Isabella Briganti è tra i protagonisti di Holy Shoes, il film di Luigi Di Capua che, dopo essere stato presentato al Torino Film Festival 2023, arriva nei nostri cinema dal 4 luglio grazie ad Academy Two. Nel racconto corale che ha come tema quello della tirannia del desiderio (rappresentato in questo caso dalle scarpe), Isabella Briganti interpreta Agnese, una presentatrice tv che si ritrova a dover subire l’amputazione di una gamba. Mentre la divora la voglia di tornare a fare il suo lavoro, stringe amicizia con Luciana, una casalinga vicina che, impersonata da Carla Signoris, è imbrigliata in un matrimonio senza più tanto da dire.
“Sarò per sempre grata a Luigi per questo ruolo”, ci tiene a sottolineare Isabella Briganti. “Mi ha permesso di entrare in connessione con la realtà di tante donne amputate e con ciò che l’amputazione comporta in loro a livello psicologico. Ho approfondito diverse storie e ho cercato di comprenderne il trauma e la psiche”.
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Attrice romana, Isabella Briganti è recentemente apparsa anche in Mameli, la serie tv di Rai 1, nei panni della madre del giovane protagonista Riccardo de Rinaldis mentre sarà presto al cinema anche con Cuore di carta, opera prima di Kristina Sarkyte al fianco di Stefania Rocca, la storia di un bambino intelligente e dolce che cerca di crescere e sopravvivere psicologicamente a un padre brutale in una situazione familiare degradata.
E anche quella di Isabella Briganti è una storia molto particolare, segnata da un viaggio in India e dalla scoperta dello yoga che l’ha resa libera da certe tirannie, come lei stessa ci racconta in questa intervista esclusiva. Pian piano, emerge infatti il ritratto di una donna che crede fermamente nel concetto di serenità e di aiuto al prossimo, puntando su una resilienza che è fatta di meditazione, riflessione, pace e rispetto per l’ambiente, oltre che per se stessa.
Intervista esclusiva a Isabella Briganti
“Perché su WhatsApp o al telefono fisso e non al cellulare?”, è la prima domanda che poniamo a Isabella Briganti, incuriositi dall’indicazione che arrivava dall’ufficio stampa. “Perché nella casa in cui vivo non c’è campo”, risponde divertita. “Vivo a tutti gli effetti in quella che è la prima passivhaus italiana. Nel Nord Europa, le case passive sono una grande realtà, al loro interno si crea un microclima che fa sì che sia sempre primavera mantenendo una temperatura ideale e avvantaggiandosi non solo nel risparmio elettrico ma anche nel respirare all’interno dell’abitazione un’aria pulita”.
A cosa si deve tale scelta?
Al mio interesse per l’ecologia, all’essere una salutista e al praticare meditazione e Hatha yoga di scuola tibetana, che nulla ha a che fare con lo yoga che si insegna comunemente. L’ho studiato direttamente in India, mi sono andata ad abbeverare alla fonte e ho vissuto per tanto tempo negli ashram, non con lo spirito del voglio andarmene da questo mondo ma con quello di chi voleva assaporarlo in profondità. E tutto ciò mi ha anche aiutato molto nel mio lavoro di attrice.
Mi è tornato ad esempio utile sul set di Holy Shoes. Mi hanno presa per una fuori di senno ma un giorno ho richiamato il regista Luigi di Capua per dirgli che rinunciavo alle tre scene che avrei dovuto girare per ripetere quella chiusa il giorno prima: era stata girata in una giornata in cui ogni cosa era andata per il verso sbagliato e, ritenendola molto importante, ho richiesto che venisse ripetuta. Era fondamentale che fossi connessa con tutto il processo di interiorizzazione che avevo fatto per la mia Agnese.
Cosa accade in quella scena?
Della coralità dei personaggi del film, Agnese è quella che paga il prezzo più alto: nel suo caso, la tirannia dei desideri raggiunge il suo acme… la discesa agli Inferi è obbligatoria per la salvezza della sua anima e, quando lo capisce, rimane completamente sola, abbandonata a se stessa e senza una gamba, che per una donna di televisione come lei che ha puntato tutto sulla sua immagine è tremendo.
Nella scena finale, quando la rivediamo sulle stampelle, si intuisce che ce l’ha fatta, che la si rivedrà in televisione con la sua gamba bionica e che, soprattutto, è una donna che emana una luce straordinaria rispetto all’inizio, in cui sul volto le si leggevano cupezza e tristezza. Era una donna per cui la vita era diventata una trappola egoica in cui a dannarla era quello che voleva, portandola a un vicolo cieco. E, con il tempo che si esaurisce, si esaurisce anche l’anima: un prezzo talmente alto che porta alla morte di qualcosa dentro di te.
