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Il caso Yara: Intervista esclusiva a Marina Loi e Flavia Triggiani, autrici e registe della docuserie su Nove

Arriva su Nove la docuserie Il caso Yara, due puntate dedicate all’inedita e sorprendete ricostruzione del delitto che ha sconvolto l’Italia dodici anni fa. Una vicenda viva nella memoria di tutti che le autrici e registe Marina Loi e Flavia Triggiani raccontano a partire dalla verità giudiziaria. Niente teorie fantasiose ma fatti empiricamente appurati. Le abbiamo intervistate in esclusiva.
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Nove trasmette in due serate, l’1 e l’8 dicembre, Il caso Yara, docuserie che, per il ciclo Sulle tracce dell’assassino, ricostruisce uno dei casi di cronaca più divisivi della recente storia italiana: l’assassinio di Yara Gambirasio.

A dodici anni dalla scomparsa, Nove propone in prima tv esclusiva il lavoro di Marina Loi e Flavia Triggiani (disponibile in anteprima su Discovery+) ricostruendo ciò che è avvenuto a partire da quel pomeriggio del 26 novembre 2010 quando la tredicenne di Brembate scomparve nel nulla. Partendo dalla verità giudiziaria, Il caso Yara segue tutte le fasi della vicenda: dalle ricerche legate alla speranza di ritrovare Yara in vita al rinvenimento del suo cadavere. Al racconto partecipano varie voci, dagli esponenti alle forze dell’ordine ai vari genetisti che si impegnarono nella ricerca di Ignoto 1, fino ai giornalisti che seguirono il caso.

Prodotta da Verve Media Company per Warner Bros. Discovery, la docuserie Il caso Yara cerca di far luce in maniera oggettiva sulla vicenda, che ricordiamo si è conclusa con la condanna di Massimo Bossetti. Tuttavia, sono ancora tante le domande e i dubbi dell’opinione pubblica. Ma cosa si può dire ancora di nuovo su una storia che per mesi è stata raccontata in lungo e in largo dalla tv? Tanto, come dimostra Il caso Yara: basta guardarlo per rendersene conto. E per capire come si sono mosse le due autrici e registe Marina Loi e Flavia Triggiani le abbiamo raggiunte per un’intervista in esclusiva.

Su un punto, Loi e Triggiani concordano. Il loro è un lavoro molto complesso, che portano avanti da anni tra difficoltà, indagini e ripercussioni anche personali. Non è semplice conquistarsi la fiducia degli intervistati, così come è complicato mettere da parte l’empatia. Eppure, Loi e Triggiani hanno dimostrato come guadagnarsi la fiducia di serial killer, assassini dell’ultima ora o criminali navigati. I loro lavori hanno fatto il giro del mondo, come l’ormai celebre Lady Gucci. La storia di Patrizia Reggiani.

In attesa che Il caso Yara arrivasse su Nove, Loi e Triggiani hanno lavorato come autrici e registe di tre documentari all’interno di Cronache criminali, in onda in seconda serata su Rai 1. Proprio lunedì scorso, è andata in onda la puntata del programma di Giancarlo De Cataldo dedicata al caso Pietro Maso e a gennaio vedremo quella relativa al caso della Uno Bianca.

“Il nostro è un lavoro molto complesso. Non è facile mettere a proprio agio qualsiasi tipo di intervistati e cercare di farli aprire, facendo sì che dimentichino la telecamera. Patrizia Reggiani ci ha raccontato ad esempio particolari che non aveva mai rivelato prima: si è aperta in un modo incredibile anche dal punto di vista del delitto. La stessa cosa è avvenuta anche con Pietro Maso, anche se l’intervista è stata un più complicata”, ci rivela Flavia Triggiani ancor prima di cominciare il nostro botta e risposta.

Flavia Triggiani e Marina Loi.
Flavia Triggiani e Marina Loi.

Il caso Yara: Intervista esclusiva alle registe e autrice Marina Loi e Flavia Triggiani

  • Fiction e documentario: attinenza ai fatti

La nostra conversazione con Marina Loi e Flavia Triggiani non poteva che aprirsi con un riferimento al film su Yara prodotto lo scorso anno da Taodue, reso disponibile da una nota piattaforma e presto in onda sulle reti Mediaset. Inevitabilmente, la questione si sposta sulla differenza tra fiction e documentario.

Di recente, sul caso Yara è stato prodotto un film. Secondo voi, perché ha suscitato così tante critiche?

