Hanami è una parola giapponese che si riferisce all’usanza di godere della fioritura primaverile degli alberi. Ma è anche il nome scelto da Giulia Guerra, ventiduenne cantautrice ferrarese che, come un ciliegio, è fiorita grazie alla pubblicazione del suo primo EP, Indisponibile all’amore (Isola degli artisti), lanciato in radio dal singolo omonimo.
Hanami non è nuova al mondo della musica. In molto la ricorderanno come la voce e presenza femminile dei Nameless, band con cui ha partecipato a Sanremo Giovani e ad altri importanti eventi. L’esperienza della band si è conclusa, non in maniera facile come ricorda Hanami stessa, per una serie di fattori che scoprirete nel corso di quest’intervista esclusiva. Senza rimpianti, Hanami ha proseguito per la sua strada e pian piano si è imposta all’attenzione dei mass media per la sua scrittura sì pop ma in grado di guardare tra le pieghe dell’anima.
Un testo di Hanami non è mai banale. La musica per certi versi è stata la sua ancora di salvezza, quella a cui aggrapparsi per non affondare lungo quel percorso che l’ha portata a confrontarsi con un padre andato via di casa troppo presto e con la violenza verbale di cui solo gli adolescenti sono capaci pur sapendo di ferire. Ecco perché Hanami è molto più matura della sua età anagrafica: scherzando, dice di sentirsi una novantenne.
Cresciuta in fretta, Hanami è tra gli artisti selezionati per il Deejay on Stage 2022. Abbiamo voluto conoscerla meglio, incuriositi dalla matita con cui traccia la sua vita. E non le abbiamo reso il gioco facile, tanto da portarci un divertente “ma sei str**zo!” a casa. Le abbiamo chiesto l’origine di ogni canzone dell’EP e il quadro che ne è venuto fuori è un mix sorprendente di forza, saggezza e dolce follia.
Intervista esclusiva ad Hanami
È appena uscito Indisponibile all’amore, il tuo nuovo EP. È trainato dal singolo omonimo. Che cosa racconta?
Indisponibile all’amore nasce da una storia che non si è mai trasformata in relazione. Avevo a che fare con una persona che a tratti c’era e poi spariva per settimane, non mi scriveva più messaggi e non si faceva sentire. Una di quelle persone fantasma che ogni tanto ci sono e ogni tanto no. Volendo, il nostro rapporto rientrava anche friend zone: diceva di vedermi come un’amica, anche se poi mi comportava in maniera molto differente, lasciandomi intuire tutt’altra cosa.
Come si esce dall’impasse di avere a che fare con qualcuno che aveva il cuore chiuso da un lucchetto?
Bisogna capire sempre bene e valutare quella che è la situazione, se ci sono i margini per il tuo bene oppure no. Se hai la cognizione che ti farai alla fine del male, devi saper prendere le distanze in un modo o nell’altro. Ti farà soffrire ma sarà meno di quanto lo farà rimanendoci accanto.
Il concetto di cuore rotto torna anche in un’altra delle canzoni dell’EP, Occhi di ghiaccio. Cosa intendi per cuore rotto?
Il cuore rotto è una metafora per dire che si è il cuore spezzato dal troppo amore.
Occhi di ghiaccio, rispetto a Indisposizione all’amore, ha però un testo che può essere letto in maniera polivalente. Già dal primo ascolto, si capisce che non è una canzone dedicata all’amore in senso stretto.
Occhi di ghiaccio è un po’ più complicata da spiegare. Nonostante sia scritta in terza persona, come tutte le mie canzoni, è un modo per parlare alla me del passato. Sono tutti i consigli che avrei dato a me nel momento in cui l’ho scritta. È nata quando frequentavo le superiori, in un periodo in cui ho particolarmente sofferto. Ero quella che si definisce la classica bruttina della situazione: non ho avuto uno sviluppo veloce e non ero di certo bellissima come le altre ragazze.
