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I Cassandra: “Pop porno segna la fine di un anno strepitoso” – Intervista esclusiva

Pop porno, il pezzo cult di Il Genio, rivive grazie alla cover appena rilasciata dai Cassandra, la band rivelazione del 2022. Li abbiamo incontrati in esclusiva per un’intervista fuori dagli schemi, in cui musica e vita si intrecciano.

I Cassandra sono senza dubbio la rivelazione dell’ultimo anno. Grazie a una fortunata partecipazione a X Factor, hanno pubblicato 4 singoli di successo e un album, percorso centinaia e centinaia di chilometri in tour e si sono fatti conoscere al grande pubblico dopo anni e anni di gavetta. Matteo Ravazzi (voce), il fratello Francesco Ravazzi (chiatarra) e Giovanni Sarti (batteria), ovvero i Cassandra, hanno appena rilasciato il loro nuovo singolo e la sorpresa è grande. Si tratta infatti della cover di Pop porno, la stessa canzone che i Cassandra avevano presentato a metà ottobre 2021 in una puntata del talent targato Sky.

Pop porno è stato uno dei più grandi successi della musica indie italiana, come ricordano i Cassandra nel corso di quest’intervista esclusiva. Correva infatti il 2008 quando Il Genio, il duo composto da Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis, rilasciava la canzone che nel giro di pochissimo tempo avrebbe scalato le classifiche, nonostante il tema trattato facesse storcere il naso ai benpensanti. Del resto, chi nella vita non ha mai visto un porno? Eppure, per la prima volta, qualcuno aveva il coraggio di dirlo pubblicamente, sollevando anche un certo polverone.

La versione di Pop porno dei Cassandra è decisamente diversa da quella di Il Genio, per forma ma anche per sostanza. Una cosa è rimasta uguale: il testo al femminile, che produce un effetto di straniamento incredibile. Non etichettabili e, soprattutto, non simili a nessun’altra band, i Cassandra si avvalgono ancora una volta della produzione di Marco Carnesecchi, produttore e cantautore che si è rivelato fondamentale nel loro percorso.

I Cassandra: Matteo Ravazzi, il fratello Francesco Ravazzi e Giovanni Sarti
I Cassandra: Matteo Ravazzi, il fratello Francesco Ravazzi e Giovanni Sarti

Intervista esclusiva a Matteo Ravazzi, voce dei Cassandra

Pop porno è la canzone di Il Genio che avete presentato un anno fa a X Factor. Come mai avete voluto inciderla nuovamente a 14 anni di distanza dall’originale rivestendola di un abito totalmente diverso sia dal punto di vista musicale sia da quello vocale?

Pop porno è stato uno dei pochissimi tormentoni di musica alternativa. È sempre stato una sorta di oggetto feticcio. Era strana come canzone, molto raffinata ma con il gancio del tormentone che ti entrava in testa. Però, veniva pur sempre dall’ambiente alternativo, con tutta una produzione dietro se vogliamo molto cheap. Ci affascinava in qualche modo riprenderla, così come ci affascinava il fatto che la voce di una donna venisse sostituita da una voce maschile: era quasi ironico.

Hai usato il termine giusto, ironico. Ma anche straniante, aggiungo io. Il porno per un uomo è quasi la prima forma di conoscenza del sesso e dell’approccio con la sessualità.

Non ci abbiamo pensato così tanto. L’abbiamo incisa senza farci troppi problemi lasciando il testo così com’era e non cambiando il soggetto. In un primo momento, pensavamo di cambiare il ritornello e trasformarlo in “tu sei cattiva con me”. Poi invece ci siam detti che sarebbe stato figo lasciarla così com’è, senza modificare nulla. Abbiamo cambiato solo l’arrangiamento, che è ovviamente più rock. Perché? Siamo una band e suoniamo in questa maniera. Quindi, l’abbiamo incisa molto di pancia: siamo andati in sala, abbiamo cominciato a suonare e l’abbiamo registrata così come ci è venuta.

Avete deciso di accompagnare il singolo con un video in cui siete andati alla scoperta del mondo kink.

Non avevamo mai inciso una cover prima. Non suoniamo cover nemmeno ai nostri concerti. Però, Pop porno ci ha molto divertito e, con lo spirito ironico che ci ha mosso, abbiamo deciso di divertirci anche per il video. Siamo usciti dalla nostra comfort zone. Facciamo solitamente un tipo di musica pop non dico scanzonato ma sfacciato, condito a volte da venature malinconiche. Per qualcosa che non era nostro, abbiamo invece voluto osare.

E avete osato in chiave osé.

