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“Il coming out? Uno strumento di autodeterminazione”: intervista esclusiva al cantautore Immanuel Casto

Malcostume segna il ritorno di Immanuel Casto con un nuovo album a sette anni di distanza dal precedente. Partendo da cos’è oggi il malcostume, ne è nata una conversazione fiume che offre uno spaccato inedito e bombastico del re del porn groove italiano.
Nell'articolo:

Immanuel Casto è molto più di quello che traspare dalle sue canzoni. Ha appena pubblicato un nuovo album, Malcostume, che arriva a sette anni di distanza dall’ultima raccolta di inediti. Tiene una “posta del cuore” su Gay.it e continua a inventare giochi da tavolo per accontentare le sue esigenze ludiche, come ci racconta nel corso di quest’intervista fiume.

Ma non è tutto. Immanuel Casto si esibirà sabato 02 luglio durante il corso della serata del Pride di Milano, in compagnia di artisti come Baby K, Francesca Michielin, Michele Bravi e Miss Keta. Pensate che sia finita qui? No. Ha appena curato il layout graphico di Rottocalco, il primo libro di Romina Falconi, sua partner professionale e amica, ed è il presidente di Mensa Italia.

Il Casto Divo, come lo chiamano i suoi fans, non sa stare fermo. La produttività e la creatività lo hanno trasformato nell’esponente più noto del cosiddetto porn groove. Tuttavia, l’autore di pezzi storici come Che bella la cappella e Deepthroat Revolution con Malcostume ha fatto un passo in avanti: Immanuel Casto è cresciuto e si è trasformato in un cantautore maturo che nulla ha da invidiare a nomi più blasonati. Forse ne è anche consapevole, come scoprirete, ma pezzi come Sangue e incenso o BB & Chems rappresentano vette di scritture e rivelano un lato più fragile di quello che ha sempre mostrato in nome della provocazione e della satira.

L’ironia continua a essere però il suo tratto distintivo. Lo sottolineano i singoli scelti per lanciare l’album: a Piena, lo straordinario duetto con le Karma B, hanno ora fatto seguito Wasabi Shock e Amore ariano. Il primo è uno straordinario divertissement, grazie a cui scopriamo quanti infiniti modi ci sono di chiamare l’organo genitale maschile con una metafora ittica. Il secondo è una spaventosa critica al suprematismo bianco, più pungente di ogni proclama progressista.

Immanuel Casto, infine, è il più divisivo dei rappresentanti della comunità queer. O lo si ama o lo si odia, non esistono mezze misure. Chi lo detesta, non sopporta ad esemplo l’uso dei termini politicamente scorretti, anche quando esorcizzano ciò che l’eterosessualità ha deciso che sia un’offesa. Chi lo apprezza, invece, ne adora la sfrontatezza e la genialità delle rime, delle parole mai lasciate al caso.

E chi dice che Immanuel Casto non ha rivali, ha ragione. Ha rimodellato, per non dire fondato, un intero genere. E, se solo fosse nato oltreconfine, sarebbe oggi una star mondiale.

La copertina di Malcostume, il nuovo album di Immanuel Casto.
La copertina di Malcostume, il nuovo album di Immanuel Casto.

Intervista esclusiva a Immanuel Casto

Malcostume arriva a sette anni di distanza dal tuo precedente disco. Sei andato quasi controcorrente rispetto ai tempi che la discografia impone oggi.

Non era previsto che la pausa fosse così lunga. In realtà, in questi sette anni c'è stata una raccolta, L’età del consenso, che conteneva degli inediti, dopo la quale effettivamente volevo prendermi un po’ di pausa, però non così lunga. Poi, è esploso il CoVid, che, come sappiamo, ha avuto un impatto disastroso su moltissimi settori. Credo sia corretto dire che quello dell'intrattenimento è stato in assoluto il più devastato e quindi ho dovuto posticiparlo. Cercando, però, il buono, questo mi ha consentito di lavorare ancora di più ai progetti che avevo in cantiere.

In generale, devo dire che io sono un pochino scettico nei confronti degli artisti troppo prolifici: spesso non lo sono neanche per scelta. Ogni artista lotta tutta la vita per avere due cose: mezzi e libertà. Noi tutti vorremmo quanti più mezzi possibili di produzione, di promozione, e libertà assoluta.

Generalmente si ottiene più una cosa rispetto a un'altra. Chi lavora nell'ambito mainstream e, quindi, ha possibilità commerciali, solitamente può beneficiare di investimenti maggiori, ma godrà di una libertà inferiore. Del resto, quel mercato funziona così.

