Ilaria (Rastrelli) è tornata con Sala Blu, il suo nuovo album. Sono passati quasi dieci anni da quando si classificava terza a X-Factor 2014 e rimediava il suo primo disco d’oro grazie a un fortunatissimo ep d’esordio, My Name. Quella che Ilaria stessa definisce un’esperienza vissuta felicemente è qualcosa che però appartiene al passato, alla ragazza di sedici anni che, piena di adrenalina, ha vissuto con l’incoscienza di chi non sa bene dove si è e a cosa si va incontro.
Nel tempo intercorso da allora, Ilaria è passata dall’essere un’adolescente al divenire una giovane donna, più consapevole di chi è e di quali sono le sue aspirazioni. Pur continuando a scrivere musica, ha lasciato la major con cui aveva cominciato e si è affidata al produttore indipendente Renato “Renee” D’Amico. Ed è stato grazie a questa dimensione meno spersonalizzata e più intima che Ilaria ha maturato la decisione di realizzare il suo primo album interamente in italiano intitolato Sala Blu.
Registrato in Toscana, dove Ilaria vive, Sala Blu è uscito il 28 aprile per Pulp Dischi e sin da subito fa capire quanto si distanzi dal lavoro precedente. Suoni fluidi e sognanti permettono a Ilaria di affrontare un viaggio in otto tappe in cui si susseguono spaccati di vita quotidiana e sentimentale che riflettono gli studi e le sperimentazioni dell’artista.
Bisogno di accettarsi e di accettare gli altri, cantautorato e musica elettronica, contraddizioni e certezze si sposano in Sala blu restituendoci un’Ilaria che non è cambiata ma che si è evoluta, come ama dire lei nel corso di quest’intervista in esclusiva.
Intervista esclusiva a Ilaria
Sala blu arriva a tanti anni di distanza dal tuo precedente lavoro. È tanto il carico di attese e aspettative sulle spalle?
Assolutamente. Oltre a essere passato quasi un decennio da X-Factor e dall’ep che uscì grazie a quell’esperienza, l’attesa è alta anche perché lavoro da tanto a questo disco e di conseguenza sono molto felice che vede finalmente la luce.
E a differenza del primo ep è tutto scritto e cantato in italiano. È stata una sfida o una liberazione?
Tutte e due. L’italiano ha rappresentato una sfida perché non è facile ricercare quelle stesse sonorità che dà la lingua inglese, sonorità a cui sono molto legata. Inizialmente è stato dunque molto complicato cimentarsi nella lingua ma dopo è stato tanto stimolante e divertente riuscire a trovare soluzioni alternative a ciò che prima avevo pensato in un’altra lingua. Due delle canzoni, ad esempio, nascevano in inglese ma sono state rielaborate negli anni: un processo anomalo ma divertente.
A me l’italiano piace tantissimo. Ero curiosa di approcciarmi alla scrittura nella nostra lingua ma avevo deciso di partire con l’inglese perché sentivo che mi offriva molta più possibilità anche di sperimentazione sonora. Però, oggi, dà molta soddisfazione essere riuscita a creare le stesse atmosfere con la propria lingua, facilitando anche la comprensione di ciò che esprimo. In italiano, sei come messa a nuda agli occhi di chi ti ascolta.
Cos’è allora questa “sala blu” nella quale ci inviti a entrare?
Con “sala blu” intendo un po’ il mio mondo, quello dei miei pensieri, dei miei sogni e delle mie “paranoie”… tutto quel mondo molto personale e intimo che a volte si cerca di nascondere all’esterno. Con questo disco, apro le porte di me stessa raccontando il mio viaggio alla ricerca dell’affermazione in relazione a me stessa e agli altri.
È stato difficile ricercarsi e autodeterminarsi, dopo l’esperienza del terzo posto in un talent e del conseguente disco d’oro?
X-Factor è stata un’esperienza felicissima. Mi ha lasciato tantissimo ma l’ho affrontata in maniera totalmente ingenua, forse anche troppo: non avevo idea del dopo, del mondo discografico e di cosa mi avrebbe atteso. È stato forse “spiazzante” essere catapultata in quel mondo così vasto e ritornare poco dopo nel mio mondo di sempre, però ho avuto la possibilità di conoscere molte persone e altrettanti studi che hanno aiutato la mia crescita artistica. La definirei un’esperienza felice dal punto di vista professionale ma strana a livello personale e sociale perché in quel momento per me le cose erano cambiate tantissimo.