Esatto. Era la canzone, molto languida, a suggerirlo. Il sesso ti dà l’assist per fare questo tipo di cose. Ovviamente, senza essere volgari e grossolani, ma un po’ più ricercati. Abbiamo voluto qualcosa che rimanesse in bilico tra il piccante e il divertito, senza mai scivolare né da un lato né dall’altro.

Dalla prima volta che avete suonato a X-Factor è passato quasi un anno esatto. Sono stati solo 365 giorni ma molto densi per voi: un album, quattro singoli, diversi riconoscimenti, tanti concerti in giro per l’Italia (tra cui le aperture di Ermal Meta).

Ne parlavo qualche giorno fa con mio fratello. È passato solo un anno da quando ci siamo presentati come i Cassandra ed è da allora successo di tutto, dal programma tv ai chilometri marciati per i live. Ma è passato tutto velocemente. Abbiamo anche trovato un’etichetta come Mescal, che noi consideriamo una famiglia. Hanno creduto in noi e senza un’etichetta che crede in te alle spalle sarebbe stato impossibile permettersi un anno del genere. Certo, non si ha più una vita sociale, però è divertente.

Quello è il rischio che bisogna correre. Il primo anno solitamente è quello alimentato dai buoni propositi, dalle speranze, dalle illusioni e dalle disillusioni. Qual è il vostro bilancio?

Più che positivo. Nel bene o nel male, siamo rimasti noi e abbiamo seguito il percorso che ci eravamo preposti. Abbiamo tanta gavetta alle spalle e abbiamo affrontato questo anno come macchine. Ci eravamo prefissati delle tappe, sapevamo come muoverci e siamo stati gestiti e supportati dalla nostra etichetta. Non è banale ripeterlo ma Mescal ci ha lasciato molto spazio e ci ha dato molta fiducia.

Il bilancio è positivo, certo, ma non è casuale: non siamo stati in balia degli eventi, è tutta roba che noi abbiamo voluto e abbiamo cercato. Ci siamo sbattuti tanto per poter arrivare a far questo punto. Non c’è una regola in questo mondo ma devi sempre avere chiaro quello che vuoi. Non dico che devi esserne ossessionato ma non puoi permetterti di pensare ad altro. Devi darti da fare, alzarti al mattino e pensare a come realizzare ciò che vuoi, a come campare di musica e a come portare la tua musica a più gente possibile. E deve essere anche l’ultimo pensiero che hai prima di metterti a dormire.

I Cassandra.
I Cassandra.

Hai appena citato la gavetta e i Cassandra hanno almeno una decina di anni di gavetta alle spalle. Quanto è importante in questo momento storico, far capire ai giovani che nulla è dovuto e che la gavetta ti permette di capire cosa sono il sacrificio e la dedizione?

A Firenze, la mia città, faccio parte anche di un’associazione culturale con cui organizzo eventi. Mi confronto quindi con tante band, più o meno giovani. E mi rendo conto delle differenze. Chi arriva con qualche anno in più di gavetta sulle spalle ha maggiore esperienza e professionalità.

La gavetta serve, soprattutto quando arriva il momento di dare gas, com’è successo a noi. Fare gavetta non vuol dire solo suonare. La gavetta è fatta di anni in cui si è a contatto con i discografici e con tutto ciò che ruota intorno all’ambiente musicale, dai produttori ai registi passando per i grafici. E, quando devi fare una serie di scelte molto importanti, come noi quest’anno, e anche molto velocemente, la gavetta ti salva dalle cadute.

Noi abbiamo fatto la gavetta in lungo e in largo, imparando come rapportarci con i discografici, che percezione dare della nostra immagine e come gestire i social. Oggi il musicista è chiamato a far tutto da solo: non è come negli anni Sessanta o Settanta, periodo in cui aveva diverse persone al suo seguito che gli facevano anche il caffè. Ora il musicista deve correre da solo: deve gestire la sua immagine, deve conoscere i social, far musica, registrare, scegliersi il produttore e così via. La vita di un musicista è fatta di tante piccole scelte, anche quotidiane. E se non sai cos’è la gavetta, se non hai esperienza alle spalle, è tutto molto più difficile.

E com’è fare la gavetta con il proprio fratello? Come riuscite a mettervi d’accorso sulle scelte da fare?

Fortunatamente siamo in tre. Nei Cassandra c’è un esterno e quando si passa ai voti non c’è il rischio che si finisca in pareggio. Io e mio fratello abbiamo una bassissima soglia di sopportazione l’uno dell’altro ma condividiamo lo stesso obiettivo: vivere di musica. Abbiamo allora sviluppato negli anni dei metodi molto semplici: non scriviamo più i pezzi faccia a faccia. Li scriviamo da soli, a distanza: io gli mando i miei e lui i suoi. Grazie alle chat, ora si fa tutto molto velocemente: se ci facessimo in presenza, finiremmo per litigare.