Nella scena alternativa, nella quale mi muovo io (ho una distribuzione ora mainstream ma la produzione rimane alternativa), avviene il contrario: spesso si hanno meno mezzi ma molta più libertà. E, fra l'altro, questa libertà non è neanche una possibilità, ma quasi un dovere, poiché il pop indipendente, per intenderci, secondo me non esiste in quanto quella domanda è già soddisfatta del pop mainstream. La scena alternativa soddisfa un'altra domanda che invece cerca contenuti più particolari.

All'interno di questa libertà c'è anche quella, appunto, di fare un disco quando si è pronti. Mentre in altri ambiti io vedo proprio artisti che sono spremuti dalle etichette, con dischi, dove è evidente che non avevano nulla da dire. E non è colpa loro, perché la creatività non funziona così. Ci vuole tempo per raccontare un’evoluzione.

Non farò nomi ma ci sono ad esempio artisti che io stimo molto e ai quali vengo associato che sono costretti a fare una volta all’anno un disco in cui non hanno niente da dire. Ma non è colpa loro.

Ho avuto dunque la libertà di aspettare finché non sentivo di avere qualcosa da dire. È un disco di cui io sono veramente molto contento.

Per quale ragione?

Perché è denso. Ogni singolo pezzo dice qualcosa, ma non solo. Ogni verso è curato. Non dico che in ogni verso c'è della qualità, perché quello lo stabilisce chi ascolta. Io posso garantire per la cura, perché io quella so di averla messa. Veramente mi spacco il cervello in quattro per ogni singolo verso, anche se poi la canzone parla di incontri sessuali con metafore che fanno riferimento al pesce: non c'è una parola che io metto lì a caso.

Immanuel Casto.
Immanuel Casto.

Wasabi Shock è il pezzo a cui fai chiaramente riferimento.

Sì, esatto, ed è il più “sciocchino” dell’album, non è un pezzo impegnato. Però, son diventato matto. Non c’è un verso per il quale non mi spacchi la testa. Ovviamente, va benissimo anche la musica come forma di intrattenimento, in cui sostanzialmente i versi vengono scritti semplicemente con parole che suonano bene: la musica commerciale è così e va benissimo. Io combatto ferocemente la gerarchia all'interno dell'arte: ci sono prodotti che soddisfano esigenze diverse. Però, spesso, quella cosa lì a me non piace.  E quindi il tempo mi è servito per fare un disco così denso.

E la risposta che sto avendo da parte del pubblico è proprio quella che sognavo. Una delle cose che trovo più lusinghiere è quando mi scrivono “Era da tempo che non ascoltavo un disco di cui non skippo nessuna traccia”: questo per me è veramente un grande complimento.

Malcostume è un disco che scopri giorno dopo giorno. Ci sono tracce che al primo ascolto non ti lasciano particolarmente colpito. Eppure, quelle stesse canzoni che forse avevi ascoltato superficialmente forse sono le più belle. A me è capitato con Sangue e incenso. Continuavo a saltarla, forse perché era quella che mi richiedeva più attenzione e messa in gioco. Mi sono poi fermato ad ascoltarla e ho scoperto che era un capolavoro di scrittura, che esulava da ogni tipo di pregiudizio. Così come mi è capitato con Almeno non è gay, che, al dà dell’armonia spensierata, ha un testo che è un pugno nello stomaco.

Sono due pezzi che mi stanno molto a cuore.

Almeno non è gay ero indeciso se chiamarla Almeno non si droga.  Vengono prese due caratteristiche considerate non desiderabili: da una parte c'è l'omosessualità, che di indesiderabile non ha proprio nulla dal punto di vista ontologico, e dall’altra parte la droga, che è sì indesiderabile, per quanto io sia a favore delle droghe leggere. Dipende da cosa intendiamo: fruire di cannabis per me non è un problema, di sicuro non maggiore di bere un bicchiere di vino a cena, per intenderci. La tossicodipendenza invece sì, lo è.

Volevo puntare l’attenzione su una certa mentalità per cui ci si consola dicendo “vabbè, mio figlio almeno non ha queste caratteristiche: non si droga e non è gay”. Ma la canzone poi elenca una serie di caratteristiche di questo figlio che sono molto peggio ma che culturalmente accettiamo.