F: Non l’ho visto. Fiction e documentario sono inevitabilmente due prodotti completamente diversi. Nel caso di Yara, abbiamo seguito e i fatti e ci siamo attenutealle varie testimonianze di chi veramente c’era o ha seguito i fatti da vicino. Quindi, il nostro è un racconto più chirurgico che evita naturalmente ogni mistificazione. Si attiene alla realtà, pur dando voce anche a chi crede che la realtà non sia stata ancora scritta. Lo abbiamo fatto in precedenza e lo abbiamo fatto anche nel caso di Bossetti, cercando di far parlare chi alla verità giudiziaria crede in parte o non crede completamente. Tra fiction e documentario c’è un grande divario: il documentario deve seguire assolutamente la realtà e non può permettersi nessuna licenza narrativa.

M: Quando si parla di fiction, si parla sempre di finzione. Quindi, può capitare che chi racconta anche una storia così forte come quella di Yara, ricca di dettagli anche non facili da raccontare, si prenda delle libertà, condensi il racconto e operi delle scelte. Ovviamente, non si può parlare in quel caso di verità oggettiva, che al 100% non esiste nemmeno nel documentario: sono sempre i registi e gli autori che decidono cosa mettere o come montare il materiale.

Rispetto alla fiction, noi siamo legate a esigenze narrative diverse: dobbiamo ricalcare la verità giudiziaria, attenendoci ai fatti appurati e non alle congetture. Il caso di Yara è molto particolare: è uno dei casi più divisivi in assoluto. A memoria ricordiamo pochi casi con così tanti innocentisti, colpevolisti e dubbiosi. La condanna di Bossetti ha lasciato tanti interrogativi, anche per merito di un abile lavoro della difesa e per come i mass media hanno trattato la vicenda, sbattendo il mostro in prima pagina ancor prima del processo e radiografando la sua intera famiglia. Non dimentichiamo che in questa tragedia ci sono due famiglie colpite: quella di Yara e quella di Bossetti, con una moglie e una madre dati in pasto alla stampa.

F: Tengo a sottolineare che il nostro è un lavoro che non procede per tesi. Ci siamo attenute ai fatti: Bossetti è stato condannato e, con un approccio anglosassone, abbiamo scavato tra le carte, intervistato chi ha indagato sul caso e raccolto testimonianze importanti. Quella di Yara è una storia che ha tanti aspetti contraddittori per come è stata raccontata dai media: dall’arresto seguito dalle telecamere alla ricerca degli amanti e dei tradimenti avvenuti quasi mezzo secolo prima. Non dimentichiamo che hanno dovuto riesumare una salma e schedare un’intera vallata per risalire all’identità di quello che per la genetica era Ignoto 1. La ricerca del DNA ha qualcosa dell’incredibile e gli elementi incredibili che contornano la vicenda sono tanti, tutti raccontati uno per uno. Ma non tralasciamo – cosa che per noi è molto importante – Yara, così come non evitiamo di mettere a confronto innocentisti e colpevolisti.

Il logo di Il caso Yara.
Il logo di Il caso Yara.
  • Ignoto 1 e il DNA

Nel ripercorrere la vicenda di Gambirasio, Il caso Yara ripercorre tutto il lavoro fatto per risalire all’identità di Ignoto 1. Con l’aiuto di genetisti, biologi ed esperti scientifici, Triggiani e Loi fanno luce in maniera definitiva su quanto le evidenze siano state fondamentali nella risoluzione del caso. Ma il loro lavoro non si è fermato a una mera elencazione di dati tecnici e freddi: è andato ben oltre, come ci spiegano.

La ricerca di Ignoto 1 e il DNA come prova regina sono uno degli argomenti che ha destato maggiore spaccatura nell’opinione pubblica ma anche tra la difesa e l’accusa di Bossetti.

M: Normalmente, il DNA è molto utile nella ricerca del colpevole ma molti genetisti ritengono che non sia la prova regina nel caso di Bossetti. Abbiamo lavorato al documentario per un anno intero e abbiamo cercato di far luce anche con l’aiuto degli esperti sulla valenza del DNA, facendo spiegare loro con parole molto semplici perché è stato determinante. Spesso quando si parla di DNA si tende a far confusione, abbiamo cercato di chiarire la questione.

