Io lo so chi siete, il titolo del film che Rai 3 trasmette il 24 maggio in prima serata, è la frase che Nino Agostino ha pronunciato nel momento in cui è stato ucciso insieme alla moglie Ida, incinta, il 5 agosto 1989. Da allora sono passati la bellezza di 33 anni e Vincenzo, il padre di Nino, non si è fermato nella sua ricerca disperata di giustizia e verità fino a quando non si è spento lo scorso aprile. E questo perché, quando Nino è stato ammazzato, a Villagrazia di Carini, a pochi chilometri da Palermo e a due minuti da Capaci, dove trovò anni dopo la morte il giudice Giovanni Falcone, Vincenzo fece una promessa.
“Non mi taglierò più barba e capelli fino a quando non sarà stata fatta giustizia”, sono state le prime parole di papà Vincenzo. E da allora la figura di questo padre con lunga barba bianca e capelli altrettanto lunghi e bianchi ha cominciato a farsi strada sulla scena pubblica.
Le battaglie di un padre
Vincenzo Agostino ha cominciato a seguire i processi al Tribunale di Palermo, a sentire in silenzio le tante parole di chi deponeva, a osservare i depistaggi, a farsi domande senza risposta e a portare nelle scuole la storia del figlio affinché spingesse le nuove generazioni a prendere una posizione netta contro il male che da sempre cancerizza il tessuto sociale, politico ed economico non solo siciliano. In Io lo so chi siete, il film documentario di Alessandro Colizzi e Silvia Cossu dedicato alla vicenda di Vincenzo Agostino proposto da Rai 3, emerge tutta la forza delle sue battaglie, della sua guerra a tratti contro i mulini a vento.
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La vicenda dell’omicidio Agostino è particolarmente complessa da riassumere. L’omicidio è maturato nell’ambito del periodo in cui - secondo molti osservatori - la mafia pareva avere fitte relazioni con organi "deviati" dello Stato. È avvenuto in un contesto particolarmente ricco di ombre e privo di luci. Del resto, quando lo Stato indaga su se stesso, le indagini non vanno avanti, ha modo di sottolineare una delle testimonianze di Io lo so chi siete.
E le implicazioni di tali affermazioni sono sotto gli occhi di tutti. Prendete ad esempio il caso Mattarella. Persino il nostro Presidente della Repubblica, Sergio, ancora oggi non sa qual è il movente, chi sono gli esecutori materiali e chi i mandanti dell’omicidio del fratello Piersanti, trucidato a Palermo il 6 gennaio 1980.
Ma lo Stato è lo stesso che ha abbandonato Vincenzo Agostino e la sua famiglia, come ha dichiarato in un’intervista. “Lo Stato non si è mai preoccupato di chiedere come stavamo, in 31 anni non è mai venuto nessuno, nonostante nostro figlio fosse morto onorando la divisa e battendosi per far vivere tutti noi in una Palermo più tranquilla”. È questo lo Stato che vogliamo o in cui dobbiamo riconoscerci?
Un esempio di cinema di denuncia
Senza addentrarci in carte giudiziarie e pareri fuorvianti, piace sottolineare come il film Io lo so chi siete su Rai 3 rappresenti un bell’esempio di cinema civile, di denuncia. È uno di quei film che dovrebbe prima di tutto essere proiettato nelle scuole per far comprendere ai nostri figli o ai nostri fratelli che di fronte a un’ingiustizia non bisogna mai voltare la faccia dall’altro lato. La mafia può toccare ognuno di noi, può entrare nelle nostre case senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Si instilla nella mente come un falso mito e fa sì che di esso se ne coltivino le illusioni e le metodologie. Non ha colore, non ha faccia e, come dimostrano le cronache, non ha genere. E, soprattutto, non ha pietà nemmeno di fronte a una donna incinta, come nel caso di Ida, la moglie di Nino Agostino.
Portavoce di un sentimento viscerale, istintivo e protettivo, come quello paterno, Vincenzo Agostino in Io lo so chi siete mostra senza filtri la sua realtà. Una realtà che in quasi quarant’anni è rimasta del tutto immobile e nel segno di un grido che pian piano comincia a rivelare pezzi di un puzzle indecifrabile. Sentiamo Vincenzo ricostruire la sua storia di padre e marito. Accanto a lui, fino a quando non è scomparsa senza conoscere la verità sulla morte del figlio, c’era sempre la moglie la moglie Augusta ed è alla sua memoria che è dedicato il film di Alessandro Colizzi e Silvia Cossu.
Il racconto di un padre
Da papà fiero del proprio figlio e della sua decisione di entrar a far parte del corpo di polizia, Vincenzo Agostino in Io lo so chi siete ripercorre le passioni del figlio, a cominciare da quella per le barche, le stesse che disegnava su un libro di scuola e che ora adornano la sua cappella al cimitero. Con lucida determinazione, ricostruisce la sera dell’omicidio e quello che è accaduto dopo, dalla scomparsa di alcuni documenti chiave nella casa del figlio ai mille depistaggi a cui la ricerca di verità è andata incontro. Si commuove spesso, spingendo tutti noi al desiderio di volerlo stringere in un abbraccio, lo stesso che il figlio Nino avrebbe voluto dargli se solo avesse potuto vedere con i suoi occhi quanta combattività si cela dietro a quel volto segnato dalla sofferenza.
La gente pulita non dimentica i suoi morti
"La gente pulita non dimentica i suoi morti", asserisce serafico Vincenzo Agostino in uno dei momenti di Io lo so chi siete. E come può del resto un padre dimenticare un figlio?
La sua figura ricorda moltissimo le madri di Plaza de Mayo, il luogo di Buenos Aires in cui ogni giovedì dagli anni Settanta si riuniscono le madri dei desaparecidos per commemorare i figli scomparsi. La Plaza de Mayo di Vincenzo è qualsiasi luogo in cui può far sentire la sua voce, dai tribunali alle manifestazioni a Roma.
In un giorno come quello della Festa del Papà, Vincenzo Agostino dimostra come certi legami sia più forti della vita stessa e del male che inevitabilmente vi entra dentro. Quale padre accetterebbe di vedersi strappare un figlio davanti agli occhi rimanendo inerme di fronte a un perché che mai arriva? Indagare sul sentimento sarebbe retorico. Ammirarlo, invece, no.