Sangue e incenso, pezzo scritto tempo fa, è una ballad alla quale tengo molto e contiene dei passaggi molto personali. Per dire, un mio amico psicologo m'ha detto: “Ti ho amato così tanto da doverti dire scusa”, uno dei versi della canzone, “è qualcosa a cui la gente arriva dopo dieci anni di terapia”. Mi ha fatto molto piacere.

Beh, ma anche “Mi lascia con la tua disperazione”.

È un testo che parla di dipendenza affettiva. Ecco, un’altra ragione per cui mi piace il disco è quanto è variegato a livello di temi. Questa cosa che mi soddisfa non è assolutamente furba dal punto di vista commerciale. Per niente. A livello commerciale, quando si parla di marketing, una delle regole principali è avere una comunicazione archetipica. Quello che ti viene detto è: abbi un'immagine definita, vendi quel prodotto, tutti ti devono riconoscere per quel prodotto”. Ed è vero, funziona così. Ma io non lo metto mica tanto in atto con Malcostume, perché non ho voglia di raccontare una sola cosa.

Commercialmente lo so che non è furbo ma non sarei altrimenti contento.  Ci ho messo tutta la vita a realizzarlo (probabilmente non l'ho ancora compreso del tutto) ma spesso ci poniamo degli obiettivi, tipo degli achievement, che in realtà sono propedeutici a un'altra cosa: essere cinici. Il ragionamento non deve essere “cosa devo fare per ottenere questa cosa?” ma “cosa devo fare per essere felice?”. Se ciò che mi sono messo in testa di ottenere in realtà non mi rende felice, allora è meglio porsi un altro obiettivo.

Un maggiore successo commerciale che però non mi consente di esprimermi artisticamente mi renderebbe triste. E quindi alla fine il trade-off per me è positivo. Io sono contento di poter fare un disco in cui metto dentro un pezzone come Sangue e incenso che, secondo me, a livello di cantautorato nell'ambito della scrittura romantica - non me lo dico da solo! -  non ho nulla da invidiare a pezzi pop che ascoltiamo abitualmente di cantanti che vengono considerati più seri rispetto a me.

Ti faccio ora io un complimento. Ho trovato BB & Chems una sorta di versione 2.0 dello spleen di Baudelaire.

Tra l'altro è uno dei pochi pezzi miei biografici. Quasi nessuno dei miei pezzi è autobiografico, ma per forza, dal momento che buona parte della mia discografia parla di reati perseguibili penalmente! (ride, ndr).

Racconto delle storie, generalmente. Le racconto in prima persona perché è più interessante così. C’è quel presupposto, non so se è una roba italiana o antropologica, che un cantante creda veramente in ciò che sta cantando: no, uno può anche solo raccontare delle storie, per intenderci. Senza paragonarmici, il cantautorato di De André andava totalmente nella seconda direzione.

BB & Chems è effettivamente un pezzo autobiografico, nel senso che ho veramente sperimentato quella situazione. BB & Chems che cos'è? È una sigla che viene utilizzata nelle app dating omosessuali e si riferisce alla pratica di fare sesso con l'utilizzo di sostanze di droghe stimolanti senza preservativo.  Ed è un tipo di pratica nella quale io ci tengo a non esprimere nessun tipo di giudizio, con la premura ovviamente che venga fatta con le maggiori attenzioni possibili nei confronti della propria salute. Dopodiché, per me siamo nella sfera della piena libertà personale.

L'esperienza specifica che ho vissuto io, però, mi ha lasciato una profonda tristezza. Sono venuto in contatto con evidentemente un caso specifico, non generalizzo, in cui ho toccato una profonda dimensione di solitudine in mezzo a tutto quel sesso. E BB & Chems racconta veramente una situazione che ho visto.

Mi diverte che tu apra l'album, in Eternit, con la voce di Enrica Bonaccorti e il famoso smascheramento degli inciuci al cruciverba ai tempi di Non è la Rai. A distanza di trent’anni, sottolinea come il malcostume non sia cambiato. Secondo te perché siamo ancora fermi a quel punto?

Perché siamo un popolo con pochissimo senso civico, purtroppo. Ed è una cosa che mi dispiace profondamente. Siamo capaci di grande solidarietà quando è necessaria. Però, purtroppo, il nostro senso civico si colloca in un gradiente che va da “ciò che è pubblico non è di nessuno” a “criminalità organizzata”. È un grosso problema.

