I Punkreas sono tornati e hanno ancora molto da dire. Lo scorso 31 marzo è uscito Electric Déjà-vu (Virgin Music LAS Italia/Universal Music), undici brani inediti per quello che il dodicesimo album della band che da oltre trent’anni fa sentire la propria voce, lasciando il segno non solo nella scena punk rock e ska punk italiana ma anche nella storia della musica del nostro Paese.
Dopo un album acustico pubblicato nel 2021 (Funny Goes Acustic), i Punkreas si presentano al pubblico con un nuovo ed energico progetto che, scritto in parte prima della pandemia, ha come filo conduttore i corsi e i ricorsi storici. Politica, economia, cultura e lotta sociale da sempre, nonostante passino anni o in alcuni casi secoli, ripresentano situazioni che richiamano alla mente avvenimenti precedenti. È come se fossimo, in certi casi, davanti a un eterno ritorno, che i Punkreas riescono a sondare con la loro solita energia e con quell’appiglio, a tratti ironico e dissacrante, che da sempre li contraddistingue.
E non provate a chiedere ai Punkreas se il punk è morto: è quello all’italiana, nato come forma di protesta, è più vivo che mai, come ci dicono in quest’intervista in esclusiva (dove a parlare è Noise, chitarra e voce). E di argomenti e temi su cui protestare ce ne sono molti: dalla guerra alla propaganda, dallo sfruttamento del lavoro ai tempi distorti che viviamo. Tuttavia, non pensiate che il nuovo disco dei Punkreas sia privo di positività: alla base c’è il coraggio di chi non segue le mode e porta avanti le proprie idee, anche quando tutti gli altri sostengono che si tratti di una battaglia persa in precedenza.
Intervista esclusiva ai Punkreas
Electric Déjà-Vu, il vostro nuovo album composto da 11 tracce, dimostra quanto in Italia il punk sia più vivo e contemporaneo che mai. Nelle canzoni affrontate temi che sono di fondamentale importanza per la Generazione Z, dalla lotta sociale alla figura femminile. Com’è nata l’idea di realizzare un album elettronico dopo che lo scorso anno avete proposto un album dal sapore del tutto differente, acustico?
È vero che segue un album acustico uscito lo scorso anno ma Electric Déjà-Vu ha avuto una gestazione più lunga rispetto al solito. Sarebbe dovuto in realtà uscire a fine 2020 o inizio 2021 in occasione del trentennale della nascita dei Punkreas. Tuttavia, la pandemia ci ha costretto a rinviare il progetto perché non potevamo fare ciò che solitamente facciamo: promuovere i mostri dischi suonando dal vivo. Avremmo dovuto accontentarci di soluzioni alternative come esibizioni con la gente seduta e ci sembravano uno stimolo poco gestibile: noi facciamo concerti che richiamano il concetto di festa, dove non c’è una separazione netta o distanza tra musicisti e pubblico… la festa la si fa tutti insieme!
Per sopperire a quell’impossibilità, abbiamo nel frattempo realizzato un disco acustico che potevamo presentare alla gente seduta che veniva ad ascoltarci. Una volta tornati a lavorare al progetto elettrico, ci siamo però resi conto che dovevamo rimettere mano alle canzoni: scritte nel 2019, parlavano di socialità, quotidianità e di quello che ci circonda e accade nel mondo. Era ovvia che con il tempo trascorso fossero cambiate alcune cose e che dovevamo rivedere alcuni dei testi. Altre cose, invece, rimanevano uguali o tendevano sempre a ritornare uguali: i famosi corsi e ricorsi storici, dinamiche che si ripetono a distanza di tempo come se l’uomo non imparasse mai dalle proprie esperienze.
