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Irene Effe: “Libera dal male, dai pregiudizi e di essere finalmente me stessa” – Intervista esclusiva

Irene Effe
Dopo sette lunghi anni di silenzio, di ricerca artistica e di presa di consapevolezza, Irene Fornaciari si ripresenta con un potente singolo, Mi libero dal male, e un nuovo nome a marcare la sua identità: Irene Effe. L’abbiamo incontrata per una delicata intervista in esclusiva, in cui racconta il suo percorso ma anche il suo desiderio di trovare finalmente pace.
Nell'articolo:

Sono passati ben sette anni dall’ultima volta che abbiamo sentito la voce di Irene Fornaciari, sette lunghi anni interrotti adesso da un singolo molto potente, Mi libero dal male (Altofonte Italia), e da un nuovo nome, Irene Effe, con cui la talentuosa cantautrice si ripropone in una veste completamente nuova. Non sono però stati sette anni facili per Irene Effe, che si è ritrovata ad affrontare un profondo periodo di cambiamento artistico e, soprattutto, personale.

La scelta di cambiare nome, ad esempio, è frutto di una nuova consapevolezza: Irene Effe nasconde la volontà di voler imprimere la propria individualità a dispetto di un cognome che, se da un lato le ha aperto varie porte, dall’altro lato l’ha posta sotto l’occhio dei benpensanti, di quelli che sentendosi come Gesù nel tempio danno il cattivo esempio con la loro croce di pregiudizi e le loro spine di etichette solo perché era la figlia di Zucchero.

Mi lascio dal male sin dal primo ascolto lascia intravedere qual è l’urgenza che ha spinto Irene Effe alla scrittura: ritrovare pace dopo un periodo di blackout totale dovuto anche allo strascico di alcune relazioni tossiche che si portava dietro e ai mostri interiori che celava dentro senza averli mai affrontati. Eppure, passo dopo passo, Irene Effe ce l’ha fatta, anche grazie alla terapia, a vincere ansie, timori e paure, che non l’hanno mai lasciata libera di essere solamente una ragazza che di musica si nutre, con le sue fragilità e vulnerabilità.

Mi libero dal male ha un significato però anche molto universale: non parla solo di qualcosa che non è andato bene nel percorso di Irene Effe, la cui dolcezza in questa intervista in esclusiva è disarmante come la sua sincerità, ma anche di tutto ciò che non è andato bene nei nostri cammini, di chi ci ha obbligato a far qualcosa contro la nostra stessa volontà, di consenso e molto più in generale di conflitti che interessano il mondo a qualsiasi latitudine.

Irene Effe.
Irene Effe.

Intervista esclusiva a Irene Effe

Ci ritroviamo a distanza di sette anni per parlare di un tuo nuovo progetto discografico. Raccontaci come nasce Mi libero dal male.

Mi libero dal male è nata più di un anno fa, durante una notte che non riuscivo a dormire perché avevo bisogno di sfogarmi. In casa ho un micro studio che mi dà la libertà di mettermi a comporre quando voglio e ho, nonostante fosse notte fonda, acceso il mio computer per dare seguito alla mia esigenza di fuga da tante cose. Dopo un beat di tamburi molto tribali e una linea di bassi, ho buttato giù la melodia e mi son resa conta che stava avendo origine qualcosa che mi faceva star bene.

È dunque una canzone che è nata in modo egoistico. Quando ho però iniziato a scrivere il testo, mi sono completamente bloccata. Mi sembrava di non avere più un’identità ben precisa, come se ci fosse in atto un processo di spersonalizzazione incredibile. Ma dopo aver scritto “Non ho più niente da dire se non dire niente” è come se si fosse scoperchiato un vaso di Pandora che mi ha permesso di tirare fuori tutto quello che avevo chiuso dentro di me. Tutti quei demoni che mi portavo dentro da un po’ di tempo sono esplosi e venuti fuori.

La canzone, tra l’altro, esce in un momento molto particolare, in cui c’è un’accesa discussione intorno alle tematiche che ruotano intorno alla figura della donna. Mi libero dal male parla di una forma di violenza, quella psicologica, che viene molto spesso sottovalutata. Qual è, secondo la tua esperienza, il primo passo da fare per liberarsi dalle relazioni tossiche? Le hai vissute sulla tua pelle: cosa si era instillato in te a livello psicologico?

Il campanello d’allarme per me è stato il fatto che non riuscissi più ad avere opinioni mie sulle cose. Non mi sentivo adatta a esprimere una mia opinione anche quando parlavo di cose semplici. Non riuscivo più a distinguere cosa piaceva a me Irene. E non sapevo più nulla di me: questo ha fatto scattare la molla che mi ha portata a dire che c’era qualcosa che non andava: non era possibile che non avessi un’opinione, un pensiero o qualcosa da dire che fosse solo mio.