Ma in realtà il malcostume per me, molto banalmente, è la sciatteria, il non prestare attenzione ai propri comportamenti che siano in ambito professionale o in ambito affettivo, il non salutare in una mail, il non firmarsi… sciocchezze che però per me sono indicative di una mancanza di cura nei confronti dell'altro. E questo ha un impatto negativo sull'ecologia delle relazioni. Sono dei comportamenti fortemente inquinanti quando invece si potrebbe stare più attenti. Non abbiamo culturalmente quest’attitudine. Se poi vuoi chiedermi come si risolve, ora chiaramente ti direi con la bacchetta magica. Ma, in generale, quando mi si chiede come risolvere un problema, la mia risposta sarà sempre “puntando sulla formazione e sull’educazione, a partire dalla scuola”.

Sono pienamente d'accordo con te: è un discorso che faccio spesso. Si dovrebbe partire dalla scuola. Purtroppo, però, viviamo in un Paese in cui la scuola è la prima ad allontanare tutto ciò che reputa diverso. Prendiamo il caso della povera Cloe: come pretendiamo che la scuola sia promotrice di inclusività, formazione ed educazione, quando la stessa scuola avrebbe bisogno a sua volta di una corretta rieducazione?

Tocchi un tasto veramente delicatissimo. In generale, per me servirebbe, al di là del sacrosanto discorso sull’inclusività, una riforma strutturale dei programmi scolastici, perché ci sono ormai elementi concernenti anche il contesto tecnologico in cui ci muoviamo, che hanno un impatto sulle nostre vite. Per me dovremmo iniziare da domani a insegnare dalle medie le pratiche di sex checking, per intenderci. Ci sono nozioni di psicologia perfettamente alla portata di uno studente o studentessa delle scuole medie che non avranno nella sua vita un impatto inferiore al sapere che Mesopotamia vuol dire terra tra due fiumi. Continuiamo a insegnare anche la Mesopotamia, ci mancherebbe. È veramente imperativo per noi mettere mano ai programmi ministeriali. Vanno aggiornati perché sono in atto dei cambiamenti culturali importantissimi a cui comunque non faremmo fronte in tempo. Però, ridurrebbe quanto possibile il ritardo.

 E poi sì, c'è tutto l'aspetto del rispetto, tutto l'aspetto della sessualità. L'educazione sessuale, l'educazione affettiva significa anche educazione al consenso e inizia - cosa che non solo spaventa chi deve prendere decisioni, ma spaventa i genitori - dalle elementari o dall'asilo. Uno potrebbe dire: “O mio Dio, mi stai sporcando i bambini”. No. Ovviamente non si insegnerebbe l'erotismo. Ci sono fra l'altro delle direttive dell'Oms su come portare avanti questi programmi. Ma banalmente: ti metto una matita, devi chiedere il permesso per prenderla e io ti devo verbalmente dare il permesso di prendere la mia matita. È una sciocchezza ma si parte da queste cose: ci si educa.

Non ci aspettiamo che le persone imparino a guidare da sole. Serve la patente. Bisogna fare un corso di teoria e di pratica per prenderla. Per tutto ciò invece che concerne l'affettività e la sessualità, “Boh… abbiamo tutti imparato da soli. Impareranno anche le prossime generazioni da sole”.  Così ci si fa male. Serve l'educazione ma, come hai sottolineato tu, c'è l'ostracismo interno, cioè l'ostracismo dall'alto a livello di prendere decisioni che purtroppo hanno tempi pachidermici. E Ci sono dei blocchi da parte delle famiglie: è dura.

E così continuiamo a vivere in una situazione per cui il branco è dominante perché il singolo è ignorante.

Come dice la canzone Piena con le Karma B, è esattamente così.Io sono una di quelle persone che quando guarda i singoli diventa ottimista e che quando guarda le masse, diventa pessimista: bisogna lavorare su questo miglioramento del singolo.

Ma fino a quando si continua ad avere paura del “diverso” o quando pretendono di insegnarti la vita, come canti in un’altra canzone, è davvero dura. Come si fa quando anche il Vaticano si sveglia una mattina e ti indica di non far sesso prima del matrimonio? Insegnami la vita è una canzone che stigmatizza tutti i comportamenti di chi si reputa superiore: un politico, un religioso, un maestro delle scuole…

C'è una frase che viene detta nel ritornello, fra l'altro scritta da Romina Falconi, sulla quale avevo dei dubbi perché è molto forte. Rende molto bene il senso della canzone ma al tempo stesso rischiava di essere fuorviante, ossia “Ok, boomer”. Il testo non vuole essere una critica, ovviamente, a quella fascia demografica, sarebbe una sciocchezza. Cos'è? Combatto le generalizzazioni con una generalizzazione?