E sicuramente una delle cose che erano cambiate rispetto al 2019 era la situazione politica italiana…
Tra i corsi e i ricorsi storici, questo è forse il più terribile e spaventoso. Siamo negli anni Venti del XXI secolo, abbiamo una certa destra al governo e in Europa c’è la guerra, esattamente come negli anni Venti del secolo scorso. Lo diciamo nella canzone Uomo MedioEvo e ci fa venire i brividi pensare che oggi come allora la gente abbia voglia di un capo forte, in questo caso di una donna forte, al comando, che dà soluzioni abbastanza grossolane a problemi complessi, soluzioni che piacciono al popolino perché vanno a solleticarne la pancia. Ma ricordiamo che nel secolo scorso tale atmosfera non ha portato proprio bene…
I corsi e i ricorsi storici di cui cantate non riguardano solo la politica ma anche l’economia, la cultura, la lotta sociale. Una delle canzoni che più lascia il segno è Dai dai dai: il titolo lascia pensare a una sorta di esortazione ad andare avanti ma, riflettendoci e pensando alla lingua inglese, viene fuori un significato che è esattamente l’opposto. Il brano racconta la giornata tipo di un rider, costretto tutto il giorno a scorrazzare per la città senza avere nemmeno il tempo per pisciare. E ha un fortissimo contrasto tra testo e musica: tutto sembra molto allegro ma le parole pesano come un macigno.
Il contrasto tra musica e testo è qualcosa che ci piace molto. È un modo di scrivere che apprezziamo molto in Caparezza, ad esempio: ammiriamo il suo modo di fare canzoni apparentemente orecchiabili ma che hanno dei significati molto forti. Abbiamo affrontato il tema del lavoro oggi perché fa parte di quei corsi e ricorsi storici che si ripetono anche se cambiano gli strumenti, i mezzi e la tecnologia a disposizione del lavoratore. Ogni epoca ha avuto una sua rivoluzione. La rivoluzione industriale, ad esempio, ha portato molta più capacità di produzione ma tanti problemi legati alla catena di montaggio, dall’espropriazione della forza lavoro alla sensazione di alienazione del lavoratore. Per anni, si è cercato di mettere una pezza grazie alle tante battaglie dei lavoratori.
Negli ultimi tempi, abbiamo assistito a una nuova rivoluzione, quella digitale: tutti quanti dobbiamo farci i conti. Sembra che abbia come obiettivo quello di migliorare le condizioni di vita dell’uomo ma porta con sé nuove problematiche: se prima l’uomo era schiavo della catena di montaggio, oggi lo è di un algoritmo che detta tempi spesso disumani a cui stare dietro per non perdere il lavoro. Il rider è il simbolo massimo di una situazione precaria che vivono moltissimi lavoratori, soprattutto giovani.
Giovani che sono vittime di questi tempi distorti, per citare il titolo di una vostra canzone. Tempi distorti che sono condizionati anche dall’uso dei social…
I nostri figli sono anche loro figli della rivoluzione digitale che ha significato moltissimo nel mondo della musica. In tempi distorti ricordiamo quante cose sono cambiate da quando abbiamo iniziato noi a suonare in una cantina: oggi non ci sono più i negozi di dischi fisici e c’è una certa incapacità di creare aggregazione. I social danno l’illusione di avvicinare persone tra loro molto lontane ma finiscono con l’allontanare quelle vicine. Motivo per cui viene meno la capacità di stare insieme, di vedersi, di organizzarsi. Ma è il mondo che è cambiato o siamo noi che non riusciamo ad adattarci al cambiamento?
È una domanda che non ha una risposta unica: possiamo essere anche noi a non capire alcune dinamiche… in fondo, i tempi sono distorti ma forse non sono così diversi da quelli che abbiamo vissuto in passato: semplicemente, ci sono dinamiche che facciamo fatica a interpretare. Ci auguriamo solo che i giovani di oggi, con i loro strumenti, linguaggi e modi di comunicare, riescano sempre a far valere i propri diritti e il proprio pensiero.
