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Il mio viaggio a New York sbarca su Mediaset Infinity: Intervista esclusiva a Piero Armenti

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Dal 18 settembre è disponibile su Mediaset Infinity, live streaming e on demand, Il mio viaggio a New York, il nuovo format condotto dall’urban explorer Piero Armenti, che guiderà giovani coppie di turisti alla scoperta di una Grande Mela inedita e straordinaria.

Docureality in esclusiva su Mediaset Infinity, composto da sei episodi ognuno della durata di venti minuti, Il mio viaggio a New York porta in ogni singola puntata una coppia di turisti italiani a immergersi, sotto la guida di Piero Amenti, in rocambolesche avventure alla scoperta dei luoghi inediti, inaspettati, magici e anche conosciuti e trendy di New York.

Realizzato da Quadrio, prodotto da Carola Cavalli e scritto da Flavia Triggiani e Marina Loi (le signore del crime, da noi già intervistate per Il caso Yara ed Essere Moana) con Mattia Tamburo, Il mio viaggio a New York porta Piero Armenti a confrontarsi con un mezzo del tutto nuovo per raccontare quella che è per antonomasia la capitale mondiale della moda, dello spettacolo e degli affari, la città in cui everything is possible.

Piero Armenti racconta New York sin dal lontano 2014 quando, dopo essersi trasferito negli States, ha cominciato a usare Facebook per illustrare agli amici rimasti in Italia le bellezze, le curiosità, le eccentricità ma anche i lati meno noti della Grande Mela. Quello che era un passatempo, se vogliamo, si è però trasformato presto in un fenomeno di costume, una pagina – Il mio viaggio a New York, per l’appunto – che solo sul social creato da Zuckerberg conta quasi 3 milioni di follower e infiniti tentativi di imitazione.

Dalla pagina Facebook è nata poi l’attività di tour operator che Piero Armenti ha cominciato a condurre con successo e che lo ha fatto diventare uno dei nostri più noti self made man con all’attivo anche tre differenti libri pubblicati per Mondadori. “Piero Armenti è un personaggio incredibile, incarna il mito del self made man e ha realizzato il sogno americano riuscendo a diventare un punto di riferimento per chi desideri scoprire New York nelle sue tante sfaccettature”, ha del resto sottolineato Flavia Triggiani, che con Marina Loi cura anche la regia del docureality Il mio viaggio a New York.

“Urban explorer per eccellenza, Armenti è un uomo che è riuscito ad esaudire ogni suo desiderio. Arrivato negli Stati Uniti per studiare, è riuscito a creare un piccolo impero aiutando gli italiani a conoscere New York in ogni sfaccettatura. Ed ora che è all’apice, farà vivere un’esperienza “dal vivo” sugli schermi televisivi a una coppia che non era mai stata nella Grande Mela”, ha aggiunto Marina Loi.

TheWom.it ha avuto la possibilità di intervistare Piero Armenti poco prima della conferenza stampa di presentazione di Il mio viaggio a New York, cercando di capire non solo cosa rappresenta per l’urban explorer il format ma anche il suo pensiero sulla città dei sogni, delle luci e delle ombre.

Piero Armenti.
Piero Armenti.

Intervista esclusiva a Piero Armenti

Cos’è Il mio viaggio a New York, la tua nuova esperienza che vedremo su Mediaset Infinity?

Tentiamo di raccontare New York attraverso un format nuovo. Ho già raccontato tantissimo la città sui social ma chiaramente il format televisivo ha rappresentato per me una nuova sfida. Abbiamo cercato il modo di trasportare la gente con noi attraverso le strade di New York, il sogno americano visto sia con gli occhi miei che nella metropoli abito e lavoro sia con quelli di una coppia di turisti che la conosce per la prima volta.

Tu vivi negli Stati Uniti oramai da tantissimo tempo. Vedi New York ancora con gli stessi occhi di quando sei arrivato?

Con il tempo, finisci con il considerare New York la tua casa. A volte penso “chissà un giorno me ne andrò in Europa o tornerò in Italia” ma, quando vado via qualche settimana da New York, confesso che un po’ mi manca il caos e il senso di libertà che quel caos ti dà. Non so dire in futuro cosa farò, però per il momento sono molto innamorato della città.

