Joe Bastianich, da tutti noto come The Restaurant Man, e i La Terza Classe si sono conosciuti durante il programma On the Road, realizzato per Sky qualche anno fa. Da allora, l’ex giudice di Masterchef Italia, da sempre appassionato per la musica rock, blues, soul e folk americana, si è confrontato con i La Terza Classe, una delle poche band italiane che si occupa di ricercare e di comporre musica traendo ispirazione dal folk americano.
Dall’incontro tra la realtà musicale di Joe Bastianich e quella dei La Terza Classe è nato Good Morning Italia (Soundinside Records / Believe / Self), un disco intenso, i cui testi parlano di cadute e risalite, di paura e di coraggio, di amore e di tradimenti. Già dal singolo di lancio, Fall in Between si può intuire l’anima del lavoro compiuto: si parla di amore universale con sonorità folk pop contemporanee.
TheWom.it ha intervistato in esclusiva Joe Bastianich (J) e i La Terza Classe (P) per farsi raccontare meglio l’intero progetto. A parlare per i La Terza Classe è Pierpaolo Provenzano.
Intervista esclusiva a Joe Bastianich e La Terza Classe
Quando e come il mondo di Joe Bastianich incontra quello dei La Terza Classe?
P: È successo dieci anni fa. Joe venne a Napoli per On the Road, un programma di Sky in giro per l’Italia. Ci incontrò per strada e da lì abbiamo iniziato a tenerci in contatto. Lo colpì il fatto che eravamo una formazione che, come sound, si rifaceva principalmente alla musica folk degli Stati Uniti. Ogni tanto ci siamo scritti o sentiti, fino a quando la conoscenza non è culminata con la collaborazione che portiamo avanti da un anno e mezzo circa.
Vi muovete appunto tra New York e Napoli, le due città in cui è stato registrato il disco. Qual è stato metaforicamente il punto di incontro?
P: Il punto di incontro sono state sicuramente le influenze musicali. Da parte nostra sono quelle folk, roots, mentre Joe è un po’ più 70s: rock, folk… un po’ più psichedelia anni ’70 ma comunque sempre di matrice un puramente folk. Gli Stati Uniti sono la cosa che ci accomuna: Joe viene da lì mentre La Terza Classe ha approfondito quel tipo di musica lì con gli anni.
Il disco si chiude con Good Morning Italia, la sigla del programma di Sky proposta come ghost track. Il brano rappresenta in pieno lo spirito e la convivialità italiana. Perché è l’unica traccia in italiano?
J: È sempre un timore cantare in italiano. Quella traccia è riuscita abbastanza bene perché non ha particolari difficoltà espressive. Cantare in un’altra lingua è sempre difficile, specialmente per il tipo di musica che provo a fare io. È espressivo e devi avere padronanza della lingua: ce l’ho in inglese. In italiano, è un po’ più difficile.
La padronanza della lingua inglese è ovviamente indiscutibile. Così com’è indiscutibile il valore poetico dei testi che possono essere presi anche senza musica e assumere un loro significato universale. Si ha l’impressione che siano molto cinematografici e che appartengano quasi al mondo del cinema indie statunitense.
J: Non ti nascondo che nascono anche da quel tipo di landscape lì. Quando scrivo, la musica è per me molto visuale. Vengo da quel mondo lì e sicuramente c’è un collegamento.
Potremmo definire il disco glocal, coniuga al suo interno globale e locale. Potremmo adattarlo benissimo al pubblico italiano ma anche a quello internazionale. Pensate di portarlo anche fuori dai confini italiani?
J: Abbiamo in programma di portarlo in tour in America il prossimo anno.
Le cadute e le risalite di cui si canta nelle canzoni mi hanno fatto spesso pensare a Blowing in the wind di Bob Dylan. Quante strade deve percorrere ancora un uomo prima di potersi considerare tale?
J: Non so. Sono sulla strada per affrontare il bivio ma non so ancora dov’è la fine.
Una risposta forse intuibile ascoltando This Good Man e Longway Home, che sono forse i pezzi più personali dell’album?
J: In qualche maniera, i pezzi sono tutti molto personali, all’infuori di Cards and Women e Good Morning Italia. Gli altri, però, sono tutti narrativamente personali.
Quanto coraggio ci vuole per chiedere scusa come in This Good Man?
J: Penso che sia fondamentale. Dopo i 50 anni, devi accettare i tuoi sbagli, chiedere scusa e andare avanti. Tutti sbagliamo, gli sbagli fanno parte della vita. L’importante è che uno sbaglio non sia sempre tale.
Sorridendo, This Good Man mi ha fatto pensare a Mercedes Benz di Janis Joplin. Voi cantante “Se chiedo scusa posso cercare il perdono del Signore”, Janis cantava “Signore, comprami una Mercedes Benz, così posso chiedere scusa”.
J: Non avevo mai riflettuto su quel verso. Ma comunque ci sta. Qualsiasi confronto con Janis mi lusinga. Ha scritto dei testi bellissimi, nella sua seppur breve carriera.
Janis Joplin è morta giovanissima. E nel vostro disco si tratta la morte e l’ineluttabilità del tempo in maniera serena, come se fossero una festa da vivere con coraggio e speranza. Perché la scelta di ricorrere a un tono così allegro per temi così “pesanti”?