C’è però un aspetto molto positivo che facilita le relazioni all’interno del gruppo: ho una confidenza tale con mio fratello che non ho problemi a mandarlo a quel paese. Nessuno dei due si tiene le cose dentro a lungo, non ci sono non detti: così è molto più facile lavorare e anche più veloce. Se c’è un problema, non ho remore a dirglielo e viceversa. Quindi, al netto, l’essere fratelli è più un vantaggio che altro.

Ma sei stato tu ad avvicinare lui alla musica o è stato il contrario?

È stato il contrario. In realtà, io non pensavo alla musica. Avevo bisogno di esprimermi in qualche modo ma non avevo la passione per la musica. Checco, mio fratello, era invece già un bravissimo chitarrista e la cosa è venuta un po’ da sé. Probabilmente, se fosse stato un gallerista, avrei fatto il pittore!

Abbiamo cominciato quindi a fare musica insieme. Ma lui, come tutti i talentuosi, è molto pigro e mi sono ritrovato io a tirare la carretta all’inizio. Soprattutto per quanto concerne gli aspetti più gestionali, più “pallosi”, a cominciare dall’andare in giro per i locali a proporre i demo per suonare.

Da dove nasceva l’esigenza di esprimerti in qualche cosa?

Da dove nasceva non lo so. È qualcosa che non ti spieghi. Ce l’ho ancora: non c’è mai stato un giorno in cui non scriva o non butti giù un testo. Ma anche Checco fa la stessa cosa. Ma non scriviamo perché bisogna scrivere necessariamente, fare un disco o seguire chissà quale moda. Scriviamo perché abbiamo bisogno di scrivere.

Per voi scrivere ha quindi una funzione quasi terapeutica.

Esatto. Per noi scrivere è un’urgenza. Ognuno di noi ha un modo diverso di affrontare la vita: scrivere è il nostro modo per metabolizzare le cose.

I Cassandra.
I Cassandra.

Uno dei pregi della vostra scrittura, come dimostra il vostro primo album Campo Marte, è l’originalità: non assomiglia a nessun altro modo di scrivere.

Adesso ascoltiamo pochissima musica, personalmente preferisco andare ai concerti. Ma apparteniamo alla generazione di chi saltava scuola per andare a comprare un disco. Quando usciva il lavoro di un artista, sapevi tutto di lui, avevi sete di informarti. Il nostro gruppo preferito sono i Rolling Stones ma non so scrivere come loro. Quando mi metto al piano, esce fuori una roba che è del tutto diversa da quella che era nelle mie intenzioni.

Per molto tempo, uno dei nostri grossi problemi era che non sapevamo bene a chi rifarci. Anche per gli arrangiamenti: mi piace una cosa ma contemporaneamente me ne piace anche un’altra. Abbiamo un’anima molto rock’n’roll soprattutto nell’attitudine durante i live ma mi piace anche il cantautorato italiano, da Dalla a Vasco Rossi.

A proposito di grandi autori, avete avuto la fortuna di incontrare lungo il cammino il vostro produttore, Marco Carnesecchi. Cantautore, Carnesecchi è stato anche uno degli autori di uno degli album più belli di Anna Oxa, Ho un sogno.

Incontrare Marco è stato cruciale. Per lavorare con lui abbiamo lasciato il nostro vecchio produttore e abbiamo letteralmente azzerato la nostra band, ripartendo da capo. Marco ha fatto con noi un lavoro che non è banale: è entrato nella nostra arte ed è stato molto sensibile. Ci ha fatto lavorare in una maniera quasi inedita per noi: gli portavamo i pezzi chitarra e voce e lui pensava a renderli funzionali, a far sì che uscisse quella che secondo lui era la nostra cifra.

In molti pensano che al produttore come alla figura di colui che in maniera autoritaria tarpa le ali, frena gli artisti o li plasma prima di venderli. In realtà, io ho percepito il “Carne” in maniera totalmente opposta. Anzi, ho realizzato che prima ero io il peggior censore di me stesso. E quando un artista si autocensura entra in un ginepraio, diventa un casino. Grazie anche a Marco ho cominciato a scrivere quello che mi pareva: ci avrebbe pensato lui a tagliare eventualmente. Ed è come se avessi aperto il rubinetto: è stata una sensazione bellissima. Paradossalmente, più scrivevamo liberamente meno Marco ci correggeva.

