da donne importanti: in questa sesta edizione, abbiamo ad esempio il racconto delle sorelle Fontana ma abbiamo in passato raccontato anche la signore Ferragamo, Biagiotti e Krizia.

Le nostre illuminate non sono wonder women ma donne che hanno seguito la loro indole e non solo i loro sogni. È fondamentale, secondo me, sentire quello che si vuol fare, crederci e seguirlo, pagandone anche un prezzo in termini di sacrifici e di rinunce.

Illuminate: Suso Cecchi d'Amico

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Ti sei chiamata la domanda: quando hai cominciato tu a seguire la tua indole?

Quando mi sono dimessa dalla Palomar, la casa di produzione in cui ho lavorato per 13 anni con grandi soddisfazioni e imparato molto: sono stati anni di costruzione e di conoscenza del mestiere di produttore molto preziosi (li considero ancora oggi così). Non mi sono dimessa dall’oggi al domani, non sono stata né una sciroccata né un’ingrata nei confronti di chi mi aveva accolta, ma quando l’ho fatto è stato per seguire la mia esigenza di voler fare qualcosa di diverso che non fosse ciò che già facevo da anni.

Volevo provare ad aprire altri spazi perché laddove stavo non era possibile ed è stato, col senno di poi, un salto nel buio. Avevo allora molta paura delle conseguenze ma è stato più forte di me: era come se la mia indole mi trascinasse altrove. E spesso chi segue la sua indole, mi dispiace dirlo, in questo Paese viene considerato matto, anche dalle persone vicine: non c’è mai stata una cultura imprenditoriale vera che tende a valorizzare chi vuole fare impresa. Mi sentivo spesso dire ‘ma dove vai?, che fai?, sei una donna’… per loro, era come se mi stessi dando da sola la zappa sui pieni ed era un pensiero che avvertivo anche nello sguardo di chi stava zitto e non diceva nulla.

E come hai ricominciato?

Ho ricominciato da casa, solo con il mio computer, in una dimensione molto piccola che però mi ha anche consentito di mettermi maggiormente in ascolto di ciò che volevo fare e realizzare. Lo dico non per autoincensarmi ma semplicemente per sottolineare come tutti quanti dobbiamo dare il giusto valore a ciò che vogliamo, senza farci sopraffare dalle paure: i rischi ci sono sempre.

Nel tuo caso, il rischio era anche economico. Per seguire la tua indole di produttrice, hai utilizzato i soldi della liquidazione da Palomar. Senza quantificare quanto fossero, avrebbero potuto darti per un certo lasso di tempo stabilità ma hai preferito farli saltare con te.

Non che fossero chissà quale cifra abnorme ma mi hanno comunque consentito di partire e di fare. Uscita dalla Palomar, per un anno ho lavorato come freelance andando in giro a realizzare documentari su realtà dalla quali ero molto attirata, con progetti anche politici come, ad esempio, uno sulla Siria e uno su Pizzarotti. Ed è solo dopo quell’anno che ho deciso di fondare Anele. Ed ero veramente da sola e incosciente, sia in senso positivo sia in senso terrorizzante: non avevo un’idea precisa di cosa avrei fatto… sapevo però che mi avrebbe rappresentato, che sarebbe stato mio e che mi ci sarei dedicata con attenzione.

Chi è stata la prima persona ad aprire le porte ai progetti frutto del tuo ascolto?

Il primo a crederci è stato Giancarlo Leone, all’epoca direttore di Rai 1. È stato lui a darmi subito credibilità quando gli ho proposto il documentario su Andrea Camilleri con Teresa Mannino. E, dopo di lui, Tinni Andreatta, ai tempi a Rai Fiction, alla quale ho portato insieme a Giancarlo il progetto Donne di Camilleri, un’idea veramente folle: racconti da dieci minuti di fiction, complicati e ambiziosi.

Dopo la perplessità iniziale, quel Donne si è rivelato un successo di Rai 1 grazie alla lungimiranza di Leone, che ha deciso di programmare quei dieci minuti pensati per la seconda serata in access time, subito dopo il TG1 delle 20, una fascia che allora non esisteva, rimediando una media del 22% e più di 4 milioni di spettatori per ognuno.