Ho allora deciso di riprendere in mano la situazione. Non nego di aver iniziato anche un percorso di psicoterapia: ne avevo realmente bisogno. Ribadiamolo, se serve: la psicoterapia aiuta tantissimo. Io stessa ero diffidente nei suoi confronti e non credevo che potesse tornarmi utile… e, invece, dopo aver iniziato il percorso mi sono resa conto di quanto necessario fosse per avere una prospettiva e un punto di vista diversi dal mio. Ho iniziato pian piano a sciogliere i nodi…

Quali erano i nodi?

La paura del giudizio, la paura di sentimi sbagliata, la paura di sentirmi diversa, la paura di dovermi omologare a quella che è la figura di donna richiesta dalle convenzioni sociali… Io non riesco a star chiusa dentro le etichette: fondamentalmente, sono uno spirito libero ma è questo mio esserlo che a volte mi ha fatto anche sentire fuori posto. Grazie alla psicoterapia, ho capito che l’essere diversi e il non omologarsi è la caratteristica che ci rende veramente noi stessi, un valore irrinunciabile: un mondo omologato, dove tutti siamo uguali, sarebbe veramente triste. Mi sono quindi sgretolata e ho ricominciato a ricostruirmi, pezzo dopo pezzo, ed è stato necessario: in fondo, è il messaggio che vorrei che arrivasse anche attraverso la mia canzone.

Anche se ho scritto Mi libero dal male per un’esigenza egoistica, ho pensato a tutte quelle persone che, per una ragione o un’altra, stavano attraversando un momento buio, che ne stavano uscendo o che ne erano uscite. Vorrei che la mia canzone desse ancora a chi non vede la luce quella spinta utile a reagire.

“Ho fatto pace con me stessa, mi sono assolta”: molto spesso, il senso di colpa è ciò che porta in una relazione tossica a non reagire. Addossarsi la colpa per quello che succede è anche alla radice di altre dinamiche molto violente, come purtroppo la cronaca dimostra, che possono instaurarsi. Cosa ha significato per te cancellare il senso di colpa?

Pace totale. Dopo aver vissuto con addosso la sensazione di essere sbagliata perché a contatto con coloro che definisco vampiri energetici, è pace quello che provo adesso. Mi sono chiesta diverse volte dove avessi sbagliato: chi è una persona buona e ha un animo puro è la prima domanda che si fa. Ma a volte non si è abbastanza lucidi per capire che la colpa non è tua ma delle situazioni che abbiamo intorno. Ritrovare la lucidità è stata per me una vera liberazione. Ho anche perdonato gli sbagli che gli altri hanno nei miei confronti: è stato un ulteriore tassello di quel cammino verso la pace che provo oggi, verso quell’assoluzione che mi sono data da tutti i sensi di colpa provati.

È stato un lavoro lungo e si spiegano così i sette anni, tanti, che sono intercorsi dal mio ultimo lavoro discografico. Ma era doveroso farlo e che richiedesse tempo. Nonostante la società contemporanea ci richiede di essere veloci e iper formanti, bisogna anche riuscire a dire “basta, mi fermo un attimo per me stessa, sono stanca e devo capire cosa c’è che non va”.

Il senso di colpa è anche un retaggio della religione con cui siamo cresciuti da bambini. Mi libero da male gioca molto con il religioso e i suoi simboli. Quanto pensi che influisca la cultura con cui siamo educati?

Tutta la cultura delle religione cattolica è basata sul senso di colpa e sul terrore. Sinceramente, non seguo la religione che viene indottrinata dalla chiesa ma sono molto spirituale. Credo molto nelle energie universali ed è il motivo per cui nelle mie canzoni si ritrova sempre questa mia parte: c’è dentro un mio lato che mi porta inevitabilmente a riflettere su ciò che ci sospinge ma mi allontano da tutto ciò che è terrore.

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Un’altra cosa di cui ti sei liberata è il cognome di tuo padre, Fornaciari, ripresentandoti oggi come Irene Effe. È un modo per riappropriarti della tua identità e per essere definita in quanto Irene e non in quanto “la figlia di”, come patriarcato imporrebbe?

C’è anche questo fattore, ovviamente. Tuttavia, la prima cosa a cui ho pensato nello scegliere Effe come cognome è stato il reset totale, il cambiamento forte che volevo. Oltre ad aver cambiato le persone con cui lavoro e tanti altri aspetti della mia vita, ho voluto eliminare anche il cognome perché Fornaciari, per quanto io sia orgogliosa di essere la figlia di Zucchero, non mi è mai piaciuto: avrei sempre voluto un nome d’arte. Ci ho pensato tante volte ma non significa che voglia rinnegare il mio cognome o prenderne le distanze.