F: Ci siamo documentare molto sul DNA. Il caso di Yara è stato il primo che ha come unica traccia una sola speranza di soluzione: non era mai successo prima. Lo spiegamento di forze e il denaro speso per schedare tutta la vallata non ha precedenti. Prima di raccontare bene cosa fosse il DNA mitocondriale, abbiamo dovuto capirlo noi. Ricordo ancora le prime telefonate con Marina, era diventato tra noi il DNA ipocondriale: temevamo di impazzire! Abbiamo fatto interviste su interviste e letto numerosi libri: abbiamo dovuto farci una cultura per poi spiegarlo in maniera semplice.

Una scena di Il caso Yara.
Una scena di Il caso Yara.
  • La dinamica dell’omicidio

Per la prima volta, Il caso Yara, la docuserie su Nove, ricostruisce una possibile dinamica dei fatti risalenti al 26 novembre 2010. Perché Yara è morta e cosa le è successo dopo essere uscita dalla scuola diventano parte centrale del racconto, anche se Triggiani e Loi hanno posizioni differenti. Pur attenendosi agli stessi fatti e aver studiato gli stessi materiali, cosa che risalta come anche l’opinione pubblica si sia spaccata.

Un altro aspetto interessante del vostro lavoro è dato dalla ricostruzione di quella che è la dinamica dell’omicidio. Per la prima volta, siamo catapultati nel campo di Chignolo insieme a Yara Gambirasio e Massimo Bossetti.

F: Insieme a degli esperti, raccontiamo come probabilmente siano andati i fatti quella sera. Fino ad oggi la dinamica non è mai stata presa in considerazione da nessun racconto o, se lo si è fatto, si è lasciata la parola solo ai difensori di Bossetti, senza alcun contraddittorio (come accaduto di recente in una trasmissione televisiva). Sono convinta che Bossetti sapesse bene cosa avesse fatto: quella sera stessa, dopo aver fatto ritorno a casa, ha fatto sul suo computer ricerche che non lasciano spazio a molti dubbi. Non riesco nemmeno a pronunciare le parole che ha usato per la sua ricerca. E fa la stessa ricerca anche due mesi dopo, qualche giorno prima dell’arresto. Credo che Bossetti avesse un problema e che questo sia andato anche al di là di ciò che lui stesso immaginasse.

M: Una delle cose interessanti è che io e Flavia non abbiamo posizioni identiche su come siano andate le cose. Rispetto a lei che è convinta che la verità sia quella scritta negli atti giudiziari, lascio qualche spiraglio aperto in più. Eppure, abbiamo studiato entrambe sugli stessi documenti, abbiamo fatto le stesse ricerche e abbiamo lavorato insieme. Questo è indice di quanto la storia sia divisiva.

F: Ma cerchiamo di attenerci comunque ai fatti e di aprire delle zone d’ombra. Altrimenti non si spiegherebbero tutte le prove del DNA fatta, la mancanza di un alibi, le ricerche pedopornografiche, le immagini delle videocamere. Bossetti ha fatto un errore e l’errore è stato quello di voler fare delle avances. Non era di certo un serial killer, si è ritrovato in una situazione più grande di lui e non ha capito più niente. Ciò che ha fatto non ha niente a che fare con il desiderio omicida.

Una scena di Il caso Yara.
Una scena di Il caso Yara.
  • Le ricerche di Yara

Nel caso di Yara Gambirasio, le ricerche non hanno dato sin da subito gli esiti sperati. L’Italia intera stava con il fiato sospeso in attesa di sapere che ne era stato della tredicenne. Più che in casi analoghi, l’opinione pubblica seguiva giorno dopo giorno gli aggiornamenti ma invano. Neppure i cani molecolari servirono a molto. Eppure, il corpo era a pochi metri di distanza e il suo rinvenimento ha qualcosa di incredibile quanto paradossale.

Un altro aspetto sicuramente controverso legato al caso riguarda le ricerche del corpo di Yara, rinvenuto in una zona che era stata già perlustrata. Com’è stato possibile?

M: Il caso di Yara ha tanti di quei punti di svolta che neanche il miglior scrittore di gialli potrebbe immaginare. L’imprevedibilità ha giocato un grande ruolo e neanche il tenente Colombo sarebbe stato in grado di leggere alcuni aspetti della vicenda che troviamo pazzeschi. Il corpo è stato ritrovato da un signore che armeggiava con il suo aeroplanino telecomandato: se lo avessimo visto in un film, avremmo stentato a crederci. La zona di Chignolo era stata già battuta dalle autorità e dai cani molecolari ma questi all’epoca non erano ancora addestrati per trovare cadaveri.