Ma nel novero di chi ha creduto in Anele va messo anche Andrea Scrosati di Sky, a cui ho presentato un progetto su Sandro Pertini e che mi ha dato una gran fiducia. Devo dire che sono stata fortunata nel trovare delle persone in ascolto di una donna e disponibili a sedersi in maniera diversa al tavolo delle trattative, un aspetto da non sottovalutare e che ancora oggi è complicato, sebbene pian piano si siano fatti dei piccoli passi in avanti.

Quand’è stata la prima volta che ti sei data una pacca sulla spalla e ti sei detta che avevi fatto bene a seguire la tua indole?

Me la sono data la mattina degli ascolti della prima puntata di Donne di Camilleri. Ero terrorizzata dal risultato perché non avevo idea di come il pubblico avrebbe potuto accogliere un prodotto così particolare, che per di più era la mia prima grande produzione in termini di investimento (la Rai aveva investito molto poco per il tipo di produzione che, con i salti mortali, è stata poi realizzata).

Quella mattina ero insieme a un mio amico che ringrazio e a cui voglio tantissimo bene, Giovanni Minoli, con cui ancora oggi ho il privilegio di potermi confrontare. Da vero amico, ha aspettato insieme a me dalle nove in poi i dati Auditel… abbiamo preso insieme un caffè e ricordo di non avere nemmeno quasi interagito per tutto il tempo ma sono felice di aver condiviso con lui quell’attesa perché, oltre a essere una persona a cui legata, è anche uno dei più grandi intenditori di televisione e di linguaggi televisivi.

Nel caso in cui sarebbe andata male, avevi pronto un piano B?

No, non ce l’avevo e non ce l’ho tuttora. Ero in una fase di arrembaggio, molto coinvolta dal progetto e con un po’ di incoscienza non avevo pensato a cos’altro avrei potuto fare se non la produttrice. Ma vale ancora oggi: avere il piano B significa per molti versi non credere tanto nel piano A… rischiare invece fa parte del gioco e continuerà sempre a farvi parte. Chi fa impresa, rischia tutti i giorni: le scelte sbagliate sono sempre dietro l’angolo per cui devi sempre rischiare sulle persone, sui progetti e sul tipo di identità da dare a ciò che fai.

Oltre che all’assetto economico, tengo molto all’identità culturale di Anele. Rispetto a chi produce, con tutto il rispetto, materiali per la casa, noi siamo imprenditori culturali e dobbiamo tenere conto del valore dei contenuti che vogliamo veicolare e dei messaggi da comunicare. Ecco perché con Anele cerco di rimanere nel campo del prodotto audiovisivo che è più congeniale a me e non facciamo, ad esempio, intrattenimento.

Euridice Axen in Illuminate: Le sorelle Fontana.
Euridice Axen in Illuminate: Le sorelle Fontana.

La tua forza nel credere in ciò che desideri si deve alla persona che sta dietro il nome di Anele. Basta leggerlo al contrario: Elena, tua mamma.

Credere in ciò che desidero è fondamentale per me. Mia madre è mancata durante il mio ultimo anno di lavoro in Palomar. Non nascondo che è stata lei a darmi la forza per cambiare il mio percorso… Prima di morire, nel ricordarmi che quand’ero piccola scrivevo, mi ha detto una frase che non scorderò mai: “Mi devi promettere che tu scriverai una grande storia d’amore”. Credo che Anele sia oggi quella mia grande storia d’amore, non la sto scrivendo nella maniera classica ma a modo mio: mi piace pensare che sia così e mi auguro che arrivi agli altri anche una minima percezione di come io viva questo lavoro.

Mamma soffriva di SLA, una malattia di cui si parla ancora troppo poco e a volte anche in maniera sbagliata. Prima o poi, con la giusta distanza, mi piacerebbe fare un racconto anche su ciò, con un taglio che si concentri sulla forza di chi vive tali tremende disgrazie. Ho vissuto da vicino la sua malattia e inevitabilmente la sua morte ha per me rappresentato una sorta di giro di boa: ha cambiato il mio approccio a tante cose, a cominciare dal fatto che la sera devo rientrare a casa contenta di quello che ho fatto durante la giornata… contenta non significa che vada tutto bene: contenta, nonostante le difficoltà e i tanti problemi, di scegliere quotidianamente di fare ciò che mi interessa, mi fa crescere e mi fa essere anche diversa a seconda delle circostanze.