In questa fase di libertà totale che sto vivendo, voglio fare quello che voglio senza pensare troppo alle conseguenze: volevo un nome d’arte? Bene, ce l’ho (ride, ndr).

Con molta franchezza, pensi che nel tuo percorso di artista Fornaciari ti abbia portato più vantaggi o svantaggi?

È sempre complesso dare una risposta a questa domanda. Da un lato, il mio cognome mi apriva tante porte, se non fosse altro per la curiosità che stimolava nei mass media, e mi dava tante possibilità, come ad esempio la partecipazione al Festival di Sanremo. Dall’altro lato, però, arrivava sempre il momento in cui dovevo fare i conti con i pregiudizi della gente ed era molto tosto. Mi dispiaceva che il mio lavoro, il mio rispetto per la musica, la mia esigenza, le mie origini familiari (anche mio zio era un musicista, un chitarrista) e la mia energia passassero in secondo piano e non mi venissero riconosciuti.

Mi infastidiva anche parecchio ma ormai ho fatto pace anche con i pregiudizi: so che sta a me far capire alla gente piano piano che vivo per la musica, che ci sono e che vado avanti, nonostante gli svantaggi che comporti essere “la figlia di” e il continuo confronto con un artista navigato con alle spalle una carriera eccezionale a livello internazionale. Quando ho iniziato, era anche un confronto impari.

Ti caricava di aspettative, ansia e panico?

Eh, sì. Sono una persona molto ansiosa che soffre di attacchi di panico. Non era il solo motivo che me li causava ma uno dei tanti.

Cosa ti ha portato a soffrire di attacchi di panico?

Una concausa di situazioni ed esperienze che ho vissuto nella vita. Già il solo fatto di essere una figlia d’arte ha comportato che io stessi sempre allerta per circondarmi di persone che tenessero veramente a me, al di là del cognome. Ho anche sempre avuto paura ad affrontare tutto: da piccola, ero molto, molto timida, tant’è che quando vent’anni fa realizzavo le mie prime interviste per il musical I Dieci Comandamenti diventavo a chiazze, di tutti i colori, ma era così evidente che il cameraman era costretto a interrompere la registrazione.

 Accadeva anche a scuola: diventavo sempre rossa appena pronunciavano il mio nome. È stata quindi molto dura cercare di non sentirsi fuori posto, una sensazione che mi ha sempre accompagnata e che mi ha fatto vivere ogni cosa con grande ansia e paura. Di tutto ciò che ne preoccupa la testa ne risente anche il corpo ed è stato così che i miei pensieri sono sfociati intorno ai vent’anni in attacchi di panico che oggi cerco di tenere a bada. Rispetto al passato, va molto meglio ma, ogni tanto, nelle situazioni di grande stress si ripresentano.

Irene Effe.
Irene Effe.

Irene, il tuo nome, vuol dire “portatrice di pace”. Alla luce del discorso affrontato sinora, possiamo dire nomen omen? Hai cercato la pace fin quando non l’hai trovata…

Mi fa sorridere il significato del mio nome, anche perché nella mia famiglia in passato ci sono state un po’ di turbolenze per via dei miei genitori separati. Di mio, ho sempre cercato di portare armonia, quella che serviva per tenere insieme la famiglia ed evitare che si sgretolasse. Forse è stato anche questo che mi ha portato a vivere la vita in modo ansioso. Il portar pace è stata un po’ la mia condanna ma, grazie al lavoro di psicoterapia di cui sopra, ho capito che non posso io controllare tutto: occorre lasciare che le cose vadano come devono andare.

Vivere relazioni tossiche comporta anche il rimettere in discussione l’idea stessa di “amore”. Sei riuscita a far pace con l’amore e con le fragilità e vulnerabilità che un rapporto sbagliato lascia?

Sono molto diffidente verso l’amore, inteso come di coppia. Ho però imparato che l’amore non deve essere totalizzante, del tipo “se non ci sei tu, non riesco a far nulla” o “senza di te sto male”. Ciò di cui dobbiamo preoccuparci maggiormente è la nostra vita: siamo tutti individui singoli e tali dobbiamo rimanere anche quando ci incontriamo e decidiamo di costruire qualcosa insieme. Non esiste l’altra metà della mela: ognuno di noi è una mela intera.

Prima di dire “ti amo” alla persona con cui sto mi occorre molto tempo. Gli attribuisco un valore enorme: significa “ho completa fiducia in te e con te mi sento libera di essere me stessa”, “amo i tuoi difetti e non voglio cambiarli così come tu non devi cambiare i miei”. Forse negli ultimi tempi si dice “ti amo” troppo in fretta e con troppa facilità.

Ha contribuito in qualche modo al tuo cambiamento personale e alla tua voglia di ricerca artistica lo star per compiere quarant’anni?

