Great Freedom, il film diretto da Sebastian Meise potrebbe essere il titolo indicato da vedere durante il Pride Month. Lo trovate tranquillamente in rete, sottotitolato in italiano, attraverso i canali di distribuzione non ufficiali. Ve lo consigliamo per una semplice ragione. Per la prima volta, un film si addentra in maniera veritiera all’interno di un carcere. E lo fa per raccontare una storia realmente accaduta, quella di Hans Hoffmann, in un contesto particolare come quello della Germania del famigerato Paragrafo 175 del Codice penale.
Protagonista di Great Freedom nei panni di Hans Hoffmann è Franz Rogowski. L'attore è particolarmente noto nel panorama italiano per aver preso parte a un recente titolo già divenuto cult: Freaks Out.
Cosa racconta il film
Great Freedom, il film di Sebastian Meise, ci porta nella Germania del Secondo dopoguerra. Hans (Franz Rogowski) entra in carcere più e più volte. La sua colpa è quella di essere omosessuale, un reato sistematicamente punito attuando il paragrafo 175 del Codice penale tedesco.
Hans vede il desiderio di libertà sessuale ma anche umana sistematicamente annientato. L’unica relazione stabile della sua vita diventa quella con il compagno di cella Viktor (Georg Friedrich), in carcere per omicidio. Quello che inizia come un rapporto basato sulla repulsione si trasformerà pian piano in qualcosa di più complesso e grande: amore.
“Immaginate un mondo in cui l’amore è proibito dalla legge e punito con il carcere”, ha commentato Meise. “Quella che sembra una distopia era la realtà che gli uomini gay vivevano nella Germania fino alla fine degli anni Settanta. Il paragrafo 175 permetteva allo Stato di perseguitare gli omosessuali, cosa che fece con grande dispiego di forze e meticolosità”.
“Tale importante fatto storico mi era del tutto sconosciuto. L’ho scoperto quando ho letto alcuni documenti su omosessuali che, dopo aver lasciato i campi di concentramento nazisti, si ritrovarono trasferiti direttamente in carcere per scontare il resto della loro pena. Questo stato di persecuzione sarebbe andato avanti ancora per decenni e decenni”, ha aggiunto il regista.
Un desiderio d’amore e libertà
Hans, il protagonista del film Great Freedom, esemplifica i molti destini degli uomini che finirono in prigione diverse volte, dalle vite e relazioni distrutte, e le cui storie sono scomparse negli archivi della burocrazia. La storia di Hans è legata alla sua prigionia. Le pareti e le sbarre diventano una costante ricorrente che si trasforma in un ciclo di tempo infinito. Hans non riesce a smettere di essere quello che è: l’amore è l’essenza della natura umana e la sua stessa esistenza si trasforma in ribellione.
Tra tutti i posti possibili al mondo, Hans trova finalmente l’amore in prigione. Ma mai avrebbe immaginato di trovarlo in Viktor, un assassino già condannato in via definitiva. I due non potrebbero essere più diversi ma pian piano imparano a rispettarsi e diventare confidenti. La loro intimità cresce nel corso dei decenni fino a quando sfocia in una relazione che sfugge a ogni definizione. Stigmatizzati dalla vita, Hans e Viktor vivono insieme un anelito di amore e libertà. Un desiderio che riesce a vincere ogni tipo di repressione e oppressione.
Il paragrafo 175
Great Freedom, il film con al centro la storia d’amore di Hans e Viktor, riporta all’attenzione il famigerato paragrafo 175 del Codice penale tedesco. Entrato in vigore nel 1872, il paragrafo 175 perseguitò gli omosessuali per ben 123 anni, con condanne che spesso raggiunsero anche i dieci anni di reclusione. Si calcola che negli anni del Dopoguerra, più di 100 mila uomini, un dato impressionante, nella sola Germania occidentale conobbero il carcere e le pene della giustizia.
Il paragrafo 175, su cui esiste anche un interessante documentario di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, autorizzava le autorità a intercettare e sequestrare le lettere d’amore e a presentarle in tribunale come prova incastrante. Ma con il progresso della tecnologia le autorità poterono ricorrere anche all’uso di microspie o telecamere nascoste, invadendo senza ovvio consenso la privacy dei “sospettati” e diffondendo dati sensibili all’opinione pubblica.
Sorveglianza, ricatti, denunce, torture e omicidi non furono solo autorizzati dalla magistratura durante il Terzo Reich ma anche tollerati e consentiti negli anni del Dopoguerra. E non accadde perché lo Stato non rivalutò mai il paragrafo. . Anzi, più volte lo ridiscusse, prese in esame, certificò e confermò, nell’indifferenza generale.
La liberazione dai campi di concentramento da parte degli Alleati per gli omosessuali tedeschi non rappresentò, quindi, sinonimo di libertà. Il paragrafo 175, inasprito dai nazisti, rimase invariato per decenni. Chi uscì dai lager si ritrovò ugualmente in carcere per scontare quelle che venivano considerate condanne giuste, legali e approvate.
Questa è la ragione per cui i “cento settantacinquesimi”, come venivano definiti i gay tedeschi, mantennero una sorta di basso profilo negli anni Cinquanta e Sessanta. Nessun coming out, essere gay era di per sé un reato penale. Fino al 1992, ricordiamolo, nella stessa progressista Germania l’omosessualità era considerata una malattia mentale.
Il divieto totale dell’omosessualità rimase in vigore fino al 1969 ma ci vollero altri 25 anni prima che il paragrafo 175 scomparisse del tutto dal Codice penale tedesco nel 1994. Il 22 luglio 2017 la Germania ha finalmente, meglio tardi che mai, riabilitato chi ha subito le conseguenze del paragrafo nel Dopoguerra. Pochissimi, però, sono stati i sopravvissuti che hanno visto quel giorno.
In tutto il mondo, discriminazione, stigmatizzazione, ostracismo, criminalizzazione, punizione e omicidio colpiscono ancora tutti i giorni gli omosessuali. Un Paese su tre ha leggi apposite. E, anche quando non ci sono le leggi, sono le società civili a non essere ancora tali, come dimostra il caso del sedicenne recentemente picchiato dallo zio in Calabria, su input del padre, solo perché gay.