Godo, nome d’arte di Martino Schembri, ha solo 25 anni ma è già un cantautore e produttore musicale. Nato nel 1997 in mezzo alla musica, come ci racconta in quest’intervista, ha mosso i primi passi come chitarrista e corista sin da piccolo in diverse esperienze live e televisive.
Figlio di Maria Grazia Fontana (musicista, cantante e vocal coach in servizio a Tale e Quale Show) e nipote di Attilio Fontana, Godo ha capito presto che la chitarra era il suo strumento e ha cominciato a scrivere le sue prime canzoni, sebbene le tenesse poi chiuse in un cassetto. Il motivo per cui non le lasciava libere di vivere era la paura del giudizio altrui. Un timore che con il tempo ha imparato a gestire e che lo ha portato nel 2020 a pubblicare un primo EP Singoli nel 2020.
Ma poi è arrivato il CoVid e Godo ha dovuto reinventarsi. In un momento in cui fare musica dal vivo era impossibile per le restrizioni e ci si atteneva onestamente alle regole, Godo ha fondato il suo studio di registrazione, Godo Basement, per intraprendere una nuova strada. Il crearsi percorsi e opportunità è anche alla base di Stronza, il suo nuovo singolo uscito a dicembre. Sembra un epiteto diretto a una donna, ci viene subito in mente il brano oramai cult di Marco Masini, ma a un attento ascolto ci rendiamo conto che a meritarsi di essere definita tale è la vita. Quella stessa vita che sa come tradirci e lasciarci in preda a mille domande che non trovano risposta.
“Non importa quale strada scegli di percorrere, l’importante è iniziare a camminare”, sottolinea Godo nella classica nota stampa che accompagna la presentazione del brano. “Tutte le risposte che cerchiamo arriveranno quando smetteremo di porci le domande e il nostro percorso si presenterà davanti a noi”. Un ottimo spunto di partenza per chi, appartenente alla Generazione Z, non ha voglia di lasciarsi condizionare e sopraffare.
Intervista esclusiva a Godo
“Dopo un periodo di incertezza, stiamo riprogettando un po’ tutto. Oltre a essere un artista, faccio anche il produttore: ci sono buone prospettive per quest’anno. Il CoVid ha rimescolato un po’ le carte, io stesso ho dovuto reinventarmi: non si poteva andare in giro a suonare e allora mi sono creato un lavoro parallelo, legato al mondo della produzione, che per fortuna non è stato intaccato dalla pandemia”. Inizia così il nostro incontro con Godo, alias Martino Schembri.
La peculiarità della tua nuova canzone non sta nel titolo quasi di masiniana memoria ma nel testo. Com’è nato?
Ho iniziato a scrivere il testo in un momento in cui avevo bisogno di risposte dalla vita ma non ne ricevevo. Stronza sembra la solita canzone in cui ci si rivolge a una ragazza ma in realtà l’interlocutore è la vita stessa. È lei il soggetto delle mie turbolenze in un certo senso.
Di che risposte necessitavi?
La canzone è stata scritta proprio nel periodo più duro della pandemia, in un momento di cambio della mia vita, quello in cui come dicevo prima ho dovuto reinventarmi. Come canto, la nostra strada è sempre incerta, non possiamo mai sapere cosa deciderà il destino.
La strada è incerta ma è importante sceglierne una…
E percorrerla. Sarà la vita a darci le risposte e un senso, senza doverle necessariamente cercare noi. L’importante è cominciare una strada, camminare e non rimanere fermi, ripartire da un punto.
E qual è stato per te il punto di ripartenza?
Occupandomi di musica in vari modi, per me si tratta sempre di una ripartenza o di una rinascita continua. Vivo nell’assoluto presente e cerco di reinventarmi continuamente: probabilmente non saprò mai qual è la strada che voglio prendere. Però, cerco sempre di tenere aperte più possibilità per poi cavalcare quella che riterrò più giusta quando si presenterà l’occasione.
Anche perché di strade ne hai ancora tante davanti: hai solo 25 anni. Quando hai cominciato a fare musica?
Sono come nato nella musica. È sempre stata presente nella mia famiglia. Io sono praticamente nato all’interno di un coro per poi scoprire con gli anni l’amore per la chitarra. È lo strumento che alla base sia dei miei studi sia della mia passione: la chitarra, anche a livello di scrittura, è la struttura portante di ogni mia canzone. Ho iniziato da autodidatta ma poi ho studiato al Saint Louise College of Music di Roma, dove dalla chitarra mi sono spostato più sulla composizione.
Ho da poco aperto anche uno studio di registrazione che si chiama Godo Basement e ho cominciato a produrre i lavori di altri ragazzi. Piano piano, sto creando una rete di artisti e di collaborazioni: abbiamo ad esempio registrato i pianoforti del disco di Mezzosangue uscito di recente e stiamo lavorando alla produzione di emergenti molto talentuosi che ascolterete presto.
Cosa rappresenta per te la produzione?