Il senso di libertà che provi tu a New York è lo stesso che avvertono i turisti quando arrivano per la prima volta?

Sì, perché nel caos di New York si sentono incredibilmente liberi: si respira un’aria particolare che restituisce la sensazione di essere più attivi, più giovani, più ottimista. È una sensazione che tutti quanti avvertono e che si riportano a casa quando vanno via.

A proposito di sogno americano, ti senti un self made man?

Io? Sì. Sono partito realmente con il sogno di fare qualcosa di importante a New York e posso dire, per il momento, di avercela fatta.

Da tempo immemore, racconti sui social i vari aspetti di New York. Non manca però il racconto delle sue problematicità?

Cerco di raccontarla in tutte le sue sfaccettature. Spesso ho raccontato anche i problemi della città e dei personaggi che la animano ma poi emerge sempre la mia passione per New York. Dico sempre che non è la più pulita al mondo, non so neanche se sia la più bella e ha sicuramente tanti problemi, a cominciare dall’essere la più cara al mondo. I lati negativi si possono vedere ma, nonostante ciò, New York è una città che ha una sua forte identità e una sua unicità, grazie anche al cinema, che catturano sempre chiunque ci arrivi.

Oltre a una pagina Facebook seguita da quasi tre milioni di followers, hai anche un’agenzia di successo che si occupa di far conoscere la città ai turisti italiani. Tra le persone che si rivolgono a te, è tanta la curiosità nei confronti della New York cinematografica?

È molta. Ho collaborato io stesso spesso alla scrittura di articoli sulle chicche cinematografiche di New York. Il cinema e i suoi posti attraggono molto i turisti e, quindi, noi abbiamo sempre dei suggerimenti sui luoghi dell’anima per chi ama la settima arte.

Qual è stata la sfida maggiore affrontata nel realizzare i sei episodi del docu-reality Il mio viaggio a New York?

Molto sinceramente, lavorare a un docureality o a una serie, come la si voglia chiamare, equivale ovviamente a qualcosa di molto diverso dal lavoro che faccio sui social. A seguire le mie pagine sono da solo con uno smartphone in mano. Per il docureality, invece, c’erano ovviamente un bel copione da rispettare, le telecamere al seguito e un gruppo anche di dieci persone a seguirmi mentre camminavo per strada. È stata un’esperienza totalmente diversa da quella rapida e immediata dei social.

Flavia Triggiani e Marina Loi (abiti Chiara Boni).
Flavia Triggiani e Marina Loi (abiti Chiara Boni).

Ti sei trovato bene con le due registe, Flavia Triggiani e Marina Loi? Provengono da un mondo del tutto differente dal tuo, sono le regine del crime.

Comincio a sospettare che loro abbiano intravisto in me un soggetto interessante da quel punto di vista (ride, ndr). Scherzi a parte, sì, mi sono trovato bene perché loro vengono a un mondo totalmente diverso dal mio. Durante la settimana di lavoro insieme ci siamo divertiti tantissimo e spero che lo stesso divertimento, felicità e spensieratezza, si sia trasmessa al docureality e che in futuro arrivi anche a chiunque lo voglia vedere.

Hai già pubblicato tre romanzi per Mondadori. Possiamo aspettarcene un quarto?

Non lo so. In realtà, sono due romanzi e una guida. Non so se ci sarà un nuovo romanzo, se sarà un saggio o altro ancora (non ci ho pensato) ma sicuramente continuerò a pubblicare libri perché scrivere è la mia passione: la mia anima da giornalista bussa alla porta.

Hai coinvolto nei tuoi video social anche la tua compagna. Ricordo con piacere un esperimento fatto al supermercato in cui dovevate fare la spesa con solo una banconota da cento dollari a disposizione.

Con Martina ci divertiamo a ritrarre momenti di vita quotidiana a New York. Come dicevo prima, New York è la città più cara del mondo e per far capire alla gente quanto lo sia realmente abbiamo voluto mostrare cosa potessimo mettere in un carrello con cento dollari, che sono un po’ meno di cento euro.

https://www.facebook.com/watch/?v=973797980593566

Avere una pagina social così seguita implica che ci siano anche molti commenti negativi. Come reagisci?