Del resto, come si conclude la canzone, meglio avere rimorsi che vivere di rimpianti…
È sempre meglio cercare di intervenire e di fare qualcosa che stare lì a subire passivamente. Ogni tanto ci chiedono che il punk abbia ancora senso oggi: ovviamente, sì. Paradossalmente tutti i giovani vivono una situazione addirittura peggiore rispetto a quando abbiamo cominciato no: lavoro precario, impossibilità di programmare il futuro, una situazione economica devastata, l’ipotesi di non avere una pensione… Ecco, in questo contesto, la musica punk declinata all’italiana (nata come forma di protesta) ci sta proprio a pennello: non vediamo motivo per cui un giovane non dovrebbe prendere il microfono in mano per urlarci dentro la propria incazzatura e tirare, metaforicamente, qualche calcio nel sedere a coloro che li hanno messi in questa situazione. Il punk per come lo abbiamo vissuto noi è assolutamente calzante anche in questi tempi distorti.
Tempi distorti che avrebbero bisogno di quelle che vengono definite da un’altra canzone battaglie perse.
Battaglie perse è una canzone dalla valenza positiva. Elenchiamo un gruppo di personaggi che con la loro conoscenza, coraggio e lungimiranza, sono riusciti davvero a cambiare il mondo con dei gesti molto importanti, da Rosa Parks che non cedendo il suo posto quando le è stato intimato di farlo ha dato vita un movimento fondamentale contro le discriminazioni razziali ad Albert Bruce Sabin, il medico polacco che ha scoperto il vaccino contro la poliomielite e lo ha regalato al mondo per salvare milioni di bambini. Abbiamo però nel testo deciso di non mettere i nomi: ognuno può scegliere di mettere quello che sente più suo.
Nomi che non rivelate nemmeno in Non c’è più tempo, dove Greta Thunberg diventa “una bambina come Pippi Calzelunghe”…
In quel caso, non c’è molta libera interpretazione. Il brano si chiude con la voce di una bambina che canta “We are unstoppable, another world is possible”.
L’album si apre con Le mani in alto, un brano che fa uno splendido parallelismo tra un barcone di migranti e lo stage diving. Da dove nasce l’idea?
Sono ovviamente due situazioni completamente diverse e nella realtà non paragonabili. Però, ci sembrava una bella metafora quella dello stage diving per descrivere la situazione dei migranti: uno si lancia da un palco e ha di sotto diverse persone pronte ad accoglierle… è quello che dovrebbe succedere nella vita quando ci sono esseri umani che devono fare un salto nel vuoto, a volte per coraggio e a volte perché costretti: il risultato dipende molto da chi trovi ad accoglierti quando atterri. Se trovi persone che ti respingono e offendono, ti fai male. Se trovi, invece, come ai nostri concerti, persone con le mani in alto pronte a raccoglierti, vai incontro a un lieto fine.
Disagio affronta uno dei temi caldi di quest’epoca, di cui si parla e si dovrebbe parlare tutti i giorni. Voi arrivate alla conclusione che siamo disagiati nella testa come nella realtà.
La canzone è nata nel periodo post pandemia. La situazione pandemica aveva creato disagio non solo nei singoli individui ma anche a livello sociale. Ricordiamo gente che recitava rosari in diretta tv e individui che dal nulla si improvvisavano ministri, professori e scienziati, tutti con la verità in tasca. Il disagio probabilmente parte dalla testa, da quello che hai nei tuoi pensieri e nel tuo sistema di valori. E i giovani vivono molto disagio perché non hanno certezze, sono particolarmente confusi e allo sbando.
Qual è il piccolo passo necessario che dovrebbero fare per superare il disagio?
È sempre difficile rispondere e dire cosa dovrebbero fare i giovani quando tu non sei giovane. Si rischia di sembrare il vecchio barboso, il boomer che arriva e dice che ai suoi tempi era tutto più bello. Non sappiamo cosa devono fare di preciso ma di sicuro non devono mai rinunciare a difendere i propri diritti e a prendersi il rischio di alzare la voce e farsi sentire, pagandone a volte anche le conseguenze. La nostra esperienza ci dice che è la scelta migliore da fare anziché rimanere a subire in silenzio.
Come si combattono invece le sfighe per avere un giorno perfetto?
Giorno perfetto nasce da un moto di positività. Si combattono decidendo di non seguire le mode. Non serve combattere le sfighe ma decidere per sé.
