Hong-Hu Ada è un fiume in piena, difficile da arginare. Entra nella tua vita e la sconvolge, anche solo per l’arco di un’intervista telefonica. Cantautrice e attrice italo-giapponese con all’attivo 8 singoli e 21 film tra Italia e America, ha appena pubblicato il suo nuovo singolo, Road of Light (ADA Music Italy/Warner Music Italy) ed è da quello che partiamo per una chiacchierata sui generis.
Road of Light, come ha spiegato Hong-Hu Ada, pone il suo sguardo sulla vita di ognuno di noi, sulla quotidianità, e in questo osservare comprende che aldilà delle difficoltà che ci accompagnano ogni giorno, c’è sempre una strada di luce, nascosta dai problemi e dalle avversità. Non ci accorgiamo di essa, ma se provassimo a cancellare i brutti ricordi del passato, ad allontanarci da situazioni che ci fanno male, ad evitare la superficialità altrui e la nostra stessa, e provando a rinascere un po’, ecco proprio lì si trova quella "strada di luce" che risolve e ci porta alla felicità, alla realizzazione e al successo personale. “Tutti abbiamo una strada, un modo per rendere felice e serena la nostra vita”.
Il singolo Road of Light è anche accompagnato da un videoclip, realizzato da Borotalco.Tv, società leader nel settore che ha prodotto oltre 200 videoclip dei più grandi artisti italiani e internazionali, superando i 3 miliardi di visualizzazioni.
In fondo, siamo tutti distratti da qualcosa che ci allontana da noi stessi. E questo Hong-Hu Ada, soprano lirico, attrice e doppiatrice (sua è la voce della tigre Shira in L’Era glaciale 4 e 5) tiene a ribadirlo: dovremmo mettere davanti a tutti la cura del sé, la stessa che nella cultura orientale è maggiore rispetto che in quella occidentale.
Superstar che ha prestato il proprio talento vocale a tutta la colonna sonora di 007. Spectre, Hong-Hu Ada è incontenibile. Tra una risata e l’altra, però, ho trovato modo di ripercorrere la sua esistenza di bambina, che grazie alla nonna italiana (terribile, dice lei) ha scoperto Puccini e l’Ave Maria, ma anche il suo rifiuto a un matrimonio che l’avrebbe costretta a rinunciare ai suoi sogni. Ecco, Hong-Hu Ada ha avuto il coraggio di dire no a un uomo che l’avrebbe voluta in casa, mamma e madre, mentre lui girava il mondo per lavoro.
Spesso, l’affermazione della propria femminilità passa anche dall’attaccamento ai valori della tradizione. E lei, che nella cultura della geisha crede ciecamente, non poteva permettersi un matrimonio che culminava nel divorzio. Perché quando qualcuno cerca di importi qualcosa che non sei non c’è altra soluzione che scappare prima che sia troppo tardi. In pochi minuti, da San Pietro al Colosseo, come ha fatto Hong-Hu Ada.
Intervista esclusiva a Hong-Hu Ada
Hong-Hu: qual è il significato del tuo nome in giapponese?
È il nome di un fiore che cresce intorno ai 27 laghi di origine vulcanica del Monte Fuji. È un fiore blu, al centro giallo, che si apre di notte ed è molto profumato.
Esce il tuo nuovo singolo, Road of Light. Come stai?
Sono stremata ma felice per l’uscita del singolo. Ci lavoriamo ininterrottamente da giugno e finalmente arriva in radio e su tutte le piattaforme digitali. Essendo una cantautrice, ho scritto io sia la musica sia il testo e non vedo l’ora che arrivi a tanta più gente possibile. Ho scritto Road to Light nel periodo post pandemia: volevo portare un po’ di speranza dopo quello che è stato un momento difficile per tutti, dai più grandi ai più piccoli. Un momento anche divisivo e alienante: ci hanno messi uno contro l’altro, tra chi voleva vaccinarsi e chi no ad esempio.
Tu sei italo-giapponese e i tuoi tratti somatici non nascondono le tue origini orientali. Nel momento in cui è scoppiata la pandemia hai visto cambiare la gente nei tuoi confronti?
È stato un grosso problema per tutti coloro che venivano dall’Oriente. Per la gente, Cina o Giappone poco cambiava: notavo che quando le persone si accorgevano dei miei tratti mutavano del tutto espressione del viso o atteggiamento. L’ho vissuta molto male, drammaticamente, se vogliamo proprio dire la verità. Mi sono sentita vista come l’intrusa, l’orientale che arriva in Italia – anche se son qui da molto prima della pandemia – per spargere il virus. Ho anche una mamma italiana ma non potevo certo mettermi a spiegare a tutti le mie origini, anche se poi fisicamente sono molto mediterranea. Ho preso molto da mia madre, ho una certa fisicità ma il viso tradisce. E, quindi, mi guadavano con tantissima diffidenza: anziché chiedermi come mi chiamavo, si domandavano se fossi vaccinata oppure no.
O “Come stai?”, che dovrebbe essere la prima domanda da porre a una persona.