Non faccio caso ai commenti negativi, anche perché ricevendo migliaia e migliaia di commenti, come si può ben immaginare, non riesco a leggerli a tutti. Li legge però mia madre, che poi mi segnala quelli che le hanno dato più fastidio: in maniera molto semplice, li scopro così. I commenti negativi sono oramai una parte fisiologica dei social e sarà sempre così: quando si supera una certa soglia di visibilità, sono inevitabili. Ma, ripeto, cerco di non dar loro troppo peso.

Dicevi prima che se vai via per una settimana ti manca New York. E non ti manca invece la Campania dalla quale sei partito?

Sì, soprattutto in un periodo come questo dove, oggettivamente, la cosa più intelligente sarebbe stare d’estate sulla costiera amalfitana anziché rimanere a New York per loro: avere davanti il mio mare è ogni volta una sensazione indescrivibile.

Riesce a sopravvivere un campano con il cibo newyorchese?

Sì. Anche perché New York è probabilmente la città al mondo che ha maggiori rifornimenti di cibo italiano che arrivano continuamente. Una delle ragioni per cui sono rimasto a New York è proprio il potermi alimentare come se fossi in Italia. Mentre i primi tempi in cui stavo negli Stati Uniti mi ero aperto a tante culture culinarie, adesso sono rientrato nei margini della tradizione campana per cui mi cucino anche la pasta a casa.

Non dirmi che sei riuscito a prepararti anche la pastiera…

Ancora no. Ma mi hai lanciato una sfida che accetto volentieri.

Come tutte le città del mondo, anche New York ha vissuto il lockdown per via della pandemia da CoVid.

Per me è stato un momento molto traumatico. Occupandomi di turismo internazionale, con le frontiere chiuse, ho dovuto star fermo ma ho almeno la consapevolezza di aver visto qualcosa di unico: New York semideserta. Lo considero comunque un privilegio che molto probabilmente non si ripeterà più: New York è sempre piena di gente che cammina per le strade.

Nel tuo percorso professionale e personale che ruolo ha giocato la curiosità?

Tanto, se per curiosità intendiamo la voglia di capire. Mi sono definito urban explorer proprio perché avevo voglia di capire come funzionasse una città come New York da tutti i punti di vista e non solo da quello turistico, classico. Mi interessavano anche i personaggi, le persone, i laboratori, i locali e tutto ciò che la caratterizzano… ed è stata la curiosità che ha alimentato la mia voglia di conoscenza.

Non sei il solo ad avere una pagina social da italiano che vive all’estero. Penso ad esempio a Un italiano in Islanda. Possiamo definire la vostra un’operazione di antropologia culturale 2.0?

Conosco molto bene Roberto: lo seguo, lo ammiro e ci siamo anche incontrati in Islanda. Non posso affermare che è un mio amico perché ci siamo visti una sola volta ma lo ritengo in linea con il mio modo di essere e di vivere. Concordo sulla definizione di antropologia culturale 2.0 ma io non capito fino in fondo cosa stessi facendo fino a quando non ho cominciato a seguire pagine come quella di Roberto, in grado di insegnarmi molte cose sull’Islanda che non immaginavo e che non sapevo.

Oggi, so che il mio lavoro è molto simile al suo: come lui ha avvicinato me all’Islanda, anch’io ho avvicinato le persone a New York, la città in cui emigravano i nostri antenati. È forse questo uno dei motivi per cui noi italiani ce l’abbiamo nel cuore e per cui a Manhattan esiste una Little Italy.

Quando sei arrivato a New York, hai cercato da subito la comunità italiana o chi parlava la tua stessa lingua o hai voluto distaccartene?

All’inizio ho cercato di staccarmi dall’italiano ma dopo dodici anni ammetto che ne sono stato riassorbito come un elastico. Fa parte un po’ della natura umana: ho adesso 43 anni e più si va avanti col tempo più si pensa a ritagliarsi delle zone di comfort, anche se con gli americani, sempre molto generosi e simpatici, mi trovo molto bene e non ho nessun problema.

C’è un posto di New York che occupa un particolare posto nel tuo cuore?

Il balcone di casa mia, da dove con una birra in mano osservo la città e le mille luci di Manhattan. È quello il posto del cuore anche se mi piace tutto il resto: le strade, le luci, l’elettricità e le vibes

Piero Armenti e Flavia Triggiani.
Piero Armenti e Flavia Triggiani.
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