Tell Me Iggy è il titolo del film documentario della regista francese Sophie Blondy che, presentato al Biografilm, racconta a modo proprio la figura di un mito senza tempo, adorato dai boomer tanto quanto dai millennial: Iggy Pop. A 75 anni, Iggy Pop è letteralmente una leggenda vivente, l’ultima incarnazione di una generazione di artisti che pian piano ci hanno salutato.
Per la prima volta, Iggy Pop apre per il film di Sophie Blondy le porte della sua intimità per ripercorrere cinquant’anni di carriera. Grazie a due guide speciali (l’agente Alain Lahana e la regista, che lo ha seguito in tournée per dieci anni), alle interviste di Antoine de Caunes e alle testimonianze di amici e familiari (tra cui Johnny Depp, Debbie Harry e Béatrice Lastra) veniamo introdotti nella sua sfera più privata per capire chi è veramente l’iguana del rock, come il mito ha influenzato l’uomo e come Iggy Pop stesso veda il suo tumultuoso destino.
Cosa significa realizzare un film su Iggy Pop e le sfide che ha comportato è la stessa regista Sophie Blondy a raccontarcelo nel corso di quest’intervista in esclusiva per TheWom.it.
Intervista alla regista Sophie Blondy
Tell Me Iggy è un film su una figura molto carismatica, una primadonna, Iggy Pop. Come regista, è stato difficile coordinarlo per fare il documentario?
Sophie: Iggy è una persona umile, ha l’umiltà dei grandi, ascolta moltissimo, sul set c’erano i fotografi e lui ha detto “Fermatevi perché mi devo concentrare”… si sentiva come un debuttante in questo mestiere, ha funzionato benissimo tra me e lui perché lui è stato se stesso, ci siamo capiti senza parole, c’è stata una complicità come due amici, non c’è stato bisogno di parole. È esigente ma, per le buone ragioni, dona tutto se stesso: lo ha fatto anche se non ci sono stati molti soldi. È stata un’esperienza meravigliosa.
Iggy è una persona focalizzata su quello che deve fare, è calmo, non è come lo vediamo sul palco, ascolta molto. Sul set non avevamo dei veri e propri camerini, gli abbiamo creato una zona appartata dove poteva rilassarsi. È una persona incredibile, ha passato anche lui un periodo in cui non aveva soldi… e noi avevamo pochissimi soldi all’inizio: ero molto tesa, giravo con gli occhiali scuri e piangevo, lui si accorgeva quando io stavo male e mi ha aiutato molto, è stato una persona fantastica.
Mi incuriosisce molto quando vedo Iggy che è ancora un radicale, trascina tutti con la sua anima punk, ma ha una casa sfavillante, viaggia su un aereo privato ed è una persona che grazie al suo mestiere ha raggiunto uno status molto elevato. Come fa secondo lei a non essere giudicato per questo come altre star che invece possono ostentare tranquillamente il proprio status?
Credo che nasca dal percorso che Iggy ha fatto. Ha avuto alti e bassi, ha avuto momenti difficili in cui non aveva soldi ma ha avuto la forza di mantenere la sua integrità. In quei momenti bui è difficile mantenere la fiducia in se stessi ma lui c’è riuscito, si è fatto un pubblico enorme che va dai bambini agli anziani, ha avuto la capacità di rigenerarsi col tempo e di costruire tutto step by step. Piano piano ha trovato una sua misura. Una volta è arrivato con la Rolls Royce sul set ma invece di ostentare ha detto “era l’ultima che era rimasta al concessionario”. Ha mantenuta una purezza, continua a fare concerti anche se potrebbe riposarsi, continua a reinventarsi e quindi per questo la gente lo lascia in pace.
Quanto c’è di sceneggiato nei 53 minuti del film? Quanto ha girato in presa diretta spontaneamente? Come ha selezionato i materiali d’archivio?
Io ho seguito i suoi concerti per 10 anni, sono ripresi da me con una telecamerina. Il lato negativo è che quando si fa un film per la televisione bisogna specificare e giustificare ogni scena e ogni scelta con la produzione. Credo che a un certo punto ci sia anche improvvisazione, che non vuol dire non far passare ogni cosa, ma vuol dire essere disponibili e cogliere la magia del momento. Scrivere e basta sarebbe come scrivere la nostra vita (svegliare, mangiarsi, fare l’amore ecc..): non si può fare così, bisogna cogliere quello che ci viene donato.ual è la tua imprQu È una gran fatica con le immagini d’archivio, alcune immagini costano tantissimo: io avevo montato il film con alcune immagini costosissime e ho dovuto trovare altre soluzioni.