Ha influito tanto. Solitamente le persone hanno paura di invecchiare, io invece non vedo l’ora che accada. Ho capito che invecchiando, cominci a fregartene sul serio dei giudizi della gente e a riappropriarti di te stesso, trovando un equilibrio. Guardiamo Ornella Vanoni, che adoro, e le sue recenti interviste o interventi da Fabio Fazio: è semplicemente meravigliosa. Non ha freni e dice tutto ciò che le passa per la testa: perché non riusciamo da giovani ad avere quel suo stesso grado di libertà? Perché abbiamo così paura ad esprimere ciò che abbiamo dentro? Qual è il timore? Quello di essere impopolari o di non essere capiti? Di mio, sto lavorando affinché tale libertà arrivi il prima possibile.

Sorrido: il tuo compleanno arriva il 24 dicembre, la Vigilia di Natale che da sempre è sinonimo di rinascita. Qual è il regalo più bello che Irene potrebbe fare a Irene?

Rischio di essere banale ma è riuscire a vivere sempre in uno stato di pace interiore. È essere grata anche alle piccole cose della vita, anche quelle che solitamente l’essere umano dà per scontate: potersi godere l’ordinarietà è qualcosa di straordinario.

Non ti è mai scocciato ricevere un regalo unico per compleanno e Natale?

È sempre stato così (ride, ndr). E, curiosamente, anche per il mio compleanno la protagonista non ero io ma qualcun altro… battuta a parte, non mi dispiace neanche tanto essere per quella sera in secondo piano: a me piace che le persone siano felici in quei giorni. Anche se il mio compleanno viene messo in disparte, sono felice lo stesso. So che sembro esagerata o la persona più generosa del mondo ma è così: a me ricevere regali mi mette in imbarazzo… su una cosa però non ammetto scusanti: non deve mancare mai il dolce. Possono anche non farmi i regali ma non può mancare un bel dolce o, comunque, qualcosa di buono da mangiare: mi basta solo quello per essere io felice.

Ti sembro anch’io patriarcale se ti chiedessi cosa ne pensa tuo padre di questo cambiamento?

No, assolutamente. Papà è molto felice della mia rivoluzione interna. Agli inizi della sua carriera, anche lui come me si sentiva sbagliato (dalle case discografiche era sempre un “ma dove devi andare con quella musica o con quella voce?”) fino a quando non ha cominciato a non seguire più le regole imposte dall’industria discografica e a credere maggiormente in se stessa e nella sua visione. Le nostre strade lavorative si sono ormai separate da tantissimo tempo ma da padre è contento di vedere i suoi figli crescere, essere indipendenti e avere il fuoco dentro. Il suo timore è semmai che il fuoco possa spegnersi: lui ha da sempre un entusiasmo interiore che cerca di trasmettere ai giovani, infondendo loro un’energia incredibile.

Poi, se mi chiedi se gli piace la canzone, devo risponderti di no. È lontanissima dal suo mondo: gli è piaciuta la musica ma non il testo. Secondo lui, è poco incisivo perché diverso da ciò che oggi il mainstream propone. Ma allontanarmi da tutto ciò che è mainstream è esattamente il mio obiettivo. Le regole che vigono rischiano di far arrivare il ritornello sempre più prima: finirà che non avremo più canzoni ma solo ritornelli. Sono consapevole di come io abbia scelto una strada sempre più ardua ma spero che si capisca quanto è autentica e sincera.

Sei stata in passato sul palco dell’Ariston, ti piacerebbe ritornarci?

Per salire su quel palco oggi servono i numeri, ciò che a me manca. Mi piacerebbe sì tornarci ma allo stesso tempo penso che il mio percorso debba essere diverso. Sanremo ti dà per cinque giorni grande esposizione e ti fa arrivare a un pubblico vastissimo ma non è detto che quello sia il tuo pubblico. A me piace rivolgermi a un pubblico più di nicchia: mi immagino suonare nei piccoli club, in una dimensione più intima in cui possa condividere la mia musica con la mia “famiglia”.

Immagino però che con la pace ritrovata tu sia già al lavoro su qualcosa di nuovo.

Sì, sto scrivendo tanto e sicuramente nel 2024 uscirà un mio disco. Non so dire ancora quando ma ci sarà. Poiché la musica è per me un’esigenza, me lo sto autoproducendo: ero stanca di vedermi chiuse porte in faccia che mi demotivavano e bloccavano. I numeri e le classifiche fanno piacere a tutti, non nascondiamoci, ma punto più a parlare di argomenti profondi con le mie canzoni: non ho paura di svelare le ombre ma voglio anche far capire che, nonostante l’ombra, c’è sempre una luce all’orizzonte. E, per trovarla, bisogna essere molto forti.

Irene Effe.
Irene Effe.
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