Nel mondo dell'intrattenimento, l'eccellenza si manifesta attraverso numeri tangibili e una narrazione coinvolgente: è proprio ciò che si evince dalla straordinaria esperienza di Jacopo Cullin, figura poliedrica che colpisce gli spettatori con la sua interpretazione di personaggi indimenticabili e la sua autenticità disarmante.
Jacopo Cullin, protagonista di una delle più amate serie televisive, Lolita Lobosco 3, ci accoglie nel suo mondo con il suo sorriso contagioso e la sua schiettezza disarmante. Mentre parla della straordinaria accoglienza riservata al primo episodio della serie, Jacopo Cullin rivela i segreti dietro il successo e le sfide personali che ha affrontato lungo il suo percorso.
Dalla sua infanzia in Sardegna, caratterizzata da risate e momenti di crescita precoce, fino alla consacrazione nel mondo dello spettacolo, Jacopo Cullin ci guida attraverso un viaggio emozionante di autodeterminazione e dedizione al proprio mestiere. Affrontando temi delicati come la depressione e la ricerca di se stessi, Jacopo Cullin condivide con noi la sua filosofia di vita, fondata sull'amore, la gratitudine e la volontà di superare ogni ostacolo.
Attraverso le sue parole, emergono valori fondamentali come l'inclusione, il rispetto e la gentilezza, che guidano il suo cammino artistico e personale. Con umiltà e determinazione, Jacopo Cullin rivela il suo sogno di diventare padre e di lasciare un'impronta positiva nel mondo, ispirando giovani e adulti a seguire le proprie passioni con coraggio e fiducia.
In questa intervista, ci immergiamo nel cuore e nell'anima di un artista straordinario, pronto a sorprenderci e commuoverci con ogni sua performance. Con Jacopo Cullin, la parola "spettacolo" assume un significato più profondo, trasformando ogni momento in un'esperienza indimenticabile di gioia, speranza e autenticità.
Intervista esclusiva a Jacopo Cullin
“In attesa dei dati di ascolto, ci siamo riuniti per fare colazione e due chiacchere”, mi risponde Jacopo Cullin quasi a giustificarsi della mancata risposta al primo tentativo di chiamata. I dati di ascolto a cui fa riferimento sono quelli relativi al primo episodio di Lolita Lobosco 3, andato in onda lo scorso lunedì: 27,7% di share, pari a 5.191.000 telespettatori, un dato incredibile a cui va aggiunto anche il milione di visualizzazioni di chi ha scelto di godersi il racconto in anteprima su RaiPlay.
Col senno di poi, era impensabile che andasse diversamente. È vero che i gusti del pubblico sono mutabili e variabili ma Lolita Lobosco ha dalla sua la forza di un racconto e di personaggi che, episodio per episodio, non cala mai di tensione. In parole povere, non c’è nella storia un momento di stanca né nella linea orizzontale né in quella verticale.
“Ci mancherebbe, anche perché non so coniugare i verbi in terza persona”, scherza Jacopo Cullin quando gli propongo l’uso del tu per la nostra conversazione. Scherzerà molto durante il corso dell’intervista ma, soprattutto, non smetterà mai di ridere, affrontando con il sorriso anche i ricordi più ostici o privati del suo percorso. “Siamo entrambi isolani e per quanto tu cerchi di nasconderlo si sente che sei palermitano: ho una certa passione per gli accenti”, spiazzandomi. “Però, nel tuo caso puoi sempre giocarti la carta del veneto”, controbatto ma, anche in questo, ha la risposta pronta: “È vero, anche se sono stato pochissimo in Veneto: mio padre è originario di Treviso ma io sono cresciuto in Sardegna”.
Ti abbiamo ritrovato nei panni di Raffaele Esposito, per tutti Lello. In questa terza stagione, Lello cresce ulteriormente: l’abbiamo visto fidanzato, poi marito e ora prossimo alla paternità.
