In un panorama musicale in costante evoluzione, dove le novità si fondono con la tradizione, il ritorno dei Perturbazione si annuncia non solo come una celebrazione del patrimonio artistico italiano ma come una vera e propria reinterpretazione moderna. A quattro anni dall'ultimo album, e dopo un periodo segnato da scelte personali e lavorative difficili, Tommaso Cerasuolo, il frontman della band, si dice "contento" di questo nuovo lavoro, che arriva in un momento significativo tanto per la band quanto per la musica italiana. Il 22 marzo, i Perturbazione pubblicano La buona novella (dal vivo con Nada e Alessandro Raina) (Iceberg/Warner Music Italia), un omaggio live e rinnovato all'omonimo album di Fabrizio De André, nel venticinquesimo anniversario della sua scomparsa.
Il progetto non si limita a una semplice esecuzione live: è un'interpretazione intima e profonda che coniuga il rispetto per l'opera di De André con l'unicità dello stile dei Perturbazione. La collaborazione con Nada e Alessandro Raina, due figure emblematiche della musica italiana, aggiunge ulteriore profondità all'album, promettendo di toccare le corde sia degli ammiratori di De André che dei fan dei Perturbazione.
La buona novella, album ispirato ai Vangeli apocrifi e privo della figura di Gesù Cristo, rappresenta non solo un tributo a De André ma anche un'occasione per i Perturbazione di riflettere sulla distanza tra il personaggio pubblico e la persona, in un'epoca segnata dalla propaganda e dalla mistificazione. Questa reinterpretazione arriva dopo anni di silenzio, in un momento in cui il mondo e il settore musicale hanno subito trasformazioni radicali. Per Tommaso, tornare a rompere il silenzio con questo disco è un modo per ricordarsi che non si è mai soli e che la musica può essere un veicolo di unione e comprensione reciproca.
Quest'opera, dunque, non è solo un album ma un ponte tra generazioni, un dialogo tra passato e presente che testimonia la continua rilevanza dell'arte di De André e la capacità dei Perturbazione di rinnovarsi e di confrontarsi con la loro eredità musicale. In un'epoca di individualismo e di rapide trasformazioni, La buona novella (dal vivo con Nada e Alessandro Raina) emerge come un promemoria della potenza della collaborazione, dell'importanza dell'inclusione sociale e del potere unificatore della musica.
Intervista esclusiva ai Perturbazione
“Sto bene”, mi risponde Tommaso Cerasuolo, il frontman dei Perturbazione, a inizio intervista. “Sono contento di questo lavoro, che arriva dopo anni anche complicati e di scelte fatte per questioni familiari e lavorative”. Gli anni di cui parla sono i quattro che intercorrono dall’ultimo disco pubblicato dai Perturbazione, Disamore, nel 2020. “Ma a volte alcune storie belle tornano a trovarti e inevitabilmente bisogna loro dare un seguito”.
La storia bella di cui parla è la registrazione dal vivo, nel 2010, del tributo a Fabrizio De André e a La buona novella in occasione del suo quarantennale. Quella registrazione, a distanza di 14 anni, è ora un disco pronto a essere immerso nel mercato.
Cos’era successo a quella registrazione per lasciarla nei cassetti 14 anni?
Quando siamo stati chiamati per quel quarantennale, era appena uscito un nostro disco per cui eravamo presi da tutto ciò che comportava, dai concerti dal vivo in poi. Partecipammo con entusiasmo però a quella serata, dopo la quale eravamo soddisfatti del risultato e della registrazione che ne era venuta fuori. Tuttavia, un po’le nostre vicissitudini e un po’ il fatto che la PFM, che aveva partecipato all’originale, lo stava suonando dal vivo, abbiamo deciso di aspettare per dare un seguito a quell’evento. Come spesso accade, la registrazione è poi finita dentro a un cassetto e nessuno ci ha più pensato fino a quando non è ritornata fuori, suscitando anche l’interesse della Warner che ha deciso di pubblicarla. Ed è stato bello che sia accaduto perché è un dono ritrovato di tante cose che uno semina.
E La buona novella dal vivo esce nell’anno in cui si celebra il 25° anniversario della morte di Fabrizio De André.
Gli anniversari servono per ricordarci di quelli che rischiano altrimenti di diventare più dei personaggi del nostro immaginario che persone concrete. In qualche modo, ci invitano a domandarci che persone fossero al di là delle loro opere, evitando di farne figurine del passato o santini. Quando nel 2010 ci hanno chiesto di partecipare a quell’evento, anche noi avevamo le nostre perplessità in merito ma ci siamo detti che non avremmo dovuto guardare a De André come a un santino: ci doveva essere nella nostra esecuzione dei brani rispetto ma non timore.