Nella tua vita, quando hai sentito la tirannia del desiderio?
Tutte le volte che mi sono ingannata e che, soprattutto, mi sono fatta ingannare dalle maschere che indossiamo, dai sistemi commerciali ed economici che ci governano e dai desideri che ci inculcano. “L’uomo nasce libero ma vive in schiavitù, come sostiene uno dei miei fari che ho seguito e che continuo a seguire, Wilhelm Reich. E a farlo vivere in schiavitù è la sua corazza emozionale: non ascoltando più le proprie emozioni, non è più connesso con il suo sé ma è un burattino nelle mani di chi lo manovra. Se si è poi fortunati, si finisce in una famiglia, in una scuola o in una istituzione che sanno aiutare, altrimenti si è dei poveri dannati che dovranno farcela a venir fuori da soli da quell’incubo che può diventare la vita.
E tu quando sei uscita da quell’incubo che poteva diventare la vita?
A 25 anni, quando ho lasciato tutto. Ero molto giovane ma anche dal temperamento inquieto, ragione per cui avevo cominciato un percorso di analisi: ricordo ancora uno psicanalista freudiano che mi ripeteva continuamente che dovevo liberarmi dai sensi di colpa ma in maniera così ossessiva che alla decima seduta ero già arrivata al limite.
Cercai allora altro che per caso mi arrivò dalla lettura di una frase sfogliando dei libri: La strada per l’autorealizzazione è quella dello yoga. Mi trovai, quindi, un maestro yoga che mi ha aprì la porta con la sua bella bianca barba, i suoi occhi azzurri e un sorriso da una guancia all’altra, permettendomi sin da subito di trovare pace.
Ed è stato grazie alla pratica dello yoga che cominciai a capire che tutto ciò che stavo costruendo non era esattamente quello che mi avrebbe resa felice perché era un po’ troppo superficiale: realizzai che avevo intrapreso relazioni personali e sentimentali che non stavano andando nella direzione giusta per me. Volevo essere libera e per trovare la mia libertà partii per il primo viaggio in India, dove entrai nell’ashram di cui sopra e mi affidai a un percorso di studi che comprendeva anche il servizio umano, quello al prossimo.
Imparai che solo quando si riesce a occuparsi del prossimo come se fosse un fratello si ha la possibilità di accedere a quei sentimenti che fanno grandi gli uomini. Più un uomo conosce se stesso, più è libero di essere quello che è: avrà sempre il suo valore in qualsiasi circostanza.
Tutto ciò mi ha permesso di liberarmi dalla tirannia dei desideri e dell’essere vittima dei consumi. Sono contentissima, ad esempio, di non essere una fashion victim, rientra tra i messaggi che Holy Shoes vuole mandare: attenzione agli oggetti che possediamo, sono loro che possiedono noi e non viceversa.
Tornando alla tirannia del desiderio, non è il voler diventare attrice una forma di sudditanza?
Si, se non hai dei valori profondi. Se pensi che fare l’attrice sia solamente dire “Guardate quanto sono bella e brava, divento ricca e famosa” allora sei proprio messa malissimo. Ma, se vuoi fare l’attrice per essere un canale per trasmettere il tuo vissuto, no. E io volevo essere un tramite che potesse servire da modello con la mia bella valigetta di esperienze. Questo non significa che non continuerò a sbagliare o a ricercare, tanto che sui social mi definisco attrice in progress lungo il cammino della vita.
Il diventare attrice è stata una scelta a lungo ponderata, tanto che il mio percorso si divide in due fasi. Avevo cominciato a lavorare quando poi sono partita per l’India, interrompendo tutto e rifiutando opportunità anche consistenti. Ho ripreso il cammino molto tempo dopo, una volta superati i quarant’anni, quando ho sentito che era il momento giusto per farlo.
Cosa ti aveva spinto verso la recitazione?
La verità? Ho vissuto i primi anni della mia vita con una nonna appassionata di cinema. Nonna era stata per un periodo non particolarmente lungo molto amica di Anna Magnani, un’amicizia nata quasi per caso. Nonna era stata una delle prime donne a occupare le case popolari, le stesse in cui la Magnani si recò quando si doveva preparare per girare L’onorevole Angelina. In quella circostanza, si conobbero e la Magnani rimase molto colpita dal carattere verace di nonna e si affezionò a lei prima che le loro strade prendessero cammini diversi.