Nasceranno finalmente i due gemelli e già dalla prossima puntata si vedrà come interagirò con loro e con mia madre che diventa nonna: con due neonati, è sempre comodo avere chi possa dare una mano. Chiaramente, Lello è chiamato a confrontarsi con tutte le preoccupazioni di un neo-padre e di una nuova fase di vita, la genitorialità, che cambierebbe chiunque. Emergerà quindi un suo lato più tenero, oltre a quello goffo e buffo che lo ha sempre caratterizzato.
In una scala da uno a dieci, quanto ti somiglia Lello?
Onestamente, poco. Come lui, anch’io ho un mio lato fatto di tenerezza, correttezza e gentilezza, ma fortunatamente non ho il suo stesso rapporto con la madre e nemmeno con le donne: non potrei mai resistere ad esempio al fianco di una fidanzata veramente insopportabile come Caterina. Tanto Caterina fa di tutto per rendersi pesante, tanto Camilla Diana che la interpreta è straordinaria come persona e molto brava come attrice: è un piacere lavorarci insieme.
Il rapporto di Lello con le donne è complicato: madre iper ingombrante, moglie insopportabile e persino una capa sul lavoro come Lolita, che nella sua passata ottica vedeva come non adatta ad assolvere il tipo di lavoro a cui era chiamata.
Nel corso delle puntate, Lello ha cambiato tantissimo idea su Lolita e ne ha capito la forza. In realtà, prima era come se Lello indossasse necessariamente la maschera del macho per sembrare tale agli occhi dei colleghi, anche quando prendeva privatamente bastonate a destra e sinistra. È comunque un ragazzo a cui alla fine non si può non volere bene, soprattutto di fronte al suo tanto impegno, lo stesso che ogni tanto lo porta a risolvere i casi con un guizzo à la James Bond. Lo si deve che quando riceve i complimenti per il suo operato, al di là della chiusura da orso, si emoziona: ci tiene tanto a fare le cose per bene.
Ci tiene almeno tanto quanto te…
In questo, ci somigliamo parecchio. Mi piace dare il massimo, soprattutto in questo lavoro: è talmente un’opportunità enorme poterlo fare e farlo per una serie tv di così grande successo che sarebbe stupido non impegnarsi al massimo. Sono molto grato a questa possibilità che la vita mi ha concesso.
Ti ha aiutato il rapporto di Lello con le donne a rivedere il rapporto che invece ha Jacopo con le donne? Fondamentalmente, sei cresciuto solo con tua madre per gran parte della tua vita.
Quello che ho con le donne è un rapporto da sempre ottimo. Essendo cresciuto solo con mia madre, faccio ad esempio una fatica enorme nel comprendere certe cose che accadono nella quotidianità, come la violenza contro le donne: è talmente lontano da me il pensiero e profondo il rispetto per le donne da non riuscire a capire come si faccia a fare o pensare determinate azioni.
E chi era quel bambino che in Sardegna cresceva con la madre?
Era un bambino a cui piaceva sempre ridere e far ridere gli altri. Se guardo indietro a quel bambino, vedo come crescendo è riuscito a ritagliarsi un suo spazio e a trovare il proprio posto nel mondo sin da quando aveva cinque anni, quando mio padre è andato via di casa. Ed è stato durissimo perché già da allora ho sentito sulle spalle un senso di responsabilità molto forte…
Sarà anche questa la ragione per cui vivo la visibilità che dà il mestiere di attore sempre con tanta responsabilità, cercando nel mio piccolo di essere d’esempio per tutti quei bambini o ragazzini che vorrebbero provare a seguire la mia strada. Cerco in qualche modo di essere un’alternativa molto sobria: non bisogna essere necessariamente tutti uguali.
Amavi sorridere e far sorridere anche da bambino. Non era forse un modo per non sentire quel vuoto che inevitabilmente ti circondava?