È qualcosa che non chiediamo quasi mai: siamo superficiali. Ed è anche uno dei motivi per cui ho scritto Road of Light: tutti abbiamo una strada da prendere per rendere serena la nostra vita e per essere felici. Solo che il 99,9% delle volte non siamo in grado di vederla perché siamo superficiali con gli altri e con noi stessi. E questo fa male: se siamo infelici o insoddisfatti è perché siamo lontani dall’idea o dal concetto di voler star bene. Noi occidentali abbiamo la grande capacità di mettersi in situazioni nocive per noi stessi.
È qualcosa di molto diverso da quello che insegna invece la cultura orientale: ecco perché cerco di allontanarmi da ciò che mi può far star male dal punto di vista sentimentale, sociale e professionale. Non dico che è facile: molto spesso nemmeno ci accorgiamo delle situazioni che non vanno bene, che sono complicate o dolorose. Volersi bene vuol dire non essere superficiali con gli altri e con se stessi. Vuol dire allontanarsi da situazioni che non portano a niente e non hanno soluzione.
E tu quando hai capito di volerti bene?
Cerco di volermi bene da quando sono piccolina, anche se a volte non ci riesco. Sin da bambina, la cultura orientale mi ha insegnato la cura del sé. Che non significa regalarsi un viaggio alle Maldive per staccare la spina ma vuol dire prendersi cura della propria interiorità. Puoi andare dove vuoi ma il malessere interiore continui a portartelo dietro se non lo curi.
Che tipo di bambina sei stata?
Ero una bambina molto studiosa e chiusa. Non giocavo molto con le altre bambine, preferivo stare con i più grandi: la mia mamma, i parenti, gli amici di famiglia. Quando le mie coetanee avevano il primo fidanzatino, io non ci pensavo: stavo sempre con le cuffiette nelle orecchie ad ascoltare musica. Sono cresciuta con la musica di Whitney Houston, delle Destiny’s Child, di Beyoncé, di Mariah Carey e di R. Kelly. Mettevo le cuffiette mentre andavo a scuola, quando finivo di studiare e persino quando andavo a dormire! Ero solitaria come bambina ma non asociale, avevo tutto un mio mondo.
Non ti ha condizionato questo modo di essere da adulta?
Me lo sono portato dietro. Anche perché da bambina sapevo già cosa volessi fare e quale fosse il mio grande amore: la musica. Poi è venuto anche il cinema ma è stata una conseguenza dell’aver studiato negli Stati Uniti. Ho studiato recitazione all’Actors Studio di New York ma già quando frequentavo l’Università della Florida per studiare canto e imparare a comporre ho capito che tra cantare e recitare per loro non c’era grande differenza. Anzi, non la vedono proprio: Lady GaGa sa cantare e suonare il piano e recita splendidamente, Will Smith è un attore ma anche un rapper bravissimo, Jimmy Fox suona il piano stupendamente e Kevin Costner riempie i teatri con la sua musica folk.
Ricordo, invece, come quando sono arrivata in Italia tutti mi chiedessero cosa volessi fare: l’attrice o la cantante? Non sapevo cosa rispondere: per me non c’è differenza tra il copione e il pentagramma perché sono un’unica emozione, due pezzettini della stessa collana. Oggi forse l’hanno capito: sono felicissima che ad esempio Emma Marrone canti e reciti con la stessa bravura. Finalmente, ma quanto tempo c’è voluto per capirlo?
Da bambina, che ruolo ha avuto tua nonna? È stata fondamentale per le scelte che hai poi fatto.
Mia nonna materna, Elena, mi ha avvicinata alla musica. Era soprano lirico come me: cantava nelle chiese ed era molto brava, aveva una splendida voce. Ma era un soprano leggero nonostante si ostinasse a dire di essere un soprano drammatico, come lo sono io invece. Il soprano drammatico ha una voce molto corposa, imponente, che va molto in alto. Il soprano leggero ha sì una grande estensione ma ha una voce sottile. Lei diceva che non era vero, che anche lei era una soprano drammatico. È stata però la mia più grande insegnante di canto e la più severa che io abbia mai avuto, anche più degli americani. Era terribile ma se ho imparato già da bambina, a cinque anni, l’Ave Maria di Schubert e quella di Gounod lo devo a lei.
Era terribile ma porto ancora con me i suoi insegnamenti. Nella testa mi risuonano ancora le sue parole e le sue indicazioni. Ed è lei che mi ha avvicinata all’opera lirica: era una pucciniana e mi ha insegnato la Butterfly, l’opera con protagonista una geisha giapponese che si innamora di un marinaio americano. E poi da grande mi sono davvero innamorata di un americano ma non era un marinaio: era un giocatore di pallacanestro della NBA.
Beh, almeno non aveva una donna in ogni porto.
Eh, ma i giocatori nemmeno scherzano a livello di infedeltà: taluni non sono seri per niente. E infatti l’ho lasciato tre mesi prima matrimonio.
Hai scoperto che ti tradiva?
