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Holy Spider: La storia del serial killer delle prostitute iraniano in un film a Cannes 2022

Ali Abbasi porta a Cannes 2022 il suo nuovo film, Holy Spider. Ha preso spunto da una storia realmente accaduta in Iran per parlarci di condizione femminile, religione e società conservatrici.

Tra i film presentati al Festival di Cannes 2022 c’è Holy Spider. Si tratta del nuovo lavoro di Ali Abbasi, regista iraniano conosciuto anche in Italia per il film Border – Creature di confine.

Protagonista di Holy Spider è l’attrice Zar Amir Ebrahimi, nei panni di Rahimi, una giornalista che si reca nella città santa di Mashhad per dare la caccia a un serial killer. Saaed, l’assassino, ha il volto dell’attore Mehdi Bajestani, volto noto della televisione e del cinema iraniano.

Ma, oltre ai due personaggi principali, terza protagonista del film Holy Spider è la città di Mashhad, la seconda più popolata dell’intero Iran e centro religioso profondamente conservativo e tradizionalista.

Cosa racconta il film

Holy Spider, il nuovo film di Ali Abbasi, è al contempo un thriller avvincente e un atto d’accusa contro una società come quella iraniana in cui il concetto di giustizia non è equo per tutti, filtrato dalle convinzioni tramandate da una religione interpretata a senso unico.

Al centro della storia c’è la giornalista Rahimi, mandata nella città di Mashhad per indagare su un serial killer che da tempo miete vittime. L’assassino, a modo suo, opera per conto di Dio ripulendo le strade della città dal peccato: le sue vittime sono le prostitute.

Man mano che il numero di morti aumenta, Rahimi si avvicina sempre più alla verità e all’identità di chi sparge sangue perché mosso dalla propria idea di giustizia. Tuttavia, dall’opinione pubblica il serial killer, soprannominato Spider Killer, comincia a essere acclamato come un eroe.

Holy Spider è un film basato su eventi realmente accaduto. Il vero Spider Killer, all’anagrafe Saeed Hanaei, ha ucciso 16 donne tra il 2000 e il 2001.

Zar Amir Ebrahimi in Holy Spider.
Zar Amir Ebrahimi in Holy Spider.

La parola al regista

A spiegare meglio la genesi e le motivazioni del film Holy Spider è lo stesso regista e sceneggiatore Ali Abbasi. Classe 1981, Abbasi ha lasciato Teheran, città in cui è nato e cresciuto, per studiare prima Architettura a Stoccolma e poi cinema alla National Film School della Danimarca. Ha debuttato come regista nel 2016 con Shelley ma è stato solo nel 2018 che si è imposto con Border – Creature di confine, presentato al Festival di Cannes e premiato con il premio Un certain regard. Abbasi è attualmente impegnato con la regia della serie tv The Last of Us per il colosso statunitense HBO.

  • Il killer delle prostitute

Holy Spider è un film sull’ascesa e caduta di uno dei più famigerati serial killer iraniani: Saeed Hanaei”, ha evidenziato Abbasi. “Ma più che una biografia è una critica alla società iraniana che lo ha abbracciato come eroe solo perché era un uomo molto religioso e rispettato. Vivevo ancora in Iran quando all’inizio del Duemila Hanaei uccideva le prostitute che lavoravano per le strade di Mashhad. È riuscito a eliminarne 16 prima di essere catturato e processato. In un mondo civile, nessuno avrebbe avuto dubbi sulla sua colpevolezza. Non in Iran, però: una parte dell’opinione pubblica e i mass media più conservatori hanno cominciato a raffigurarlo come un eroe. Hanno sostenuto l’idea che Hanaei non stava facendo altro che rispondere a un dover religioso uccidendo donne “impure”. Ed è da ciò che è nata l’idea per il film”.

  • Una società assassina seriale

Holy Spider non è dunque un thriller all’americana ma è un film profondamente critico su una società che si basa ancora su valori religioni tradizionali che reinterpreta a modo proprio. “Non volevo parlare del serial killer in quanto tale ma di una società che è assassina seriale”, ha aggiunto Abbasi. “Holy Spider racconta la misoginia fortemente ancora all’interno della società iraniana, una misoginia culturale e non solo religiosa o politica. La misoginia si perpetua ovunque attraverso le abitudini della gente. In Iran, c’è una lunga tradizione di odio nei confronti delle donne, è una questione di testa”.