Non mi sono mai dato una risposta ma è probabile. Dico sempre che, in fin dei conti, la vita va come deve andare. Non ho mai serbato rancore nei confronti di nessuno e non cambierei una virgola di ciò che è stata la mia vita. Ho anche recuperato il rapporto con mio padre, consapevole di come tutto succeda sempre quando arriva il momento giusto: ci sono degli step da fare, bisogna crescere ma sto vivendo un momento della mia vita particolarmente sereno.
Da sempre sarei voluto diventare padre ma ho allontanato il pensiero. Non si è mai pronti per la genitorialità, è vero, ma per pensarci seriamente occorreva per me anche risolvere determinate questioni ancora aperte. La genitorialità di Lello e il recupero del rapporto con papà mi hanno ultimamente aperto un nuovo file: non mi dispiacerebbe, prima o poi, diventare genitore.
Ciò che dici conferma quanto terapeutico possa essere il lavoro di un attore e quanto possa essere connotato da un senso personale.
Per me, recitare è terapeutico. Pur interpretando un personaggio di finzione, porti in lui sempre qualcosa di te stesso o c’è sempre qualcosa che ti riporta a te stesso, anche quando il ruolo può apparire leggero. Anche se Lello è solo all’apparenza leggero, anche lui ha i suoi fantasmi.
La leggerezza è la chiave che ha segnato il tuo cammino verso la recitazione sin dagli esordi. Vent’anni fa muovevi i primi passi da comico per una trasmissione della mitica emittente sarda Videolina. Era frutto di una tua decisione quella di proporti come comico o è stato il caso a decidere?
È stato il caso, se vogliamo definirlo così. Ma potrei citarne diverse di situazioni della mia vita che hanno come filo comune il caso: ogni momento nel mio percorso si è sempre rivelato fondamentale per lo step successivo. L’esperienza in quel programma comico, Come il cacio sui maccheroni, è nata da quella di animatore turistico. A iscrivermi a ventuno anni a un concorso per cabarettisti emergenti è stata la mia fidanzata di allora. Io non avevo nemmeno idea di cosa sarei andato a fare, non avevo scritto niente: lei, invece, aveva intuito che mi serviva una spinta per far venire fuori ciò che ero in grado di fare…
Ho dunque partecipato a quel concorso con un’ansia da prestazione incredibile, pensando che ci fossero altri comici tutti molto più bravi di me. C’è stato persino un momento in cui non avrei più voluto nemmeno partecipare ma ho finito con il vincerlo, rimediando anche i voti dei genitori degli altri concorrenti (ride, ndr).
Quel risultato, per me eclatante, mi ha dato quella carica di autostima che mi ha portato a pensare “proviamoci”. E nel provarci portando in giro ciò che sapevo fare sono stato notato da Videolina, che mi ha cambiato la vita: nel giro di due settimane, ho iniziato a fare i miei spettacoli e a riempire i teatri.
Sempre sold out…
È incredibile come, sin dall’inizio, sia sempre andata così. Sono quattro anni che propongo lo stesso spettacolo (È inutile a dire) a teatri da 1600 posti e che i biglietti si esauriscono in uno o due giorni. Mi chiedo spesso come sia possibile, mi stupisco ed è molto bello stupirsi tutte le volte: non do mai nulla per scontato. E sono proprio i sold out in Sardegna che mi hanno spinto a voler portare lo spettacolo anche fuori i confini dell’isola: a Roma, a Milano e nelle prossime settimane a Bari, Torino e Firenze, tre tappe che mi danno grande gioia.
Non possiamo prescindere dal sottolinearlo: a dare il via al tuo cammino da attore è stata dunque un’altra figura femminile, la fidanzata di allora.
Ma ha fatto anche di più. Nel vedere il successo che avevo ottenuto in pochi mesi, mi ha apertamente detto che non potevo rimanere in Sardegna: secondo lei, dovevo trasferirmi a Roma, studiare e non fermarmi. E così ho fatto: è stata lei ad accompagnarmi nella capitale per cercare una stanza in affitto, anche se poi il trasferimento c’è costato la fine della relazione. A oggi, però, siamo ancora grandi amici, per me è come se fosse mia sorella.