In più, nonna avrebbe sempre voluto diventare un’attrice ma suo padre glielo impedì: all’epoca, fare l’attrice nell’opinione popolare era sinonimo di qualcos’altro e nonna di botte ne prese anche parecchie. Poiché non era riuscita a sublimare quel suo desiderio con mia madre per via dell’opposizione questa volta di mio nonno, ha poi avuto carta bianca con me.
Nata da genitori giovanissimi e molto easy, sono cresciuta in casa sua fino ai sei anni con lei che mi ripeteva che da grande avrei dovuto fare l’attrice… c’è persino una vecchia registrazione che certifica come di fronte alla sua domanda su cosa volessi far da grande mi suggeriva di rispondere “l’attrice”.
Mi ha talmente condizionato in quel periodo così formativo della mia vita che non so che altro avrei potuto fare. Mi faceva anche vedere dei film bellissimi, tutti i titoli del neorealismo che mi hanno fatta illudere che il cinema fosse sempre quella cosa lì, quando poi la realtà è ben diversa.
È un po’ la storia della profezia che si autoadempie: nonna voleva così tanto che facessi l’attrice che, alla fine, lo sei diventata. Ma quand’è la prima volta che all’ufficiale comunale hai risposto “attrice” alla voce “professione” sulla carta d’identità?
Forse la prima volta che l’ho detto non ha significato nulla. Quando dico che faccio l’attrice, lo dico pensando a Holy Shoes, a Cuore di carta, un’altra opera prima già girata e che uscirà prossimamente, o a un film come Dove non ho mai abitato, che mi hanno permesso di sperimentare che c’erano quelle vite dentro di me… un piccolo patrimonio che mi sono sudata, con tutto il mio bagaglio di vissuto e sofferenze.
Holy Shoes: Le foto del film
1 / 23In Holy Shoes, Agnese crea un legame molto interessante che si evolve e cambia con la vicina di casa Luciana, interpretata da Carla Signoris.
Il loro è un legame che va a sostenere e ad avvalorare la complicità e la solidarietà al femminile. Purtroppo, il femminile è stato sfruttato dalle multinazionali e dalle politiche economiche e sociali in maniera esasperante: abbiamo per decenni visto corpi ovunque per vendere qualcosa e ancora ne vediamo. È questa una moderna forma di schiavitù: pensiamo di essere liberi ma non lo siamo.
Che rapporto hai tu con il femminile?
Sono una sportiva amante dello sport armonioso: non mi chiudo in una palestra ma preferisco l’attività all’aperto, come può essere il camminare e il fare trekking all’aria aperta. Il mangiare sano e il bere un determinato tipo di acqua, uniti all’attività fisica, fanno sì che il rapporto con il mio corpo sia straordinario: al mattino mi guardo allo specchio, vedo la pelle radiosa e lo sguardo luminoso, mi faccio una cosa, indosso leggins e maglietta, e sono a posto.
Inevitabilmente, mentre parliamo, noto la tua foto profilo su WhatsApp: sei madre?
No, quella in foto è la mia nipotina adorata. Ho scelto di non avere figli, una scelta legata a tante situazioni della mia vita che mi hanno anche fatto capire che è stato meglio così per il mio percorso. Diletta, mia nipote, mi assomiglia in tutto, dall’aspetto al carattere, al temperamento e all’approccio esistenzialista con la vita. È come se fosse mia figlia ma senza tutto lo stress del vedere il mio corpo cambiare… ma mi sono ritrovata diverse volte a essere mamma di vocazione: mamma di mia madre, mamma di mio marito, mamma di tutta la famiglia.
Ho uno spiccato istinto materno, forse a maggior ragione proprio perché non sono una mamma biologica: dicono tutti che sono molto accudente ma mi viene naturale esserlo, non avverto assolutamente nessun tipo di mancanza a riguardo. E poi fare la zia è anche molto più esaltante: si vivono insieme le coccole, il divertimento, il gioco e le esperienze entusiasmanti. Per gli oneri, ci sono i genitori! (ride, ndr).
E in tutto questo chi si prende cura di Isabella?
Isabella, altrimenti non potrei prendermi cura degli altri: lo si può fare solo quando ci si occupa di se stessi, altrimenti è tutto un piccolo magico bluff. Non che non abbia delle persone che mi vogliano bene o che non si prendano cura di me però il lavorare costantemente su e con me stessa mi aiuta.