Perché nel film Iggy Pop appare quasi come un santo capace di rimarginarsi le ferite? Ci sono delle scene tagliate in cui lui appariva più umano e mostrava qualche difetto? Ad esempio non fuma mai…
Ha smesso di fumare il 1 di gennaio del 2000…
Qualcuno si è rifiutato di parlare di lui o ne ha parlato male, io avrei voluto scoprire qualche difetto…
In effetti, Iggy Pop ha uno stile di vita genuino e salutare da parecchi anni, altrimenti sarebbe morto. Per il resto, il motivo per cui sembra che non abbia difetti è che a me piace mostrare le qualità delle persone quando sono vive, e non solo quando sono morte, come è successo in Italia in questi giorni, e mi riferisco a Berlusconi. Quando hai uno come Iggy mi piace parlare bene di lui, quello che le persone hanno detto su di lui viene dal cuore, non le ho costrette a dire quello che hanno detto.
Quello che sembra uscire dal documentario non è tanto l’artista, quanto la persona che si cela dietro il personaggio…
Ci sono dei documentari molto più specialistici sulla sua carriera musicale, io volevo fare un documentario molto più intimo. Lui mostra questa idea di destino, dice che ha capito a 14 anni che doveva intraprendere quella strada lì: è una cosa notevole farlo così da giovani, non è una cosa così leggera da accettare. Parla delle persone che lo hanno aiutato nel suo percorso come David Bowie.
Lui ha questa purezza che si mostra anche nel fatto che ha un modo di fare che lo porta a non andare in giro a farsi vedere, ad esempio con le guardie del corpo. Io ho girato con lui per strada tranquillamente, c’era il suo manager dietro di noi a distanza, nessuno si è accorto di lui: questo fa parte della sua semplicità e della serietà anche di chi gli sta intorno.
Con Iggy non ci sono sovrastrutture e sofisticazioni, lui si mostra in scena per quello che è, non usa effetti speciali o luci per nascondere che è invecchiato, si mostra a torso nudo e non gliene importa niente di mostrare le rughe, è difficile per tutti confrontarsi con il proprio corpo che cambia, figuriamoci per un artista. Iggy Pop non si nasconde: è autentico.
Mi sembra che questo si ricolleghi al fatto che lui nel documentario non parli di sé come di un’icona, ma più come di un intermediario tra la band e il pubblico…
Il pubblico è tutto concentrato su di lui, c’è una energia costante che passa per il pubblico che lo osanna e vorrebbe essere lui e lui la ridà indietro: è un flusso continuo di dare e avere, come una partita di tennis. È più facile in un luogo chiuso e più intimo, in un luogo aperto questo flusso si sparge e si perde. Iggy Pop si concentra moltissimo prima del concerto, digiuna per 24 ore. Si percepisce anche solo stando nel suo stesso albergo: per 24 ore si chiude in camera, non mangia e non vede nessuno ma, nel frattempo, si percepisce che sta montando un’energia che esplode poi sul palco come un orgasmo.
Ha parlato di Iggy come di un incompreso e addirittura un maltrattato dall’establishment, simile a Johnny Depp. Conoscendoli dal vivo ha notato dei tratti in comune?
Lavorare con entrambi non è una cosa da poco, me ne sono resa conto solo ieri sera. Hanno due età diverse e hanno vissute sicuramente esperienze simili, ma hanno avuto vite diverse. È vero che Hollywood è una morsa che ti stritola, la società di oggi crea delle icone per poi sacrificarle e alcuni reagiscono in modo diverso: in un momento sei in cima e il momento dopo sei nel baratro. Hanno una storia un po’ diversa: l’ascesa di Depp è stata velocissima e precoce, quella di Iggy è stata graduale.