Il suo è stato un grande atto di amore, sicuramente altruistico e non egoistico, lontano da come spesso oggi si vive il sentimento. Che rapporto hai tu oggi con l’amore?
Bellissimo. Spesso ho paura di parlarne perché agli occhi degli altri potrebbe apparire banale o smielata ma non potrei mai vivere senza amore, un sentimento che cerco di portarmi non solo nelle relazioni sentimentali ma anche in quelle di amicizia o nel legame con mia madre. Anche se paradossalmente, per quanto sia la persona più importante della mia vita, mia madre è l’unica che riesce a farmi arrabbiare in maniera incredibile (ride, ndr). Qualche giorno fa, ero ospite su Rai 1 a La volta in buona: sapendo che mamma guarda la trasmissione, l’ho chiamata per avere un suo parere e chiederle com’ero andato. Per tutta risposta, ha cominciato a raccontarmi di quanto fosse ammaliata dal professor Umberto Broccoli e dai suoi racconti: aveva visto tutto tranne che me!
Trovo che non sia mai banale parlare d’amore: chi lo reputa tale, forse ha qualcosa di irrisolto.
Probabilmente. Spesso la sensazione è che tutti pensino a risultare più fighi e che parlare d’amore per pregiudizio renda invece sfigati. Ma non mi interessa: pensatemi sfigato ma non potrei mai vivere senza amore. Non so che sapore potrebbe avere la vita senza…
Al di là della leggerezza, dell’allegria e del sorriso che ti caratterizza, c’è stata una fase della tua vita in cui, come hai raccontato in un’intervista qualche tempo fa, senza alcun tipo di paura o reticenza di avere affrontato in prima persona la depressione.
Viviamo in un qui e ora in cui la depressione è, purtroppo, sempre più presente. E forse parlarne può servire a chi la sta vivendo darle un nome, capire come affrontarla e vedere come si può uscirne. Da regista, ho diretto diversi cortometraggi che considero dei post-it video: nei momenti di difficoltà, li riguardo e traggo spunto su cosa devo fare quanto sento che sto per rientrare in quel tunnel. Realizzarli, non è servito solo a me: ricevo molti messaggi di ringraziamenti da parte di chi li ha visti e ha trovato nei racconti lo specchio di quello che stava personalmente vivendo. Ecco, per me è questo lo scopo e il significato dell’arte: comunicare qualcosa che possa far sentire che esiste una possibilità.
I cortometraggi che hai diretto sono sempre diretti al sociale e alla riflessione.
Di mio, cerco di usare il linguaggio della leggerezza per trasmettere qualcosa che abbia una valenza sociale per tutti, soprattutto per i ragazzi e le ragazze di oggi attenti a certe tematiche. A guidarmi è sempre il desiderio di accettazione e di inclusione che vorrei sempre più presente per rendere tutto molto più semplice.
Inclusione…
Sì, sono stato bullizzato anch’io perché ero il più piccolo di tutti i ragazzi della mia età: ero bassissimo fino alle medie e il mio metro e cinquantatré di altezza era motivo di presa in giro. Non ero escluso ma ero sicuramente oggetto di attenzioni non volute come spesso succede nella vita. Ma non sono stato traumatizzato da quello: per molti versi, mi ha dato la forza di affrontare tutti quei bulli che poi in età adulta si incontrano lungo la strada e agiscono in maniera più subdola, senza necessariamente ricorrere alla violenza fisica.
Hai mai avuto la voglia di cimentarti con la regia di un lungometraggio?
Ci sto lavorando. È un progetto che ho scritto da dieci anni, dovrei cambiare un paio di cose ma mi ha sempre frenato dal concretizzarlo il rispetto profondo che ho del ruolo del regista. È solo crescendo che ho imparato che sì deve esserci rispetto ma che a tentare qualcosa che sulla carta non è tuo non succede niente: non si fa male a nessuno. E, se non farò il film da Oscar, chi se ne frega: avrò raccontato una storia che volevo raccontare in maniera autentica. Voglio dunque provarci senza troppi retropensieri: aspetto solo di avere del tempo materiale per farlo e la concentrazione giusta.
