Per la Giornata internazionale dell’eliminazione della violenza sulle donne, Rai 3 trasmette in prima visione tv assoluta il 24 novembre il film In guardia, una storia tenera e piena di speranza sulla fiducia e sull’amicizia femminile. Adattamento dell’omonima graphic novel di Quentin Zuttion, il film di Rai 3 In guardia segna il debutto alla regia dell’acclamata attrice francese Alexandra Lamy per un racconto con al centro tre donne che, vittime di soprusi e abusi, uniscono le loro forze superando insieme le loro paure e guardando in avanti.
La trama del film
In guardia, il film proposto da Rai 3, si apre con Lucie (Mélanie Doutey), una donna sulla quarantina, che ha lasciato il violento marito David (Franck Libert) e ha portato via con sé il figlio Leo (Ruben Da Silva). Il suo più grande terrore è che David possa un giorno ritrovarli.
La ventitreenne Tamara (Chloé Jouannet) è invece vittima di incesto. Il suo aguzzino era suo fratello ma non ha mai trovato l’appoggio e la comprensione di sua madre, una donna incapace di fare una scelta netta tra i suoi figli.
E poi c’è Nicole (Claudia Tagbo), una cinquantenne affetta da fibromialgia, una malattia autoimmune che ha riversato sul suo corpo dolorante il peso di un trauma subito.
Nella speranza di mettere insieme i pezzi della sua vita e ricominciare da capo, Lucie prende parte a un percorso di terapia basato sulla scherma proposto da un’associazione che aiuta che lo donne in difficoltà. Ed è così che, tra una stoccata e l’altra, ha modo di stringere un’amicizia sincera con Tamara e Nicole. Passo dopo passo, le tre donne ritroveranno la fiducia in se stesse grazie agli allenamenti guidati dalla terapeuta Eva (Andréa Bescond). E, quando l’ex marito di Lucie si ripresenterà, lei non sarà più sola nell’affrontare il suo peggior incubo.
Una storia di speranza
In guardia, il film in onda su Rai 3, racconta di violenza sulle donne senza mai mostrare la violenza in sé, se non in una o due casi. Quello che interessa maggiormente alla regista Alexandra Lamy è concentrarsi sui traumi subiti dalle protagoniste e sul lungo percorso di ricostruzione emotiva che le attende. È grazie alla scherma che riusciranno a liberarsi da tutta la brutalità e dalle conseguenze degli abusi di cui sono state vittima.
Nonostante i temi affrontati e trattati, quello che viene fuori è un racconto sulla speranza e sul rimettersi in piedi, puntando sull’autodeterminazione e sulla solidarietà delle protagoniste. “Quando mi è stato proposto di girare il film, non ho avuto alcuna esitazione: il tema trattato mi sta a cuore da sempre”, ha commentato l’attrice e regista Alexandra Lamy. “Mi sono fatta aiutare nella costruzione della storia da due importanti associazioni francesi che difendono i diritti delle donne, La Maison des Femmes e Résonnante. Ma ho anche ascoltato vari podcast e parlato con vittime di violenza che conoscevo personalmente. E ciò mi ha portato a voler mettere mano anche alla sceneggiatura, firmata con Solen Roy-Pagenault e Quentin Zuitton”.
“Ho riflettuto molto sulle attrici da scegliere. Non ho avuto dubbi su Mélanie Doutey: oltre a essere una mia amica, è una professionista che come me ha a cuore determinati temi. Il ruolo a lei affidato non era semplice ma non ha avuto paura di mettersi emotivamente in gioco. Da tempo, poi, volevo lavorare con Claudia Tagbo: è stato il primo nome che m’è venuto in mente per Nicole e fortunatamente ha accettato. Se non lo avesse fatto, non so a quale altra attrice avrei potuto rivolgermi. Chloé Jouannet è, invece, mia figlia ma questo non le vieta di essere anche un’ottima attrice, in grado di regalare forza e intensità a una ragazza fragile e introversa”.
Ma perché proprio la scherma come terapia contro gli effetti delle violenze ce lo spiega sempre la regista. “Quentin Zuttion e Olivier Serwar, l’attore che interpreta il maestro di scherma, una professione che pratica anche nella vita di tutti i giorni, mi hanno spiegato come nella scherma si usi una maschera per proteggersi. E quella maschera serve anche a proiettare un’immagine diversa di sé sull’altro".
"Nella scherma, poi, si impara l’autocontrollo, cosa comporta il toccare e il venir toccati, e qual è la giusta distanza corporea da mantenere, tutti elementi che diventano anche fondamentali quando si parla di abusi e violenza. Di certo, la violenza dello sport è diversa da quella della vita reale: si colpisce senza fare mai del male all’altro. Ma è attraverso il colpire che le protagoniste metaforicamente lasciano uscire tutta la violenza che da vittime hanno accumulato e trovano finalmente pace”.