No, è una questione di mentalità. Associamo al boomer un certo tipo di mentalità che può essere riscontrata ovviamente anche in altre fasce demografiche: le persone vengono a insegnarti come stare al mondo sono proprio quelle che non sanno niente della tua vita, niente delle tue esigenze specifiche o della tua storia. Se lo sapessero, saprebbero che non possono darti un consiglio spiccio, che è troppo complicato, che dipende dal caso singolo.

Ma non solo: ricadiamo ancora una volta in quella generalizzazione per cui una cosa è sbagliata e una cosa e giusta. E ritorniamo a Piena: non è tutto bianco, non è tutto nero.

Verissimo. Però, io sento il dovere di dire che è un problema che non riguarda solamente la bolla conservatrice ma anche la bolla progressista. In questo momento, per me, uno dei mali della nostra epoca è la radicalizzazione in bolle ideologiche veramente a compartimenti stagni. Io sono arrivato a vedere, ad esempio nell'ambito dell'attivismo, non solo il rifiuto di andare in contesti diversi dal proprio ma anche – è accaduto nei miei confronti - criticare chi invece l'ha fatto: viene inteso come segno di poca integrità. “Se tu sei andato in quel contesto che è chiaramente di stampo conservatore a portare le tue idee progressiste, hai comunque legittimato quel contesto. Quindi non mi fido più di te”.

Il rifiuto di dialogo come segno di integrità a me proprio non piace. Penso che sia fortemente controproducente: va ad ampliare delle spaccature che invece andrebbero risolte con il dialogo.

Ora siamo nel mese del Pride, che è uno dei miei momenti preferiti dell'anno, ovviamente. Dico sempre è che il Pride è fondamentale. Tuttavia, lo strumento più importante di autodeterminazione che abbiamo per me è comunque il coming out.

Sì, non è mai un dovere se non verso se stessi, ma questo è un altro discorso: nessuno deve un coming out agli altri. Fatto sta che rimane uno strumento politico enorme: se veramente tutte le persone di un Paese raccontassero ai propri contatti che sono bisessuali, che hanno un'identità di genere non conforme e quello che si vuole, ci ritroveremmo con chiunque che ha dell'ordine di una decina di persone che divergono dall’eteronormatività. A questo punto cambierebbe tutto: puoi demonizzare una categoria finché la percepisci come lontana da te.

Perché la si mena tanto con lo spauracchio del gender? Perché c'è una visione che io definisco vampirizzante del dell'orientamento sessuale, del tipo “non puoi nascere trans, non binario, omosessuale. No, tu nasci sano, normale. Poi vieni in contatto con la cultura queer che ti infetta e ti trasforma”. Probabilmente non te la raccontano così, però questa è la visione che serpeggia di fondo e sarà totalmente debellata. Ci sono persone che nascono così: non si può combattere un modo di essere, lo si può solo accettare e toccare con mano: fa una differenza enorme.

Ti faccio un altro esempio. A me è capitato più volte di dialogare con persone dichiaratamente omofobe e di avere vede anche un dialogo costruttivo. Ed è accaduto che poi mi dicessero: “Eh, ma tu sei diverso”. Questo è interessante perché poi quello che rispondo è: “Tutti sono diversi”. Non c’è un omosessuale uguale a un altro. Certe linee di discriminazione le puoi portare avanti nella misura in cui riduci tutto a una categoria. Ma, nel momento in cui vedi nel suo insieme la complessità e capisci che c'è una persona non uguale all'altro, crolla tutto, non riesci più a deumanizzare.

Tutto ciò si combatte con l'informazione e mostrandosi: basterebbe che queste persone si rendano conto da quanto sono circondati da persone queer. e ora. Perché se parlano di orientamento sessuale, ma possiamo prendere qualche altra caratteristica che si verga da una normalità statistica.

Immanuel Casto.
Immanuel Casto.

Il tuo è un ragionamento estendibile a tutte le “minoranze”, visibili e non visibili. E alle minoranze è dedicata quella che è forse la canzone più provocatoria dell’album e che mi auguro nessuno fraintenda: Amore ariano.