Il tuo è un lavoro costantemente in divenire. Ha inficiato con la tua vita privata?

Assolutamente. Forse sono io ad avere dei limiti ma sono una grande ammiratrice, una fan delle amiche che riescono a conciliare in maniera sana una bella vita privata e un lavoro da svolgere con passione. Molto probabilmente non ho le loro stesse capacità e la vivo come un limite. Da quando o creato Anele, la mia vita privata ne ha risentito parecchio ma mi auguro sempre che possa arrivare un momento di equilibrio.

Per le donne, è chiaramente sempre tutto più difficile ma bisogna sempre evitare di pagare un prezzo troppo alto, l’indurimento, e di assumere approcci che vengono normalmente percepiti come maschili perché la durezza nel lavoro rischia di trasformarsi in chiusura nella sfera privata.

La tua famiglia di origine ha sulle spalle una lunga tradizione letteraria: tua zia era Elvira Sellerio. È pesato nel tuo percorso il pregiudizio per cui eri “la nipote di”?

Sono molto fiera dell’ipotesi di poter dire “no”. Ho fatto delle scelte che non collimano con la sua storia anche se ogni tanto qualche rumour è arrivato alle mie orecchie, mai nessuno però che abbia avuto il coraggio di dirmi apertamente che avevo cominciato questo lavoro grazie all’aiuto di mia zia. Anche perché, mia zia è morta un anno prima che lasciassi Palomar per fondare Anele. Sebbene con mio cugino Antonio che gestisce oggi la casa editrice Sellerio ho degli ottimi rapporti, ho anche fatto delle scelte professionali ben definite: non ho mai scelto loro opere per evitare che si pensasse a dei favoritismi. Abbiamo collaborato solo per la produzione del documentario su Camilleri perché comunque la sua storia era legata a quella della Sellerio e perché l’idea era nata sia da Andrea sia da Antonio.

Ho preferito lavorare con altre case editrici, come ad esempio Rizzoli, o con autori come Gianrico Carofiglio, dopo che non erano più legati a Sellerio. Ma sarebbe interessante un giorno poter collaborare e penso che non ci sarebbe niente di male nel farlo, anche perché serve ben altro per valutare la professionalità, il talento e il valore di un imprenditore. A me è capitato spesso di lavorare con figli o nipoti di: il talento non è ereditario.

Di mio, posso dire che mia Elvira mi manca. Avevo un bellissimo rapporto con lei: la chiamavo spesso nei momenti di difficoltà ed era sempre molto accogliente nei miei confronti, dicendomi molte cose importanti su cui riflettere… sarebbe bello ancora oggi ragionare con lei e confrontarci. Così come faccio con Minoli, che di zia era un carissimo amico: in qualche modo penso che attraverso le parole di Giovanni mi arrivino suggestioni e consigli suoi.

Tra l’altro, la tua scelta di non legare il tuo nome a quello dei Sellerio è sotto gli occhi di tutti: hai prodotto Mondadori, il film con Michele Placido che riscostruisce la storia dell’editore oggi anche di The Wom.

Quel film era frutto di un’idea che mi auguro possa avere un futuro, anche se è molto difficile concretizzarla. Mi piaceva raccontare i grandi editori italiani e, oggettivamente, in ordine di tempo non potevo che partire da Arnoldo Mondadori ma ce ne sono tantissimi altri di cui si potrebbe raccontare, da Rizzoli a Feltrinelli. Di Mondadori mi avevano entusiasmato le sue origini: era un bambino povero che non aveva nemmeno i soldi per comprare un libro ma che pian piano con le sue sole intuizioni ha scalato tutti i gradini della scala sociale lasciando un segno distintivo nella nostra cultura e società. Speriamo ci sia ancora spazio per altri racconti…

Michele Placido nel film Arnoldo Mondadori.
Michele Placido nel film Arnoldo Mondadori.

Anche perché il pubblico, dati d’ascolto alla mano, sembra gradirli. In un ipotetico gioco di volti, in Illuminate chi potrebbe interpretare Elvira Sellerio?