  • Vittima e carnefice

Pur non cercando un alibi, Holy Spider offre una visione a tutto tondo dei motivi che hanno portano Hanaei a uccidere. “Saeed Hanaei è sia vittima sia carnefice. Ha combattuto come soldato nella guerra tra Iran e Iraq. Ha donato la sua giovinezza al suo Paese, per migliorarlo e per dare un senso alla propria vita. E ha scoperto dopo che alla società iraniana non importava nulla di lui e che i suoi sacrifici al fronte non hanno cambiato nulla. Si è ritrovato allora a vivere una condizione di vuoto esistenziale, nonostante la sua forte fede religiosa. Saeed era uno che frequentava le moschee e piangeva nella casa di Dio. Ha trovato nell’assassinio delle prostitute una nuova missione, una missione per conto di Allah”.

  • La disumanizzazione delle donne

Il regista ha inoltre tenuto a specificare che il suo Holy Spider non è un film contro il governo iraniano. “Non è mia intenzione attaccare politicamente il governo iraniano. Holy Spider non è un’altra critica alle società corrotte del Medio-Oriente. La disumanizzazione delle persone, in particolare delle donne, non è un problema che riguarda solo l’Iran: è ravvisabile, in diverse varianti, in tutti gli angoli del mondo”.

Ha infine aggiunto: “Considero il mio film come una storia specifica di personaggi specifici e non un film a tema su determinati argomenti sociali. Non volevo che la storia e il personaggio di Saeed saturassero il film. Non ho voluto fare un film sui diversi modi in cui un uomo potesse uccidere e mutilare le donne: volevo sottolineare la complessità della questione e la posta in gioco. La storia di Rahimi è importante tanto quella di Saeed. Ecco perché ho voluto avvicinarmi a lei e capire come affronta i conflitti interiori e come si relaziona con la famiglia e la società mentre segue il caso”.

“Le vittime di Hanaei non erano donne di strada e basta. Erano individui con le proprie personalità e storie. Spero con il film di restituire una parte della dignità e umanità che è stata loro sottratta. Non le ho dipinte come sante o vittime sfortunate ma come esseri umani, come tutti noi”.

Zar Amir Ebrahimi in Holy Spider.
Zar Amir Ebrahimi in Holy Spider.

Qualche cenno su Mashhad

Mashhad, la città in cui è ambientato il film Holy Spider, con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti è la seconda più abitata dell’Iran. Considerata la seconda città santa più grande al mondo, Mashhad attrae ogni anno più di 20 milioni di turisti e pellegrini, molti dei quali arrivano per rendere omaggio al gigantesco Santuario dell’Imam Reza, la più grande moschea del mondo.

Descritta come il “cuore dell’Iran sciita”, Mashhad è luogo di pellegrinaggio sin dal Medioevo. Qui coloro che terminano il pellegrinaggio vengono chiamati Haji, termine applicato anche agli abitanti della città. Per capire quanto sia sentita la religione, basta ricordare che il 30 ottobre 2009, anniversario del martirio dell’Iman Reza, l’allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato Mashhad “capitale spirituale dell’Iran”.

Una scena di Holy Spider.
Una scena di Holy Spider.

Intervista ad Ali Abbasi

Lei è iraniano e viveva in Iran durante l’ondata di omicidi commessi da Saeed Hanaei. Cosa lo ha affascinato della storia?

Nel 2001 vivevo in Iran ma stavo per trasferirmi in Europa per motivi di studio. Il Paese aveva un presidente riformista, Mohammad Khatami, e si era diffuso una certa speranza derivante dalle sue aperture politiche e culturali. Il 9 settembre ha poi cambiato tutto prima che Saeed venisse arrestato. Il suo caso inizialmente non mi aveva colpito: purtroppo, le uccisioni seriali sono un problema alquanto diffuso e l’Iran ha un alto tasso di criminalità. Mi sono interessato alla vicenda quando pian piano si è diffusa l’idea che Saeed fosse un eroe che aveva agito in nome di Allah aprendo una discussione pubblica sul suo operato.