Adesso sono felice invece di aver trovato il mio equilibrio, anche grazie a una realtà che non è una major discografica. Le major sono grandi e anche un po’ dispersive: con una realtà indipendente, mi sento più cullata e anche più tranquilla, libera di sperimentare e di vivere rapporti un po’ più personali. Questo è un aspetto per me fondamentale, trattandosi il mio di un lavoro che prevede scambi di emozioni, sentimenti e sensazioni.
All’epoca di X-Factor avevi sedici anni. Eri un’adolescente mentre oggi sei una giovane donna. Il disco riflette inevitabilmente tutto quel cambiamento che hai affrontato e che ora ti porti dentro.
Ringrazio comunque di aver partecipato al talent in quel periodo della mia vita: ho potuto rilasciare tutta quell’adrenalina che avevo in corpo. Mi ha aperto sin da subito le porte della discografia e di tanti altri ambienti che per me era inaccessibili. Ma adesso, a 25 anni, non so se rifarei un’esperienza del genere proprio perché è cambiata la mia testa ed è cambiato anche il mio gusto musicale… forse cambiare non è il verbo giusto: dovrei usare evolvere perché in fondo c’è sempre qualcosa di quell’adolescente in me. però, sì, sono passati gli anni e le cose si sono evolute.
E in un processo di evoluzione c’è anche molta introspezione e voglia di guardarsi dentro. Amami, la prima canzone subito dopo l’Intro, è quasi un disvelamento della tua identità. Chi è l’Ilaria che è rimasta?
La mia persona si è evoluta ma, come detto, qualcosa resta sempre. Come, ad esempio, la voglia di trovare qualcuno che riesca a vedere realmente i miei colori ma anche i cambiamenti e le sfumature che questi possono assumere. A un certo punto del mio percorso mi ero quasi “arresa” a questa possibilità. Dopo un po’ di sforzi e forse neanche troppa volontà da parte mia nel cercare di farmi comprendere e di essere ascoltata, avevo deciso di non curarmi dell’essere capita o meno: volevo comunque essere amata a prescindere. Era una ricerca di attenzione sbagliata con un fine che non aveva nulla di vero e positivo ma che era dettata dal non voler rimanere da sola ad affrontare la paura della notte.
Hai paura della notte?
No. Mi piace molto: la notte è molto consigliera. Ma, essendo un momento almeno per me molto intimo e personale, fa sì che vengano fuori le domande e i pensieri più nascosti. È di notte che realizzi di non essere riuscita a trovare qualcuno disposto a perdersi dentro di te e a comprendere qualcosa della tua personalità. L’ho fatto per un po’ ma poi ho detto basta: la crescita mi ha portata a capire che la forma più importante di amore è quello che si ha verso se stessi, sempre. Tutto il resto è contorno: serve ma senza l’amore per se stessi che sta alla base non si può costruire nulla di sano.
Di notte solitamente si sogna anche. E una delle canzoni di Sala blu si chiama Sogno. Cosa rappresenta per te il sogno?
Il sogno, per me, è un’arma a doppio taglio. Appartengo alla categoria di persone che fanno un sacco di previsioni, più o meno collegate alla realtà. Vivo di proiezioni sul futuro e poco sul presente, purtroppo. Quindi, il sogno dà un lato mi dà la carica e mi spinge ad andare avanti per realizzare i miei obbiettivi mentre, dall’altro lato, portandomi così lontana, mi distrae dai miei desideri. La canzone racconta proprio di come senta i miei sogni irraggiungibili, di come viaggino a una velocità di realizzazione differente dai miei desideri e voleri.
Lavorare a questo disco in maniera per me nuova, circondata da persone intorno, mi ha aiutata a capire che non ero da sola a vivere di proiezioni: mi sono sentita anche più sostenuta nel crederci.
Le proiezioni possono però essere in qualche modo figlie dei giudizi che gli altri possono riversare nei tuoi confronti. Hai mai temuto il giudizio?
Sì e no. Anche perché per chi fa il mio lavoro il giudizio esterno è qualcosa che resterà sempre. L’obiettivo è quello di avvicinarsi agli altri, di coinvolgerli e di ricevere feedback, giudizi che possono essere sia positivi sia negativi che possono avvicinarsi o meno ai miei voleri. In un primo momento, facevo moltissima attenzione a giudizio altrui ma, raggiunta una soglia massima, ho cercato di non farmi influenzare. Ho quindi voluto ritrovare la mia persona e il mio gusto, allontanandomi anche da quegli ambienti lavorativi che in qualche modo mi impedivano di farlo.