Tu hai lavorato con alcuni grandi maestri del nostro cinema, da Ciprì a Bellocchio, passando per Paolo Zucca e Gianfranco Gabiddu. Cosa hai imparato guardandoli al lavoro?
Non mi chiedere di scegliere: da tutti impari sempre qualcosa, anche solo umanamente. Senza voler far torto a nessuno, quello che mi ha colpito più di tutti è stato Marco Bellocchio: reputo una fortuna averci lavorato ed essere stato al suo fianco… gli chiedevo di restare sul set anche quando non recitavo e non ero previsto in scena: magari per osmosi assorbivo qualcosa!
Di lui mi ha colpito ciò che nel mio piccolo provo a fare anch’io: far sentire tutti parte, dalla star all’ultima delle comparse, dello stesso progetto. La gentilezza e l’umanità con cui ti rivolgi alle persone, unite alla cura del dettaglio, fanno la differenza, soprattutto se accompagnate, come nel suo caso, da una dose di umorismo che dimostra come ridere faccia bene.
Le indagini di Lolita Lobosco 3: Le foto della serie tv
1 / 71Ridere… ma cosa fa invece piangere o commuovere Jacopo?
Mi fanno piangere i bambini che soffrono e il senso di giustizia che spesso non c’è nei loro confronti, soprattutto in situazioni come le guerre che non capisco. Se mi soffermo su determinate circostanze, mi blocco perché non trovo giustificazioni. È anche la ragione per cui cerco di essere tutti i giorni grato per quello che ho la fortuna di avere e di far qualcosa per le persone che ho accanto: sopperisce forse al senso di impotenza che provo.
Tra speranza e fiducia, come vedi il futuro?
Spero di accogliere tutto sempre col sorriso. E, quindi, con speranza.
Quando hai imparato invece ad avere fiducia in te stesso?
Già da bambino, ho avuto un bel rapporto con me stesso.
Hai mai sentito sulle spalle il peso delle aspettative altrui?
No. Quello di recitare è sempre stato un sogno ma mai nessuno me lo ha fatto pesare. Tuttavia, a muovermi è sempre stato anche il desiderio di rendere orgogliosa l’isola, la Sardegna. Ma perché la mia terra mi ha sempre sostenuto e considero tutti quanti una grande famiglia.
Cosa ti fa paura?
Forse nulla. Dopo aver superato la paura dell’aereo, penso di essere anche molto coraggioso: affronto tutto ciò che temo e non mi ascondo mai. Però, non so se sia coraggio o incoscienza… Una cosa che ancora temo forse c’è: il mare scuro. Devo sempre vedere il fondale, devo avere un appiglio e dove il mare è più blu non accade.
Non è forse metaforico degli abissi anche dell’anima?
Mi hai risolto un trauma: la prossima volta chiamo te anziché uno psicologo (ride, ndr).
Con chi andavi al mare da bambino?
Quand’ero piccolo, con i familiari e i cugini. Crescendo, ho poi cominciato presto ad andare al mare con gli amici: si prendeva il pullman e ci si muoveva in grupponi per vivere quelle spensierate giornate all’insegna del pallone in spiaggia. E farlo ci faceva sentire liberi ma anche grandi: eravamo in quella fascia di età in cui desideravamo ritagliarci i nostri spazi, mandando in ansia i nostri genitori.
E oggi ti senti libero?
Totalmente. È una libertà che ho raggiunto a suon di tanti “no” ma la sensazione di essere libero e non incastrato in nessuna etichetta (sociale, politica, d’identità e via dicendo) è la più bella che si possa provare. Qualunque sia la dinamica in corso, auguro a chiunque di non rimanere incastrato. Nemmeno in amore.
Se ti dovessi descrivere con un solo colore, quale sarebbe?
Il bianco…