Cosa lo ha colpito in particolar modo?

Ho visto un documentario sulla vicenda (And Along Came a Spider di Maziar Bahari, disponibile su YouTube) e mi sono ritrovato per qualche strana ragione a simpatizzare con l’assassino. Mi aspettavo di trovarmi davanti a una sorta di Buffalo Bill, il killer del film Il silenzio degli innocenti, e invece no. Saeed era carismatico, quasi dall’aria innocente o pura. Poiché non conosceva i mass media, davanti alla telecamera aveva detto cose che erano anche contro il suo stesso interesse. Ma sembrava felice e in pace con se stesso. Non dava l’impressione di essere un manipolatore, appariva onesto. Non dico che mi sia piaciuto o che abbia approvato le sue gesta ma ha reso la storia e il suo personaggio più complicato di quanto mi aspettassi.

Ha però drammatizzato gli eventi introducendo il personaggio della giornalista che indaga sui suoi crimini…

Il personaggio di Rahimi, in un certo senso, esisteva già. Nel documentario, c’era una giornalista a intervistare Saeed e a ripercorrere la sua storia. Sebbene fosse di Mashhad, la donna non aveva mai indagato sul caso ma ha seguito il processo e scritto un articolo che è stato per me fonte di ispirazione. Nel pezzo, ha raccolto le ultime parole di Saeed prima di essere giustiziato: “Non erano questi i patti”, lasciando intendere che avesse una sorta di accordo con le autorità.

Ci spiega il titolo, Holy Spider, ragno sacro?

Ha un doppio significato. La stampa iraniana ha definito Saeed “l’assassino ragno” perché attirava le vittime nella sua rete, spesso nel suo stesso appartamento. Quasi per ironia, quando ho visitato Mashhad, ho notato che anche la moschea sembrava una ragnatela. Probabilmente Saeed visitò spesso la moschea e molte delle vittime furono attirate nelle vicinanze di essa. L’idea di lui che esca dalla “ragnatela” della moschea e trascina le vittime nell’oscurità si è tramutata in me in un’immagine forte: nella sua testa, stava portando avanti una missione santa.

Non avrebbe voluto girare il film in Iran?

Ci ho provato. Sono andato in Iran e sono stato onesto e trasparente con le autorità. Ho fatto loro leggere la sceneggiatura e ho anche promesso di lavorare seguendo tutte le loro indicazioni se solo mi avessero permesso di girare a Mashhad, di catturare l’autenticità e le vibrazioni della città. Non hanno detto sì ma non hanno detto neanche no. Il che è un modo per dire no. Dopo un anno di attesa, ho dovuto cominciare le riprese altrove.

Ha provato a girarlo in Turchia ma alla fine è finito in Giordania.

La politica culturale di Erdogan rappresentava una minaccia per la produzione. Il governo iraniano ha scoperto che stavamo girando lì il film e ha chiesto alla Turchia di espellerci dopo che eravamo stati lì per un mese e avevamo anche individuato alcune aree perfette per la nostra storia. Abbiamo finito per girare ad Amman, in Giordania. Per me era fondamentale ricreare il ventre di Mashhad in maniera credibile. La Giordania aveva tutto ciò che ci serviva. Abbiamo girato in un luogo relativamente anonima che assomiglia a qualsiasi città del Medio-Oriente sotto tutti i punti di vista.

Quale reazione si aspetta dal pubblico?

Mi piacerebbe che non lo considerasse un film tematico, sebbene parli di misoginia e disumanizzazione. Volevo rappresentare uno specchio della società iraniana, uno specchio che mostrasse come ci si sente a vivere nel Paese. Non penso che la società iraniana sia malata. Credo però che lo sia il modo in cui i corpi delle donne sono rappresentati sullo schermo: figure inesistenti con le facce coperte dalla stoffa e quasi senza vita sessuale. In più, vorrei che la gente ricordasse le vittime di Saeed Hanaei, quasi dimenticate, come se non fossero mai esistite.

Holy Spider: Le foto del film

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