J: Quando sei giovane, hai davanti a te tutto il triangolo della vita che si apre. Dopo i 50 anni, il triangolo comincia a chiudersi. Vedi la chiusura di fronte a te, è sicuro che arriva e cominci a pensare a cosa vuol dire la morte e all’impatto che ha sulla vita che stai vivendo. Lay Me Down, la canzone in questione, tratta sì un tema pesante ma in una maniera per me molto bella.
Cards and Women, invece, ricorre a una bella metafora per dire che con le donne ci vuole la stessa fortuna che serve con le carte da gioco. Tu hai avuto più fortuna con le carte o con le donne?
J: Né con le une né con le altre. Io ho più fortuna con il whisky. Io lo chiamo vino ma diciamo che il whisky è la mia fortuna perché la bottiglia è sempre sicura. Con le donne e con le carte non si sa mai.
Fettuccine Alfredo, in mezzo a tanto folk, country e bluegrass, è un pezzo gospel. Come mai è l’unico?
J: La musica l’ha scritta Alfredo d’Ecclesiis (armonica e voce dei La Terza Classe, ndr), lo canta principalmente lui. Io ho scritto il testo ma Alfredo è molto legato al mondo del blues e del gospel. Nel suo contesto napoletano, ha sempre condotto un profondo studio su quel tipo di musica. La musica che aveva scritto mi suonava molto gospel, forse non era nemmeno nelle sue intenzioni, e per questo ho scritto un testo anche spirituale, che parla di amore e anche un po’ di religione. Si sono fusi due mondi a parte e ne è nato un bel mix. Non sapevamo che sarebbe venuto fuori tutto così bene: nel prossimo disco ci sarà un po’ più di quella roba lì.
Ti abbiamo visto allontanarti un po’ dal mondo della cucina e avvicinarti maggiormente a quello della musica. Esiste una netta divisione tra i due universi o possono comunicare?
J: Il cibo e la televisione sono il mio lavoro. La musica è la mia passione. Questo spiega un po’ tutto.
Porterete l’album in tour in Italia?
J: Abbiamo date fino a settembre, per l’inverno ancora non si sa molto. Sicuramente terremo qualche data a dicembre e poi a gennaio si parte per gli Stati Uniti.
Quanto pensi che la sensibilità italiana possa apprezzare il genere di musica che proponete?
J: Potrà apprezzarlo sicuramente un pubblico colto, persone che hanno una buona conoscenza della base della musica. Farò sempre musica di questo tipo ed a quel tipo di persone che faccio riferimento. Non ho altre alternative: vorrei fare il rapper però la vedo un po’ difficile (ride, ndr).
Quanto pensi che i giovani possano avvicinarsi al tipo di musica proposta dall’album?
J: C’è un bel singolo che si chiama Fall in Between, che è un bluegrass molto orecchiabile e molto easy da ascoltare. È da capire che tipo di seguito possa avere tra i giovani. Ma, se abbiamo una chance, ce la giochiamo con un pezzo come quello.
Hai fatto sentire l’album a tua madre? Che ti ha detto?
J: Apprezza molto il disco ma critica le armonie…. “potevi fare meglio qua”, come tutte le mamme! A volte, mette un po’ in dubbio la mia ambizione musicale perché forse è più quadrata di me. Però, rispetta la mia scelta. Come tutte le mamme, penso che ammiri il mio lavoro musicale ma che lo dimostri solo a metà!
Qual è stato l’apporto dei La Terza Classe in tutto il progetto?
P: Joe ci ha messo i testi, ci ha messo la voglia di voler portare questo genere e la voglia di volersi immergere in questa musica. E noi abbiamo messo la nostra esperienza, quella che abbiamo accumulato in tanti anni insieme, come band in giro per gli Stati Uniti. Abbiamo messo a disposizione tutto il nostro sapere sugli strumenti. Per quanto riguarda gli arrangiamenti e le voci, abbiamo dato il nostro apporto musicale a quella che erano già delle idee, abbastanza condivise con Joe. È stato molto facile. Non è stato molto complicato trovarsi d'accordo, nonostante siamo sei persone diverse. Però ce l'abbiamo fatta in poche sedute.
In che modo avete fatto sì che le vostre voci si sposassero con quella di Joe?
P: Siamo un gruppo che canta in armonia. Questa è una cosa che rende possibile la convivenza di più cantanti: ci passiamo un po’ il testimone. Joe è la voce principale del disco, però noi insieme a lui facciamo i cori, le armonie: è mettere uno strumento in più all'album.
Non avete mai avuto la tentazione di portare la tradizione napoletana all’interno del folk statunitense?
P: Qualche volta l'abbiamo fatto. Però, di base, siamo più interessati a voler fare un progetto che possa avere un'ambizione internazionale piuttosto che rivolgerci a un pubblico magari locale. Quindi, adesso volevamo fare un qualcosa che potesse essere un po’ più universale. Ogni tanto una piccola citazione della nostra origine italiana piuttosto che napoletana ci può anche stare però questo è un disco a tutti gli effetti internazionale di musica folk che può ascoltare chiunque nel mondo. Insomma, si spera.