Il nostro generale è la serie tv in onda dal 9 gennaio su Rai 1 che, diretta da Lucio Pellegrini, racconta a quarant’anni dalla strage di via Carini a Palermo la storia del Nucleo speciale antiterrorismo, creato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Una produzione Rai Fiction e Stand by Me, la serie tv si è avvalsa della collaborazione del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e dell sostegno del Mic e di Film Commission Torino Piemonte. E avrà la sua presentazione al 40 Torino Film Festival.
Le riprese sono avvenute anche in alcuni dei luoghi reali delle vicende narrate. Tra questi, la Caserma dei Carabinieri Pietro Micca di Torino e il cortile dove le Brigate Rosse uccisero Fulvio Croce, presidente dell’ordine degli avvocati di Torino.
INTERVISTA ESCLUSIVA A TERESA SAPONANGELO PER IL RUOLO DI DORA FABBO
La trama della serie tv Il nostro generale
Il nostro generale, la serie tv targata Rai 1 in quattro puntate, prende il via nel 1973, quando il Generale dalla Chiesa (Sergio Castellitto) viene trasferito da Palermo - dove era impegnato nella lotta alla mafia - a Torino. Qui, dove le Brigate Rosse stanno iniziando a rivendicare le loro prime azioni di propaganda armata. Il Generale è il primo a capire l’entità del pericolo per la già fragile democrazia italiana e la necessità di contrastarlo con nuovi mezzi investigativi.
Nonostante le resistenze dei vertici dell’Arma, dalla Chiesa non si arrende. E, grazie alla sua ostinazione, nasce il Nucleo speciale antiterrorismo. Si tratta di un gruppo scelto di uomini, tutti giovanissimi, fortemente specializzato e capace di muoversi negli ambienti vicini ai brigatisti. Per i “ragazzi del generale” la lotta al terrorismo diventa un impegno totalizzante, non ci sono vacanze, pause, vita privata. La grande abilità strategica di dalla Chiesa non riguarderà solo la “lotta sul campo”. Ma anche l’intuizione dell’importanza dei pentiti, e il coraggio dei suoi ragazzi riusciranno a vincere la guerra contro le Brigate Rosse.
Tra i ragazzi del Nucleo spicca il pugliese Nicola (Antonio Folletto), il prediletto di dalla Chiesa: la sua voce narrante ci guida dentro la complessità del periodo storico e di un Paese lacerato da tensioni sociali e oscure trame politiche. Quello tra dalla Chiesa e i suoi uomini non è solo un rapporto professionale. Il generale è per loro un padre esigente, spesso duro, ma che sa guidarli, proteggerli e farli crescere. Mentre il Paese, nonostante le ferite profonde, riesce a sconfiggere il pericolo brigatista, i giovani del nucleo maturano e diventano adulti.
Arricchisce la narrazione il racconto delle vicende private e delle relazioni familiari di dalla Chiesa. Da Dora Fabbo, l’amatissima prima moglie - interpretata da Teresa Saponangelo - morta prematuramente ai i figli Nando, Rita e Simona, passando per la giovane seconda moglie Emanuela Setti Carraro, che morirà insieme a lui a Palermo.
Un decennio cupo e violento
Nella serie tv di Rai 1, Il nostro generale, composta da otto puntate da un’ora, le vicende del Paese - raccontate anche attraverso immagini e filmati di repertorio originali - si intrecciano a quelle personali e familiari dei protagonisti. La serie si avvale infatti della consulenza storica del giornalista Giovanni Bianconi. Ma anche del coinvolgimento, in fase di produzione, dei familiari del Generale dalla Chiesa, di alcuni dei veri membri del Nucleo speciale antiterrorismo e di alcuni dei magistrati che hanno partecipato alle indagini e poi istituito i processi.
Ciò ha permesso di portare sullo schermo la ricostruzione accurata di una vicenda storica ancora poco conosciuta. Ma anche il racconto più intimo e personale della vita dei protagonisti. “Questa è una serie che racconta gli Anni di piombo da una prospettiva inedita”, ha commentato il regista Lucio Pellegrini. “Non è una storia che ha al centro il mondo dei brigatisti. Non è un racconto che si spinge in quella zona grigia della nostra società, che è stata pericolosamente vicina al mondo dell’eversione. E non è nemmeno il biopic di un personaggio centrale della seconda metà del Novecento italiano, come il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa”.
“Questa è la storia della guerra tra Stato e Brigate Rosse, come non è stata ancora raccontata”, ha proseguito Pellegrini. “Dai rapimenti lampo del 1973 all’arresto dell’ultimo capo delle Br, Giovanni Senzani, nel 1982, passando attraverso il rapimento di Aldo Moro e a Patrizio Peci, il primo pentito delle Br. Un decennio cupo e violento, che si è lasciato dietro un’enorme scia di sangue. Una guerra, combattuta da ragazzi. Da un lato, i giovani aderenti alle organizzazioni terroristiche rivoluzionarie. E, dall’altro lato, un gruppo di ventenni, carabinieri e poliziotti, appartenenti ai Nuclei speciali antiterrorismo”.
Un’interpretazione realistica
Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa rimane tuttavia al centro del racconto della serie tv di Rai 1 Il nostro generale, a cominciare dal suo trasferimento da Palermo a Torino per indagare il clima di tensione che sta investendo il cosiddetto triangolo industriale. “Il Generale lentamente riesce a comprendere e poi a colpire le Brigate Rosse. Lo fa grazie ad un lavoro di analisi modernissimo e all’utilizzo di armi inedite per l’epoca, come gli infiltrati e poi anche i pentiti”, ha precisato Pellegrini. “I successi di dalla Chiesa si portano dietro infinite polemiche. I terroristi perdono i pezzi e si rigenerano di continuo. E, nel mentre, il generale scopre di avere nemici dentro la stessa Arma e nella politica”.
“L’interpretazione non imitativa ma profondamente realistica di Sergio Castellitto, l’intensità di Teresa Saponangelo nel ruolo di Dora dalla Chiesa, la freschezza di un gruppo di attori giovani pieni di talento e un lavoro maniacale di casting sui tanti ruoli (più di cento), hanno dato corpo e vitalità ai nostri personaggi. La scelta di girare, per quanto possibile, nei luoghi reali dove si sono svolti i fatti raccontati, ci ha restituito un ulteriore tasso di verità. Torino e Palermo in particolare, sono città ancora simili a quelle che erano quarant’anni fa. Ma sembrano non avere memoria di quegli anni. Anni in cui ogni giorno il telegiornale della sera era una specie di bollettino di guerra”, ha concluso il regista.