Oggi ciò che per me conta è l’essere decisi su quello che si sta facendo: nella composizione delle canzoni di Sala blu non ho mai pensato a quale potesse essere il target di riferimento o il genere. Ho scritto senza pensare al giudizio esterno, non ne ho sentito il peso e, anche oggi, a uscita del disco, non è il mio primo pensiero. Più che pensare a chi non piacerà, sono curiosa di trovare persone a cui piacerà e capire quali sono i punti che abbiamo in comune, cosa hanno trovato di me in ciò che hanno sentito e cosa hanno trovato di loro.
È strano poter volare ma pensare di poter cadere, come canti in Giriamo nel letto?
È stranissimo vivere in un mondo dove è così facile fare quello che si vuole ma dover comunque rispettare delle regole che dettano sia la tua vita sia le tue relazioni e sensazioni. Quando l’ho scritta, pensavo a quanto assurdi siano i rapporti tra le persone e a quanto invece potrebbe essere semplice crearne di nuovi o distruggerne di già consolidati. Ma le regole del nostro mondo vietano quasi di agire in merito.
Racconto nello specifico di una persona con cui stavo cercando di instaurare un rapporto, una qualsiasi relazione, ma che vedevo proiettata verso altri o altro per colpa ovviamente del sentito dire nei miei confronti o nei confronti dei miei contesti. A me dispiace che esista sempre questa voglia di divisione: siamo tutte le stesse persone, tutte persone normali con problemi e situazioni uniche. Ero dunque arrabbiata per come i rapporti umani sembrino sempre così difficili e impossibili quando invece sarebbe semplicissimo mettere in atto empatia e accoglienza. Mi fa arrabbiare quando le persone non riescono a condividere ed essere se stesse.
Qual è la parte di te che ti piace condividere maggiormente oltre alla musica?
Per quanto io non sia una persona che ha mille amici, li scelgo con molta attenzione, amo la convivialità. Sono molto socievole e ho tantissime passioni, tra cui anche la musica… ma non la mia, quella la reputo così personale che solitamente non tendo a parlare dei miei progetti. Ma la musica in generale è per forza argomento di discussione, di chiacchiere e di confronti. Così come può esserlo l’arte o la rappresentazione visiva e sonora di un concetto: mi piace molto quest’ultimo aspetto dell’espressione dell’arte, il riuscire a trasferire qualcosa in qualcos’altro. Anche se la mia cerchia di amici non è così ampia, trovo sempre il modo per chiacchierare con tutti, non mi creo tanti problemi e condivido tantissimo chi sono.
In Sala blu ci sono tre diverse canzoni che raccontano l’evolversi di una relazione amorosa: Mare, Sala blu e Vai. L’oggetto di interesse era sempre la stessa persona?
No. Sono state scritte in periodi e anni diversi e quindi le storie spaziano sia dal punto di vista temporale sa da quello personale. Tra l’altro, non sono messe in ordine cronologico ma seguono il mio percorso di ricerca di me stessa. Mare racconta di un rapporto finito e della ricerca di soluzioni alla rottura. In Sala blu, invece, mi rondo conto delle motivazioni reali che hanno portato alla fine: ero rimasta immobile a contemplare i miei pensieri e il mio passato fino a quando immobile non rimango più. In Vai, faccio uscire la persona in questione dalla mia stanza e dal mio mondo affinché anch’io possa essere libera di ritrovarmi. Cosa che ho effettivamente fatto e che racconto in Paralleli, il brano che chiude il disco.
In Mare emerge però quanto sia difficile andare avanti con i rimorsi. Cosa scegli tra rimorsi e rimpianti?
Sono più i rimorsi che ho i rimpianti. Da persona impulsiva, cerco di fare sempre qualsiasi cosa che mi passi per la testa: meglio avere il rimorso di non averla fatta nella maniera giusta che il rimpianto di non averla fatta. Mi ritengo per certi versi fortunata: ho fatto quello che volevo, anche se poi non è riuscito come doveva.
Vivi in Toscana, in un piccolo paesino che si chiama Signa. Come ha reagito la gente del posto al tuo exploit musicale?
Il paese da cui provengo è talmente piccolo che già anche prima di X-Factor tutti mi conoscevano. Hanno semmai imparato a conoscere la mia passione e la mia volontà di intraprendere questa carriera. La risposta della gente è stata bellissima: si ritrovavano tutti ogni settimana in parrocchia o in casa di qualcuno a guardare le puntate del talent e a votare! Mi hanno supportata e hanno continuato a farlo: alla presentazione del disco, sono venuti in tanti. Mi ha emozionata: mi sono sentita abbracciata e cullata. Non era scontato che fosse così.