Tutti noi abbiamo visto le immagini di quel campo sgombro ma non era così al momento del ritrovamento. Nel nostro lavoro, raccontiamo com’era invece la vegetazione prima che la zona fosse ripulita dalle autorità: era talmente ricoperta di rovi che era impossibile fiutare o vedere qualcosa. Non dimentichiamo che per la ricerca di Yara si erano mobilitati volontari, persone del luogo e tutte le forze dell’ordine. Il caso era talmente mediatico che le ricerche sono state più che meticolose. La vittima era entrata nel cuore di tutti e il caso andava risolto. Questo spiega l’enorme spiegamento di forze: niente era stato lasciato intentato. Eppure, il colpo di scena è stato dietro l’angolo.

Una scena di Il caso Yara.
Una scena di Il caso Yara.
  • Il successo del True Crime

Il caso Yara è l’ennesima dimostrazione del periodo d’oro che sta vivendo il true crime, tra canali appositamente dedicati e produzioni original anche sulle varie piattaforme, oltre che nella tv generalista. Non potevamo non chiederne il perché a Loi e Triggiani, considerate due maestre del genere.

Perché secondo voi il true crime sta vivendo un momento di così grande successo?

M: Il true crime ha sempre affascinato l’uomo, al netto di tutto quello che può essere morbosità, qualcosa che noi rifugiamo: scappiamo da tutti quegli elementi tipici della tv del dolore. Siamo convinte che la gente non sia morbosa ma che sia semplicemente interessata a capire come persone fino a quel momento ordinarie e insospettabili si trasformano in assassini. Qual è il punto di non ritorno che permette all’anima nera insita in ognuno di noi di manifestarsi? È una domanda a cui abbiamo bisogno di dare una risposta sin da quando è nata la narrazione. Come diceva De Cataldo in un’intervista, siamo tutti figli di Caino: cosa spinge alcuni a portare avanti le proprie zone d’ombra e a trasformarle in atteggiamento criminale?

F: E non dimentichiamo il bisogno di giustizia e verità quando accadono casi relativi a giovani ragazze che possiamo percepire come figlie e/o sorelle. Per tale ragione, chiediamo sempre l’intervento di esperti per i nostri documentari: realizziamo prodotti chiusi e non seriali come quelli che invece propongono i vari programmi tv. E parliamo di casi chiusi anche giuridicamente, con il terzo grado di giudizio: c’è dunque una narrazione diversa che tiene conto del dato oggettivo senza dimenticare però il riverbero emozionale. Forse perché siamo donne e, quindi più sensibili, abbiamo una grandissima empatia e mai quel cinismo di altri racconti.

  • I progetti futuri

Loi e Triggiani non sono solo le registe di Il caso Yara. I loro curricula parlano chiaro. Ma a quali altri casi dedicheranno la loro attenzione, il loro tempo e il loro sacrificio ce lo rivelano loro stesse. Accennando, in ultimo, a quelle che sono le ripercussioni umane di un lavoro che già in apertura definivamo difficile.

A cosa state lavorando adesso?

F: Siamo alle prese con la preparazione di una docuserie su Moana Pozzi (e sugli intrighi dietro la sua figura). Ma anche sul caso di Isabella Noventa. La prossima puntata che abbiamo curato di Cronache criminali per Rai 1 riguarda, invece, il caso della Uno Bianca. Andrà in onda a gennaio. Avevamo già lavorato a una docuserie in due puntate per Rai 2, andata in onda in prima serata con grande successo lo scorso anno, ma quello destinato a Rai 1 è un prodotto diverso. È un mini documentario ma ci saranno tutti gli elementi salienti della storia, le zone d’ombra, gli errori giudiziari e i vari crimini commessi prima dalla banda delle Coop, che poi diventa banda della Regata grigia e infine banda della Uno Bianca.

Come essere umani, quali ripercussioni ha il vostro lavoro?

M: In alcuni casi, faccio fatica a scrollarmi le storie di dosso. Soprattutto, durante le prime fasi di ricerca. Ci sono stati dei casi in cui ho avuto dei veri e propri attacchi di panico. Lo dico senza vergogna ma mi svegliavo in piena notte in preda agli incubi.

F: Non è facile non provare empatia ma devi cercare sempre di distaccarti emotivamente dalla storia o dall’intervistato per raccontare al meglio una vicenda. I nostri lavori vengono fatti con la testa ma anche con il cuore, anche se con un altro tipo di cuore rispetto a certi altri programmi tv.

Il caso Yara: Le foto della docuserie

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