È molto difficile per me trovare una risposta. Su due piedi, non riesco a formulare un nome. Elvira è stata una donna bellissima, di grande fascino, molto accogliente ma anche molto, molto ferma. Il primo nome che mi viene in mente non è italiano: Susan Sarandon…

Quanti anni avevi quando hai lasciato Palermo?

Sono andata via da Palermo due volte. La prima, quando avevo diciotto anni: era già da un po’ di tempo che volevo lasciare la città e, finito il liceo, sono stata quasi un anno a Milano… un anno per me molto complicato che mi ha spinto a ritornare da dove ero partita e che mi ha fatto sentire sulle spalle tutto il peso del fallimento. La seconda, quando anni dopo mi sono trasferita a Roma per amore e ho cominciato a cercare un lavoro, dopo che per molto tempo avevo lavorato nel negozio di boutique di mia madre, nel centro di Palermo.

Avevo 23 anni e mezzo quando ho lasciato la Sicilia. Era un proposito che mi accompagnava sin da piccola: sapevo che per me da un punto di vista di crescita professionale non era la città giusta. Pur amandola moltissimo, faccio parte di quella generazione di meridionali che già al liceo pensano ad andarsene pur non sapendo ancora dove, a meno che non si voglia proseguire, quando ce ne sono le opportunità, con le attività dei genitori.

Oggi, fare il produttore o la produttrice a Palermo è ancora difficile… non impossibile come quando sono andata via io ma ancora complicato. Però, sento un forte senso di debito nei confronti della mia terra, motivo per cui mi piacerebbe prima o poi ridarle qualcosa in più di quello che già ho cercato e cerco di fare coi prodotti sul Mezzogiorno, raccontato non per forza per la sua lotta alla mafia (mi dà fastidio come spesso sia l’unica declinazione). Il mio desiderio è di poter agire anche in termini di strutture di lavoro in modo che una futura Gloria giovane che vuol fare la produttrice possa scegliere liberamente se farlo a Palermo, a Roma o a Milano.

Mi auguro ad esempio che la Sicilia Film Commission possa seguire l’esempio eccellente della Puglia e della Campania. La Sicilia non è da meno dal punto di vista delle location e delle possibilità. La mia sensazione è che manchi una volontà, un’idea precisa di fare industria vera e propria. Anche perché altri settori industriali, oltre all’audiovisivo, su cui investire all’orizzonte ne vedo pochi: il nostro settore potrebbe dunque portare occupazione, soprattutto per i giovani e per le donne.

Nell’audiovisivo c’è un alto tasso di occupazione femminile. Devono ancora aggiustarsi le percentuali su alcuni reparti (il numero delle registe, delle sceneggiatrici e delle produttrici) ma ci sono molte donne che lavorano negli scomparti tecnici.

Quand’è l’ultima volta che sei stata a Palermo?

La scorsa settimana. Mio padre ha subito un piccolo intervento e sono tornata a casa per un paio di giorni. Sono rimasta molto più tempo a Natale per trascorrere le feste con i miei cari, godermi il cibo e riprendere a giocare a burraco: alle riunioni familiari, ero praticamente un’emarginata (ride, ndr)! E, con la classifica fortuna dei principianti, ho esordito vincendo le prime partite in coppia con mia cugina e oggi sono molto richiesta ai tavoli.

Cosa ti piace ritrovare quando torni nella casa dei tuoi?

La casa è in collina, appena sotto Monreale, e dal soggiorno si vede tutto il Golfo di Palermo: mi piace ritrovare quel panorama che spesso mi manca. Quella vista così ampia, che nei giorni di sereno permette di intravedere persino le isole Eolie, mi ha sempre dato grande pace… Così come il verde intorno e il giardino: quand’ero piccola mi arrampicavo sempre su una magnolia che poi con grande sofferenza purtroppo è morta.

Era la magnolia di mia nonna e mi ci nascondevo da piccola per non farmi trovare: mio padre ricorda ancora le volte in cui è dovuto venirmi a cercare. E anche da grande non avevo perso l’abitudine di rifugiarmi lì per osservare il panorama: mi restituiva libertà il vedere la città dall’alto, con le sue luci e il mare, e mi rasserenava. Sono serena quando sento che c’è la libertà di pensare a ciò che mi piace.

Gloria Giorgianni.
Gloria Giorgianni.
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