In più, in un primo momento, il “Carne” ci ha anche fatto da manager. Non avevamo un’etichetta e, di conseguenza, si è sbattuto molto per noi, per trovarcene una. Dobbiamo a lui il primo contatto con la Mescal: ci ha salvato la carriera. Per ringraziarlo, non basterebbe una macchina: dovremmo comprargli una casa! Ci vuole molta sensibilità per fare quel lavoro lì, per entrare nell’arte di una persona: non si può andare con l’accetta.

Pop porno rappresenta una sorta di chiusura del cerchio. Siete già pronti a una nuova fase?

Il 20 settembre cominceremo a registrare il secondo disco. Ci ritroveremo in una casa colonica, in Garfagnana, per farlo. Abbiamo definito a grandi linee i punti centrali di quello che sarà il prossimo anno. Di certo, non è questo il momento di fermarsi: bisogna galoppare! La fruizione musicale è diventata velocissima e non siamo ancora nella fase in cui possiamo permetterci di fermarci, dobbiamo essere sempre attivi, anche se non sempre è facile.

Voi, come dicevamo prima, avete partecipato a X Factor, un programma che negli ultimi anni ha lasciato sempre più spazio all’originalità degli interpreti e portato avanti un discorso molto interessante sulla scena indie. Cosa lascia un talent in un giovane artista?

Bella domanda. Premetto che non ho mai guardato X Factor in vita mia ma non per snobismo: semplicemente perché non mi fanno impazzire le gare musicali. È strano che lo dica. Tuttavia, è chiaro che per un gruppo musicale, soprattutto negli ultimi 2/3 anni, rappresenta una vetrina importante.

X Factor ha due diverse componenti: la parte musicale e la parte televisiva. È stata una figata la parte musicale: mi piacevano i contenuti, lo stare tra tanti artisti, il confrontarsi con gente che suona per davvero e relazionarsi con alcuni dei migliori professionisti del settore. Era pazzesco lavorare con tecnici e fonici che rappresentano il top o esibirsi davanti a persone che hanno fatto la storia della musica. Diverso è il discorso legato ai contenuti televisivi. Ma quello è un gioco e come tale devi prenderlo: con molta leggerezza.

Cosa può lasciare a un giovane? A noi ha lasciato un sacco di cose. Al di là dell’ottima vetrina che rappresenta, ci ha permesso di confrontarci con altri giovani artisti emergenti, di carpire idee, modi di fare e attitudini, e di rielaborarle per farle nostre. Abbiamo imparato tanto in quei giorni a cominciare dalla cosa più fondamentale: essere sempre se stessi, perché altrimenti diventa complicato. La televisione è un medium molto potente: se ti appiccica addosso un’immagine, non te la scrolli più e per la carriera può diventare pericoloso. Purtroppo, c’è cascata molta gente ma per questione anche di inesperienza: la gavetta ti insegna cosa fare e noi sapevamo quanto era importante mostrarsi per quello che si è.

Fare o non fare un talent è una scelta: non sopporto le barricate che si fanno nei confronti di chi a un talent ha partecipato. Io non potrei mai giudicare negativamente la nostra esperienza: abbiamo avuto la massima libertà di espressione. Non ci trovo alcuna ragione per cui un gruppo o un artista non dovrebbe parteciparvi.

I Cassandra.
I Cassandra.

In Il cantante, canti “Io sembro arrogante”. Da questa nostra conversazione, tutto si evince ma non la tua arroganza.

L’artista ha in testa l’idea matta e malsana di voler campare con la musica, con la propria musica. Un po’ arrogante devi esserlo nel pensare che la tua roba interessi o sia degna di attenzione da parte di migliaia di persone. Ma è anche vero che la gavetta insegna anche a ringraziare chiunque abbia dedicato anche solo cinque minuti all’ascolto dei tuoi pezzi. Noi veniamo dal basso: siamo abituati a dare il giusto peso alle cose.

Un’ultima curiosità: le copertine dei vostri singoli, così come quella del vostro primo album, sembrano rispondere a un progetto artistico ben preciso.

Quando abbiamo cominciato a pensare all’uscita dei singoli e del disco, volevamo che avessero una precisa identità grafica. Abbiamo allora ricercato dei grafici che potessero rendere anche visivamente la nostra idea. E abbiamo avuto la fortuna di trovare la Gibo, che è una grafica incredibile oltre che una persona incredibile. Ha realizzato lei tutte le copertine ma noi tendiamo sempre molto a fare squadra, ad avere persone che lavorano fisse con noi, intorno al core dei nostri progetti. In un certo senso, cerchiamo di creare una crew che crede in quello che stiamo facendo.

La copertina di Pop porno, il nuovo singolo dei Cassandra.
La copertina di Pop porno, il nuovo singolo dei Cassandra.
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