Johnny voleva essere un musicista ma poi è diventato grande come attore: la celebrità che arriva così presto è anche una condanna, sei costantemente sotto i riflettori e tutti si aspettano determinate cose da te, devi sempre essere all’altezza… entrambi sono molto generosi e sentono la responsabilità della fama anche se hanno dei fan diversi: quelli di Iggy lo idolatrano e urlano il suo nome tutto il tempo. Depp ha tenuto un concerto con Jeff Beck e ha fatto 5 canzoni. Molti erano là solo perché era Johnny Depp e non tanto per il concerto. Certe cose riesci a calibrarle meglio quando arrivi a una certa età e riesci a gestirle meglio.
Iggy non era così famoso da giovane e c’era un contesto mediatico diverso, ma entrambi sono molto grati ai loro fan, c’è una costante gratitudine.
Ci dica qualcosa dal punto di vista della produzione, i contatti per arrivare a Iggy e il supporto per la produzione del film, etc..
Il miracolo è nato da una casualità. Ho visto un annuncio del fatto che Iggy sarebbe andato a Parigi per un firmacopie, ho scritto una lettera per mettermi il contatto con il suo manager con la certezza che nessuno mi avrebbe risposto e invece… il manager mi ha risposto e l’ho incontrato! Sono andata in bici, avevo tradotto in inglese parte della sceneggiatura, non sapevo che fosse un fan di Denis Lavant, e pian piano abbiamo organizzato le riprese del film facendo partire il progetto.
Per la parte produttiva bisognerebbe chiedere ai produttori. Ho l’impressione che mi sia arrivato addosso per destino e io l’ho accolto. Ero una fan di Iggy ma è stato il destino a farmi fare questo progetto, è arrivato come un treno: ho seguito il mio destino (si commuove, ndr). Seguo i suoi concerti da circa 10 anni ma il progetto è nato tre anni fa, questa è la prima volta che lo mostro a un festival e poi lo porterò in giro per il mondo (anche in Islanda con Jim Jarmusch).
In questi casi c’è sempre chi ti aiuta e chi ti mette i bastoni tra le ruote. Nei momenti di frustrazione dico “devo cambiare qualcosa della mia vita, devi sopravvivere all’invidia degli altri” e in Francia di invidia ce n’è molta: il bello è quando riesci ad avere la libertà di fare le cose. Iggy è stato sequestrato da chi pensava che avesse troppa libertà.
In un mondo in cui la figura femminile è sempre più prominente, il fatto di essere un’artista è molto importante. Come interpreta questo aspetto nel suo lavoro e come è stato interpretato da Iggy?
L’industria cinematografica a volte ti ricorda delle cose come il fatto di essere una donna. Io non so cosa significa essere un uomo: faccio film da un punto di vista femminile ma in realtà come essere umano, credo ci siano uomini e donne molto sensibili e anche poco sensibili. Credo sia un discorso di sensibilità personale: ci sono delle persone che mi ricordano che sono una donna ma io nel mio lavoro non mi pongo come donna ma come essere umano.
Ho fatti tanti lavori per guadagnare inizialmente e per imparare la vita, il cinema mi è sempre piaciuto e ci andavo molto spesso ma ho cominciato quasi per caso a lavorarci partendo dal basso. Poi ho fatto dei corti in cui ho anche recitato, ho realizzato dei documentari, ho lavorato per la televisione. Sono autodidatta: tutto quello che ho imparato l’ho fatto guardando gli altri lavorare, i film dei grandi registi, lavorando con e per loro e guardando la televisione.
Ha già in mente un progetto o qualcuno con cui lavorare per il prossimo film?
Al momento no. Di progetti ne ho vari in corso ma non sono sposata a un produttore, quando sei libero e per conto tuo e fai cose particolari, è difficile trovare finanziamenti. Però, ho un progetto anche con un produttore italiano che ho in mente da tempo. Per me la cosa importante è sentire le vibrazioni giuste per quel progetto, altrimenti preferisco fare altre cose.
Tarkovskij diceva che la necessità di mangiare non giustifica la prostituzione della propria arte. Quindi, anziché fare qualcosa che non sento, preferisco fare altro, ad esempio tenere lezioni all’università. A volte è difficile, perché bisogna comunque mangiare. Mi dicono spesso che sono una donna coraggiosa. Dicono che il coraggio sia la rabbia del cuore, io credo che sia come andare a fare ginnastica: una volta ci vai e sei fuso e altre volte ci vai e non te ne accorgi nemmeno.