Sembra che sia stata recepita perfettamente. Temevo potesse essere fraintesa e temevo veramente diventasse l'inno dei suprematisti bianchi. Quella della canzone è una critica fatta con ironia, dico una cosa per intendere l'opposto, al razzismo, al suprematismo bianco. Prendo per il c**o il suprematista, fingendo di dargli ragione, salvo poi nello special, invece, dire in chiaro esattamente quello che penso. Tra l'altro, sia nel video sia nel testo, non parlo mai di persone nere, perché quella è qualcosa che non conosco. Io parlo di bianchi e di come ragionano (non tutti) i bianchi su certi argomenti. Mi sono attenuto strettamente a quello. Non è stato semplice scrivere in questo modo, peraltro. Non volevo in nessun modo intaccare, ad esempio, la dignità delle persone nere. Io prendo per il culo i bianchi razzisti.

C’è forse solo un verso in cui dici “black slave and white master”.

Si, esattamente. Chiaramente si riferisce a un tipo di mentalità molto aggressiva che purtroppo ha una sua ragione storica abbastanza grave.

In D!ck Pic canti invece di una delle piaghe del nostro tempo, estendibile a tutti: la dick pic, appunto. Non interessa solo la comunità lgbtqia+.

Anzi. Sono stati fatti degli studi statistici dai quali risulta che la comunità gay è interessata leggermente meno. Appare che, a parità di assenza di consenso (cioé foto del pisello mandata a caso) le donne reagiscono peggio degli uomini omosessuali. Quindi, per intenderci, è una questione che interessa più fuori dalla comunità.

Anche quello è un mio pezzo autobiografico. A me i genitali decontestualizzati non è che non eccitano, fanno schifo. Ma non perché sono genitali. È come guardare un orecchio, una narice: non mi piace vederlo decontestualizzato. Il dettaglio mi fa proprio schifo: non è una cosa che mi seduca in nessun modo.

Ho dei profili nelle app di dating, li utilizzo (anche per cercare incontri sessuali), anche se quando mando la mia foto viso mi bloccano (“deficiente, prendi anche la foto di uno noto!”, mi scrivono). Nei miei profili, l’ho scritto: non mandatemi materiale esplicito perché non mi interessa. Mi arriva lo stesso… è una pratica assolutamente sdoganata e che viene fatta anche, credo, con l'idea di “Guarda, che regalo che ti faccio di me, ti faccio vedere questa bella cosa!”. Va benissimo che tante persone apprezzino, rientriamo sempre nell’ottica del consenso. Fantastico, mandiamoci tutto il materiale intimo che vogliamo ma chiediamo prima se faccia piacere, banalmente.

Mi sono confrontato anche con amiche e son venute fuori cose molto divertenti: iniziano ad approfondire una conoscenza e a un certo punto arrivano loro le foto del c**zo. È totalmente spiazzante!

Della serie “cerco storia seria” ma intanto ti mando quello che ho tra le gambe. A proposito, ma c’è in Wasabi Shock l’intento di parlare di un’altra ossessione dei nostri tempi, la misura del pene? Passi dal pesciolino all’aragosta.

No, in realtà no. Sono tutte metafore del pene ma non è stato fatto un lavoro sulle dimensioni.

Te lo chiedevo perché nelle app di dating, penso a Grindr, c’è la classificazione delle misure: XS, S, M, L, XL, XXL.

Non c’è il riferimento nella canzone ma trovo quella cosa lì abbastanza grottesca per più di una ragione. Se per una persona è fondamentale una certa dimensione, non è responsabile delle sue preferenze sessuali: a me da molto fastidio che si giudichino i desideri. Se è così, va bene che lo si espliciti. Solamente che gli standard non sono realistici, credo che dipendano dal porno. Immagino che facciano sesso pochissime volte all’anno se ricercano quegli standard!

Di questi standard e della classificazione in taglie tipo H&M a me non frega niente. Mai chiederei la taglia, per intenderci. Solo le persone che ci tengono tendono a specificarla. Anche se nel 50% dei casi non corrisponde a quello che dicono: perché sei tenuto a dirmelo se poi siamo nell’ambito della media?

Sempre in Wasabi Shock, mi ha fatto sorridere amaramente il “Tu mi ami, io mi amo”. Non è “io ti amo”.

È una battuta molto cinica, ovviamente. Il pezzo parla proprio dell’atteggiamento narcisistico che si registra in una certa parte della comunità.

Immanuel Casto.
Immanuel Casto.

Quanto tempo impieghi a scrivere una canzone come Wasabi Shock, grazie a cui scopriamo infiniti modi per chiamare il pene?