C’era dell’altro. Non voleva che facessi la cantautrice o l’attrice. Voleva che rimanessi chiusa in casa a far la moglie e la mamma mentre lui giocava in giro per i palazzetti d’Europa e Stati Uniti. Quando me l’ha detto esplicitamente, ho avuto paura. Eravamo in viaggio a Roma. Sai, ai turismi americani sono innamorati di tre cose di Roma: il Colosseo, piazza Venezia e San Pietro. Me l’ha detto mentre stavamo vicino a San Pietro: sono scappata così velocemente che in due minuti ero già a piedi al Colosseo!
Oltre che una visione arcaica della figura femminile, la sua era proprio cattiveria ed egoismo. In un paio di secondi ho visto come sarebbe stato quel matrimonio: un incubo, con lui a lavorare tantissimo e io chiusa dentro, a buttare nella spazzatura tutti gli anni di studio, gli insegnamenti e ciò che avevo già fatto. E non sarebbe stata un’unione felice: avrebbe viaggiato sull’infelicità e sarebbe arrivato il momento in cui tutto sarebbe andato a pezzi. Era tutto pronto per le nozze: la chiesa, l’abito da sposa, la luna di miele, la casa…
Quanto influisce un’esperienza del genere nelle relazioni future?
Scottano: nei cinque anni che sono passati da allora non sono più arrivata a un passo dal matrimonio con qualcun altro. Forse anche perché in Italia tra i giovani è cambiata anche la percezione del matrimonio. Al di là di ciò, quell’esperienza ha rimesso in discussione la fiducia nei confronti dell’altro: non riesco ancora a fidarmi totalmente, mi ci vuole ancora del tempo. Nonostante lo avessi lasciato io, per più di un anno mi sono chiesta se avessi fatto la cosa giusta.
E cosa ti sei risposta?
Sì, mi dico sì. E con orgoglio. Con un orgoglio talmente enorme che da Roma arriva a New York. Ma non è stata una passeggiata: una rottura lascia sempre sofferenza e delusione. Delusione per aver realizzato come la persona che avevi amato si era rivelata cattiva ed egoista. Era un ragazzo nero che si è poi sposato con una giovane della comunità black ma forse lo ha fatto per dispetto, visto che si è separato cinque mesi dopo.
Una circostanza, quella del suo matrimonio, che mi ha portato molto a riflettere sulle differenze culturali e su come cercasse una donna a sua immagine e somiglianza. Si parla tanto dei problemi di razzismo ma talvolta i primi a non volersi aprire sono coloro che se ne lamentano, come se volessero ghettizzarsi tra loro.
Ed è anche una questione culturale quella che mi ha portata a lasciarlo. Io credo molto alle tradizioni e alla cultura delle geishe. E, quindi, voglio sposarmi e non divorziare. Con lui avrei divorziato poco dopo.
Da dove nasce la tua passione per le candele profumate?
Ne ho più di mille in casa: è una passione incredibile. Ovunque io vada, ne compro una. Ne ho alla vaniglia, al caffè, all’ananas, al miele, alla mandorla… e non le accendo mai: sono da collezione. Amo le candele profumate perché uniscono due principi fondamentali della vita di tutti noi: la luce e il profumo, due cose che fanno star bene e che muovono la vita stessa. Quando lavoro, ad esempio, la luce di una candela mi rasserena mentre il profumo mi aiuta a concentrarmi.
E le candele sono perfette per una cena a lume di candela… appunto.
La cucina è l’altra mia passione. Adoro preparare i dolci: nessuno mi batte. Mi riescono bene quelli italiani, anche perché penso che la tradizione dolciaria italiana sia superiore a quella giapponese: bisogna essere onesti. Ne preparo parecchi ma mi riesce molto bene la torta Charlotte ma anche la Caprese, la torta tipica dell’isola di Capri non l’insalata!
Sui social, vediamo spesso anche i tuoi cani, altra tua passione.
Ho due cagnolini, amo gli animali: mi batto costantemente per gli animali e per la loro difesa. Quei due sono Titti e Pandino, due fratelli gemelli, due monellini.
E quando ti sposti li porti con te?
Quello rappresenta a volte un problema. Quando posso, cerco di portarli sempre con me perché li amo davvero molto: sono una parte di me stessa. Quando invece devo affrontare grandi viaggi, sono costretta a lasciarli in un pensionato. Però, in uno di quelli casalinghi, in cui possono dormire in casa, sono coccolati molto e sono assistiti da persone molto dolci e qualificate.
Tra eleganza, armonia e semplicità, cosa scegli?
Per me conta molto la semplicità. Non dimenticherò mai una frase che mi ha detto Caterina Caselli. Ero andata a fare un’audizione per la sua etichetta discografica, la Sugar. Rimase colpita positivamente dalla mia scrittura e dal mio modo di cantare. Mi disse poi una frase che ricordo sempre: “La semplicità è un punto di arrivo, non è un punto di inizio”. Me lo sono scritta a caratteri cubitali in testa: quando arrivi alla semplicità, vuoi dire che hai dietro un grande bagaglio di esperienze e di maturazione, sia a livello musicale sia a livello personale. A quel punto, non ti serviranno più sovrastrutture per essere te stesso: rappresenta il punto di arrivo ma il cammino non è semplice. Via le maschere!