Poter entrare nel repertorio di qualcun altro che è diventato popolare e reinterpretare la sua musica è stato per me un grande regalo all’interno del quale dovevamo portare anche noi stessi, con i nostri suoni, la nostra voce e i nostri arrangiamenti, senza dover necessariamente stravolgere l’originale.
La buona novella traeva ispirazione dai vangeli apocrifi…
…e aveva come grande assente proprio Gesù Cristo. Per certi versi, mi ha fatto ricordare il lavoro che abbiamo fatto qualche anno fa su una trilogia di Natalia Ginzburg portata in scena dal Teatro Stabile di Torino: nonostante il caro Michele fosse interpellato da tutti, non c’era mai la sua voce… era del tutto assente ma vedevamo l’umanità che gli ruotava intorno con tutte le sue incertezze.
Ed era un album in cui Fabrizio De André si confrontava con la sua contemporaneità. Se ci guardiamo intorno, di cosa potrebbe parlare oggi La buona novella?
Viviamo sicuramente un’epoca in cui dobbiamo cercare di capire qual è la distanza che separa un personaggio da una persona. Basta pensare tutti i giorni al modo in cui raccontiamo, a cosa fa la propaganda, a cosa fa la mistificazione a cosa fa la secolarizzazione di un conflitto in una terra contesa i cui popoli vengono dallo stesso solco e dalla ste, eppure si fanno a pezzi tra di loro. E, in fondo, di cosa parla La buona novella se non dell’idea di provare a uscire da quello schema che ci immagina soltanto come Caino e Abele?
Nel caso dei Perturbazione, La buona novella dal vivo arriva dopo quattro anni. Cosa significa per voi tornare a rompere il silenzio?
I quattro anni che abbiamo alle spalle penso siano stati complicati per tutta l’umanità: non è stato semplice vivere una crisi pandemica. Li abbiamo quasi rimossi o, almeno, tentiamo di far capire che sia così ma, lavorando a stretto contatto con i ragazzi per un progetto educativo, vedo da vicino quanta strada ci sia ancora da fare per esprimere tutti i dubbi, le paure e i disagi nati da quella condizione.
Premesso ciò, per me rompere il silenzio con questo disco mi ha permesso di ricordarmi che non siamo soli: dietro c’è la storia di tanti amici, persone e squadre, che anche in città diversa hanno lavorato in piena sintonia per raggiungere lo stesso obiettivo. In una società che ci vuole soltanto come individui e la riuscita è raccontata sempre come il viaggio in solitaria di un eroe, La buona novella dal vivo dimostra che anche insieme si vince. Estendendo il ragionamento, è mettendo insieme l’unicità, i punti di forza e le debolezze di ognuno di noi, che probabilmente si potrebbe ottenere una società giusta e in grado di rispettare quelle che sono le caratteristiche di tutti noi, uno diverso dall’altro. Forse è anche per questo che l’individualismo di oggi ci soffoca.
Ti è capitato di sentirti soffocare?
Beh, a chi non è capitato? Ho anche ormai un’età per cui quella sensazione l’ho provata stando anche dietro a dei genitori che invecchiavano o che perdevo, provando emozioni che forse un giorno, ascoltandole, daranno vita a nuove canzoni. Ma non in questo momento, non ancora: occorre prima canalizzarle e interiorizzarle, altrimenti sarebbe un po’ come entrare in una ferita ancora aperta. Anche se le canzoni sono strane: alcune nascono in cinque minuti e altre si stratificano nel tempo, facendo sì che un semplice riff nato all’improvviso abbia bisogno anche di anni per essere proseguito e finalizzato.
Questi quattro sono stati anche anni in cui il settore musicale è cambiato tantissimo: non c’è più l’industria discografica di un tempo, quasi non esistono più i dischi fisici e si parla solo di piattaforme, numeri e visualizzazioni.
Non ci piace tanto inseguire i numeri: si rischia di sviluppare atteggiamenti e ossessioni che non vogliamo avere. Chiaramente l’ebbrezza dei numeri colpisce tutti, quando si fa un post l’occhio sulle visualizzazioni scappa a tutti ma occorre fare un bel respiro e andare oltre, per cui se non c’è niente di nuovo da dire meglio non farlo anziché ripetersi all’infinito.
La storia è sempre fatta di corsi e ricorsi e siamo convinti che prima o poi ai ragazzi di oggi, cresciuti con singoli usa e getta, tornerà la voglia di un contenitore più grande, disco o concept album che sia, che offra un affresco maggiore. Di sicuro, quelli della nostra generazione oggi non sopravvivono della sola musica che fanno ma sono costretti a fare altri lavori per tirare a campare. Ed è un problema che, professionalmente parlando, riguarda tutta l’arte in generale, per cui si sarebbe tanto da lavorare anche a livello istituzionale.