Se ti dico quanto ci ho messo, ti spaventi. Ovviamente dipende sempre dalle canzoni. Ho cominciato a scrivere Wasabi Shock quattro anni fa. Non significa che sono stato quattro anni full time su quel testo, eh. Però, è stata ritoccata per circa quattro anni. Altre canzoni, invece, possono venir fuori in un mese: sono già pronte, per intenderci. Ma dietro a ognuna c’è tanto lavoro, anche perché i pezzi lasciati nel cassetto invecchiano e hanno bisogno di essere attualizzati.

I tempi adesso sono velocissimi, le mode e le abitudini cambiano con un ritmo impressionante. Non hai nemmeno il tempo di abituarti che devi far fronte e riferimento a un’altra novità.

È così. Infatti, il tipo di satira di costume che faccio io è comunque una satira a cottura lenta, dove cerco di identificare degli aspetti culturali che, se non sono universali, comunque sono di respiro generazionale. Mentre quell'altro tipo di satira proprio puntuale, in cui commenti la polemica della settimana, non la puoi fare con una produzione artistica. Devi usare Tik Tok o Instagram. Non lo sto dicendo con snobismo: è un altro mezzo, è un altro percorso.

Hai appena curato il layout grafico di Rottocalco, il libro di Romina Falconi legato al nuovo progetto discografico che ha appena lanciato con il singolo La suora. Che rapporto ti lega a Romina?

Di amicizia e profondissima stima: sono le due caratteristiche principali del nostro legame. È una delle mie collaboratrici più importanti in assoluto. Romina ha un talento artistico e musicale che è rarissimo: rarissimo perché è proprio un talento naturale. La cosa più evidente quando la si vede performare è il talento vocale. Lei è una musicista e una scrittrice veramente fenomenale, sia come paroliere sia proprio per quanto riguarda le melodie. Ma la tengo ben stretta. Poi, umanamente è una persona fantastica. Siamo molto, molto legati.

Da dove nasce invece la tua ispirazione ludica? Non si contano più i giochi da tavolo che hai inventato.

Giocare da tavolo è forse la cosa che mi piace di più in assoluto, anche più della musica. Lo stato artistico è quello che mi dà gratificazioni più eclatanti ma il gioco da tavolo - sono un nerdone, un gamer – è in realtà la mia dimensione più naturale. Lo stato performativo è come andare sulle montagne russe. Mi piace tantissimo andare sulle montagne russe, ci andrei tutti i giorni ma per dieci minuti, per intenderci.

Mi piace tantissimo il mondo del gioco, mi affascina da morire. Ho una discreta cultura in merito, ho una collezione importante e ho sempre in testa un sacco di giochi che vorrei realizzare. Sono giochi a cui vorrei giocare io stesso: “Perché non esiste un gioco così?”, mi chiedo spesso, e me lo faccio allora io. E poi lo commercializzo.

Immanuel Casto.
Immanuel Casto.

Da perfetto conoscitore della comunità lgbtqia+, che ne pensi del tentativo di eteronormativizzazione messo in atto da alcune serie tv di recente produzione? Penso ad esempio a Heartstopper su Netflix che ha raccontato di un amore omosessuale tra i banchi di scuola alla stregua di uno eterosessuale.

Per me è importante che ci siano delle rappresentazioni queer. Ok, sono eteronormative ma vanno ugualmente bene: ci sono persone queer che vogliono quel tipo di impostazione all’interno della loro vita sentimentale. C’è chi le demonizza a prescindere. Io no: per me è una possibilità tra le tante. L’importante è però che ci sia varietà di rappresentazioni.  

Una serie come Heartstopper non è Riot, non so nemmeno se la definirei queer. La definirei una serie lgbtqia+ ma non una serie queer: non ha quell’aspetto politico. È una storia tra i banchi di scuola che persone lgbtqia+ è molto raro che possono vivere nella loro vita ma che vedono, crescendo, nei loro compagni eterosessuali. È una narrazione piacevole da vedere ma l’importante è che non ci siano solo questo tipo di narrazione: il mondo dell’affettività e delle relazioni – solo adesso stiamo forse iniziando a capirlo – è più variegato rispetto all’impostazione canonica che abbiamo tutti interiorizzato.

Ti esibirai il 2 luglio nella serata finale del Pride Milano.

Sono molto contento, hanno messo insieme una line up fantastica con tanti artisti di primo piano o appartenenti direttamente alla comunità o che si sono fortemente esposti in favore negli ultimi anni. Sono veramente lusingato di essere stato invitato.