Electric Déjà-Vu è un disco che nasce al contrario. In un’epoca in cui la voce è l’ultimo dei problemi di chi incide una canzone, voi siete partiti dall’incisione della voce per poi includere gli strumenti.
È stata un’idea di chi ci ha aiutato a produrre il disco. Per il nostro disco acustico, ci siamo rivolti a un nostro vecchio amico chitarrista, Roberto “Rhobbo” Bovolenta, che è stato in grado di entrare nel nostro mondo in punta di piedi ma con la capacità di avere soluzioni che ben si sposavano con le nostre idee. Ragione per cui abbiamo deciso di affidarci alla sua straordinaria sensibilità anche per questo nostro nuovo lavoro. Al centro di ogni scelta musicale o di arrangiamento, Rhobbo ha messo sempre il testo: non si cominciava nemmeno a ragione su come arrangiare una canzone se prima non aveva a disposizione il testo completo.
Solo dopo cominciavamo a parlare ci come rivestirla: ha deciso dunque lui di partire dalla registrazione della voce e di passare solo dopo al resto, dando così centralità al racconto. E siamo contenti del risultato: abbiamo la sensazione in questa maniera di essere riusciti, quasi magicamente, a mettere insieme l’immediatezza, la semplicità e l’ingenuità dei nostri primi lavori, con l’attenzione e la cura dei dettagli che hanno segnato i successivi. Siamo riusciti a consegnare un lavoro che a noi sembra davvero importante per la nostra discografia.
Testi in cui, diciamocelo, le rime sono molto intelligenti e ricercate, lontane da quell’eterno “sole, cuore e amore” a cui ricorrono anche i trapper più duri.
Nel nostro lavoro non c’è niente di tutto questo. Un po’ per coerenza con noi stessi. E un po’ perché non saremo in grado di fare altro dopo trent’anni di carriera. Ci hanno proposto diverse volte di provare a cambiare ma non avremo neanche la qualità per farlo: c’è chi sa farlo molto meglio di noi… non possiamo metterci a gareggiare con i Pinguini Tattici Nucleari, bravissimi a fare quello che fanno!
Nel disco avete anche due ospiti d’eccezione: Giancane e Raphael. Perché proprio loro?
Non facciamo mai nulla a tavolino. Li abbiamo conosciuti in altri contesti e li abbiamo trovato in loro una certa affinità. Giancane ha fatto delle canzoni bellissime con uno stile un po’ vicino al nostro e in grado di affrontare tematiche anche importanti con un taglio a volte ironico e leggero, se vogliamo. Ci siamo incontrati a Roma la scorsa estate per una manifestazione a favore del popolo curdo, è stato amore a prima vista e ci siamo ripromessi che prima o poi avremmo fatto qualcosa insieme. Con Raphael, invece, ci siamo conosciuti a Genova per sostenere la causa delle associazioni che raccolgono cibo e medicinali che servono in situazioni svantaggiate. Anche lui è una persona eccezionale, ha un flow e un timbro straordinari ed è molto conosciuto anche all’estero.
Non ci piacciono, come detto prima, le situazioni costruite a tavolino. Qualche tempo fa, ad esempio, ci avevano proposto collaborazioni che ci avrebbero dato una mano a livello commerciale con un personaggio molto famoso che sta spopolando. Ci hanno fatto ascoltare un paio di pezzi, ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto no. Un po’ di sana autodeterminazione non guasta.
Il disco avrà ovviamente una sua dimensione live…
Abbiamo già cominciato a fare dei concerti. E abbiamo avuto una bella conferma di quello che pensavamo: il pubblico lo ha accolto molto bene, evidentemente è un disco particolarmente riuscito. Normalmente, quando tra i nostri tanti singoli storici presentiamo un pezzo nuovo, la novità fatica a farsi strada tra le pietre miliari. Non è avvenuto in questo caso: la gente continua a divertirsi, ballare e cantare, a conferma che queste canzoni hanno le stesse caratteristiche di quelle che hanno fatto un po’ la nostra storia musicale.