Dal mio canto, ho cercato negli ultimi anni di lavorare su progetti che hanno una componente artistica ma anche una sociale, legata all’inclusione. Stare vicino a ragazzi e persone che vivono nella marginalità mi ha permesso di trovare un mio centro e di non andare in crisi. Ovviamente, a scanso di equivoci, quando parlo di sociale non intendo i social… ma non perché li demonizzi, anzi spesso sono utili: se non avesse avuto Facebook, un mio amico costretto all’isolamento per via di una malattia, sarebbe impazzito. Non dobbiamo pensare sempre che sia tutto bianco o nero: i social sono uno strumento e, come tale, tutto dipende dall’uso che ne facciamo e del tempo che gli dedichiamo.
Cosa intendi per marginalità?
Lavoro in Emilia-Romagna con un’associazione che si occupa di inclusione di ragazzi con disabilità attraverso il lavoro musicale e artistico. Ma non solo: ho cominciato quest’anno nella mia Torino a lavorare con il Coro senza Dimora, avviando un progetto nel quartiere Barrito, dove per via dei bagni pubblici è forte la concentrazione di adulti in difficoltà. E sono queste attività che mi danno energia, mi infondono coraggio e mi fanno passare la paura di stare anche sul palco: di base, sarei un ansioso e soffro della sindrome dell’impostore, per cui ho sempre timore di non meritare tutto ciò che mi accade.
Sindrome dell’impostore che sarà aumentata dopo il Premio della Critica ricevuto a Sanremo qualche anno fa con Unica…
Paradossalmente, lì è stato tutto più facile perché al centro di tutto c’era il gruppo. Sono d’animo gregario e il mio problema si verifica solo quando i riflettori si accendono maggiormente su di me.
E i Perturbazione sono un gruppo dal lontano 1988. Cosa è rimasto di quel ragazzo che, mentre frequentava il liceo scientifico, metteva in piedi la sua prima band?
È una domanda complicata. Penso che la fame di canzoni e di storia sia sempre la stessa mentre il resto è tutto diverso. Non sono sicuro di quanto sia rimasto di me ma le canzoni rimangono comunque nel tempo: i dischi ti accompagnano per sempre e sono un regalo prezioso.
Sei oggi padre di due figli. Cosa rivedi di te in loro?
Mi auguro di non vedere riflesso troppo: da genitore, ti aspetti che i figli tirino fuori la loro storia e la loro personalità. Chiaramente, poi, ci sono aspetti caratteriali che non puoi non notare e che sembrano tramandarsi con i geni di famiglia. Sono molto fiero dei miei figli e della strada che hanno deciso di intraprendere, ognuno la propria… e mi reputo anche fortunato per aver avuto accanto la mia compagna, con cui abbiamo cercato di crescerli al meglio. Nonostante ciò, sicuramente anche noi abbiamo fatto degli errori di cui si porteranno le conseguenze dietro ma siamo tutti in qualche modo dei sopravvissuti agli errori dei nostri genitori.
Diventare genitore ti ha fatto capire i no che hai ricevuto tu dai tuoi?
Sì. Nell’avere dei figli, realizzi come anche i tuoi genitori tornino improvvisamente a essere degli adulti che avevano tutti i loro casini. E ti domandi anche come abbiano fatto a sopportarti!
…a come abbiano fatto a sopportare la perturbazione. A proposito, perché questo nome per la band?
È nato per caso. Al liceo, andammo a una gita e scattammo una foto in cui fingevamo di essere una band sotto la pioggia. Mio fratello la vide e ci disse che avremmo dovuto davvero formare un gruppo musicale e che già avevamo il nome “Perturbazione”, un po’ per ricordare anche tutti quei gruppi rock che in quegli anni c’erano a Torino con tanti nomi impegnati che finivano in “zione”, dai Negazione ai Contrazione.
Tra le varie attività che i Perturbazione hanno portato avanti negli anni c’è l’accompagnamento musicale di alcuni film del cinema muto.
È un tipo di lavoro molto diverso da quello che si fa sulle canzoni: centrali rimangono le immagini e la musica deve sempre essere al servizio di ciò che si racconta sullo schermo. Si lavora molto sui leitmotiv ma sempre di sottrazione: non fai un buon servizio al film se con le musiche distogli l’attenzione dal racconto. Paradossalmente, speri di sottrazione di dare un valore aggiunto all’opera.
Cosa vi aspetta ora?
Presentiamo in due date La buona novella dal vivo. L’augurio è quello di riuscire a portarlo in giro quest’estate… sarebbe bello!