È un processo creativo differente ma molto stimolante. Ti mette in relazione con qualcosa che è uscito dalla sensibilità di un’altra persona e questo mi aiuta anche come autore. Si cerca di tirare fuori il meglio dall’anima di qualcun altro. Di base però ci deve essere un progetto o, comunque, delle canzoni che mi piacciono a livello musicale, anche se poi di base ascolto di tutto. Da quel punto di vista, non distinguo la musica in generi ma distinguo ciò che è fatto bene da ciò che non lo è. Per cui sono sempre molto aperto a qualsiasi soluzione e disposto anche ad imparare. È come se ci fosse uno scambio continuo: gli artisti danno qualcosa a me produttore ed io restituisco qualcosa a loro.
Cosa rappresenta, invece, per te la scrittura e quando l’hai scoperta?
Ho scoperto la scrittura quando mi sono reso conto che non avevo più niente da dimostrare a nessuno. In realtà, scrivo da sempre ma avevo paura del giudizio altrui. Ho cominciato veramente a far il cantautore quando ho smesso di ricercare il consenso degli altri per comunicare semplicemente quello che avevo bisogno di esprimere. La scrittura per me rappresenta sia una valvola di sfogo sia un mezzo per esorcizzare un momento storico. Vedo la mia musica come un’istantanea di un periodo che ho vissuto e, in certi casi, che spero di non rivivere ma di ricordare per sempre.
A proposito di periodi vissuti, hai un paio di esperienze televisive alle spalle sia come corista sia come musicista, da Sanremo 2017 a Tale e Quale Show.
Ho alle spalle un po’ di gavetta e di esperienze anche al di fuori della mia area di competenza vera e propria. Mi sono servite per crearmi un percorso di consapevolezza, per capire veramente cosa volessi fare. Mi hanno senza dubbio aiutato molto e mi hanno portato oggi a vivere di musica, qualcosa che non trovo mai scontato.
Sei romano. È facile muoversi nella scena musicale romana?
Stiamo vivendo un momento di transizione particolare della musica su tutta la scena italiana. Negli ultimi anni, c’è stata una fase creativa molto viva e ricca che è andata pian piano stabilizzandosi. Questo è un periodo di stallo, come di attesa del nuovo ciclo che verrà. Non so di preciso dove si andrà a parare ma sicuramente lo stallo porterà a nuovo entusiasmo per la musica facendoci recuperare anche un po’ di tempo perso. Quella di oggi è una situazione un po’ indefinita per come la vedo io ma serve per ricaricare le pile.
Come si lega la musica con quella che è la tua vita privata?
Bella domanda. Mi ritrovo nel quotidiano a lavorare con degli orari a volte improponibili. La musica è la mia priorità e a volte è messa anche al di sopra di quelle che sono le relazioni con la gente. Comporta una giusta dose di conflittualità e problemi: anche nella scrittura, ad esempio, quando devo riferirmi a qualcuno nello specifico. Ma va bene così: sarebbe altrimenti anche tutto noioso.
Riprenderei la dimensione live?
Sono stato fermo negli ultimi due anni sia per il CoVid sia per esigenze legate al lavoro di produttore. Ricomincerò a suonare live a fine febbraio e spero di dare continuità a questa dimensione che mi porta a contatto con il pubblico.
E per uno che temeva il giudizio degli altri è facile vedere le reazioni in diretta del pubblico?
I primi live sono stati per me molto difficili. Ho sempre avuto uno strano rapporto con le reazioni che potevano avere sia gli amici sia gli sconosciuti di fronte alla mia musica. Negli ultimi concerti fatti avevo cominciato a sentirmi più tranquillo: avvertivo il rispetto reciproco che si instaurava tra me e il pubblico. Le sensazioni erano sempre più positive ma adesso è come se mi toccasse un po’ ripartire da capo ma con la consapevolezza di poter dare e ricevere di più durante un concerto.
Perché ti fa così paura il giudizio?
La risposta dipende dalla persona a cui fai la domanda. Ho creato Godo appositamente per avere un alter ego più spensierato e libero di Martino. Per cui, Martino ti direbbe che ha molti problemi a tirar fuori quello che ha dentro per paura del giudizio, mentre Godo no. Nonostante l’eterno limbo, arrivo comunque a una conclusione per cui riesco a tirare fuori me stesso ma non con poche difficoltà. L’arte deve esprimersi a prescindere da qualsiasi giudizio. Non sempre è facile ma è la scintilla che porta a creare qualcosa di nuovo, per cui combatto le mie paure e cerco di andare oltre.
Perché hai scelto Godo come nome d’arte?
Godo è il soprannome con cui mi chiamavano i miei compagni di liceo. Mi riporta a un periodo spensierato della mia vita. Serve per ricordarmi che la vita va vissuta e goduta ogni momento.
Cosa ti aspetta adesso?
Uscirà presto un altro singolo a cui entro l’estate seguirà un ep, il secondo dopo Singoli. Il secondo album è per me come un sogno che si è concretizzato un’altra volta anche se in maniera diversa dalla prima. Perché comunque ho iniziato a produrmi le canzoni da solo e a pretendere anche di più da me stesso. È come un mettersi alla prova e sfidarsi musicalmente: il secondo album è quello in cui devi confermare ciò che sai fare o scardinarlo del tutto. Una bella sfida.
E a te piacciono le sfide?
Sono costantemente alla ricerca di una sfida. Sono nato con questo background e questa carica: è un modo per andare avanti e lottare anziché arrendersi, qualunque siano le difficoltà.