A me pesava parecchio il non esserlo ma più che altro me lo facevano pesare gli altri: non mi isolavano ma mi prendevano costantemente di mira con offese o soprannomi vari, cotechino è quello più brutto che ricordo. Ora fortunatamente ci rido sopra ma a quattordici anni non mi faceva di certo ridere.
E gli adulti, penso ai professori, non facevano nulla per fermare chi ti bullizzava?
La questione è proprio quella: gli adulti non agiscono. Il bullismo è una di quelle piaghe che prolifera proprio perché non vengono presi seri provvedimenti, non viene poi alla fine fatto nulla contro i bulli. In qualche modo, sono legittimati a continuare con i loro comportamenti. I professori hanno affrontato il problema con una semplice ramanzina solo dopo che ho denunciato ciò di cui ero vittima a casa, in famiglia. Avevo un ottimo rapporto con mia madre e un giorno, oramai stanca, gliene ho parlato. Lei è andata dai professori ma al di là della ramanzina in classe non c’è stato altro. Non è servita a molto.
Ho dovuto imparare a cavarmela con le mie forze: ho avuto la “fortuna” di tirar fuori un carattere veramente forte. Ma non sono tutti come me: se non fossi stata forte, avrei probabilmente smesso di andare a scuola. L’idea mi era anche passata per la testa: non me la sentivo quasi più di andare in un posto che anziché darmi istruzione era fonte di paura.
Quanto ti condizionava il body shaming che subivi?
Parecchio. Non tanto sul fronte dell’alimentazione: grazie a Dio, non ho mai dovuto affrontare battaglie contro i disordini alimentari. Ma quanto nel rapporto con me stessa. Mi condizionava ad esempio nel modo di vestire. La rabbia mi porta a indossare robe larghe per mascherare il mio corpo, un corpo che non mi piaceva perché all’origine degli attacchi che mi arrivavano.
Oggi, invece, sono arrivata a un punto in cui mi piaccio e di quello che pensano gli altri non me ne può fregare di meno. Anche perché, nella società in cui viviamo, che tu sia grasso o che sia magro avranno sempre qualcosa da dirti o da recriminare. Tant’è che, per timore eventualmente di sbagliare, mi astengo per prima io dal fare i complimenti a qualcuno per il suo aspetto: ho paura di toccare, senza volerlo, corde sensibili. Dovremmo imparare tutti a tacere e a valutare ciò che diciamo.
Tornando alla sfera musicale di Occhi di ghiaccio, non posso non sottolineare nella canzone una forte presenza del pianoforte.
Il pianoforte e tutti gli arrangiamenti di piano che si sentono sono il frutto del lavoro di mio fratello Mirko. Lo ritengo parte integrante del mio progetto. Senza mio fratello, probabilmente non avrei fatto nulla di quello che ho fatto fino a oggi. So suonare anch’io il pianoforte ma da autodidatta: lo uso per scrivere ma non sono ancora ai suoi livelli.
Così, come non posso non notare che ti cimenti con il rap in Punto e a capo.
Il rap è una di quelle cose che ho scoperto di saper fare. Io dico sempre che so fare tante cose ma che non le so fare bene. Ho realizzato che mi piaceva rappare, quindi perché non metterlo?
Nel testo dici che vivi di sogni e non di rimpianti. Quali sono i tuoi sogni oggi?
Il mio sogno più grande è poter fare della musica il mio lavoro.
E sottolinei che la tua miglior amica è stata finora la paura.
Ho scoperto l’ebbrezza degli attacchi di panico. Anche se, da piccola, ero una bambina molto paurosa, anche se cercavo di nasconderlo. Gli attacchi di panico ti danno la sensazione di stare per morire. Il cuore batte più forte, la lingua si gonfia, inizia a sudare, fai fatica a respirare… Riesco a gestirlo grazie a delle pasticche ma ero arrivata al punto di averne anche cinque o sei al giorno, soprattutto durante il periodo della pandemia. Sono sempre stata una festaiola e lo stare rinchiusa in casa mi aveva proprio uccisa.