Da piccolo avresti mai sognato di fare il cantante?

Per quanto tu possa crederci, sì. Ero molto interessato all’aspetto performativo. Addirittura, più di quanto lo sia adesso, nonostante continui a piacermi molto.

E quando hai cominciato a scrivere canzoni?

Al liceo, ho iniziato a registrare pezzi in autonomia. Fra l'altro, erano già del mio genere. Ero assolutamente sperimentale e divertivo i miei compagni di classe. Mi registravo i cd, facevo anche le copertine… orribili! Ce li ho ancora. Sono robe allucinanti: c’erano foto di me in guêpière abbracciato a un gatto, la pazzia!

Come sono stati gli anni del liceo?

Cose belle e cose brutte. Cose belle perché credo di essere stato il primo, fra l'altro, ragazzo veramente out nel liceo statale di Bergamo. Ne parlavo tranquillamente e in più volevo anche performare proprio su questi temi. Soprattutto nel triennio, mi sentivo anche molto sicuro nei miei talenti artistici che riuscivo a mettere a frutto. Cose brutte perché, d'altro canto, comunque, era un contesto di costrizione dove molte cose non si potevano fare, non si potevano dire uno. Ripenso a quel periodo con emozioni molto buffe.

Immaginavo che tu avessi fatto outing abbastanza presto. Non ti immaginavo chiuso in casa a riflettere sulla necessità o meno di farlo. Non so perché, mi hai sempre dato l'impressione di essere una persona, da questo punto di vista, molto forte. Seppur non ti conosca personalmente, mi hai sempre dato l’impressione di chi non si nasconde dietro un dito. Hai pagato lo scotto del pregiudizio nel tuo percorso artistico?

Io non so se sono forte. Ripensando a me stesso da ragazzino, faccio un po’ fatica a guardarmi indietro: mi ricordo molto vulnerabile. Quello del “forte” era però un feedback che mi veniva dato tantissimo. Mi veniva detto “Evidentemente sei molto forte” ma io non mi sentivo tale.

Pagato? Si e no. Allora io perché non mi lamento? So perfettamente che ci sono tantissime persone che mi ritengono un buffone, un pagliaccio. Sono persone che conoscono poco la mia produzione: non sono tenute a conoscerla, almeno al momento non fa parte dei programmi ministeriali. Quindi, è loro diritto aver ascoltato semplicemente una volta Tropicanal e averla mollata a metà. Va benissimo così. Non me ne lamento: se non avessi fatto determinate scelte, non avrei avuto poi una determinata visibilità. E pazienza se alcune scelte hanno fatto sì che un determinato pubblico si approcci a me con pregiudizio. Devo prendermi il pacchetto completo.

Non abbiam parlato del passato perché ho voluto concentrarmi su Malcostume ma posso dirti ad esempio che Da grande sarai fr**io è il mio pezzo tuo preferito in assoluto. Mia piccola sfr**ta era pura poesia.

A molte persone non piaceva allora, figurati adesso.

Perché?

C’è un filone, che credo che sia il maggioritario all'interno dell'ambito progressista, per cui non puoi mai usare gli slur in nessuna circostanza. Ognuno la vede come vuole, ci mancherebbe.

Però, all'interno della comunità lgbtqia+, comunque, si utilizzano moltissimo quei termini.

Lo so ma per alcune persone non puoi proprio utilizzarli.

Sono altri i termini che andrebbero evitati perché offensivi. Penso ad esempio con che accezione denigratoria la comunità usi il termine “passiva”.

È una cosa che mi piace particolarmente poco. Non credo di averlo mai utilizzato con quell’accezione lì.

Credo sia una delle forme di offesa maggiori che si possono avere all'interno della comunità. La trovo veramente sciocca proprio per più di una ragione. Mi sembra veramente proprio maschilismo traslato.

Quando si va a utilizzare il termine fr**io o sfr**ta in un determinato tipo di contesto, non ci può essere niente di offensivo. Anzi, è un modo per secondo me, anche per esorcizzare ciò che gli omofobi usano in maniera offensiva. No?

È esattamente questo il punto. Sono termini che gli eterosessuali hanno deciso per noi. Quindi, in qualche modo, ce ne riappropriamo, mentre il termine “passiva”, con accezione denigratoria, l'abbiamo creato noi: è quello che non mi piace.

Immanuel Casto.
Immanuel Casto.
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