Cicatrici firmate è una lettera mai spedita. Come nasce?
Nasce dalla voglia di dissociarsi e prendere le distanze da mio padre. È una storia molto lunga da spiegare ma che cerco di riassumere brevemente. Non ho alcun rapporto con mio padre, i legami si sono persi da un po’ di anni. I miei genitori si sono separati quando io avevo nove anni e ciò mi ha segnato profondamente, portandomi a maturare anche prima del previsto: ho 22 anni ma me ne sento 90 addosso.
Ricordo che da bambina, ero la piccola di casa, amavo profondamente mio padre ed ero molto attaccata più attaccata a lui. Vedere in determinate cose che ha fatto il suo totale egoismo e il non pensare a noi figli mi ha fatto perdere tutta la stima nei suoi confronti.
È una canzone oggettivamente molto cruda. È stata scritta di getto e non è stata più ritoccata a livello di testo: come si suole dire, è nata e morta lì. Ed è come uno schiaffo in faccia ma non ho mai più voluto rimaneggiarla: era giusta così.
Nel testo accenni al fatto che salvi gli altri prima di salvare te.
È vero. Sono una bravissima ascoltatrice, cosa che non sono gli altri quando si tratta di ascoltare me. ho una certa sensibilità che mi porta ad aiutare chi ha dei problemi. Do la priorità a quelli degli altri, anche quando avrei i miei da risolvere.
Da quale esigenza nasce invece Ying e Yang?
Da quella di raccontare di due persone che sono l’una l’esatto opposto dell’altra. Un modo per trasmettere sicurezza o un appiglio all’altra persona. È più facile trasmettere sicurezza agli altri che a se stessi.
L’EP si chiude con la versione acustica di Cado mi rialzo, uno dei tuoi più singoli più noti che eri già di suo una ballad. Nel testo racconto che non credi alle favole e che nessuno ti ha mai aiutato, tutti elementi che sono emersi anche nel corso di quest’intervista. Tu hai deciso finalmente di prendere in mano la matita della tua vita?
Mi piaceva la versione acustica più dell’originale: secondo me, arriva di più. E sì, ho preso in mano la matita della mia vita: arriva un momento in cui devi per forza farlo se vuoi decidere cosa vuoi veramente.
Cosa ti aspetti da questo EP?
È da quando ho sedici anni che provo a fare questo lavoro. Ho imparato che è meglio non avere aspettative per non rimanerci male. Mi è capitato in passato ma poi mi son detta che faccio musica perché mi fa stare bene. Anche se non dovesse arrivarmi nulla, ho fatto ciò che ritenevo più giusto fare.
Hai alle spalle già un certo percorso. Mai tentata dalla strada dei talent?
Si, ho provato anche quella. Ma probabilmente nel momento in cui non ero pronta. O forse non era la mia strada. Oggi non ho l’ossessione del talent: se dovesse arrivare, parteciperei. Altrimenti, sto in pace lo stesso.
Sei stata a Sanremo giovani con i Nameless. Perché hai poi scelto di lasciare la band?
Stare in una band non è mai facile. Eravamo in cinque persone ed era molto complicato mettere d’accordo cinque teste. Giustamente, ognuno di noi aveva la sua visione delle cose. Ho deciso di staccarmi per due motivi. Uno, non vedevo negli altri la stessa fame che avevo io e nella musica se non hai fame non vai da nessuna parte. Due, avevo iniziato a scrivere le mie canzoni e nel contesto band non sarebbero risultate credibili.
È stato però un passo sofferto. I Nameless erano persone che in quel periodo ritenevo la mia famiglia: siamo stati insieme per tre anni e salutarsi non è stata una passeggiata. È come interrompere una relazione d’amore, è raro che si rimanga in buoni rapporti.